La SCIA: un breve inquadramento e il contesto operativo
La Segnalazione Certificata di Inizio Attività, comunemente nota come S.C.I.A., rappresenta un peculiare strumento del diritto amministrativo che opera in tema di regolazione dei rapporti tra privati e pubblica amministrazione, nonché istituto fortemente influenzato dal fenomeno internazionale che, a partire dai primi anni ‘90 del secolo scorso, offre un modello di deregulation dei mercati, promuovendo una maggiore liberalizzazione delle attività economiche del privato, semplificandone l’aspetto procedimentale. All’interno dei nostri confini, tale percorso si è tradotto nell’adozione di strumenti di effettiva semplificazione e liberalizzazione di attività economiche, e ciò in un'ottica di “sostituzione” del privato all’amministrazione nelle ipotesi in cui quest’ultima debba emanare autorizzazioni, nulla osta, nonché atti di assenso di tipo vincolato: il legislatore, infatti, consente oggi ai privati di poter intraprendere attività oggetto dei provvedimenti vincolati poc’anzi menzionati attraverso semplici autovalutazioni di conformità di cui loro stessi sono responsabili. Tale tendenza si riflette all’interno dell’art. 19 della L. n. 241/1990, norma che disciplina l’istituto che qui è in commento.
Scendendo nei dettagli, la Segnalazione certificata di inizio attività si sostanzia in una dichiarazione attraverso cui il privato si antepone alla Pubblica amministrazione nel verificare il possesso dei presupposti e dei requisiti per intraprendere un’attività. L’istituto persegue dunque un intento semplificatorio: snellisce il rapporto che intercorre tra il privato e la Pubblica amministrazione; d’altra parte velocizza il procedimento burocratico laddove l’attività di controllo della P.A. non ha più un carattere preventivo, bensì successivo. Tale innovazione, a ben vedere, non depotenzia il ruolo della P.A. competente: il legislatore mantiene i poteri di controllo sulle attività segnalate dal privato, lasciando all'amministrazione la possibilità di intervenire qualora sussistano profili anomali in relazione alla SCIA.
Come anticipato, la norma a cui far riferimento è l’art. 19 della L. 241/1990, la quale prevede che gli atti vincolati di assenso dalla stessa richiamati sono sostituiti da una Segnalazione dell’interessato. Un limite all’impiego della Segnalazione è posto dalla stessa norma, nella parte in cui inibisce l’utilizzo della SCIA nei “casi in cui sussistano vincoli ambientali, paesaggistici o culturali e degli atti rilasciati dalle amministrazioni preposte alla difesa nazionale, alla pubblica sicurezza, all'immigrazione, all'asilo, alla cittadinanza, all'amministrazione della giustizia, all'amministrazione delle finanze, ivi compresi gli atti concernenti le reti di acquisizione del gettito, anche derivante dal gioco, nonché di quelli previsti dalla normativa per le costruzioni in zone sismiche e di quelli imposti dalla normativa comunitaria”. Si tratta di materie che investono interessi pubblici di particolare spessore per cui il legislatore, a monte, preferisce mantenere un pieno e preventivo controllo in capo all’amministrazione.
La norma prosegue poi statuendo che l’attività oggetto di S.C.I.A. può essere iniziata sin dalla data di presentazione della stessa Segnalazione all’amministrazione competente, occorrendo comunque che “a monte” il privato corredi la dichiarazione con tutti i documenti e adempimenti che la legge richiede con specifico riferimento alla singola attività. A differenza della normativa previgente, non è più necessario attendere il compimento di un termine: in passato occorreva infatti attendere trenta giorni prima di poter avviare l’attività oggetto della D.I.A. (oggi S.C.I.A.), potendo l’amministrazione esercitare poteri inibitori nell’ulteriore termine di trenta giorni, che decorrevano dalla comunicazione dell’avvio dell'attività.
Pervenuta la segnalazione di inizio di attività, la Pubblica Amministrazione esercita un controllo di competenza rispetto a quanto dichiarato: nel termine di sessanta giorni dal ricevimento della S.C.I.A (trenta in caso di S.C.I.A edilizia), qualora ravvisi l'insussistenza dei requisiti e dei presupposti necessari all’esercizio dell’attività, ovvero accerti la non conformità tra quanto dichiarato e la situazione reale, essa adotta un provvedimento che inibisce la prosecuzione dell’attività, rimuovendo gli eventuali effetti dannosi conseguenti all’esercizio della stessa; nel caso in cui, invece, le carenze del privato siano suscettibili di regolarizzazione, la P.A. può invitarlo a provvedere entro un termine non inferiore a trenta giorni, prescrivendo le misure da intraprendere per conformare l’attività alla disciplina vigente. Qualora l’interessato non soddisfi l’onere di adeguarsi entro il suddetto termine l’attività intrapresa deve reputarsi vietata.
La norma prevede inoltre la possibilità che la Pubblica amministrazione possa esercitare un’ulteriore attività di controllo attraverso le forme, le modalità e i tempi del potere di Autotutela, ex art. 21 nonies L. 241/1990 in tema di annullamento d’ufficio. L’amministrazione, dunque, ha a disposizione un ulteriore potere inibitorio, repressivo e conformativo, che però è esercitabile in presenza delle stringenti condizioni di cui all’art. 21 nonies evocato. Rammentiamo a tal proposito come alla luce della riforma operata dalla Legge n. 124 del 2015, l’adozione dei provvedimenti inibitori oltre il termine perentorio previsto dal Terzo comma dell’Art. 19 - che, ricordiamo, sono sessanta giorni dal ricevimento della segnalazione, trenta nel caso di S.C.I.A. edilizia - è possibile solo se sussistano ragioni di interesse pubblico diverse dal mero ripristino della legalità violata e solo entro un termine ragionevole comunque non superiore a diciotto mesi, salvo che la S.C.I.A non sia stata accompagnata da dichiarazioni false o mendaci o ottenuta per effetto di condotte costituenti reato, poiché in tali casi l’amministrazione può intervenire senza limiti di tempo. Tale previsione appare conforme ad una recente sentenza della Corte Costituzionale (n. 49 del 2016), la quale ha sottolineato l’irrinunciabilità di un potere di intervento “a posteriori” secondo il modello generale dell’autotutela.
Un rapporto non solo bipolare: la questione della tutela del terzo
Per comprendere i caratteri fondamentali dell’istituto della S.C.I.A., occorre evidenziare il suo stretto collegamento al tema della tutela del terzo: l’approccio investe invero un istituto complesso, da cui emerge non solo la relazione che intercorre tra la Pubblica amministrazione e il privato segnalante, ma altresì un rapporto tripolare che vede emergere anche i contrapposti interessi del terzo, il quale, ritenendosi leso dall’attività del primo, coltiva l’aspirazione a impedire l’attività dichiarata (un interesse, dunque, antagonista). La conflittualità che insorge tra segnalante e terzo controinteressato, insieme ai poteri di intervento ex post della pubblica amministrazione, rendono complicata l’individuazione degli strumenti a disposizione del terzo per tutelarsi, e pone l’interrogativo della loro idoneità a garantirgli una tutela effettiva.
Il tema solo recentemente ha trovato un punto di approdo, e per la sua comprensione occorre preliminarmente indagare la natura giuridica dell’istituto in esame. Nel tempo sono due le correnti di pensiero che si sono contrapposte: da un lato l’opinione di chi qualificava la S.C.I.A. come un provvedimento a formazione progressiva. I fautori di tale indirizzo consideravano la Segnalazione (in precedenza D.I.A.) come un atto amministrativo che assume consistenza con il susseguirsi, in prima battuta, della Segnalazione da parte del privato, e poi del decorso del tempo utile alla P.A. per esercitare il potere inibitorio. Al pari del silenzio assenso, dunque, spirato il termine per azionare l’attività repressiva si formerebbe un atto tacito a contenuto favorevole al dichiarante che assume caratteri soggettivi e oggettivi propri del provvedimento amministrativo. A sostegno della tesi invocata si sottolineava la collocazione formale dell’istituto all’interno del Capo IV della Legge n. 241 del 1990, intitolato “Semplificazione amministrativa” e, al contempo, la possibilità – da parte della Pubblica Amministrazione – di esercitare i poteri di autotutela previsti dall’art. 19, comma 3 che, coerentemente con l’argomentazione, trovavano giustificazione dalla preesistenza di un provvedimento di primo grado. Da tale configurazione conseguiva che i terzi che si ritenevano lesi dall’atteggiamento inerte assunto dall’amministrazione potevano azionare il rimedio dell’azione di annullamento di cui agli artt. 29 e 41 del d. lgs n. 104/2010 (cd. Codice del Processo Amministrativo).
Una tale ricostruzione è stata ritenuta, da un opposto orientamento, come una forzatura del dettato normativo: la S.C.I.A. (ex DIA), infatti, non poteva concretizzare un provvedimento amministrativo a formazione tacita, e se fosse stato configurabile come tale non sarebbe apparso agevole tracciare una linea di demarcazione netta tra S.C.I.A. e silenzio assenso. Alla luce degli elementi critici di tale visione la giurisprudenza ha optato per una diversa interpretazione, qualificando la S.C.I.A. come atto soggettivamente e oggettivamente privato, espressione dell’auto-responsabilità del dichiarante. Il soggetto interessato trae la legittimazione all’esercizio della propria attività non tanto sulla base di un atto originatosi per l’inutile decorso del tempo, ma direttamente della previsione legislativa. Di conseguenza, il terzo che si assume leso dall’inerzia della P.A. per omesso esercizio del potere inibitorio è considerato titolare di un interesse legittimo, dunque legittimato a sollecitare la stessa affinché vengano svolte le opportune verifiche in ordine all’attività intrapresa dal privato.
L’intervento del legislatore e i recenti arresti della Corte Costituzionale
Il contrasto tra le due tesi sembrava risolto a seguito dell’intervento del legislatore con il d.l. n. 138/2011 (convertito con Legge n. 148/2011), il quale ha modificato l’art. 19, prevedendo espressamente che «la segnalazione certificata di inizio attività, la denuncia e la dichiarazione di inizio attività non costituiscono provvedimenti taciti direttamente impugnabili», accantonando dunque l’interpretazione della S.C.I.A. quale provvedimento amministrativo a formazione progressiva tacita. Il legislatore ha tratto chiara ispirazione dal precedente orientamento manifestato dal Consiglio di Stato in seno all'Adunanza Plenaria n. 15/2011, ad avviso del quale la D.I.A. consiste in un atto privato che il soggetto predispone al fine di intraprendere un’attività direttamente ammessa dalla legge.
In realtà, se da un lato il legislatore ha recepito la tesi della natura giuridica di atto privato, d’altra parte si è discostato dall’elaborazione giurisprudenziale con riferimento alle azioni esperibili dal terzo. Il Consiglio di Stato, infatti, nella pronuncia del 2011 attribuiva all'inerzia della P.A., protratta oltre i trenta giorni, il carattere di un provvedimento per silentium attraverso cui la stessa riscontra implicitamente che l'attività è stata dichiarata in presenza dei presupposti di legge e, quindi, decide di non impedirne l'inizio o la protrazione. A tal proposito il giudice d’appello, paragonando il silenzio ad un provvedimento tacito di diniego dell'azione inibitoria, devolveva la tutela del terzo all'esperimento di un'azione impugnatoria ex art. 29 del c.p.a; il legislatore, invece, con il d.l. n. 138/2011 ha disatteso in maniera netta questo approccio, introducendo nel comma 6-ter la previsione secondo cui “[...] Gli interessati possono sollecitare l'esercizio delle verifiche spettanti all'amministrazione e, in caso di inerzia, esperire esclusivamente l'azione di cui all'art. 31, commi 1, 2 e 3 del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104”. L’assetto delineato dal legislatore non attribuisce all’inerzia dell’amministrazione il valore di silenzio significativo, ma la configura in termini di silenzio inadempimento, contro cui è possibile esperire esclusivamente l’azione ex art. 31, commi 1, 2 e 3, d.lgs. 104/2010.
A questo punto, è chiaro che dalla differente qualificazione dell’istituto della S.C.I.A. derivano le diverse tipologie di strumenti sulle quali il terzo può fare affidamento, e discende d’altra parte la diversa consistenza del potere repressivo in capo all’amministrazione. Dall’approccio alla S.C.I.A. quale atto privato deriva che esso non è direttamente impugnabile. Ai sensi dell’art. 19, comma 6ter, dunque, il terzo pregiudicato da un’attività̀ avviata mediante S.C.I.A. può soltanto “sollecitare” l’amministrazione mediante un’istanza, così che la medesima eserciti i poteri di vigilanza e di controllo. A fronte di un’eventuale inerzia della PA può intraprendere l’azione avverso il silenzio. Tuttavia, occorre sottolineare che, per accedere a tale forma di tutela in maniera proficua, il terzo dovrebbe sin da subito prendere cognizione dell’attività del segnalante, essendo le verifiche espressione di un potere vincolato soggetto al termine breve di 60 giorni (o 30) dalla presentazione della SCIA. Ma questo non sempre accade. In sostanza, il terzo che assume di aver subito un vulnus dalla SCIA, può richiedere tutela in sede giurisdizionale solo a fronte del silenzio maturato sulla diffida che egli ha l’onere di inoltrare per sollecitare l'esercizio delle verifiche dell’autorità preposta. Il terzo non può viceversa agire direttamente nei confronti della SCIA, soprattutto se questa abbia già dispiegato i propri effetti per essere spirato il termine di 60 giorni che il comma 3 dell’art. 19 assegna all’Amministrazione per «adottare motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell'attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi di essa». Esaurita la suddetta finestra temporale, la tutela riconosciuta al terzo controinteressato diventa sempre più inconsistente e la sua sollecitazione può riguardare in seconda battuta solo i poteri esercitabili nelle forme dell’“autotutela”, accompagnata da ampi margini di discrezionalità secondo le condizioni poste dall’art. 21-novies della L. n. 241/1990.
Su tali questioni dibattute è recentemente intervenuta la Corte costituzionale: con la sentenza n. 45/2019, infatti, si è espressa su talune questioni di legittimità sollevate dal giudice a quo, concernenti le modalità di impugnazione della SCIA, ritenendole però infondate [1]. In particolare, il giudice rimettente evidenziava come dalla norma non fosse individuabile un termine finale entro cui l’interessato, leso dall’attività a cui la S.C.I.A. si riferisce, potesse sollecitare i poteri di controllo dell’amministrazione. Sul punto la Corte ha sottolineato come in realtà, i termini, nonostante non trovino espressa menzione all’interno del testo normativo, sono desumibili interpretando il contesto di riferimento, coincidendo con i termini entro cui la P.A. può esercitare i propri poteri di controllo, e dunque sessanta giorni, nonché trenta in caso di S.C.I.A. edilizia; in secondo luogo, la Corte ha colto l’occasione per chiarire i differenti strumenti di tutela riconosciuti dall’ordinamento a favore del terzo per contestare la legittimità della SCIA, inserendosi all’interno di un panorama dottrinale e giurisprudenziale disomogeneo, non solo con riferimento ai mezzi di tutela esperibili dal terzo controinteressato, ma anche, come abbiamo visto, con riguardo a un possibile deficit di tutela piena. Nel suo intervento, la Consulta ha avvertito che a disposizione del terzo l’ordinamento predispone diversi strumenti di tutela: anzitutto, come emerge dal disposto dell’art. 19, commi 3 e 6bis, il soggetto controinteressato che si ritiene leso dall’attività oggetto di S.C.I.A. può sollecitare la pubblica amministrazione ad esercitare il potere di verifica e ad emettere un provvedimento inibitorio e di rimozione degli eventuali effetti dannosi. La sollecitazione deve avvenire nei pur stringenti termini di sessanta giorni (trenta nel caso di SCIA edilizia); esaurito detto arco temporale egli può, come già ricordato, chiedere alla pubblica amministrazione di attivare il potere di verifica e di annullamento attraverso le forme, le modalità e i tempi dell’autotutela, ex art. 21 nonies l. 241/1990 in tema di annullamento d’ufficio, anche qui all’interno delle stringenti condizioni previste dalla legge; può, ancora, nelle ipotesi in cui sussistano dichiarazioni false o mendaci da parte del dichiarante, invocare l’esercizio dell’azione repressiva da parte dell’amministrazione prevista dalle norme di settore (senza limiti di tempo); ancora, nel caso in cui la Pubblica amministrazione non abbia esercitato “a monte” il potere di verifica, il privato può comunque intraprendere un’azione risarcitoria nei confronti della stessa, nonché reclamare un’ipotesi di responsabilità del dipendente qualora quest’ultimo non abbia agito con tempestività; da ultimo, la Corte prospetta l’opzione della tutela civilistica, potendo il terzo controinteressato agire nei confronti del privato che ha segnalato all’amministrazione l’inizio dell’attività, per ottenere una riparazione pecuniaria.
A conferma della complessità della materia, specie per la presenza di interessi connessi, confliggenti, e in qualche modo meritevoli di tutela, pare utile ricordare come poco prima della decisione appena citata della Consulta, anche il T.A.R. Emilia Romagna, Sez. Parma, avesse avanzato alla Corte talune questioni di legittimità costituzionali, adombrando la violazione del diritto di difesa del terzo controinteressato e la conseguente violazione dell’art. 24 Cost. A differenza del giudice a quo toscano, la cui questione di legittimità è sfociata nella sentenza sopra discussa, e soprattutto contrariamente a quel che poi sarà il contenuto della sentenza della Consulta n. 45/2019, il giudice emiliano riteneva che la violazione del diritto di difesa del controinteressato derivasse proprio dalla previsione di un limite temporale all’esercizio della tutela del terzo, ricavabile dal sistema, che spesso non permetteva la realizzazione di una piena tutela in capo al terzo controinteressato. Nel dettaglio, il giudice a quo sollevava una questione di legittimità fondata sulla considerazione secondo cui, dato atto che il terzo viene a conoscenza della SCIA solo dopo il termine di sessanta, ovvero trenta giorni in caso di SCIA edilizia, egli non può nuovamente sollecitare il potere inibitorio giacché lo stesso si consuma e l’amministrazione non può essere “rimessa in termini”; d’altra parte, colui che ha presentato una SCIA si troverebbe dinanzi ad un contesto instabile, e non potrebbe far affidamento sulla possibile realizzazione dell’attività. Dalla prospettiva del terzo controinteressato, secondo il giudice a quo, emergerebbero allora profili di scarsa tutela: egli non può ottenere specifica soddisfazione del suo interesse legittimo oppositivo presso il giudice amministrativo. Il TAR, infatti, può solo limitarsi ad accertare l’illegittimità dell’attività segnalata ed ordinare alla PA di provvedere al riesame, tenuto conto che l’annullamento in autotutela si concretizza in un potere fortemente discrezionale; d’altra parte, ancora, lo stesso TAR non può giudicare sulla fondatezza della pretesa e condannare l’amministrazione ad emanare un provvedimento specifico. Alla luce di tali ordini di considerazioni, per il TAR Emilia Romagna, Sezione di Parma, una tutela del genere, dove il terzo non può chiedere l’annullamento e neanche un provvedimento specifico, evidenzia a monte una scarsa tutela a suo favore, sicché si configurerebbero dubbi costituzionali circa l’art. 19, comma 6-ter, della L. 241/1990, per violazione degli artt. 3, 24, 103 e 113 Cost., laddove si consente ai terzi lesi da una SCIA edilizia illegittima di avvalersi esclusivamente dell’azione di cui all’art. 31, commi 1, 2 e 3 cpa, e ciò solo dopo aver sollecitato l’esercizio delle verifiche spettanti all’amministrazione.
La Consulta si è espressa con la sentenza 153/2020 rigettando però la questione sollevata [2]. Nel fare ciò, la Corte ha richiamato la sentenza n. 45 del 2019 – che aveva scrutinato l’art. 19, comma 6 ter, della legge n. 241 del 1990, che appunto costituisce lo strumento di tutela del terzo in caso di inerzia sulla sua istanza di sollecitazione – e ne ha ribadito le conclusioni in ordine alla legittimità della disciplina della SCIA, in quanto essa realizza quell’«equilibrio fra l’interesse del segnalante al consolidamento della propria situazione giuridica e quello dei controinteressati lesi dall’attività segnalata».
Considerazioni finali
A valle delle recenti pronunce della Corte Costituzionale non può non evidenziarsi come appaiono ancora irrisolte talune criticità proprie della SCIA; esse, a ben guardare, ostacolano la realizzazione di una tutela in favore del controinteressato, che possa considerarsi come piena ed effettiva. Così, il superamento di tali problematiche richiederebbe un intervento normativo capace di garantire l’efficace funzionamento degli strumenti a disposizione dei controinteressati. D’altronde, è la stessa Corte ad avanzare talune riflessioni che danno evidenza di rilevanti lacune in tema di tutela dei terzi di fronte alla SCIA: emerge, infatti, come sia ricorrente il rischio che il terzo ne venga a conoscenza con ritardi patologici ai fini della propria difesa. Sarebbe pertanto utile definire taluni strumenti che consentano ai controinteressati di acquisire una cognizione piena e tempestiva delle segnalazioni presentate, soprattutto alla luce di una fase in cui la pubblica amministrazione si propone di diventare sempre più digitalizzata; un altro punto critico emerge laddove l’inerzia della pubblica amministrazione perduri anche successivamente alla sollecitazione del terzo, arrecando ancora una volta un pregiudizio alla tutela giurisdizionale ex artt. 31 e 117 c.p.a..
Questi, dunque, i temi che emergono. Come visto, la Corte Costituzionale ci consegna l’idea di un sistema che possiede strumenti formalmente idonei a garantire la tutela della posizione giuridica del terzo, ma che nella sostanza richiedono un intervento da parte del legislatore. Il tema, allora, resta oggetto di discussione. La giurisprudenza, anche più recente, continua peraltro nella sua preziosa opera chiarificatrice e di perfezionamento dell’istituto, a testimonianza di un diritto, quello amministrativo, in costante evoluzione. [3]
[1]
Corte Costituzionale, 13/03/2019, n.45
- Legittimità costituzionale dell'art. 19, comma 6-ter, l. 7 agosto 1990, n. 241.
Non sono fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 19, comma 6-ter, l. 7 agosto 1990, n. 241, censurato per violazione degli artt. 3, 11, 97, 117, comma 1 — quest'ultimo in riferimento all'art. 1 del Protocollo addizionale alla Cedu, e all'art. 6, par. 3, del TUE — e comma 2, lett. m), Cost., nella parte in cui non prevede un termine finale per la sollecitazione, da parte del terzo, dei poteri di verifica sulla segnalazione certificata d'inizio attività (SCIA) spettanti alla pubblica amministrazione. La previsione di un termine costituisce un requisito essenziale dei poteri di verifica sulla SCIA a tutela dell'affidamento del segnalante, poteri che, contrariamente a quanto ritenuto dal rimettente, sono quelli previsti dai commi precedenti della medesima norma censurata e sempre vincolati. In particolare, il comma 3 dell'art. 19 attribuisce alla PA un triplice ordine di poteri (inibitori, repressivi e conformativi), esercitabili entro il termine ordinario di sessanta giorni dalla presentazione della SCIA, mentre il successivo comma 4 prevede che, decorso tale termine, quei poteri sono ancora esercitabili secondo la disciplina dell'annullamento in autotutela degli atti illegittimi, che, per i provvedimenti ampliativi della sfera giuridica dei privati, deve essere esercitato entro il termine massimo di diciotto mesi. Il comma 6-bis dell'art. 19 applica questa disciplina anche alla SCIA edilizia, riducendo il termine di cui al comma 3 da sessanta a trenta giorni. Decorsi questi termini, la situazione soggettiva del segnalante si consolida definitivamente nei confronti dell'amministrazione, ormai priva di poteri, e quindi anche del terzo, il quale però potrà attivare i poteri di verifica dell'amministrazione in caso di dichiarazioni mendaci o false attestazioni, ai sensi dell'art. 21, comma 1, l. n. 241 del 1990; potrà sollecitare i poteri di vigilanza e repressivi di settore, spettanti all'amministrazione, ai sensi dell'art. 21, comma 2-bis, l. n. 241 del 1990, e potrà agire in sede risarcitoria nei confronti della p.a. in caso di mancato esercizio del doveroso potere di verifica, oltre che in relazione al fatto giuridico di un'attività che si assuma illecita. Tutto ciò, peraltro, non esclude l'opportunità di un intervento normativo sull'art. 19, quantomeno ai fini, da una parte, di rendere possibile al terzo interessato una più immediata conoscenza dell'attività segnalata e, dall'altra, di impedire il decorso dei relativi termini in presenza di una sua sollecitazione, in modo da sottrarlo al rischio del ritardo nell'esercizio del potere da parte dell'amministrazione e al conseguente effetto estintivo di tale potere (sentt. nn. 150 del 1982, 307 del 2003, 32 del 2009, 115 del 2011, 49 del 2016) .
[2]
Corte Costituzionale, 20/07/2020, n.153 - S.C.I.A. e tutela dei terzi controinteressati: inammissibili le questioni di legittimità costituzionale.
Sono inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 19, comma 6-ter, l. 7 agosto 1990, n. 241, censurato per violazione degli artt. 3,24,103 e 113 Cost., nella parte in cui impedisce ai terzi lesi da una SCIA edilizia illegittima di ottenere dal Giudice amministrativo una pronuncia di accertamento della fondatezza della pretesa dedotta in giudizio, con conseguente condanna o comunque effetto conformativo all'adozione dei corrispondenti provvedimenti, anche nel caso in cui sia decorso il termine concesso all'amministrazione per azionare il potere inibitorio di cui al comma 3 dell'art. 19 l. n. 241 del 1990. Il fatto che nel caso di specie l'amministrazione, su sollecitazione dei controinteressati, abbia positivamente riscontrato la legittimità delle opere si è tradotto in un diniego che, secondo le regole generali, non poteva che essere impugnato con l'ordinaria azione di annullamento, come infatti è avvenuto. Pertanto, la reale natura dell'azione esercitata comporta che le questioni sollevate, avendo tutte per presupposto un silenzio dell'amministrazione, sono estranee al thema decidendum del giudizio principale e pertanto sono inammissibili per difetto di rilevanza. Le questioni sono inammissibili anche perché l'ordinanza di rimessione ha un petitum incerto e contraddittorio, che oscilla tra una pronuncia caducatoria ed una manipolativa e creativa, in un ambito, quello processuale, notoriamente riservato alla discrezionalità del legislatore (sentt. nn. 45, 239 del 2019, 7 e 21 del 2020; ord. n. 250 del 2019).
[3] Di seguito alcune recenti pronunce sulle questioni evocate:
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Consiglio di Stato Sez. IV n. 1737 del 11 marzo 2022
- SCIA e rimedi a tutela del terzo.
In materia di rimedi a tutela della posizione di chi si assuma leso dall’attività edilizia posta in essere da altri sulla base di una segnalazione certificata di inizio attività (SCIA), alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 45 del 13 marzo 2019 vanno privilegiate soluzioni interpretative che evitino un eccessivo sacrificio delle esigenze di tutela di tale soggetto; pertanto, sulla base dell’art. 19, l. 7 agosto 1990, n. 241 e s.m.i., è possibile individuare in capo alla p.a. un duplice ordine di poteri: gli ordinari poteri di vigilanza e inibitori sull’attività avviata dal segnalante, esercitabili nei termini perentori di cui ai commi 3 e 6-bis del predetto articolo, e il potere di autotutela di cui all’articolo 21-nonies, espressamente fatto salvo dal successivo comma 4 ed esercitabile anche dopo la scadenza dei detti termini; a norma del comma 6-ter, il privato interessato può invitare l’amministrazione a esercitare i poteri ordinari entro il termine, e in caso di inerzia attivare i rimedi processuali avverso il silenzio-inadempimento dell’amministrazione, ma ciò non esclude che egli possa, anche dopo la scadenza del termine, sollecitare l’esercizio del potere di autotutela ove ricorrano i presupposti di cui al citato art. 21-nonies.
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Tar Campania - Napoli, Sez. III, 14 gennaio 2021, n. 266 - SCIA e autotutela: la P.A. deve provvedere sull’istanza di annullamento del terzo.
Il terzo che si assume leso dalla presentazione di una SCIA non inibita dall’amministrazione comunale, può sollecitare la pubblica amministrazione ad esercitare il potere di verifica e ad emettere provvedimento inibitorio e di rimozione degli eventuali effetti dannosi nei termini di 60 / 30 giorni previsti dalle norme sulla SCIA (ex comma 3 e comma 6-bis – in materia edilizia – dell’articolo 19 della L. 241/1990); ovvero sollecitare la pubblica amministrazione ad esercitare il potere di verifica e di annullamento in autotutela ex articolo 21-novies della L. 241/1990. Ne deriva la piena ammissibilità della presente azione avverso il silenzio dell’amministrazione, dovendosi in tal caso configurare l’esame della istanza di autotutela come doveroso da parte dell’amministrazione.
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T.A.R. Roma, (Lazio) sez. II, 27/05/2021, n.6290 - Sollecitazione del terzo all'attivazione dei poteri di vigilanza sulla SCIA edilizia effettuata dopo la scadenza dei 30 giorni per i controlli ordinari.
Quando il terzo sollecita l’attivazione dei poteri di vigilanza sulla SCIA Edilizia dopo la scadenza del termine di 30 giorni assegnato per la realizzazione dei controlli “ordinari” (art. 19, commi 3 e 6-bis, L. 241/1990), l’amministrazione è comunque tenuta a riscontrare l’istanza del privato, e dunque ad azionare i poteri di vigilanza edilizia, nonché quelli repressivo-sanzionatori. Tale verifica, però, è soggetta all’accertamento delle condizionalità previste dall’art. 21-nonies L. 241/1990.
Il T.A.R. sopra citato evidenzia che, entro 30 giorni dalla proposizione della S.C.I.A., i poteri della PA si vestono dei caratteri di doverosità e vincolatività; dunque sono pieni. Consegue allora che, laddove sollecitati da eventuali interessati mediante una tempestiva diffida, legittimano l’esperimento di un’azione avverso l’eventuale contegno inerte (ex. art. 31-117 c.p.a.), con contestuale richiesta di accertamento della fondatezza della pretesa e condanna della PA all’adozione dei provvedimenti richiesti (art. 19, comma 3, L. 241/90). Decorsi i 30 giorni, invece, ai sensi del comma 4, art. 19, l. 241/90, “l'amministrazione competente adotta comunque i provvedimenti” inibitori ovvero repressivo/sanzionatori previsti dal precedente comma 3, previa valutazione dell'esistenza delle condizioni previste per l'esercizio dell'annullamento d'ufficio, di cui all'art. 21-nonies della stessa legge.
Detto ciò, allora, laddove la sollecitazione alle verifiche circa la legittimità di una SCIA è sia tardiva, oltre i termini dei 30 (o 60) giorni, il terzo controinteressato, se intende dolersi delle conclusioni cui è giunta l’Amministrazione a valle del procedimento di verifica, è onerato dall’allegazione non solo dei pretesi profili di illegittimità della segnalazione, ma anche della sussistenza di tutti gli altri presupposti legittimanti l'esercizio dei poteri inibitori tardivi.
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T.A.R. Genova, (Liguria) sez. I, 12/05/2021, n. 430 - E’ illegittimo il silenzio della P.A. che non attivi alcun procedimento dopo la presentazione di diffida per le verifiche sulla SCIA edilizia.
È illegittimo, per violazione dell'obbligo di provvedere sancito dall'art. 2 della l. n. 241/1990, il comportamento silente dell'Amministrazione che, a fronte della diffida volta a sollecitare l'espletamento delle verifiche sulla SCIA edilizia, formulata oltre lo spirare del termine di trenta giorni, ma entro il termine di diciotto mesi dalla presentazione della stessa, ometta di assolvere all'obbligo di attivazione del procedimento funzionale alla verifica dell'eventuale illegittimità dell'attività edilizia segnalata e dell'esistenza delle condizioni di cui all'art. 21-nonies della l. n. 241/1990.
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Consiglio di Stato, Sez VI, n. 5208/2021 - Sulle conseguenze del controllo tardivo della Scia su Istanza di terzo.
I poteri di controllo tardivo sulla SCIA, di cui all’art. 19, comma 4, l. n. 241 del 1990, sollecitati dal terzo, sono doverosi nell’an, ferma restando la discrezionalità nel quomodo. È noto che la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 45 del 2019, non ha accolto la tesi secondo cui la sollecitazione del ‘terzo’ avrebbe ad oggetto solo poteri inibitori, anche se presentata dopo la scadenza del termine perentorio (di cui ai commi 3 o 6-bis dell’art. 19, l. n. 241 del 1990), reputando invece che dopo tale termine il terzo possa sollecitare solo i poteri di autotutela. Alla luce di tale pronuncia, i poteri di controllo sulla SCIA, se attivati tempestivamente (entro i sessanta o trenta giorni dalla segnalazione), sono vincolati, con la conseguenza che l’interessato potrebbe chiedere anche l’accertamento della fondatezza nel merito della pretesa; se attivati invece dopo il decorso del termine ordinario (ed entro i successivi diciotto mesi), sono invece subordinati alla sussistenza delle ‘condizioni’ di cui all’art. 21-nonies, l. n. 241 del 1990. La Corte non ha tuttavia precisato se sussista, in capo all’Amministrazione, l’obbligo di avvio e conclusione del procedimento di controllo tardivo sollecitato dal terzo, ferma restando la piena discrezionalità nel quomodo.
Depongono nel senso della doverosità (in deroga al consolidato orientamento secondo cui l’istanza di autotutela non è coercibile), sia l’argomento letterale ‒ segnatamente, la differente formulazione dell’art. 21-nonies rispetto all’art. 19, comma 4, l. n. 241 del 1990, il quale ultimo, a differenza del primo, dispone che l’amministrazione «adotta comunque» (e non già semplicemente «può adottare») i provvedimenti repressivi e conformativi (sempre che ricorrano le ‘condizioni’ per l’autotutela) ‒, sia la lettura costituzionalmente orientata del disposto normativo. Avendo il legislatore optato per silenzio-inadempimento quale unico mezzo di tutela (‘amministrativa’) messo a disposizione del ‘terzo’, ove non sussistesse neppure l’obbligo di iniziare e concludere il procedimento di controllo tardivo con un provvedimento espresso, si finirebbe per privare l’istante di ogni tutela effettiva davanti al giudice amministrativo, in contrasto con gli artt. 24 e 113 Cost. È necessario quindi riconoscere, rispetto alla sollecitazione dei poteri di controllo tardivo, quanto meno l’obbligo dell’amministrazione di fornire una risposta.