Tendenze ordinamentali dopo la tempesta perfetta.
Sarebbe stato bello dire che ne siamo finalmente usciti. Ma purtroppo non è così.
Diciotto mesi dal fatidico febbraio 2020. Siamo passati dalla sottovalutazione al lockdown, dalla convivenza con il virus alla vaccinazione di massa, dalla variante Alfa alla variante Delta. Tra elezioni rinviate, smartworking, DAD e DPCM il nostro destino, o almeno quelle che erano le nostre aspettative, ci è sfuggito sostanzialmente di mano.
E anche se non è ancora il tempo di fare bilanci - qualcuno vorrebbe che non venisse mai, questo tempo - qualche conseguenza visibile e strutturale dello tzunami che ci ha investito c'è.
Il giurista deve necessariamente occuparsi della nuova impalcatura normativa del sistema, ma mai come in questo caso osservare il diritto che cambia – per lo più a colpi di decreti-legge - significa spiare dal buco della serratura una società che non è già più la stessa. E individuare errori ed omissioni, o vere e proprie falle del sistema, non è altro che sottolineare la differenza tra quello che si è fatto e che avrebbe dovuto - e che ancora può - essere fatto.
Come in un gigantesco gioco dell'oca, si avvicina settembre e si torna a parlare di scuola.
Stavolta il problema non sono più il tracciamento, l'inutile app Immuni o i banchi a distanza, ma il green pass. (1)
Nelle disposizioni urgenti per l’anno scolastico 2021/2022 stabilite dal d.l. 6 agosto 2021, n. 111, “per consentire lo svolgimento in presenza” dei servizi e delle attività scolastiche, e “per prevenire la diffusione dell'infezione da SARS-CoV-2”, oltre ad essere stata confermata la misura dell’uso obbligatorio delle mascherine per i bambini sopra i sei anni (misura già ritenuta illegittima, nella sua assolutezza, dal Giudice amministrativo: vedi https://www.primogrado.com/uso-prolungato-della-mascherina-obbligatoria-a-scuola-e-salute-psico-fisica-dei-minori), è stato previsto per tutto il personale scolastico l’obbligo di possesso e di esibizione della certificazione verde COVID-19 di cui all'articolo 9, comma 2 del decreto-legge 22 aprile 2021, n. 52.
Con due piccoli risvolti di cui tenere conto: il mancato rispetto di tale obbligo è considerato assenza ingiustificata, a cui consegue la sospensione del rapporto di lavoro a decorrere dal quinto giorno di assenza, e il controllo del rispetto delle prescrizioni imposte è stato posto a carico dei dirigenti scolastici e dei responsabili dei servizi educativi.
La notte del 13 agosto successivo è stato firmato un “protocollo di sicurezza delle scuole” tra Ministero dell’Istruzione e sindacati più rappresentativi, con riconosciuta possibilità di tampone gratis per i docenti non ancora vaccinati.
L’Associazione nazionale presidi non ha peraltro firmato il protocollo, a suo dire per non favorire una logica di sostituzione della vaccinazione con il tampone.
Detto in altri termini, dal momento che il Governo non ha imposto l’obbligo della vaccinazione agli insegnanti ma soltanto l’obbligo del possesso del green pass, che può essere conseguito anche – e seppure con efficacia limitata alle 48 ore - mediante effettuazione di tampone che risulti negativo, i dirigenti scolastici si oppongono alla gratuità del tampone per i docenti che hanno volontariamente scelto di non vaccinarsi.
In realtà, non è stata digerita la previsione che costringe i dirigenti scolastici al controllo del green pass, allo stesso modo in cui i titolari dei ristoranti avrebbero preferito non caricarsi sulle spalle anche l'onere della verifica dei documenti del titolare del green pass, verifica che una curiosa circolare del Ministero dell'Interno (datata 10 agosto 2021) ha qualificato come "facoltativa".
Ma non era più semplice ed efficace stabilire l’obbligo di vaccinazione per tutti? (2)
C’è poi il problema delle sanzioni e dei controlli.
Il docente che non presenta il green pass viene sanzionato amministrativamente (per un importo tra i 400 e i 1.000 euro) e viene sospeso dal servizio, senza stipendio, dopo cinque giorni.
Soltanto da quel momento in poi può essere nominato un supplente (così “suggerisce” la nota tecnica del Ministero dell’Istruzione del 13 agosto 2021).
E i controlli? Li fanno i dirigenti scolastici, che in caso di omissione sono soggetti anch’essi alla sanzione amministrativa pecuniaria di cui sopra. Ma chi controlla chi non controlla? Il Ministero manderà ispezioni a campione? E, nelle more, come si dovrebbe contenere la diffusione del virus?
In compenso, nel protocollo di sicurezza delle scuole è stato messo nero su bianco che per “garantire un buon ricambio dell’aria” negli ambienti scolastici “è opportuno mantenere, per quanto possibile, un costante e continuo ingresso di aria esterna outdoor”.
Quindi, laddove non ci siano condizionatori di aria efficienti e idonei (cioè nella maggior parte dei locali scolastici italiani), le finestre in aula dovranno restare aperte anche d’inverno. Per dirla con il professor Bassetti, “misure non degne di un Paese evoluto”.
Chissà come e quando arriveranno e si spenderanno i soldi in dote per il potenziamento delle infrastrutture scolastiche di cui alla Missione 4 del PNRR (istruzione e ricerca).
Nel frattempo, si è capito che il green pass non è la panacea di tutti i mali.
A parte il fatto che con la capacità di contagio della variante Delta vi sarebbe la necessità di una vaccinazione dell’intera popolazione, o quasi, per ridurre drasticamente e definitivamente il rischio di contagio, si era pensato, inizialmente, che il possesso del green pass avrebbe consentito la ripresa di una vita quasi “normale” da parte dei rispettivi possessori, quanto meno nello spazio Schengen.
Ma la verità è che tutta una serie di regole e restrizioni “soffocano” la libera circolazione all’estero anche dei soggetti vaccinati, e a volte persino nello stesso territorio nazionale. Restrizioni che cominciano ad avere il sapore della definitività.
Il Ministero della Salute ha stilato alcune liste dove sono ricompresi i Paesi in cui si può andare e quelli in cui non si può liberamente andare. Ma le liste sembrano bloccate e ancorate a criteri politici più che a verifiche a cadenza settimanale e mensile del rischio epidemiologico.
Fanno in particolare sorridere (ma è un sorriso amaro) l'elenco E, denominato “resto del mondo” (una sorta di bad company del contagio) e l'elenco B, comprensivo degli Stati e dei territori a basso rischio epidemiologico.
Tanto per cominciare, nell'elenco B non vi è al momento alcun Paese. Possibile?
Scopriamo poi, che in Paesi a rischio epidemiologico quanto meno pari al nostro semplicemente non ci si può recare per turismo, mentre i residenti in quei Paesi possono tranquillamente venire da noi. Perché? Qual è la differenza in termini di diffusione del contagio? E poi: se sono vaccinato e il mio vaccino è ritenuto congruo a salvaguardare la mia salute e (in parte) quella degli altri, perché non posso espatriare dove voglio e poi tornare a casa sottoponendomi a tutte le restrizioni del caso? Mistero della geopolitica.
Intanto, gli Stati Uniti hanno di fatto e da lungo tempo chiuso i loro confini, per i viaggiatori che, nei 14 giorni precedenti all’arrivo, siano stati in un Paese dell’Area Schengen (inclusa l’Italia), mentre noi li abbiamo inseriti nell’elenco D, ovvero tra i Paesi verso i quali sono consentiti gli spostamenti senza necessità di motivazione, e addirittura non applichiamo ai cittadini statunitensi che giungono in Italia e che sono in possesso di idonea certificazione vaccinale neanche l’isolamento fiduciario (così dispone l’ordinanza del 18 giugno 2021 del Ministero della Salute).
Il Ministero degli Esteri è a conoscenza di una così clamorosa disparità di trattamento?
In Italia, invece, teoricamente si può fare qualsiasi cosa con il green pass. Salvo poi scoprire che per andare a visitare i propri cari ricoverati in strutture residenziali per anziani o in struttura riabilitative il green pass, da solo, non serve a nulla.
Permane infatti una discrezionalità fortissima da parte dei direttori sanitari delle singole strutture di limitare drasticamente nel tempo le visite e di sottoporre la possibilità di accesso al possesso contemporaneo di due attestati: quello di avvenuto completamento della vaccinazione e quello di avere eseguito nelle precedenti 48 ore un tampone con esito negativo.
Si arriva così al paradosso di avere sullo smartphone un doppio green pass per stare venti minuti accanto al padre o al fratello ricoverato, e anch’egli vaccinato. Il tutto con la mascherina, ovviamente.
Resta inoltre il dubbio, sempre più fondato su evidenze scientifiche, che sopra una certa età la vaccinazione non sia un automatico salvacondotto, e che tutte le a volte grottesche regole superate con l’avvento dei vaccini dovrebbero comunque essere conservate come regole di prudenza e buon senso nell’approccio con i propri cari più anziani.
E si fa di nuovo avanti l’amara sensazione di avere protetto le persone a rischio isolandole e alienandole. I più fragili tra di loro non ce l’hanno fatta e si sono ammalati di solitudine e paranoia, prima ancora che di covid.
Nel frattempo, il sistema sanitario nazionale continua ad avere enormi squilibri tra nord e sud, tra aree depresse e aree più densamente popolate, a cui non è stato per il momento posto alcun rimedio, ed ammalarsi di altro (tumore e malattie cardiovascolari, in particolar modo) è oggi diventato più facile – per il ritardo negli screening – e più mortale – per il ritardo nelle cure.
Ma di questo la politica si occupa poco o niente.
E’ molto più importante riformare la macchina burocratica, la giustizia e gli appalti pubblici.
Si dice che, se il sistema non funzione alla base, non può poi produrre i risultati desiderati. Giusto. Vediamo allora come si è tradotto finora in norme il progetto di rilancio e semplificazione.
Il Ministro Brunetta ha immediatamente inciso sulle modalità con cui si operano le assunzioni pubbliche.
Fallito il progetto connesso a quota 100 – ricambio alla pari tra nuove uscite e nuove entrate nel settore pubblico – lo Stato ha ricominciato a fare concorsi.
Con una novità sostanziale, però, secondo quanto disposto dall’art. 10, comma 1 del d.l. n. 44 del 2021. Una sola prova scritta e deregulation digitale. Se da un lato si riduce l’arbitrio insito in un certo tipo di selezioni, dall’altro si fanno infornate di impiegati pubblici con metodi che si potrebbero definire “casuali”, sulla sola base di quiz predisposti da società esterne (la rilevante mole di domande non consente altra modalità, se si vogliono ridurre davvero i tempi di assunzione), e con l’elaborazione di quesiti che hanno ben poca capacità selettiva di tipo culturale e tecnico.
Una volta superata poi la prova scritta, invece di rafforzare il ruolo di selezione della prova orale (che resterebbe a questo punto l’unico test realmente qualificante) la si è indebolita ulteriormente prevedendo, seppure facoltativamente, lo svolgimento in videoconferenza di tale prova. Con buona pace della già poco rispettata disciplina generale di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 maggio 1994, n. 487, rispetto alla quale si prevede una possibilità di “deroga” svincolata da limiti e condizioni specifici.
Spiccano in questo contesto - seppure, si spera, costitutive di ius singulare - le bizzarre norme con cui si è ritenuto di effettuare, in epoca covid, l’esame di abilitazione per la professione di avvocato e il concorso per l’accesso in magistratura ordinaria. (3)
Con riferimento a quest’ultima selezione, da considerarsi certamente nevralgica e prioritaria rispetto al corretto uso del “potere” giudiziario da parte di soggetti altamente qualificati ed equilibrati, la soluzione è stata quella di dimezzare le ore a disposizione per realizzare un elaborato “decente” per ognuna delle due prove (sulle canoniche tre) sorteggiate.
Invece di costringere i partecipanti al concorso a presentare il green pass (vaccinazione o tampone con esito negativo) – tra l’altro in un mese, lo scorso luglio, in cui il contagio era ai minimi termini - è stata frammentata la partecipazione fisica al concorso in varie sedi e limitato il tempo in presenza per svolgere il tema.
Con inevitabili conseguenze sulla qualità e sulla quantità degli elaborati consegnati, e senza alcuna garanzia che il tempo “ridotto” possa avere realmente limitato il rischio di un eventuale contagio. E questo, dopo tre anni dall’ultimo bando di concorso.
Ma, sotto altro profilo, l’efficienza del sistema legalità e giustizia è “stimolata”, per così dire, dalle norme che, sul fronte degli appalti pubblici, hanno ridotto ulteriormente la necessità di selezioni comparative “serie” per tutta una serie di contratti di rilevante importo (così il d.l. 31 maggio 2021 n. 77) e che, sul fronte della repressione degli abusi penalmente rilevanti, hanno di fatto abrogato l’abuso di ufficio (4) e messo a repentaglio in modo inquietante la già ridotta capacità del processo penale interno di offrire giustizia vera. (5)
Il tutto in nome di un malinteso complesso di inferiorità verso l’Europa, che ci spinge velocemente e superficialmente verso riforme inevitabilmente poco meditate, ma “sacrosante” perché inscindibilmente legate alla lotteria miliardaria del PNRR.
Resistono però a questo fiorire di innovazioni legislative e ordinamentali, e nonostante il mondo sia nel frattempo cambiato, alcune bandierine politiche piantate all’inizio della corrente legislatura, quali il reddito di cittadinanza e il nuovo esercito di precari pubblici denominati “navigator”, a cui si affiancherà adesso anche il personale assunto, sempre a tempo determinato, per il potenziamento degli uffici del processo.
Da misura che doveva essere anche "propulsiva" dell’occupazione – unico bilanciamento vero ad una struttura per altri versi essenzialmente assistenziale (e spesso etichettata dai detrattori come “parassitaria”) – il reddito di cittadinanza si è trasformato in una robusta rete di protezione durante la pandemia e, progressivamente, sempre più, in un sussidio di Stato a fondo perduto, rispetto al quale una larga parte dei beneficiari ha inteso di potersi appoggiare sine die anche in sostituzione di un’occupazione, o, meglio ancora, in aggiunta, rispetto a quella già svolta “in nero”.
Congiuntamente a tale misura, e proprio nell’ottica di non sbilanciarla eccessivamente verso un assetto meramente assistenziale e paternalistico, l’art. 12, comma 3 del d.l. n. 28 gennaio 2019, n. 4 - Disposizioni urgenti in materia di reddito di cittadinanza e di pensioni – aveva autorizzato una spesa milionaria in favore di ANPAL Servizi S.p.A., “per consentire la selezione, mediante procedura selettiva pubblica, delle professionalità necessarie ad organizzare l'avvio del Rdc, la stipulazione di contratti, nelle forme del conferimento di incarichi di collaborazione, con i soggetti selezionati, la formazione e l'equipaggiamento dei medesimi, nonché la gestione amministrativa e il coordinamento delle loro attività, al fine di svolgere le azioni di assistenza tecnica alle regioni e alle province autonome” a livello centrale e presso le sedi territoriali delle regioni, “al fine di garantire l'avvio e il funzionamento del Rdc nelle fasi iniziali del programma”.
Sintetizzando, lo Stato aveva autorizzato Anpal Servizi S.p.A.– che è un ente strumentale del Ministero del Lavoro, in precedenza denominato Italia Lavoro S.p.A. – ad assumere in sua vece collaboratori precari (i famosi “navigator”) per garantire l'avvio e il funzionamento del reddito di cittadinanza, attribuendo così a tale società per azioni di natura pubblica un ruolo significativo nell’attuazione del Piano straordinario di potenziamento dei centri per l'impiego e delle politiche attive del lavoro approvato in sede di Conferenza Stato Regioni in data 16 aprile 2019, dopo che per decenni la stessa società si era occupata della prestazione di servizi finalizzati alla promozione dell’occupazione – e specialmente dei lavori socialmente utili come strumento di politica attiva del lavoro – sull’intero territorio nazionale, con particolare riguardo alle situazioni più svantaggiate.
Non è importante stabilire quanto i navigator abbiano effettivamente contributo a rendere effettivo il programma di occupazione connesso al reddito di cittadinanza (misura che per ammissione anche di alcuni esponenti politici locali sembra avere determinato, dopo il covid, una contrazione della domanda di lavori a basso salario), è importante invece sottolineare che questi nuovi precari pubblici (costituenti poco meno di tremila unità) avevano un contratto di lavoro a tempo determinato con scadenza 30 aprile 2021.
Uno Stato serio avrebbe a quel punto scelto tra due soluzioni: mi sei servito, e ti stabilizzo; non mi sei servito, e non ti rinnovo il contratto.
L’attuale Governo ha invece deciso per la proroga “legale” del rapporto di lavoro dei navigator fino al 31 dicembre 2021.
Si potrebbe sardonicamente dedurre che i soggetti che avrebbero dovuto prestare assistenza tecnica per ricollocare sul mercato del lavoro i più bisognosi sono diventati anch’essi bisognosi, nel frattempo. E lo Stato, stavolta, forse più coerentemente, li stipendia direttamente (non dimentichiamo che Anpal Servizi è una società interamente a carico della finanza pubblica), piuttosto che dare soldi ad altri soggetti che poi aiutino i navigator ormai disoccupati a ritrovare il lavoro. Nella speranza che i nuovi precari pubblici transitino prima o poi a tempo indeterminato, anche a mezzo del generoso titolo di preferenza loro accordato dall’art. 18 del d.l. n. 69 del 2021, negli apparati pubblici.
Tutto da buttare allora? Forse no. Dopo la tempesta perfetta inscenata dalla pandemia abbiamo appreso nuovamente, casomai che ne fossimo dimenticati, che non siamo immortali, che le competenze tecniche servono nel momento del bisogno e che è necessario programmare in tempo di pace la strategia per il tempo di guerra.
Abbiamo capito sulla nostra pelle che la democrazia è un dono e che la libertà non è una conquista né facile né scontata, che le regole fatte dagli uomini devono servire per tutti gli uomini e non solo per alcuni di essi.
Il futuro ci dirà ancora una volta se abbiamo imparato qualcosa dal passato.