Cassazione Civile, Sez. V, 1 luglio 2021, n. 18702
L’art. 2 del d.P.R. n. 917 del 186 disciplina la residenza fiscale: “1. Soggetti passivi … sono le persone fisiche, residenti e non residenti nel territorio dello Stato. 2. … si considerano residenti le persone che per la maggior parte del periodo di imposta sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del codice civile. 2 bis. Si considerano altresì residenti, salvo prova contraria, i cittadini italiani cancellati dalle anagrafi della popolazione residente e trasferiti in Stati o territori diversi da quelli individuati con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale”. (Fino al 31.12.2007 quest’ultimo comma recitava “2 bis. Si considerano altresì residenti, salvo prova contraria, i cittadini italiani cancellati dalle anagrafi della popolazione residente ed emigrati in Stati o territori aventi un regime fiscale privilegiato, individuati con decreto del Ministro delle finanze da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale”).
La differenza con il regime anteriore al 2008 consiste nella sostituzione del riferimento agli “Stati aventi un regime fiscale privilegiato, individuati con decreto del Ministro delle finanze”, con la formula “Stati o territori diversi da quelli individuati con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze”. Con ciò il precedente sistema, incentrato sull’individuazione con decreto ministeriale dei c.d. “paradisi fiscali” inseriti in black list, è stato sostituito col nuovo sistema basato sull’individuazione degli Stati aventi un regime fiscale conforme a standard di legalità e trasparenza adottati in sede europea (Paesi white list).
La giurisprudenza è granitica nell’affermare che per la configurabilità della residenza fiscale in Italia sono necessari tre presupposti, indicati in via alternativa: - il primo, formale, è rappresentato dall’iscrizione nell’anagrafe della popolazione residente; - gli altri due, fattuali, sono costituiti dalla residenza o dal domicilio ai sensi del codice civile, per “la maggior parte del periodo di imposta” (è così evidente l’intento del Legislatore di non legare l’accertamento a eventi occasionali ma di ancorarlo alla verifica di una sufficiente permanenza temporale). Consegue a ciò che l’iscrizione del cittadino nell’anagrafe dei residente all’estero (AIRE) non è elemento determinante per escludere la residenza fiscale in Italia se lo stesso cittadino ha in Italia il proprio domicilio, inteso come sede principale degli affari e interessi economici, nonché le proprie relazioni personali. Per cui non risulta determinante il carattere soggettivo ed elettivo della scelta dell’interessato, rilevante solo quanto alla libertà dell’effettuazione della stessa ma non ai fini della verifica del risultato di quella scelta, dovendosi invece “contemperare la volontà individuale con le esigenze di tutela dell’affidamento dei terzi, sicché il centro principale degli interessi vitali del soggetto va individuato dando prevalenza al luogo in cui la gestione di detti interessi viene esercitata abitualmente e in modo riconoscibile”.
Per una consolidata giurisprudenza euro-unitaria, l’esercizio della potestà impositiva diretta, pur essendo attribuito in via di principio agli ordinamenti degli Stati membri e alle Convenzioni internazionali, deve tuttavia conformarsi ai principi del diritto comunitario e alle libertà fondamentali riconosciute dal Trattato. È stato pertanto osservato che “ai fini della determinazione del luogo della residenza normale di un cittadino devono essere presi in considerazione sia i legami professionali e personali dell’interessato in un luogo determinato, sia la loro durata”, evidenziando sul punto che “qualora tali legami non siano concentrati in un solo Stato membro, l’art. 7, n. 1, comma 2, della direttiva 83/182/CEE riconosce la preminenza dei legami personali sui legami professionali” (si veda, da ultimo, Corte di Giustizia 27 aprile 2016, causa C-528/14).
Ma la giurisprudenza europea ha anche precisato che “tutti gli elementi di fatto rilevanti devono essere presi in considerazione al fine di determinare la residenza in quanto centro permanente degli interessi della persona di cui trattasi, vale a dire, in particolare, la presenza fisica di quest’ultima, quella dei suoi familiari, la disponibilità di un’abitazione, il luogo dove i figli frequentano effettivamente la scuola, il luogo di esercizio delle attività professionali, il luogo in cui vi siano interessi patrimoniali, quello dei legami amministrativi con le autorità pubbliche e gli organismi sociali, nei limiti in cui detti elementi traducano la volontà di tale persona di conferire una determinata stabilità ad luogo di collegamento, motivo di una continuità che risulti da un'abitudine di vita e dallo svolgimento di rapporti sociali e professionali normali” (Corte di Giustizia 12 luglio 2001, causa C-262/99).
Con la pronuncia in esame è stato ulteriormente chiarito che nel caso in cui i legami personali e quelli professionali non coincidano, “occorre esperire una valutazione globale di tutti gli interessi del contribuente, dando prevalenza al luogo in cui la gestione di detti interessi è esercitata abitualmente in modo riconoscibile dai terzi, non rivestendo ruolo prioritario, invece, le relazioni affettive e familiari, le quali rilevano solo unitamente ad altri criteri attestanti univocamente il luogo col quale il soggetto ha il più stretto collegamento”. In definitiva, si afferma che “l’orientamento sulla prevalenza dei legami familiari è attualmente recessivo” perché “le relazioni affettive familiari non hanno una rilevanza prioritaria ai fini probatori della residenza fiscale, venendo in rilievo solo unitariamente ad altri probanti criteri che univocamente attestino il luogo con il quale il soggetto ha il più stretto collegamento”.