La Corte costituzionale si pronuncia sul processo tributario e sul concetto di capacità contributiva
Corte costituzionale, sent. n. 36 del 2025 e sent. n. 34 del 2025
A fine marzo di quest'anno, la Corte costituzionale ha adottato due pronunce di interesse per il diritto tributario.
Quanto alla sentenza n. 36 del 2025, occorre premettere che il d.lgs. n. 220 del 2025, di modifica del d.lgs. n. 546 del 1992, aveva introdotto due novità nel giudizio d’appello:
- all’art. 58, comma 1, il divieto di “nuovi mezzi di prova”, divieto che letto in combinato disposto con l’art. 4, comma 2, del d.lgs. n. 220 comportava che la nuova regola si applicasse anche giudizi instaurati in secondo grado a far data dal giorno successivo all’entrata in vigore della nuova disposizione (ossia il 4 gennaio 2024);
- all’art. 58, comma 3, il divieto di “deposito delle deleghe, delle procure e degli altri atti di conferimento di potere rilevanti ai fini della legittimità della sottoscrizione degli atti, delle notifiche dell’atto impugnato ovvero degli atti che ne costituiscono presupposto di legittimità che possono essere prodotti in primo grado anche ai sensi dell’articolo, 14 comma 6-bis”.
Ebbene, con la sentenza n. 36, depositata il 27 marzo 2025, la Corte costituzionale ha dichiarato:
- l’illegittimità costituzionale per irragionevolezza della disciplina di cui al comma 1 dell’art. 58, in quanto la novella, sebbene formalmente prevista solo per il futuro, nella sostanza incideva sugli effetti giuridici di situazioni processuali instauratesi quando era in vigore la normativa precedente. Trattandosi di una disposizione intertemporale, vige “il principio generale il quale esige che il passaggio da un previgente ad un nuovo regime processuale non sia regolato da norme manifestamente irragionevoli e lesive dell’affidamento nella tutela delle posizioni legittimamente acquisite”. Per cui la Corte ha giudicato fondate le censure ex artt. 3 e 111 Cost. con cui si prospettava, da un lato, la “palese ed ingiustificata violazione del principio del giusto processo sotto il profilo della prevedibilità delle regole processuali dell’intero percorso di tutela e, dall’altro, il pregiudizio recato alla scelta difensiva delle parti dei processi già instaurati in primo grado al momento dell’entrata in vigore della novella processuale”;
- l’illegittimità costituzionale della seconda disposizione censurata dell’art. 58 limitatamente alle parole “delle deleghe, delle procure e degli altri atti di conferimento di potere rilevanti ai fini della legittimità della sottoscrizione degli atti”. Nella sentenza si legge che “la novella del 2023 ha optato per un modello di gravame ad istruttoria chiusa, temperato, però, dal riconoscimento della facoltà per le parti di introdurre in secondo grado prove nuove indispensabili ai fini della decisione o incolpevolmente non dedotte in primo grado. Rispetto a tale regola generale, il divieto assoluto di produzione delle deleghe, delle procure e degli altri atti di conferimento di potere non trova appiglio nelle caratteristiche oggettive dei suddetti documenti, non essendo rinvenibile in essi un elemento differenziale sul quale il legislatore possa costruire una disciplina diversificata”. Inoltre - ha rilevato ancora la Corte - la nuova disciplina, dove inibisce il deposito delle deleghe, delle procure e degli atti di conferimento di potere, pur quando ne sia stata incolpevolmente impossibile la produzione in primo grado, comprime ingiustificabilmente il diritto alla prova, posto che in tali ipotesi il processo di appello costituisce la prima e unica occasione per dedurre i mezzi istruttori che non siano stati introdotti in primo grado per causa non imputabile alla parte.
Per quanto concerne, invece, il divieto di produzione in appello delle notifiche dell’atto impugnato, ovvero degli atti che ne costituiscono presupposto di legittimità, la Corte ne ha escluso sia la irragionevolezza sia la contrarietà ai parametri costituzionali dedotti, perché il legislatore ha inteso evitare che l’appello venga promosso al solo fine di effettuare un deposito documentale che, pur essendo da solo sufficiente per la definizione del giudizio, sia stato omesso in prime cure.
La sentenza n. 34, depositata il 21 marzo 2025, si segnala invece non tanto per il tema trattato (l’assoggettamento anche delle società di gestione del risparmio - c.d. SGR - all’imposta sui redditi delle società con un’addizionale dell’8,5 per cento), ma per i principi generali dettati (meglio: ricordati), in materia di imposizione tributaria:
- la Costituzione non impone una tassazione fiscale uniforme, con criteri assolutamente identici e proporzionali per tutte le tipologie di imposizione tributaria; essa esige piuttosto un indefettibile raccordo con la capacità contributiva, in un quadro di sistema informato a criteri di progressività, come svolgimento ulteriore, nello specifico campo tributario, del principio di eguaglianza, collegato al compito di rimozione degli ostacoli economico-sociali esistenti di fatto alla libertà ed eguaglianza dei cittadini-persone umane, in spirito di solidarietà politica, economica e sociale;
- per “capacità contributiva”, ai sensi dell’art. 53 Cost., si intende l’idoneità del soggetto all’obbligazione d’imposta, desumibile dal presupposto economico cui l’imposizione è collegata, presupposto che consiste in qualsiasi indice rivelatore di ricchezza, secondo valutazioni riservate al legislatore, salvo il controllo di legittimità costituzionale sotto il profilo della loro arbitrarietà o irrazionalità;
- in un contesto complesso come quello contemporaneo, dove si sviluppano nuove e multiformi creazioni di valore, il concetto di capacità contributiva non necessariamente deve rimanere legato solo a indici tradizionali come il patrimonio e il reddito, potendo rilevare anche altre e più evolute forme di capacità, che ben possono denotare una forza o una potenzialità economica;
- viste le peculiari caratteristiche del mercato finanziario, non è irragionevole individuare uno specifico e autonomo indice di capacità contributiva, idoneo a giustificare una regola differenziata di determinazione della base imponibile, nella “appartenenza dei soggetti passivi al mercato finanziario, quale indice di capacità contributiva”;
- per cui l’appartenenza al mercato finanziario, del quale le SGR fanno parte, può rappresentare, in ipotesi circoscritte temporalmente e dettate da una crisi economica generale, un non irragionevole e non arbitrario indice di capacità contributiva, anche alla luce dei principi di uguaglianza tributaria e di solidarietà.