Cass. Civile, Sez. V, 19 dicembre 2022, n. 37065
A seguito della modifica dell’art. 7, comma 4, del d.lgs. n. 546 del 1992 disposta con la l. n. 130 del 2022, il processo tributario ammette la prova testimoniale solamente per i ricorsi notificati a decorrere dalla data di entrata in vigore della novella legislativa, ossia dal 16 settembre 2022.
Ma tale limitazione probatoria sulle cause pregresse non ha impedito - e non impedisce - l’utilizzabilità in sede processuale delle dichiarazioni di terzi raccolte dall’Amministrazione nella fase procedimentale oppure prodotte dal contribuente.
Nella vicenda qui segnalata, in cui era contestata l’inesistenza soggettiva di una serie di operazioni commerciali di vendita di autoveicoli, è stato sottolineato come le dichiarazioni di terzi, dalle quali risultava concordemente che il contribuente era l’unico vero dominus di ogni transazione, dovevano essere logicamente e giuridicamente apprezzate in un quadro fattuale unitario e coerente. La richiesta contestualizzazione in termini di precisione e gravità imponeva dunque di valutarle alla luce delle emergenze cartolari emerse, delle difese svolte in giudizio e della sentenza penale di applicazione della pena ex art. 444 c.p.p., che costituisce un indiscutibile elemento di prova per il giudice di merito posto che l’imputato-contribuente aveva ritenuto di non contestare il fatto e la sua responsabilità.
Più in generale, con la sentenza n. 18 del 2000 la Corte costituzionale affermò che le dichiarazioni rese da terzi agli organi dell’Amministrazione finanziaria al di fuori e prima del processo hanno “valore probatorio proprio degli elementi indiziari, i quali, mentre possono concorrere a formare il convincimento del giudice, non sono idonei a costituire, da soli, il fondamento della decisione”.
La Corte di cassazione precisò di seguito:
- che le dichiarazioni di terzi inserite nel processo verbale di constatazione hanno natura non di testimonianza (anche quand’anche siano state rese in seno a un procedimento penale) ma di mere informazioni acquisite nell’ambito di indagini amministrative, sfornite, pertanto, ex se, di efficacia probatoria, con la conseguenza che esse risultano del tutto inidonee a fondare un’affermazione di responsabilità del contribuente in termine di imposta, “potendo soltanto fornire un ulteriore riscontro a quanto già accertato e provato aliunde in sede di procedimento tributario” (Cass. civ., sez. V, 11.3.2002, n. 3526);
- e, soprattutto, che andava del pari necessariamente riconosciuto anche al contribuente lo stesso potere di introdurre dichiarazioni rese da terzi in sede extraprocessuale con il medesimo valore probatorio, dando così concreta attuazione alla regola del giusto processo come riformulata nel nuovo testo dell’art. 111 della Costituzione al fine di garantire i principi della parità delle armi processuali, di uguaglianza e di effettività del diritto di difesa (Cass. civ., sez. V, 25.3.2002, n. 4269; id., sez. V, 29.7.2005, n. 16032).
È dunque ormai costante orientamento della Corte di legittimità quello secondo cui le dichiarazioni di terzi sono ammissibili e utilizzabili nel rapporto processuale tributario con valore di elemento indiziario, che può essere fatto valere dall’Amministrazione con inserimento nel processo verbale di constatazione delle dichiarazioni raccolte in sede di verifica, ma anche dal contribuente. E un indizio diviene piena prova, assurgendo così a presunzione semplice, quando si qualifica sotto il profilo della “gravità” (quale continuità logica tra il fatto noto e l’ignoto), della “precisione” (storica dei fatti noti) e, in caso di pluralità di fonti, della “concordanza” (Cass. civ., sez. V, 4.5.2022, n. 14173).
In caso di prova raggiunta per presunzioni semplici, anche nel processo tributario valgono i criteri di cui all’art. 2729 c.c. e, pertanto, affinché un indizio assurga a prova critica non è sufficiente che le dichiarazioni del terzo siano plurime e di contenuto analogo (ossia che siano “concordanti”), ma è necessario anche analizzare la “precisione” e “gravità” dell’indizio. Occorre, in definitiva, “un approfondimento da parte del giudice circa la precisione del fatto storico noto, desunta dalla sua contestualizzazione anche con riferimento agli ulteriori elementi di prova raccolti nel processo, nonché riguardo alla sua gravità riconnessa alla probabilità della sussistenza del fatto ignoto che, sulla base della regola di esperienza adottata, è possibile desumere da quello noto”.
In altri termini, per raggiugere la prova presuntiva non basta che vi siano numerose dichiarazioni rese da terzi e tra loro concordanti, ma occorre anche che tali dichiarazioni rivestano i caratteri della precisione e gravità, ad esempio compiendo un accertamento in fatto circa l’attendibilità dei dichiaranti, la credibilità delle dichiarazioni rese, lo iato cronologico tra fatto storico e momento delle dichiarazioni, l’interesse del singolo dichiarante favorevole, contrario o neutro al contenuto della dichiarazione. E questa valutazione del giudice di merito è insindacabile in sede di legittimità (Cass. civ., sez. 5, 4.11.2021, n. 31588).
Vale anche precisare che le dichiarazioni di terzi prodotte dal contribuente si presentano, spesso, sotto forma di “dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà” o di “autocertificazione”. Ebbene, a tale riguardo si afferma concordemente che tali atti hanno attitudine certificativa e probatoria esclusivamente in alcune procedure amministrative e che sono privi di efficacia in sede giurisdizionale dove, tuttavia, “non sono in toto inutilizzabili ai fini probatori poiché ad essi può attribuirsi un valore indiziario che, seppur insufficiente a porli da soli a fondamento della decisione, può corroborare ulteriori elementi istruttori”. Pertanto, anch’essi presentano il valore probatorio proprio degli elementi indiziari che devono essere valutati dal Giudice nel contesto probatorio emergente dal complesso degli atti (Cass. civ., sez. V, 15.6.2021, n. 16812; id., sez. VI, 19.10.2015, n. 21153).
Più di recente, è stato poi precisato che le dichiarazioni di terzi costituiscono elemento indiziario a favore dell’Amministrazione anche quando non siano state trascritte nel processo verbale di constatazione ma riportate solamente nell’avviso di accertamento, che è il provvedimento conclusivo del procedimento amministrativo di applicazione dell’imposta. Anche in tal caso, dunque, “le dichiarazioni di terzi rilevano come fonti di conoscenza, come fatti o indizi, che spetta al giudice di merito valutare insieme con gli altri elementi presuntivi che completano il quadro probatorio a sostegno della pretesa tributaria, al fine di decidere se l’Ufficio abbia soddisfatto l’onere della prova a suo carico, con conseguente trasferimento al contribuente dell’onere della prova contraria” (Cass. civ., sez. V, 28.10.2022, n. 32024).