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Remunerazione dei medici durante la specializzazione, risarcimento del danno e prescrizione

30 luglio 2022

Tribunale ordinario di Roma, Seconda civile, Sentenza n. 6224/2022 pubblicata il 26/04/2022


IL CASO E LA DECISIONE

Una nutrita schiera di medici ha convenuto in giudizio la Presidenza del Consiglio e i Ministeri interessati per ottenere il risarcimento del danno commisurato all’importo della remunerazione di cui avrebbero dovuto beneficiare durante l’espletamento dell’attività di formazione.

In particolare, gli attori hanno evidenziato di essersi specializzati in varie discipline mediche dopo essersi iscritti ai rispettivi corsi tra gli anni 1982 e 1991, e reclamato in giudizio l’accertamento del loro diritto a percepire l’adeguata remunerazione rapportata al lavoro svolto da specializzandi, secondo quanto statuito dalla sentenza del 24.1.2018 con cui la Corte di giustizia dell’Unione Europea ha affermato che il diritto all’adeguata remunerazione spetta, sia pure solo per la parte di corso di specializzazione frequentata dall’1.1.1983, a quanti lo abbiano iniziato nell’anno 1982.

Hanno inoltre invocato, a supporto della loro tesi, l’ulteriore recente pronuncia della Corte di Giustizia, secondo cui qualsiasi formazione a tempo pieno o a tempo ridotto come medico specialista, iniziata prima dell’entrata in vigore della direttiva 82/76 (29.1.1982) e proseguita dopo la scadenza del termine per la sua trasposizione (1.1.1983), deve essere oggetto di una remunerazione adeguata per il periodo compreso fra l’1.1.1983 e la fine della formazione, a condizione che la essa riguardi una specializzazione medica comune a tutti gli Stati membri ovvero a due o più di essi e menzionata negli articoli 5 o 7 della direttiva 75/362.

Tuttavia, le amministrazioni convenute hanno eccepito preliminarmente la prescrizione del credito dedotto in giudizio, sul presupposto che il diritto al risarcimento del danno da tardiva ed incompleta trasposizione nell'ordinamento interno - realizzata solo con il d.lgs. 8 agosto 1991, n. 257 - delle direttive n. 75/362/CEE e n. 82/76/CEE, relative al compenso in favore dei medici ammessi ai corsi di specializzazione universitari, si sarebbe prescritto, per coloro i quali avrebbero potuto fruire del compenso nel periodo compreso tra il 1° gennaio 1983 e la conclusione dell'anno accademico 1990-1991, nel termine decennale decorrente dalla data di entrata in vigore (27 ottobre 1999) della legge 19 ottobre 1999, n. 370, il cui art. 11 ha riconosciuto il diritto ad una borsa di studio soltanto in favore di quanti, tra costoro, risultavano beneficiari delle sentenze irrevocabili emesse dal giudice amministrativo.

Il Giudice di primo grado ha accolto l’eccezione, in quanto tutti gli aventi diritto ad analoga prestazione, ma tuttavia esclusi dal citato art. 11, avrebbero avuto da quel momento la ragionevole certezza che lo Stato non avrebbe più emanato altri atti di adempimento alla normativa europea.

Contestualmente, il Tribunale adito ha respinto la tesi degli attori, secondo la quale il termine prescrizionale decorrerebbe solo dal 2011, quando, per effetto dell’elaborazione giurisprudenziale (Cass., n. 10813 del 2011), sarebbero state superate le incertezze relative al rimedio giurisdizionale, sotto il profilo della giurisdizione, della natura dell’azione esperibile e della legittimazione passiva.

In particolare, il giudice di prima istanza ha seguito l’indirizzo della giurisprudenza di legittimità, secondo cui la questione della giurisdizione non aveva inciso sulla consapevolezza della cristallizzazione della lesione e quindi sulla possibilità, per il danneggiato, di interrompere la sua inerzia e il decorso dell'estinzione prescrizionale - che può ben essere anche solo stragiudiziale -, né aveva alcun rilievo l'individuazione della natura dell'azione esperibile e, quanto alla legittimazione passiva, dalla stessa normativa del 1999 doveva ragionevolmente desumersi che il destinatario del credito era individuabile nell'amministrazione statale e non nell'autonomia universitaria (Cass., n. 8843 del 2021 Cass. n. 41677 del 2021).


LA QUESTIONE CONTROVERSA E IL POSSIBILE RINVIO PREGIUDIZIALE

Con la pronuncia in commento non vi è stata particolare discussione sul merito del diritto azionato, quanto sulla necessità di azionarlo in una data precedente e utile, al fine di evitare l’inesorabile decorso della prescrizione decennale.

L’orientamento espresso dal Giudice capitolino è conforme alle pronunce della Corte di Cassazione, ma contestato dalla difesa dei ricorrenti in quanto, per considerare il rimedio giurisdizionale effettivo, secondo una interpretazione conforme ai principi espressi dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea, la prescrizione avrebbe potuto iniziare a decorrere soltanto in data successiva a quella in cui erano stati definiti la natura giuridica del diritto e dell’azione e l’amministrazione responsabile.

Ci si appoggia cioè a quella tesi, sostenuta anche dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui, in mancanza di un quadro certo che definisca l’ambito di esercizio del diritto risarcitorio in esame, non può iniziare a decorrere la prescrizione.

Tale quadro certo, secondo i ricorrenti, sarebbe stato raggiunto solo nel 2011, con la conseguenza che soltanto da tale anno avrebbe potuto iniziare a decorrere il termine decennale di prescrizione.

D’altra parte, anche ad esito del procedimento dinanzi alla Corte di Giustizia Europea C-590/20 *, dove quest’ultima ha deciso che anche i medici iscritti prima del 1982 hanno diritto alla adeguata remunerazione e, quindi, al risarcimento del danno, sarebbe emerso che le norme comunitarie rilevanti nel caso di specie (art. 288 TFUE e art. 43 TUE) si oppongono a una disposizione nazionale quale quella dell'articolo 11 comma 1, ultima frase della legge 370/99, secondo cui non si dà luogo al pagamento di interessi e di importi per rivalutazioni monetarie.

Trattandosi della stessa disposizione considerata rilevante nel caso deciso dal Tribunale di Roma, la sua illegittimità potrebbe estendersi, in tesi, fino ad incidere sulla stessa decorrenza della data di prescrizione.

In senso contrario, peraltro, depone il fatto che tale decisione non attiene alla prescrizione, bensì all’esistenza stessa del diritto in questione.

Maggiore attenzione deve invece essere dedicata alla possibilità di un ulteriore rinvio pregiudiziale alla CGUE affinché la stessa chiarisca, anche in relazione alla decorrenza della prescrizione, se alla stregua del diritto dell’Unione un rimedio giurisdizionale possa considerarsi effettivo prima che sia definita la natura giuridica dell’azione esperibile, prima che sia identificato il soggetto legittimato passivamente e prima che sia individuata la giurisdizione interna competente a conoscere la domanda.

Secondo il Giudice capitolino, l'istanza di rinvio era da considerarsi manifestamente infondata, atteso che non solo a partire dal 27 ottobre 1999 nessuna norma dell’ordinamento interno impediva agli interessati di promuovere un giudizio per domandare il risarcimento del danno da tardiva attuazione delle direttive comunitarie, ma che nessun dubbio poteva sussistere su quale fosse il soggetto tenuto a rispondere di tale danno (lo Stato), e che qualsiasi eventuale incertezza circa l’individuazione del giudice munito di giurisdizione a conoscere della relativa domanda non poteva impedire il decorso della prescrizione, dal momento che qualsiasi eventuale errore poteva essere rimediato mediante lo strumento del regolamento di giurisdizione (così anche Cass., n. 41750 del 2021; Cass., n. 41677 del 2021).

Né il quadro così delineato sarebbe stato modificato a seguito della pubblicazione della sentenza 24 gennaio 2018 della Corte di giustizia dell'Unione europea (C - 616/16 e C - 617/16), in quanto tale pronuncia non avrebbe alterato in alcun modo il problema del decorso della prescrizione (Cass., n. 1113 del 2021).

Resta in ogni caso immutata la possibilità, come correttamente evidenziato anche dal Tribunale di Roma, che tale rinvio, facoltativo per il Giudice di primo grado, sia effettuato invece dal Giudice la cui decisione non può più essere oggetto di impugnazione secondo il diritto interno.



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