IL CASO E LA DECISIONE
Con ricorso proposto dinanzi al TAR per il Veneto, un Comune del veronese ha impugnato il Piano Faunistico approvato con una legge regionale, perché escluderebbe il territorio comunale dalla Zona Faunistica Alpina e dalle speciali forme di tutela dall’esercizio dell’attività venatoria conseguenti a tale classificazione.
La Regione ha eccepito che il ricorso sarebbe stato inammissibile, perché pretendeva di censurare direttamente una legge, superando così il vaglio di legittimità costituzionale incidentale che dovrebbe essere svolto sulla stessa.
Tuttavia, il TAR, in considerazione dell'impugnazione con motivi aggiunti di tutta una serie di atti applicativi, e ritenendo l’atto impugnato in principalità una legge provvedimento, ha sollevato questione di legittimità costituzionale.
La Corte costituzionale ha a sua volta rilevato l’effettiva illegittimità della normativa regionale impugnata, precisando che, trattandosi di ambito concernente l’attività faunistica venatoria, la legge regionale in contestazione si poneva in contrasto con l'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in relazione alla riserva di amministrazione imposta dal legislatore statale in una materia di competenza esclusiva, concernente la fissazione dei livelli minimi di tutela ambientale. Tale vincolo sarebbe rinvenibile nell'art. 10 della L. n. 157 del 1992, che disciplina il piano faunistico-venatorio.
La riserva di amministrazione si desumerebbe anche dall'art. 33, comma 3, lettera b), numero 2), dello statuto della Regione Veneto, con conseguente violazione dell'art. 123 Cost. Secondo la Corte, perciò, la scelta del ricorso alla legge, anziché al provvedimento amministrativo, sarebbe irragionevole e non risulterebbe accompagnata da alcuna motivazione. Anche perché, in concreto, la legge regionale in questione pone delle previsioni in peius rispetto alla normativa nazionale. Diversamente, l’uso di atti amministrativi per regolamentare la materia a livello regionale, oltre a consentire un maggior rispetto delle garanzie procedimentali, è soggetto a sindacato giurisdizionale da parte dei giudici amministrativi, con corrispondente aumento anche sotto il profilo processuale delle guarentigie per i privati rispetto all’agire della Regione.
Nella prosecuzione del giudizio, la Regione ha dato atto di aver riapprovato con provvedimento (e procedimento) amministrativo il Piano Faunistico, nel rispetto della sentenza della Consulta.
Decidendo dunque con sentenza in forma semplificata, il TAR ha infine affermato che il ricorso introduttivo, con il quale era stata impugnata direttamente la legge regionale, doveva essere dichiarato inammissibile, perché le leggi provvedimento sono sindacabili solo nell’ambito del giudizio di costituzionalità, e possono essere oggetto di censura solamente attraverso l’interpositio dell’impugnazione degli atti applicativi.
D'altra parte, la materia del contendere avrebbe dovuto a sua volta considerarsi cessata - ciò che processualmente definiva la pronuncia sui motivi aggiunti presentati - in quanto, a seguito della sentenza della Corte Costituzionale e della successiva attività provvedimentale della Regione, la pretesa sostanziale del Comune era da ritenersi pienamente soddisfatta.
NOTE SULL'IMPUGNAZIONE DI PROVVEDIMENTI APPROVATI CON LEGGI
Non tutti gli atti sono impugnabili davanti al giudice amministrativo, ma solamente quelli che sono frutto di un esercizio di potere da parte delle pubbliche amministrazioni e che siano in grado di creare una lesione concreta e specifica a soggetti determinati. In tal senso, ad esempio, sono ritenuti non impugnabili gli atti politici, in quanto frutto di scelte che esulano dalla sfera amministrativa, qualificabili come decisioni di opportunità, appunto, politica. Diversamente, benché in passato ci fossero alcuni dubbi in materia, sono impugnabili gli atti di alta amministrazione, sui quali, però, il sindacato del giudice ha natura estrinseca e formale e si esaurisce nel controllo del vizio di eccesso di potere, nelle particolari figure sintomatiche dell'inadeguatezza del procedimento istruttorio, illogicità, contraddittorietà, ingiustizia manifesta, arbitrarietà, irragionevolezza della scelta adottata o difetto di motivazione, e non si estende all'esame diretto e all'autonoma valutazione del materiale tendente a dimostrare la sussistenza dei relativi presupposti.
Dei dubbi di impugnabilità esistevano, in passato, anche in materia di leggi provvedimento, cioè quelle fattispecie che ricorrono se una legge o una sua disposizione normativa, con previsione dal contenuto puntuale e concreto, incide su un numero limitato di destinatari o finanche su una singola posizione giuridica, attraendo nella sfera legislativa quanto normalmente affidato all'autorità amministrativa.
Proprio in tema di leggi provvedimento si muove la sentenza del TAR Veneto qui in commento.
Si tratta di una pronuncia interessante perché consente di focalizzarsi su due temi importanti nell’ambito del diritto amministrativo, sia sostanziale sia processuale: la riserva di amministrazione e, per l'appunto, l'esercizio di potestà amministrativa tramite legge.
Partendo dalla Costituzione, l’art. 24 consente di agire in giudizio per la tutela di diritti soggettivi e interessi legittimi, mentre l’art. 113 prevede che contro gli atti della pubblica amministrazione è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria o amministrativa. Secondo questa norma, tale tutela non può essere esclusa o limitata a particolari mezzi di impugnazione o per determinate categorie di atti, e solo la legge determina quali organi di giurisdizione possono annullare gli atti della pubblica amministrazione nei casi e con gli effetti previsti dalla legge stessa.
Il riferimento letterale della norma è agli atti della pubblica amministrazioni, tra cui ben possono rientrare anche le leggi provvedimento. Tuttavia, l’art. 113 viene inteso dalla dottrina e dalla Corte Costituzionale come volto ad ammettere la tutela giurisdizionale solo contro gli atti amministrativi e non contro tutti gli atti adottati da una pubblica amministrazione.
È, difatti, valido il principio per cui gli atti a portata normativa possano essere vagliati solamente dalla Corte Costituzionale se oggetto di impugnazione diretta da parte del Governo o delle Regioni, o se oggetto di rimessione da parte del giudice incidentalmente adito.
Questo argomento si intreccia con quello della riserva amministrativa, cioè di quegli spazi di attività pubblicistica che restano riservati alle pubbliche amministrazioni o, meglio, all’azione tramite atti amministrativi. Spazi in cui la pubblica amministrazione non potrebbe in nessun caso usare il proprio potere legislativo, pena la violazione della ripartizione di competenze previste dalla Costituzione (art. 117).
Secondo parte della dottrina, più che di riserva amministrativa dovrebbe parlarsi di riserva di ponderazione degli interessi o di procedimento, visto che in tali ipotesi il quid pluris è che il provvedimento finale è assunto all’esito di un procedimento in cui vengono comparati i vari interessi in gioco, in contraddittorio con i privati. Procedimenti che possono essere poi vagliati, nella loro legittimità formale e sostanziale, dal giudice amministrativo.
Situazione ben diversa è invece quella delle leggi provvedimento, cioè di provvedimenti legislativi che, però, hanno un contenuto puntuale, tanto da essere equiparati nella portata e negli effetti a veri e propri provvedimenti amministrativi.
Come rappresentato anche dalla Corte Costituzionale del 2023 adita dal TAR Veneto, il minus delle leggi provvedimento è che esse vengono approvate nell’ambito del confronto politico, dove non si assiste a un procedimento amministrativo, né a un contraddittorio con le parti interessate. In questi casi non vi sarebbe, dunque, alcuna attività che potrebbe essere sindacata direttamente dai giudici amministrativi, i quali non potrebbero direttamente verificare nemmeno la ragionevolezza o arbitrarietà della scelta di usare lo strumento della legge. Non a caso, proprio su questo tema, recentemente, il Consiglio di Stato ha affermato che il ricorso alla legge provvedimento può essere in ogni caso stigmatizzato, nella misura in cui si risolva in elusione delle garanzie normative e partecipative, nei termini di un abuso dello strumento, ovvero di eccesso di potere legislativo.
Dall’altra parte, il giudice amministrativo può sempre fungere da tramite per portare la legge provvedimento all’attenzione della Corte Costituzionale in via incidentale, oppure esperire il suo sindacato sugli atti attuativi della legge provvedimento.
Nel caso in commento, il TAR ha agito in maniera conforme agli orientamenti giurisprudenziali ormai consolidatisi sul punto, rinviando la valutazione sulla legge alla Corte Costituzionale, in quanto la legge regionale approvativa del Piano Faunistico non è formalmente sindacabile dal giudice amministrativo, anche se poi la stessa Corte Costituzionale ha ravvisato che la materia venatoria non possa essere regolata tramite provvedimenti formalmente legislativi, essendo oggetto di riserva di amministrazione e dovendosi, pertanto, necessariamente attuare attraverso un procedimento amministrativo in contraddittorio con gli interessati.
Piuttosto, bisognerebbe chiedersi se il Tribunale di primo grado avrebbe potuto rilevare direttamente, senza rimettere la questione alla Corte Costituzionale, il vizio di irragionevolezza dell'agere amministrativo, nel momento in cui il complesso degli atti adottati ha testimoniato la decisione di regolare la materia tramite legge provvedimento, per “sfuggire” alle garanzie del procedimento amministrativo.
Sul punto, occorre ricordare che, mentre non vi è dubbio che per il caso di leggi-provvedimento è la Corte costituzionale a garantire il sindacato di legittimità, nondimeno, fin dalle sue prime pronunce, la Corte stessa ha chiarito che, nel caso in cui la dedotta incostituzionalità di una o più norme legislative costituisca l’unico motivo di ricorso innanzi al giudice a quo, il requisito della rilevanza è sussistente ogni qualvolta sia individuabile nel giudizio principale un petitum separato e distinto dalla questione (o dalle questioni) di legittimità costituzionale, sul quale il giudice rimettente sia chiamato a pronunciarsi.
Nel giudizio amministrativo, tuttavia, ciò si verifica soltanto se vi è l'impugnazione anche di un atto amministrativo applicativo della legge provvedimento, rispetto al quale la norma di legge si ponga quale presupposto, e non se, come nel caso del ricorso introduttivo trattato dal TAR per il Veneto, il petitum (ovvero l’annullamento della legge provvedimento) coincida con quello del giudizio che dovrebbe essere devoluto alla Corte Costituzionale.
Sotto altro profilo, in tale ultima ipotesi, non solo si chiederebbe al Giudice amministrativo una pronuncia demolitoria di una legge, e cioè l’esercizio di un potere che mai potrebbe spettargli, ma lo stesso eventuale accoglimento – da parte della Corte costituzionale – della questione di legittimità costituzionale, priverebbe il giudizio a quo del suo oggetto, in contrasto con la natura eminentemente incidentale del giudizio costituzionale.
Resta in ogni caso sottinteso, anche a volere seguire questo approccio per così dire "formale", che la Corte Costituzionale, al fine di assicurare piena tutela alle situazioni soggettive degli amministrati che si assumano lese da una norma di legge a contenuto sostanzialmente provvedimentale, è costretta ad avere un
approccio ampio sulla
rilevanza delle questioni di costituzionalità, e quindi anche sui rapporti tra giudizio di costituzionalità e giudizio
a quo, così come il Tribunale deve adattare in modo peculiare i suoi schemi tipici rispetto ai comuni principi di lesività e impugnabilità nel giudizio amministrativo, ritenendo ad esempio ammissibili le censure avverso atti di contenuto vincolato e strettamente conseguenziale alla norma primaria, il cui unico vizio derivi proprio dalla incostituzionalità della disciplina sovraordinata contestualmente impugnata.