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Modifica dei criteri per l’individuazione degli immobili di lusso e disciplina sanzionatoria

aggiornamento a cura di Alma Chiettini • 6 maggio 2022

Cassazione Civile, Sez. Unite, 27 aprile 2022, n. 13145


In base al d.m. 2 agosto 1969 erano considerati di lusso gli edifici aventi precise caratteristiche e, per le singole unità immobiliari, una superficie utile complessiva maggiore di 240 metri quadrati.

Dal 13 dicembre 2014, data di entrata in vigore dell’art. 33 del d.lgs. n. 175 del 2014, è stato modificato il n. 21), della Tabella A, Parte II, allegata al d.P.R. n. 633 del 1972, e così sostituito a fini IVA il criterio per l’individuazione degli immobili di lusso: non più il parametro delle caratteristiche costruttive ma quello della classificazione catastale nelle categorie A1 (abitazioni signorili), A8 (ville) e A9 (castelli e palazzi di pregio).

Quanto all’imposta di registro, applicabile in base al principio di alternatività stabilito dall’art. 40 del d.P.R. n. 131 del 1986, la stessa, in forza dell’art. 10, comma 1, lett. a), del d.lgs. n. 23 del 2011, dall’1 gennaio 2014 è stata ridotta nella misura del 2 per cento per i trasferimenti in presenza delle condizioni “prima casa” con eccezione per le abitazioni di categoria catastale A1, A8 e A9.

Per godere di tali benefici, l’acquirente dell’immobile “prima casa” doveva e deve dichiarare, nell’atto pubblico di acquisto, la sussistenza delle condizioni fissate dalle predette norme.

Immutata è rimasta la disciplina sanzionatoria: il comma 4 della nota II-bis dell’art. 1 della Tariffa Parte Prima allegata al d.P.R. n. 131 del 1986 recita: “in caso di dichiarazione mendace … sono dovute le imposte di registro, ipotecaria e catastale nella misura ordinaria, nonché una [sanzione pecuniaria] pari al 30 per cento delle stesse imposte. Se si tratta di cessioni soggette all’imposta sul valore aggiunto, l’ufficio dell’Agenzia delle entrate presso cui sono stati registrati i relativi atti deve recuperare nei confronti degli acquirenti la differenza fra l’imposta calcolata in base all’aliquota applicabile in assenza di agevolazioni e quella risultante dall’applicazione dell’aliquota agevolata, nonché irrogare la sanzione amministrativa, pari al 30 per cento della differenza medesima”.

La sostituzione della normativa sul criterio per individuare gli immobili di lusso – dalla metratura alla categoria catastale – ha fatto emergere una problematica di diritto intertemporale: è sanzionabile colui che prima del dicembre 2014 (per IVA) o del gennaio 2014 (per imposta di registro) aveva dichiarato come non di lusso un immobile che invece lo era secondo i parametri allora vigenti del d.m. del 1969 (ad esempio, perché di dimensioni superiori a 240 metri quadrati) ma che non lo era più successivamente, al momento dell’irrogazione della sanzione, perché per il nuovo parametro quell’immobile, sebbene di ampie dimensioni, non è censito nelle categorie catastali A1, A8 e A9?

La giurisprudenza di legittimità si era divisa su due opposte posizioni:

a) una prima, affermava che non sussistevano più i presupposti per l’irrogazione delle sanzioni perché le modifiche legislative, benché non avessero abolito né l’imposizione né le previsioni sanzionatorie derivanti dalla dichiarazione mendace, hanno cancellato dall’ordinamento l’oggetto della dichiarazione, che costituisce elemento normativo della fattispecie; in altri termini: il diritto sopravvenuto avrebbe spezzato il collegamento fra la norma sanzionatoria e quella impositiva, caducando il titolo per l’applicazione della sanzione; questa posizione faceva applicazione del principio del favor rei (art. 3, comma 3, del d.lgs. n. 472 del 1997) o del principio dell’abolitio criminis (art. 3, comma 2, medesimo decreto);

b) una seconda interpretazione sosteneva la persistenza della sanzione perché la normativa sopravvenuta ancora vieta per le abitazioni acquistate in epoca in cui era vigente il d.m. del 1969 di qualificare di lusso un’abitazione superiore all’indicata metratura; in altri termini: qualora da una certa data un’imposta non sia più dovuta, ma lo resti per il periodo precedente, non si verifica alcuna abolitio criminis, la quale richiede la radicale eliminazione del presupposto impositivo; pertanto, se l’imposta continua a essere dovuta sono dovute anche le sanzioni.

Alla questione ha dato soluzione la pronuncia a Sezioni Unite qui segnalata n. 13145 del 2022, di estremo interesse perché che ha fatto applicazione dei “principi che governano il microcosmo del diritto sanzionatorio” e dei “principi fissati dalla giurisprudenza penale”, precisando che “l’impianto sanzionatorio non penale nella materia tributaria risponde a uno stampo penalistico, sia pure modellato, qualora incida sulle materie di competenza dell’Unione, dai principi unionali di adeguatezza, proporzionalità ed effettività; e quest’impianto s’impernia sul principio di legalità”.

Dopo l’osservazione preliminare che “nel caso in esame il precetto consiste nell’obbligo di rendere la dichiarazione in ordine ai presupposti dell’agevolazione, che dev’essere vera, in ragione della fruizione automatica del beneficio, e l’infrazione consiste nella dichiarazione mendace”, la Corte ha rilevato:

- in primo luogo, quanto al favor rei, che “non si discute dell’applicazione di un trattamento sanzionatorio mitigato e quindi più favorevole” per cui non può essere preso in considerazione tale “principio il quale postula che, a seguito di una successione di leggi, l’infrazione continui a sussistere, ma è regolata in modo diverso”;

- in secondo luogo, che è cambiata “la disciplina normativa dell’agevolazione, mediante la modifica del criterio d’individuazione degli immobili che possono fruirne”, per cui occorre determinare se sia configurabile una abolitio criminis, ossia se l’intervento legislativo posteriore abbia alterato, anche mediatamente, il precetto e, quindi, abbia escluso la figura di infrazione scaturente dalla violazione di esso.

Puntualizzato che per la sussistenza della abolitio criminis il criterio della doppia punibilità in concreto è stato ripudiato dalla giurisprudenza delle sezioni unite penali, emerge che è errata la tesi che valorizzava la circostanza che l’agevolazione spetti in base ai nuovi parametri ma non in base a quelli previgenti. 

Nella presente questione giuridica, “nonostante la modificazione normativa, l’imposta, per il passato, continua a essere dovuta”, per cui “la modificazione segna il passaggio tra due contesti giuridici, con le correlate situazioni di fatto: fare applicazione al primo contesto del trattamento riservato al secondo, sia pure ai soli fini sanzionatori, si traduce in un’inammissibile applicazione della norma nuova a una situazione diversa da quella alla quale essa si riferisce”.

Ne deriva che “nessuna abolitio criminis si è verificata” e che “il mendacio oltre che sussistente, resta rilevante”. 

Diversamente si sarebbe potuto concludere “se la norma successiva, che ha diversamente disciplinato l’oggetto della dichiarazione, fosse stata retroattiva: in tal caso la norma non avrebbe soltanto qualificato un elemento di fatto, ma avrebbe mutato l’assetto giuridico della fattispecie astratta”.

Questo dunque il principio di diritto formalizzato:

“in tema di agevolazioni per l’acquisto della prima casa, la modifica dei parametri ai quali ancorare i presupposti per il riconoscimento del beneficio … non ha inciso retroattivamente e l’infrazione, costituita dalla dichiarazione mendace, della quale è soltanto cambiato l’oggetto, è rimasta immutata; ne consegue che non si è verificata alcuna abolitio criminis”.

Per cui, in definitiva, restano dovute le sanzioni nei confronti di coloro che, in vigenza del parametro delle caratteristiche costruttive, avevano dichiarato come non di lusso immobili che lo erano.



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