“Ne usciremo migliori”. La frase è stata pronunciata dallo stesso personaggio pubblico che prima dell’arrivo della pandemia in Italia disse che eravamo “prontissimi”.
Eppure non si tratta di un tizio di passaggio o di contorno della vita politica italiana, né di un soggetto incontrato casualmente al bar.
Si tratta di colui che ha svolto il delicatissimo compito di governare il Paese – spesso a colpi di decreti solitari - durante lo tsunami di morti del 2020 e di inizio 2021.
Al di là dei meriti e demeriti storici delle scelte governative italiane in materia di pandemia – che arrivati a questo punto interessano fino in fondo soltanto gli studiosi e le vittime “reali” della mancata prevenzione e delle carenze strutturali del sistema sanitario -, occorre chiedersi se è vero che ne siamo usciti migliori.
Sicuramente non è vero che eravamo prontissimi.
Non c’erano tamponi, né mascherine, né terapie intensive sufficienti, né protocolli sanitari adeguati.
Qualcuno però ha sostenuto, non senza un minimo di fondamento filosofico, che la solidarietà sviluppatasi tra i cittadini nel periodo più buio avrebbe eliminato almeno nell’immediato futuro le zavorre più tipicamente italiche, tra cui furbizia opportunistica e ruberie.
Forse è anche su questo presupposto di buona fede che il Governo Conte II, nel suo cosiddetto decreto rilancio (d.l. n. 34 del 2020) aveva deciso di mettere un fiume di denaro pubblico a disposizione di chi avesse prima e meglio capito come “mungere” illecitamente lo Stato durante l’emergenza.
L’art. 121 del citato decreto-legge aveva infatti disposto che, per tutta una serie di interventi (spese per l’efficienza energetica, recupero o restauro della facciata di edifici esistenti, ecc.), le più che favorevoli detrazioni concesse dallo Stato avrebbero potuto essere fruite dai beneficiari anche tramite un credito d’imposta da cedere ad altri soggetti, senza presidi di garanzia (ad es.: visti di conformità) e senza limitazioni né sul numero di cessioni né sulla natura soggettiva dei cessionari.
A sua volta, l’art. 122 dello stesso decreto aveva disposto che i beneficiari dei crediti d’imposta introdotti per fronteggiare l’emergenza economica seguita alle misure restrittive dettate dall’emergenza epidemiologica potevano optare per la cessione, anche parziale, di tale credito ad altri soggetti, anche qui senza alcuna regola.
E’ stata una manna dal cielo per i furbetti del Belpaese.
Secondo un’indagine della Guardia di Finanza, la truffa era iniziata sfruttando il bonus locazione e individuando aziende in crisi o sull’orlo del fallimento che avessero in corso contratti di locazione.
I truffatori entravano in queste società per assumerne la guida, ottenevano dall’Agenzia delle Entrate, come previsto dal bonus, l’erogazione del 60% dell’ammontare dell’affitto sotto forma di credito d’imposta e cedevano tale credito a una società compiacente che a sua volta lo rivendeva, ad un valore nominale inferiore, a un’ulteriore società, non necessariamente consapevole del primo illecito. Il credito, una volta “ripulito”, poteva essere utilizzato dall’azienda acquirente come detrazione sulle tasse da pagare.
Allargando le maglie della truffa, e sfruttando la complicità di professionisti del settore, i furbetti sparsi per la penisola avevano cominciato a dichiarare lavori di ristrutturazione, a volte anche all’insaputa dei proprietari degli immobili coinvolti, che non erano mai stati eseguiti.
Stesso sistema. Acquisizione di credito di imposta sui lavori e cessione, indiscriminata e a catena, di tale credito.
Nel linguaggio intercettato degli imbroglioni di turno, i soldi diventano panzerotti, e il coronavirus una vittoria al superenalotto, così come fu all’epoca, per gli imprenditori che ci ridevano su, il terremoto che distrusse L’Aquila.
Secondo il Direttore dell’Agenzia delle Entrate - Agenzia che per lungo tempo non ha goduto di alcun potere di intervento preventivo sulla cessione di questo tipo di crediti -, il sistema dei bonus edilizi all’italiana ha generato un valore di almeno 4,4 miliardi di crediti d’imposta inesistenti.
Quattro virgola quattro miliardi di euro. Alla faccia del PNRR e della crisi.
Il Governo attualmente in carica ha provato a metterci una pezza, dopo un intervento a novembre volto ad allineare la procedura su visti di conformità e asseverazioni di tutti i bonus edilizi a quella già prevista in materia di superbonus edilizio (con aliquota del 110%), mediante il cosiddetto decreto sostegni ter.
Il decreto legge n. 4 del 27 gennaio 2022, in corso di conversione al Senato, ha infatti stabilito che il beneficiario delle detrazioni fiscali per gli interventi previsti dalla normativa sui bonus può ancora optare, in luogo dell’utilizzo diretto della detrazione spettante, per la cessione di un credito d’imposta di pari ammontare ad altri soggetti, ma tale credito non può poi successivamente essere nuovamente ceduto.
I contratti di cessione del credito conclusi in violazione di questo divieto sono nulli.
Il decreto legge in questione risulta però già superato da un ulteriore decreto legge (il n. 13 del 25 febbraio 2022).
Secondo il comunicato stampa del 18 febbraio 2022 – visionabile sul sito istituzionale del Governo -, il nuovo provvedimento “interviene per sbloccare il processo di cessione del credito dei bonus edilizi che ha subìto un rallentamento a seguito delle indagini in corso. La disposizione prevede che sarà possibile cedere il credito per tre volte e solo in favore di banche, imprese di assicurazione e intermediari finanziari e che lo stesso non possa formare oggetto di cessioni parziali successivamente alla prima comunicazione dell'opzione all'Agenzia delle entrate. A tal fine viene introdotto un codice identificativo univoco del credito ceduto per consentire la tracciabilità delle cessioni”.
Cosa significa? Come mai dopo soli venti giorni viene nuovamente stravolto il sistema della cessione del credito sui bonus, foriero di così tante truffe? E come è possibile scrivere una norma e riscriverla daccapo dopo appena due settimane, mentre il Parlamento neanche ha verificato gli effetti e la congruità della prima disposizione?
Delle due l’una. O la norma è stata poco meditata in precedenza, o è stata riscritta su pressioni “esterne” dopo.
Di fatto, in ogni caso, viene introdotta la possibilità di due ulteriori cessioni del credito, dopo la prima, ma soltanto se effettuate a favore di banche e intermediari autorizzati.
Restando in tema di fritti, si potrebbe ironizzare sul fatto che i “panzerotti” sono stati semplicemente istituzionalizzati.
Il Ministro dell'Economia e delle Finanze Franco, intervenendo in Parlamento il 3 marzo appena trascorso ai fini di "informativa del Governo sui bonus edilizi", dopo avere platealmente riconosciuto che il meccanismo introdotto dal Governo Conte II - e a lungo conservato dal Governo Draghi - aveva di fatto creato un mercato dei crediti non regolamentato e trasformato il relativo credito d'imposta in una sorta di titolo circolante, ha testualmente riferito che "il potenziamento delle agevolazioni edilizie e la facilitazione della cessione dei crediti di imposta miravano ad accrescere la qualità e l'efficienza energetica del patrimonio abitativo, e a sostenere il settore delle costruzioni. (...) L'intervento per le cessioni ha tuttavia consentito l'emergere di condizioni particolarmente permeabili a comportamenti illeciti. L'esito delle frodi e il potenziale danno per l'erario derivante dalle false cessioni ha assunto proporzioni estremamente rilevanti (...). La rilevanza e la diffusione delle frodi (...) ha imposto a tutela dei conti dello Stato e dei contribuenti l'attivazione di contromisure volte a contrastare e a prevenire i comportamenti illeciti, e contestualmente a consentire ai cittadini onesti di fruire della misura agevolativa". (1)
Nel frattempo, l’epidemia batte in ritirata, ma i vertici del nostro Ministero della Salute non ne traggono ancora le dovute conseguenze, nonostante perfino in televisione il problema covid è sparito in favore della più "interessante" (e spaventosa) guerra in Ucraina.
Fioccano dichiarazioni in ordine alla prudenza e alle cautele da mantenere, mentre in molti Paesi del mondo, in primis l’Inghilterra - ma adesso anche la Francia e gli Stati Uniti del democratico Biden -, la maggior parte delle restrizioni della socialità sono ormai basate soltanto su scelte volontarie.
Ma siamo ancora in stato di emergenza? Nonostante l'attuale forte rallentamento della somministrazione dei booster vaccinali e le aperture generalizzate i numeri del contagio (compresi ricoveri e terapie intensive) continuano a calare, e così come la curva ascendente sembrava in precedenza insensibile alle misure prudenziali adottate, allo stesso modo oggi la curva discendente sembra insensibile al permanere delle stesse misure e alla minore incidenza, in termini assoluti, della somministrazione della terza dose di vaccino.
Lasciando per un attimo da parte l’inutile obbligo delle mascherine all’aperto – adottato peraltro a singhiozzo nell’ultima fase della pandemia –, tutte le altre misure restrittive paiono restare in piedi soltanto in forza della permanenza dello stato di emergenza, prorogato per legge oltre i due anni dalla prima dichiarazione, fino al 31 marzo 2022.
Sgomberato il campo dagli equivoci sui vaccini – che sono risultati effettivamente molto efficaci nel limitare morti e terapie intensive dei soggetti più a rischio, meno efficaci nel preservare dal contagio -, e assodato che la variante omicron causa poco più di un'influenza e ha ormai contagiato la parte preponderante della popolazione (ma guai a parlare di immunità di gregge o di massa), sembra quasi che il mantenere o meno determinate misure restrittive (a partire dall’uso obbligatorio delle mascherine al chiuso) sia ormai legato ad un fatto puramente ideologico.
Non è tanto più prudenza contro imprudenza – come era stata “catalogata” inizialmente la contrapposizione tra regole dall’opinione pubblica dominante, anche a seconda del colore dei Governi che affrontavano la pandemia -, quanto individualismo/liberalismo contro comunitarismo.
Per chi ha aderito al criterio della massima prudenza sempre – un criterio tendenzialmente insensibile alla realtà dei numeri – la politica delle “boosterine” (ipotesi di neologismo che sta a indicare la combinazione cautelativa di mascherine e booster), è diventata una specie di mantra non negoziabile.
Eppure, occorrerebbe riflettere su alcuni dati interessanti, prima di scegliere da quale parte della barricata stare.
Primo. E’ già da novembre del 2021 che la ricercatrice sudafricana che per prima ha identificato la variante omicron e la sua capacità di diventare dominante ha indicato tale variante come una probabile via di uscita dalla pandemia, a causa della sua scarsa aggressività e letalità, come confermato poche settimane dopo anche dal direttore dell'Africa Health Research Institute, il prof. Willem Hanekom (2).
Pare però che nell'immediato alcuni Governi europei e la cosiddetta comunità scientifica internazionale abbiano fatto pressione per non diffondere la notizia della tenuità dei sintomi causati dalla nuova variante.
Secondo. Alcuni report dell’Istituto Superiore di Sanità hanno svelato che per la popolazione più giovane (cioè quella ricompresa tra i 12 e i 39 anni) non è stata provata un’efficacia della terza dose – quanto a riduzione del tasso di ospedalizzazione – significativamente superiore all’efficacia del ciclo primario di vaccinazione (due dosi effettuate da meno di 120 giorni). Successivamente, lo stesso ISS ci ha tenuto a smentire il dato (che era in realtà oggettivo), offrendone una particolare interpretazione di lettura.
D’altra parte, diversi studi ipotizzano che la stimolazione ripetuta del sistema immunitario possa portare a una sua compromissione. E l’11 gennaio 2022 il capo della strategia vaccinale dell’Agenzia Europea per i Medicinali (EMA) ha espresso seri dubbi sulla somministrazione ripetuta delle dosi di richiamo, che potrebbero «sovraccaricare il sistema immunitario» (3).
In altri termini, il naturale processo di endemizzazione del virus, pronosticato già da un anno da un team di ricercatori statunitensi (4), ci spinge prepotentemente a rivedere tutto l’armamentario protettivo concepito durante la pandemia, politica delle boosterine compresa. Sotto questo profilo, è stato argutamente detto che somministrare la terza dose è come giocarsi un jolly, a cui segue la fine delle fiches a nostra disposizione.
Eppure, sul piano normativo, fare o non fare il booster comporta ancora rilevantissime conseguenze sulla vita quotidiana del singolo, in quanto, ai sensi del d.l. n. 221 del 24 dicembre 2021, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 11 del 2022, tutta una serie di attività sociali e lavorative (ivi compresa la possibilità di accesso ai luoghi di lavoro degli ultracinquantenni non vaccinati o non in possesso di un certificato di guarigione) sono interdette fino al 31 marzo 2022 - e fino al 15 giugno 2022 per i lavoratori ultracinquantenni -, ai soggetti che non siano in possesso del green pass rinforzato (che a sua volta si rinnova a tempo indeterminato soltanto se entro sei mesi si completa il ciclo vaccinale primario con la dose di richiamo, o terza dose, o booster che dir si voglia).
Ma, mentre continuiamo a ragionare, almeno qui in Italia, sulla corretta via di uscita dalla battaglia contro il virus - battaglia da cui chi ne ha tratto e ne sta traendo profitto personale, politico ed economico non ha alcun interesse reale ad uscire -, la guerra, quella vera, portata da Putin nel cuore dell’Europa, ci offre un ulteriore spunto di riflessione su chi siamo e chi vogliamo diventare.
Si dimostra ancora una volta errata la previsione di chi pensava che vivere eventi funesti debba provocare necessariamente un cambiamento positivo in noi.
Al contrario, come suggeriva in tempi non sospetti Socrate, i cambiamenti non procedono mai dall’esterno verso l’interno ma sempre dall’interno verso l’esterno, e il fuori cambia solo se prima cambia il dentro.
E cioè gli occhi con cui guardiamo la realtà.