Il primo grado di giudizio (premessa dalla Redazione)
L’articolo 19, 1° comma, n. 2), della legge n. 186 del 1982 prevede che la nomina a Consigliere di Stato possa essere conferita, per un quarto, ai professori universitari ordinari di materie giuridiche, agli avvocati che abbiano almeno 15 anni di esercizio professionale e siano iscritti negli Albi speciali per le giurisdizioni superiori, ai dirigenti generali o equiparati dei Ministeri, degli organi costituzionali e delle altre Amministrazioni pubbliche e infine ai Magistrati con qualifica non inferiore a quella di magistrato di Corte d’Appello o equiparata.
Tale disposizione precisa, quanto all’iter ed all’individuazione della competenza al riguardo, che la nomina ha luogo con decreto del Presidente della Repubblica, su deliberazione del Consiglio dei ministri, previo parere del Consiglio di Presidenza espresso a maggioranza dei suoi componenti, su proposta di una commissione formata da Consiglieri di Stato e Magistrati dei Tribunali Amministrativi Regionali, “contenente valutazioni di piena idoneità all’esercizio delle funzioni di consigliere di Stato sulla base dell’attività e degli studi giuridico-amministrativi compiuti e delle doti attitudinali e di carattere”.
Il Consiglio di Presidenza della Giustizia amministrativa, con delibera del 7.4.1983, modificata con successiva delibera del 1°.4.2004, ha stabilito i criteri per la nomina a Consigliere di Stato.
In relazione, in particolare, alla valutazione dell’attività necessaria per accertare la piena idoneità del candidato all’esercizio delle funzioni di Consigliere di Stato, è stato fissato il seguente criterio: “dovrà risultare l’avvenuto espletamento della stessa per un congruo numero di anni, in modo da garantire il possesso da parte dell’interessato di una approfondita esperienza anche di carattere pratico”.
Con la modifica apportata dalla delibera dell'1.4.2004, è stato introdotto l’ulteriore criterio dell’età minima di 55 anni.
In data 7 luglio 2016, la IV Commissione del Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa ha espresso parere positivo alla nomina a Consigliere di Stato dell’allora Capo del Dipartimento degli affari giuridici presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, con il voto favorevole di un componente e con due astensioni.
Il Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa ha confermato il parere favorevole in seduta plenaria, con 9 voti favorevoli, 5 contrari e 1 astenuto (seduta del 16.9.2016 - verbale approvato il 7.10.2016), nonostante la candidata avesse meno di 55 anni.
Il Consiglio dei Ministri ha, quindi, deliberato detta nomina ed il Presidente della Repubblica l’ha disposta con decreto del 15.11.2016.
Il decreto di nomina e gli atti del Consiglio dei Ministri, relativi alla nomina e al parere favorevole espresso dal Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa nella seduta del 16.9.2016, sono stati impugnati dall’Associazione Nazionale Magistrati Amministrativi – A.N.M.A. – e dal Coordinamento della Nuova Magistratura Amministrativa – Co.N.M.A..
A fronte di tale impugnazione, il Giudice di primo grado non ha affrontato il merito della questione controversa – salvo un riferimento all’infondatezza della questione di legittimità costituzionale della norma che prevede la nomina governativa di una quota di Consiglieri di Stato -, ma si è arrestato ad una pronuncia di rito in ordine alla legittimazione e all’interesse ad agire delle associazioni sindacali ricorrenti.
Al riguardo, il TAR ha ricordato che, per affermare la legittimazione processuale delle associazioni rappresentative di interessi collettivi:
- è innanzitutto necessario che la questione dibattuta attenga in via immediata al perimetro delle finalità statutarie dell’associazione, e cioè che la produzione degli effetti del provvedimento controverso si risolva in una lesione diretta del suo scopo istituzionale, e non della mera sommatoria degli interessi imputabili ai singoli associati;
- è altresì indispensabile che l’interesse tutelato con l’intervento sia comune a tutti gli associati, che non vengano tutelate le posizioni soggettive solo di una parte degli stessi e che non siano, in definitiva, configurabili conflitti interni all’associazione, anche con gli interessi di uno solo dei consociati, i quali implicherebbero automaticamente il difetto del carattere generale e rappresentativo della posizione azionata in giudizio.
I Giudici si sono quindi soffermati sullo Statuto dell’ANMA, evidenziando che la nomina avversata del Consigliere di Stato “governativo” non contrasterebbe con le finalità della predetta Associazione (“dare opera affinché le funzioni, le prerogative ed il prestigio degli organi della giustizia amministrativa siano garantiti secondo i principi fissati nella Costituzione repubblicana” e “propugnare l’attuazione di un ordinamento della giustizia amministrativa che realizzi la più completa tutela della Giustizia nella amministrazione in conformità delle esigenze dello stato di diritto in regime democratico ed in conformità dei principi della Costituzione”), in relazione alla intrinseca qualità della persona, non trattandosi di un soggetto che, per le vicende che l’hanno riguardato - condanne o altro -, era idoneo a nuocere le prerogative ed il prestigio degli organi di giustizia amministrativa. Nel caso di specie, era invece posta in discussione un’asserita assenza dei requisiti stabiliti ex lege per la nomina a Consigliere di Stato e di non conformità della nomina stessa ai criteri fissati ex ante dall’organo di autogoverno, che di per sé non avrebbe comportato alcun astratto pregiudizio alle finalità istituzionali dell’Associazione.
Non sussisterebbe, inoltre, a parere del Giudice di primo grado, il requisito dell’assenza di posizioni conflittuali - anche solo di un associato - rispetto all’interesse fatto valere in concreto in giudizio dall’ANMA, in quanto, in base all’art. 4 dello Statuto, sono ammessi a tale associazione tutti i Magistrati amministrativi, ivi compresi i Consiglieri di Stato governativi.
Con riferimento poi al CONMA, il TAR ha sottolineato che detta Associazione “propone un modello di giustizia amministrativa conforme ai principi costituzionali di effettiva indipendenza, autonomia, terzietà, unitarietà e di efficienza”, perseguendo, in particolare, il seguente scopo: “la riforma dell’ordinamento della giustizia amministrativa per l’attuazione del principio dell’unicità di accesso e di carriera”, enunciato dall’art. 18 della legge n. 205 del 2000; in questa propugnata riforma vi è anche l’eliminazione dei Consiglieri di Stato in quota governativa.
Il perseguimento di tale obiettivo è stato ritenuto coerente con la proposizione della questione di legittimità costituzionale volta ad eliminare dall’ordinamento la possibilità di nomina governativa di un Consigliere di Stato, e tale da escludere una posizione conflittuale di un qualche associato rispetto alle deduzioni al riguardo svolte, mentre i provvedimenti che hanno disposto nel caso concreto la nomina avversata dello specifico Consigliere di Stato non arrecherebbero ex se alcuna lesione alle finalità perseguite da detta Associazione, come individuabili nel suo Statuto.
LA DECISIONE DI APPELLO (a cura di Federico Smerchinich)
Il Consiglio di Stato, investito dell’appello rispetto alla decisione di primo grado, ha declinato alcuni principi importanti nella metodologia di valutazione dei requisiti necessari alla predetta nomina e sul rapporto tra la dirigenza presso gli enti statali e quelli locali. Nel corso della decisione, facendo ampio uso delle tecniche ermeneutiche, il Consiglio di Stato interpreta estensivamente l’art. 19 l. n. 186/1982 (Ordinamento della giurisdizione amministrativa e del personale di segreteria ed ausiliario del Consiglio di Stato e dei tribunali amministrativi regionali), di fatto estendendo le maglie ed il novero dei ruoli pubblici che possono essere valutati favorevolmente ai fini del soddisfacimento dei requisiti normativamente richiesti per essere nominato Consigliere di Stato.
Il ricorso che ha originato la vicenda risolta dal Consiglio di Stato è stato proposto, come visto, da due associazioni sindacali costituite all’interno del plesso della Giustizia amministrativa.
Il TAR Lazio, in primo grado, oltre ad avere affrontato le questioni di rito sopra accennate, aveva anche rigettato la questione di legittimità costituzionale proposta rispetto ai principi costituzionali di indipendenza, terzietà ed autonomia del giudice, dichiarando conseguentemente improcedibile il ricorso incidentale condizionato introdotto dalla controinteressata.
L’ANMA ha proposto appello, sostenendo in primo luogo che la decisione del giudice di primo grado fosse errata in quanto avrebbe violato l’art. 35 comma 1 lett. b) c.p.a. e i principi giurisprudenziali in materia di legittimazione a ricorrere. Nel dettaglio, l’ANMA ha sostenuto che rientra negli scopi statutari dell’Associazione la tutela del prestigio e decoro della stessa, con conseguente potere di censurare il procedimento di nomina di un magistrato amministrativo rispetto alle sue qualità professionali e personali. La controinteressata, da parte sua, ha reiterato le sue eccezioni di rito rispetto alla legittimazione ad agire ed interesse a ricorrere di ANMA.
Il Consiglio di Stato, con ordinanza interlocutoria n. 978 dell’11 febbraio 2019, ha disposto, quanto ai requisiti dell’azione, di acquisire dall’ANMA ulteriori informazioni rispetto alle procedure e competenze della stessa Associazione con particolare riferimento all’azione in giudizio. Nella stessa ordinanza ha disposto anche di assumere le ulteriori informazioni relative alle esperienze ed incarichi ricoperti dalla controinteressata nel corso della sua carriera, anche attraverso le Amministrazioni presso le quali la stessa aveva espletato la propria attività, al fine di verificare se fossero integrati i requisiti professionali ed esperienziali necessari per la nomina.
In ottemperanza all’ordinanza collegiale d’appello, l’ANMA ha depositato i verbali del proprio consiglio direttivo, mentre un’amministrazione comunale e la controinteressata hanno depositato relazioni e delibere relative ai contratti degli incarichi svolti dalla stessa.
Vista la documentazione depositata dalle parti e le relative eccezioni proposte dalle parti, il Consiglio di Stato, nella sua decisione finale, ha preso le mosse dalla tematica della legittimazione ad agire, inizialmente rilevando il difetto di legittimazione della Presidenza della Repubblica.
Proseguendo nella sua decisione, peraltro, il Consiglio di Stato ha ritenuto non necessario analizzare le questioni pregiudiziali di rito e preliminari di merito di cui all’art. 35 comma 1 lett. a) e b) c.p.a., sul presupposto che l’intera questione poteva essere risolta in base alla ragione più liquida.
In particolare, il Consiglio di Stato ha rilevato non fondati sia l’appello che il ricorso in primo grado.
Nel merito, l’ANMA ha contestato, rispetto alla concreta applicabilità del sopra richiamato articolo 19, 1° comma, n. 2), della legge n. 186 del 1982, il possesso, da parte del magistrato controinteressato, dei requisiti professionali necessari relativamente al ruolo di avvocato e di dirigente, non provenendo la controinteressata da amministrazioni statali.
Preliminarmente, il giudice d’appello ha rilevato che, quanto alla qualifica di avvocato, la stessa non era stata considerata e valutata in sede di nomina.
Più articolato il discorso rispetto a quella di dirigente generale, qualifica che è stata comunque ritenuta presente nel caso di specie. Andando con ordine, il giudice d’appello ha ricordato che la norma di riferimento, il già citato art. 19, utilizza la parola “ “equiparati” riferendola ai ‘dirigenti generali’ e connettendola a tre categorie soggettive: Ministeri, organi costituzionali e altre amministrazioni pubbliche.”
E così, dopo aver fatto una ricostruzione dell’organizzazione gerarchica del potere esecutivo (Ministeri, Sottosegretari, Gabinetti…) il Consiglio di Stato si è soffermato sulla nozione di altre amministrazioni pubbliche, per vagliare se le cariche ricoperte all’interno dei Comuni possano essere ricomprese nell’ambito.
Al riguardo, utilizzando i criteri ermeneutici forniti dall’art. 12 delle preleggi, il Consiglio di Stato ha ritenuto che l’art. 19 l. n. 186/1982 ha introdotto una presunzione di parificazione, agli effetti della funzione esercitata, di amministrazioni diverse fra di loro, non omologhe, ma raffrontabili in termini di equivalenza o equipollenza in ragione dei compiti e delle funzioni effettivamente svolti.
Ciò per tre ordini di motivi, che si fanno corrispondere alle tre modalità di interpretazione della normativa:
- sul piano letterale, l’art. 19 citato non menziona concetti come ‘ruolo’, ‘fascia’, ‘articolazione in fasce’, ‘doppia fascia’, mentre si fa riferimento ai ‘dirigenti generali o equiparati’ dei Ministeri, degli organi costituzionali e delle altre amministrazioni pubbliche;
- sul piano sistematico, l’equiparazione è tra le funzioni materialmente esercitate dai titolari degli uffici (“dirigenti generali o equiparati”), mentre il riferimento alle strutture organizzative ordinamentali (Ministeri, organi costituzionali, altre amministrazioni pubbliche) circoscrive la platea delle Amministrazioni pubbliche che hanno alle proprie dipendenze soggetti che sono astrattamente idonei ad essere nominati consiglieri di Stato in quota governativa;
- sul piano teleologico, il legislatore ha voluto ricomprendere nella nozione del citato art. 19 enti e figure soggettive non soltanto costituzionali o statali, ma anche di altra natura, territoriali o non, fossero o meno persone giuridiche di diritto pubblico, in quanto tutte, a quel tempo, avevano un ruolo importante nella vita e nell’organizzazione del Paese.
Ammettendo, dunque, anche le carriere dirigenziali presso gli enti comunali tra quelle valutabili ai sensi dell’art. 19, il Consiglio di Stato, superando la questione più spinosa della vicenda, è passato a valutare se, nel caso concreto, la controinteressata, che proveniva, appunto, dalle fila di un ente comunale, potesse essere correttamente nominata presso il Consiglio di Stato. Una valutazione che deve passare per un raffronto tra la disciplina del d.lgs. n. 165/2001 e il d.lgs. n. 267/2000.
Secondo il Consiglio di Stato, nel testo unico sugli enti locali si ritrovano tutti i principi generali che caratterizzano la dirigenza statale (distinzione poteri di indirizzo e di controllo politico-amministrativo, accesso per concorso, professionalità nel conferimento degli incarichi dirigenziali, responsabilità dirigenziale ecc...). Ne deriva che le mansioni a livello dirigenziale statale e comunale sono tra di loro accomunabili, essendo disciplinate da norme tra loro sovrapponibili.
Il diretto corollario di questo ragionamento è che le attività professionali svolte dalla controinteressata, che come detto ha svolto attività dirigenziale e direttoriale presso amministrazioni comunali, sarebbero equiparabili a quelle richieste dall’art. 19 l. n. 186/1982 con riferimento alle amministrazioni statali, integrando di fatto i requisiti richiesti dalla norma.
A questo punto, risolta la questione giuridica in virtù del principio di diritto di equivalenza tra mansioni dirigenziali statali e comunali, il Consiglio di Stato ha analizzato nel merito i diversi incarichi svolti dalla controinteressata: dirigente della Polizia Municipale, Coordinatore Area Sicurezza e Attività Produttive, Dirigente Ufficio Città Sicura, Protezione Civile, Direttore Generale del Comune.
A livello statale, la controinteressata ha anche svolto l’incarico di Capo Dipartimento del Dipartimento degli Affari Giuridici e Legislativi presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri.
All’esito dell’analisi, il Consiglio di Stato ha formulato un giudizio di piena equiparazione e corrispondenza tra la funzione svolta dalla controinteressata e quella di un dirigente generale di un Ministero, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 19, comma 1, n. 2, della legge n. 186 del 1982.
Il Consiglio di Stato ha, a questo punto, respinto il motivo dell’ANMA relativo all’età anagrafica della controinteressata, che al momento della nomina avrebbe avuto 53 anni e non 55 come richiesto dalla normativa.
Al riguardo, il giudice d’appello ha rilevato che l’indicazione di un’età minima per accedere alla nomina governativa al Consiglio di Stato (55 anni) è da intendere in senso orientativo, non potendo costituire aprioristicamente una preclusione all’accesso a tale ruolo, avendo al più un carattere sussidiario del giudizio del profilo professionale e curriculare del candidato e non potendo essere considerata, l'età anagrafica, come un requisito soggettivo di ammissibilità. Ciò, per un’interpretazione sostanziale, da ritenersi conforme alla legge, secondo cui non può attribuirsi la presunzione legale del raggiungimento di una certa maturità professionale al conseguimento dei 55 anni d’età e non prima.
Infine, il Consiglio di Stato ha superato anche la contestazione dell’ANMA, secondo cui la controinteressata non avrebbe avuto l’esperienza per accedere alla nomina governativa, in quanto non aveva svolto le mansioni valutate per un congruo periodo di tempo. Al riguardo, il Giudice di appello ha valorizzato l’importanza qualitativa e l’ampiezza e varietà contenutistica degli incarichi affidati (anche di insegnamento, giudice onorario, coordinamento di Commissioni di studio ecc.)
il Consiglio di Stato ha concluso respingendo altresì le eccezioni relative al difetto di motivazione nella delibera dell’organo di autogoverno della giustizia amministrativa e ritenendo manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale volta a far rilevare alcune criticità nel rapporto politico-giurisdizionale allorché si procede con la nomina governativa di giudici amministrativi.
Rigettato il ricorso e l’appello principale, sono stati dichiarati improcedibili anche il ricorso incidentale e l’appello incidentale.
CONCLUSIONI
La sentenza commentata si distingue per ampliare il novero dei soggetti che possono essere nominati in quota governativa a Consigliere di Stato, qualora i posti risultino vacanti. L’interpretazione proposta dal Giudice d’appello, difatti, estende a coloro che provengono da carriere presso gli enti locali le stesse prerogative dei dirigenti di amministrazioni statali, ammettendo che anche i primi possano aspirare ad un accesso diretto per nomina tra i ruoli di Consigliere di Stato. Tale pronuncia si pone come una svolta, allargando la platea degli aspiranti a Palazzo Spada, ma anche sollevando alcuni dubbi rispetto all’esperienza acquisita nel corso della professione da parte di tali soggetti. Difatti, sebbene nel caso concreto il Giudice di appello, dopo avere risolto la questione giuridica astratta, ha trovato in concreto degli elementi a comprova delle capacità professionali ed esperienziali della controinteressata, bisognerebbe chiedersi fino a che punto tale pronuncia possa legittimare automatismi e pretese o se consentirà comunque un vaglio approfondito e concreto sulle qualifiche di chi anela al ruolo di Consigliere di Stato.
Collegandosi al principio espresso dalla pronuncia, sarebbe anche da chiedersi se tale equiparazione-sovrapponibilità tra amministrazioni locali e statali sia valida in generale, cioè nel diritto amministrativo complessivamente inteso, o solo ai fini della valutazione dei ruoli.
Infine, interessante è anche la decisione dei giudici di Palazzo Spada rispetto al requisito dell’età anagrafica che, in astratto, e in presenza di significative esperienze pregresse, non può certamente costituire un limite invalicabile all’ingresso in determinati ruoli e posizioni.
In effetti, l’età anagrafica, così come l’anzianità di servizio, non sempre è un elemento che rispecchia e assorbe l’esperienza acquisita nel corso del tempo da determinati soggetti, in quanto, se pure tende ad escludere con un certo grado di attendibilità una mancanza integrale delle qualità professionali richieste, non necessariamente è garanzia in automatico di buona capacità di assolvimento del nuovo incarico.
D'altra parte, non convince appieno l'affermazione secondo cui, in presenza di una "circolare" del Consiglio di Presidenza che si è autovincolato al rispetto del requisito di una determinata età anagrafica per esprimere parere favorevole all'incarico di Consigliere di Stato "governativo", tale autovincolo possa essere sempre "superato" da una successiva deliberazione sul singolo candidato, perché "soltanto la legge può prevedere requisiti soggettivi di ammissibilità per l’accesso agli uffici, alle cariche o per lo svolgimento di determinate attività, trattandosi di elementi che incidono direttamente sulla capacità giuridica e di agire dei soggetti dell’ordinamento attraverso prescrizioni sostanzialmente limitative di status soggettivi".
In particolare, non pare rilevante, nel caso in esame, il fatto che la regola di comportamento a cui si è autovincolato il CPGA non sia attuativa del dettato legislativo - che nulla dice in effetti con riguardo all'età anagrafica -, ma risulta al contrario decisivo l'assunto secondo cui soltanto una congrua motivazione, riferita all'ipotesi specifica in discussione, dovrebbe riuscire a porre nel nulla questa regola di comportamento.
E la congrua motivazione dovrebbe a sua volta, e necessariamente, essere fondata su una eccezionale qualità complessiva del candidato, tale cioè da fugare ogni dubbio astrattamente fondato (e legittimamente stabilito, in relazione all'autonomia regolamentare dell'organo di autogoverno) sul mancato raggiungimento di una specifica età anagrafica.
In caso contrario, non pare peregrina l'affermazione secondo cui il porre sostanzialmente nel nulla la circolare in questione realizzerebbe (e realizzerà) il risultato pratico di consentire giudizi "sempre adattabili caso per caso".
In conclusione, questa sentenza sembra aprire scenari nuovi nell'accesso dall'esterno alla giustizia amministrativa ed è presumibile attendersi, a questo punto, altri contenziosi in merito ai presupposti di applicabilità delle cosiddette "circolari interpretative/normative" del Consiglio di Presidenza della Giustizia amministrativa.