IL CASO
Con decreto del 25.10.2006, il Ministero per i Beni e le Attività Culturali ha istituito una commissione di studio per la realizzazione del Nuovo Palazzo del Cinema di Venezia.
La commissione istituita ha concluso i suoi lavori in data 22.12.2006, mediante la redazione di un verbale recante l’impegno del Ministero per i Beni e le Attività Culturali a favorire la realizzazione della suddetta opera, attraverso lo stanziamento di una somma pari ad euro 20.000.000, e, più in generale, l’interesse alla riqualificazione dell’isola del Lido di Venezia, mediante la valorizzazione delle aree dell’ex Ospedale al Mare, il miglioramento dei servizi sanitari dell’isola e la realizzazione del predetto edificio.
Nel maggio del 2007 il Ministero per i beni e le attività culturali, la Regione Veneto, il Comune di Venezia e l’Azienda ULSS n. 12 Veneziana sottoscrivevano un protocollo d’intesa, disciplinante “le modalità di riqualificazione dell’isola del Lido realizzata attraverso la valorizzazione delle aree dell’ex Ospedale al mare, il miglioramento dei servizi sanitari dell’Isola e la costruzione del nuovo Palazzo del cinema e dei Congressi”.
Con bando di gara del 19 ottobre 2007, venivano avviate le procedure per l’affidamento dei lavori per la realizzazione del Nuovo Palazzo del Cinema, una nuova sala da 2.400 posti, un sistema interrato di spazi per le attività congressuali e collegate alla mostra del cinema, il recupero di parte degli edifici esistenti e la sistemazione dell’area nel suo complesso, incluse le aree esterne; nel marzo 2008 veniva stipulato il contratto d’appalto tra l’aggiudicataria e, come parte pubblica, la Presidenza del Consiglio dei Ministri, nel quale era dato atto che al finanziamento del costo di esecuzione dello stesso (pari a circa 94 milioni di Euro) avrebbero concorso una pluralità di finanziamenti, tra cui quello della Regione, quello statale, quello di altri enti e quello dello stesso Comune di Venezia.
In attuazione di quanto sopra, quindi, la Presidenza del Consiglio dei Ministri, all’esito di apposita conferenza di servizi, ha autorizzato la realizzazione dell’intervento nell’agosto del 2008. In data 28 novembre 2008 è stato infine approvato il progetto esecutivo.
Negli anni successivi, però, per vicessutidini varie (ivi compreso il rinvenimento nell’area di cantiere di giacimenti di amianto che hanno imposto alla stazione appaltante le necessarie attività di bonifica), non è stato realizzato il nuovo edificio, pur a fronte di un ampliamento della disponibilità delle sale per la mostra del cinema e per le attività congressualistiche.
Nel dicembre del 2019 la Regione Veneto ha così disposto la decadenza/revoca totale del contributo di € 10.000.000, a suo tempo dalla stessa stanziato in favore del Comune di Venezia, con domanda di restituzione anche dell’importo già erogato, pari a € 5.000.000.
Il provvedimento di decadenza è stato a questo punto impugnato dal Comune interessato.
LA SOLUZIONE
Il Tribunale amministrativo per il Veneto, per risolvere la controversia, ha dovuto necessariamente e preliminarmente esaminare il tipo di intesa stipulato tra le amministrazioni pubbliche coinvolte nella realizzazione dell’ambizioso progetto – poi miseramente “fallito” -, al fine di verificare la possibilità giuridica per la Regione di sciogliere unilateralmente il vincolo, disporre la decadenza dal contributo economico in precedenza erogato ed esigere la restituzione dell’importo versato.
La conclusione del Tribunale è stata nel senso che, iscrivendosi la controversia esaminata all’interno della fase esecutiva di un accordo ex art. 15, L. n. 241 del 1990, nel quale l’impegno di ciascuna delle Amministrazioni coinvolte al “finanziamento” si sarebbe configurato come un apporto economico concorrente rispetto a quelli dovuti dalle altre amministrazioni, ed essendo sostanzialmente state sollevate dalla Regione Veneto delle doglianze di inadempimento da parte del Comune di Venezia, gli atti posti in essere dalla Regione e formalmente impugnati dal Comune ricorrente non avrebbero potuto qualificarsi come il risultato dell’esercizio di un potere pubblicistico.
Il c.d. atto di decadenza/revoca impugnato, in altre parole, secondo il Giudice adito, non ha valore ed efficacia di provvedimento amministrativo, ma deve considerarsi un atto paritetico attraverso il quale la Regione ha inteso sciogliersi unilateralmente dal rapporto vincolante nei confronti del Comune di Venezia, così da escludere la debenza attuale della residua quota di contributo non corrisposta ed ottenere un titolo (restitutorio o, comunque, risarcitorio) in base al quale chiedere il "rientro" del contributo già versato.
Per arrivare a tale conclusione, il Tribunale ha effettuato una ricognizione sulla natura degli accordi di cui all’art. 15 della L. n. 241 del 1990 e sulla disciplina concretamente applicabile agli stessi.
Invero, l’applicabilità agli accordi in questione dei principi civilistici in materia di obbligazioni e contratti, sempre che non sia diversamente previsto e che gli stessi risultino compatibili, in forza del rinvio testuale ai commi 2 e 3 dell’art. 11, l. n. 241 del 1990, non è elemento di per sé univoco.
Pur avendo presenti le diverse ricostruzioni della fattispecie – che spaziano da una valorizzazione “privatistica” dell’accordo, a una stretta qualificazione “pubblicistica” dello strumento in questione – il TAR Veneto ritiene di potere aderire a un approccio che valorizzi da un lato gli elementi negoziali e civilistici che possono venire di volta in volta in rilievo, e mantenga ferma, dall'altro, la qualificazione di contratto di diritto pubblico degli accordi in questione.
In termini generali, quindi, i principi e gli istituti civilistici, con particolare riguardo alla materia contrattuale, non possono trovare applicazione sempre e comunque e in via integrale, la “misura” e “modulazione” di tale applicazione dipendendo dalla caratteristiche della fattispecie concreta, considerando che le amministrazioni partecipanti ad un accordo, come nel caso di specie, agiscono comunque al fine di perseguire la miglior soddisfazione possibile dell’interesse pubblico alla cui tutela sono preposte.
Inoltre, sempre di regola, proprio perché finalizzati alla soddisfazione di uno o più interessi comunque pubblici e spesso “condivisi”, difficilmente compatibili con la fattispecie in questione risultano essere quegli istituti civilistici che, pur avendo carattere generale, sono pensati nell’ambito di rapporti realmente sinallagmatici, come, ad esempio, la disciplina della risoluzione del contratto ai sensi degli artt. 1453 e ss. c.c..
Se ciò è vero in linea di principio, d’altronde, è anche vero che, sia pure nei limiti dei poteri attribuiti dall’ordinamento a ciascun ente per il perseguimento dell’interesse pubblico di riferimento, non è escluso, tenuto conto della genericità della previsione di cui all’art. 15, e della capacità di diritto privato della P.A. ex art. 1 della L. n. 241 del 1990, che le amministrazioni partecipanti all’accordo possano modularne il contenuto prevedendo vere e proprie obbligazioni (aventi contenuto patrimoniale) anche in una logica di “scambio”, il che potrebbe, quindi, condurre a un’applicazione più pregnante della disciplina contrattuale.
Deve, quindi, ritenersi corretta, a dire del Giudice adito, l’affermazione secondo cui la disciplina civilistica dipende dal contenuto degli accordi e dalle singole clausole contenute negli stessi, ferma restando l’applicabilità anche agli accordi in questione dei principi di correttezza e buona fede, di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c..
In sostanza, per il TAR Veneto, il Protocollo di intesa esaminato si caratterizza certamente per un forte rilievo pubblicistico, in considerazione della piena convergenza degli interessi pubblici perseguiti dalle amministrazioni statale, regionale e comunale, tutti volti a conseguire una riqualificazione dell’Isola del Lido attraverso la realizzazione degli interventi programmati, tra cui il Nuovo Palazzo del Cinema; tuttavia, gli impegni presi hanno assunto altresì un rilievo patrimoniale e negoziale, in quanto anche manifestazione della capacità di diritto privato della quale gli enti sono titolari.
Sotto quest’ultimo profilo, peraltro, alla luce dell’importante obiettivo di natura pubblica da raggiungere, i suddetti impegni non si sono posti in termini di corrispettività o sinallagma, ma nella misura in cui erano concorrenti per la realizzazione di un fine unitario, e hanno finito per integrare una causa negoziale di natura latamente “associativa”, perché tutti legati dal perseguimento dello scopo comune.
Tale caratterizzazione causale, che esclude la riconducibilità dell’accordo de quo ad un negozio anche solo latamente a prestazioni corrispettive, comporta inevitabilmente, secondo il TAR Veneto, l’inapplicabilità dei rimedi risolutori di cui agli artt. 1453 ss. c.c. alla fattispecie esaminata, residuando quale oggetto del giudizio, più semplicemente, una domanda di accertamento negativo relativo al proprio inadempimento, da parte del Comune ricorrente, e, conseguenzialmente, l’accertamento del diritto a ottenere la condanna della Regione alla corresponsione della metà del contributo non versato.
Poiché peraltro il Tribunale adito ritiene possibile enucleare, dall’esame della disciplina civilistica relativa, il principio per cui il venir meno dello scopo comune comporta lo scioglimento del vincolo associativo/societario, l’applicazione del combinato disposto degli artt. 15 e 11 della L. n. 241 del 1990 al rapporto intercorso tra le parti in causa comporta l’inesigibilità da parte del Comune della quota di contributo (pari ad Euro 5.000.000,00) non ancora corrisposta dalla Regione Veneto.
Infatti, tale spostamento patrimoniale, venuta meno in corso d’opera la ragione giustificativa dell’esigibilità attuale dello stesso, risulterebbe del tutto privo di causa, tenuto conto dello specifico vincolo di scopo cui era legato.
In modo simmetrico, anche la pretesa creditoria della Regione non può ritenersi giustificata, e ciò, da un lato, in relazione alla corretta applicazione del principio di buona fede oggettiva - per di più alla luce della natura pubblicistica degli interessi perseguiti e del principio di collaborazione istituzionale tra gli enti -, dall’altro, non essendo stato dimostrato in giudizio che il Comune interessato abbia posto in essere un comportamento scorretto o anche solo latamente colposo nella gestione del finanziamento.