IL CASO
L’attore ha convenuto in giudizio la Regione Veneto al fine di ottenere l’accertamento della responsabilità e la condanna della stessa al risarcimento dei danni dal primo subiti in conseguenza di un sinistro cagionato dall’investimento di un cervo mentre altra persona si trovava alla guida del veicolo di sua proprietà.
L’attore, in particolare, ha dedotto la responsabilità della Regione ex art. 2043 c.c., il segnale di pericolo essendo posto a distanza di quasi 1 km dal fatto dove era avvenuta la collisione e in loco non essendo presenti né guardrail, né altri strumenti atti a prevenire eventi quali quello occorso.
La Regione, per contro, ha eccepito il proprio difetto di legittimazione passiva, nonché il rigetto delle domande formulate dall’attore nei propri confronti in quanto infondate in fatto e in diritto; in via subordinata, ha chiesto che venisse disposta una diminuzione del quantum risarcitorio ai sensi dell’art. 1227, comma 1, c.c.. Inoltre, l’Ente convenuto, previa autorizzazione, ha chiamato in causa la Provincia di Treviso e Veneto Strade s.p.a. affinché fossero condannate a rifondere alla Regione le somme dalla stessa eventualmente corrisposte all’attore a titolo risarcitorio.
La Provincia di Treviso ha contestato la fondatezza della domanda attorea, per non avere l’attore assolto l’onere della prova del fatto, della condotta colposa dell’ente nonché del nesso di causalità; inoltre, ha eccepito la propria carenza di legittimazione passiva e, comunque, la mancata prova, da parte dell’attore, in ordine ai danni subiti, alla loro riconducibilità al sinistro e alla loro congruità o pertinenza con l’evento.
Veneto Strade s.p.a. ha contestato la fondatezza della domanda attorea e di quella della Regione nei propri confronti in primo luogo, per mancanza di responsabilità ad essa ascrivibile, poichè in qualità di gestore della strada in cui si era verificato il sinistro, aveva correttamente adempiuto ai propri obblighi di gestione, manutenzione e vigilanza della rete stradale; in secondo luogo, in quanto nel tratto stradale percorso dalla vettura erano stati regolarmente apposti i segnali stradali di pericolo indicanti la presenza di animali selvatici; inoltre, l’attore non aveva provato né il comportamento colposo ascrivibile all’Ente, né che la causa del sinistro fosse riconducibile all’attraversamento della carreggiata da parte dell’animale selvatico, né i danni riportati dal veicolo; infine, ha eccepito che i danni riportati dal veicolo, erano ascrivibili all’esclusiva responsabilità della conducente la vettura, la quale avrebbe violato le norme di cui all’art. 141, commi 1 e 2, cod. strad.
La decisione del Tribunale.
Il Tribunale di Treviso ha respinto la domanda di parte attrice, sulla scorta dei seguenti argomenti in fatto e diritto:
a) in primo luogo, il giudice di primo grado, rilevando come la causa del sinistro dedotta in giudizio dall’attore fosse l’investimento da parte di un cervo, animale rientrante nell’ipotesi di “fauna selvatica”, ha ritenuto che non dovesse trovare applicazione l’art. 2052 c.c., ma l’art. 2043 c.c., con conseguente onere a carico dell’attore, ai sensi dell’art. 2697 c.c., di provare il fatto, l’elemento soggettivo del dolo o della colpa, il danno (nella duplice accezione di danno-evento e di danno-conseguenza) e, infine, il nesso di causalità (nella duplice accezione di causalità fattuale e giuridica), nonché il fatto che il luogo del sinistro fosse all’epoca abitualmente frequentato da animali selvatici, quantomeno in un numero eccessivo di esemplari, tale da costituire un vero e proprio pericolo per le proprietà vicine anche se adeguatamente protette, ovvero teatro di precedenti incidenti[1];
b) l’obbligazione risarcitoria ex art. 2043 c.c. grava sull’ente – sia esso Regione, Provincia, Ente Parco, Federazione o Associazione, ecc. – a cui siano stati concretamente affidati nel singolo caso (anche in attuazione della legge n. 157/1992) i poteri di amministrazione del territorio e di gestione della fauna ivi insediata, a prescindere dalla fonte di tali poteri di gestione (sia essa la legge, oppure una delega o concessione di altro ente), purché gli sia stata conferita, in quanto gestore, autonomia decisionale e operativa sufficiente a consentirgli non solo di amministrare in modo efficiente i rischi di danni a terzi inerenti all’esercizio dell’attività stessa, ma anche di poter adottare le misure normalmente idonee a prevenire, evitare o limitare tali danni[2];
c) sotto il profilo dell’elemento soggettivo, non può pretendersi l’assunzione di specifici doveri di diligenza in capo all’ente pubblico, al di là di quello generale assolto con la segnaletica stradale, non potendo gravare sull’ente delegato doveri diversi da quelli previsti da specifiche disposizioni normative; né può ritenersi sussistere, in capo alla Pubblica Amministrazione, un obbligo di provvedere alla recinzione o alla segnalazione generalizzata di tutti i perimetri boschivi, indipendentemente dalle loro peculiarità concrete;
d) in punto legittimazione passiva, alla luce degli artt. 1 e 19, l. n. 157 del 1992, l’azione ex art. 2043 c.c. è stata correttamente esperita nei confronti della Regione, in quanto quest’ultima risulta essere il soggetto su cui, in base alla prospettazione attorea, grava l’obbligazione risarcitoria, essendo la stessa titolare di poteri di gestione e di controllo della fauna selvatica, non risultando, dall’atto di concessione stipulato con Veneto Strade, che in capo a quest’ultima sia stato previsto alcun potere di gestione, tutela o controllo della fauna insediata nel territorio regionale;
e) pur risultando confermata la dinamica del sinistro e accertata l’insussistenza di un concorso di colpa della conducente della vettura, l’attore non ha dimostrato l’elemento soggettivo - dolo o colpa - in capo alla convenuta o alle terze chiamate, posto che risulta provata l’esistenza di idonea segnaletica stradale.
Questioni giuridiche rilevanti.
1. Premessa.
La decisione in esame si segnala, in particolare, per l’espressa posizione contraria assunta, in punto di diritto, rispetto ai più recenti arresti giurisprudenziali di legittimità in materia di applicazione della fattispecie di cui all’art. 2052 c.c. ai c.d. danni da fauna selvatica, questione che “porta con sé” anche quella concernente l’individuazione del soggetto passivamente legittimato rispetto alla domanda risarcitoria relativa.
2. Breve excursus storico sulla normativa applicabile e sugli orientamenti dottrinali e giurisprudenziali tradizionali.
Originariamente e tradizionalmente, la “fauna selvatica” veniva ricondotta nel genus delle c.d. “res nullius”, finché il legislatore non ha deciso di intervenire sulla tutela e gestione della stessa attraverso una normativa speciale, dapprima con la l. 27 dicembre 1977, n. 968[3], e, successivamente, con la l. 11 febbraio 1992, n. 157[4], che, sul solco della precedente normativa, ha disciplinato compiutamente i compiti attribuiti alle Regioni, anche in via sostitutiva in caso di mancato adempimento da parte delle Province alle quali <<spettano le funzioni amministrative in materia di caccia e di protezione della fauna secondo quanto previsto dalla L. 8 giugno 1990, n. 142>>[5].
A fronte del quadro normativo che si è andato delineando nel tempo, quindi, pur essendo acquisito il principio della risarcibilità dei danni cagionati dalla fauna selvatica, si è sin da subito avvertito un contrasto tra dottrina e giurisprudenza in relazione alla fattispecie nella quale sussumere tale ipotesi di responsabilità e, nell’ambito della giurisprudenza, anche di legittimità, in ordine all’Ente ritenuto legittimato passivo rispetto alla domanda risarcitoria in questione.
Sotto il primo profilo, vengono in gioco due disposizioni normative: quella generale di cui all’art. 2043 c.c., e quella speciale, di cui all’art. 2052 c.c., ai sensi del quale, <<il proprietario di un animale o chi se ne serve per il tempo in cui lo ha in uso, è responsabile dei danni cagionati dall'animale, sia che fosse sotto la sua custodia, sia che fosse smarrito o fuggito, salvo che provi il caso fortuito>>.
In dottrina, tendenzialmente, valorizzando la natura pubblica della proprietà della fauna selvatica, e la funzionalizzazione agli interessi collettivi, nazionali ed internazionali, della sua tutela nonché della sua stessa gestione, si è affermata l'applicabilità, anche agli animali selvatici appartenenti alle specie protette, del regime di responsabilità speciale previsto, in generale, dall'art. 2052 c.c., per i danni causati dagli animali in proprietà o in uso di un qualunque soggetto giuridico.
La giurisprudenza “tradizionale” della Corte di Cassazione, invece, si è pressoché univocamente orientata nel senso di affermare che il <<danno cagionato dalla fauna selvatica non è risarcibile in base alla presunzione stabilita dall'art. 2052 c.c., inapplicabile per la natura stessa degli animali selvatici, il cui stato di libertà è incompatibile con un qualsiasi obbligo di custodia da parte della pubblica amministrazione, ma soltanto alla stregua dei principi generali sanciti dall'art. 2043 c.c., anche in tema di onere della prova, e perciò richiede l'individuazione di un concreto comportamento colposo ascrivibile all'ente pubblico>>[6].
Tale ricostruzione interpretativa è stata ritenuta non incostituzionale dal giudice delle leggi, il quale ha escluso la sussistenza di una irragionevole disparità di trattamento tra il privato, proprietario di un animale domestico (o in cattività), e la Pubblica Amministrazione, nel cui patrimonio sono ricompresi anche gli animali selvatici[7].
Ferma l’applicabilità della sola norma generale si cui all’art. 2043 c.c., d’altronde, si è aperto un radicale contrasto giurisprudenziale relativamente alla individuazione del soggetto legittimato passivamente rispetto alla domanda risarcitoria.
L’orientamento tradizionale individuava tale soggetto nella Regione, quale ente titolare della competenza a disciplinare, sul piano normativo e amministrativo, la tutela della fauna e la gestione sociale del territorio, anche qualora detto Ente avesse delegato i suoi compiti alle Province, sull’assunto che la delega non fa venir meno la titolarità di tali poteri e va esercitata nell'ambito delle direttive dell'ente delegante[8].
Secondo altra impostazione, invece, i danni causati dagli animali selvatici non possono essere imputati sempre e comunque alla Regione, ma a quell’Ente (anche Provincia, Ente Parco, Federazione o Associazione), cui siano stati concretamente affidati, nel singolo caso, poteri di amministrazione del territorio e di gestione della fauna ivi insediata, e ciò tanto in forza di legge, quanto sulla scorta di uno specifico atto di delega o di una concessione[9].
Tale secondo orientamento ha, d’altronde, visto in diversi casi operare alcune puntualizzazioni.
In primo luogo, si è affermato che la responsabilità della Regione sussiste, anche in caso di delega attribuita alla Provincia, a meno che non sia dimostrato che tale delega conferisca ad essa (così come ad altri Enti) un'autonomia decisionale e operativa sufficiente a consentire di svolgere l'attività in modo da poter efficientemente amministrare i rischi di danni a terzi e da poter adottare le misure normalmente idonee a prevenire, evitare o limitare tali danni[10].
Sotto altro profilo, si è avvertita la necessità di accertare, di volta in volta, che, in caso di delega, l'Ente delegato sia stato ragionevolmente posto in condizioni di adempiere ai compiti affidatigli, e non sia, invece, meramente "nudus minister", senza alcuna concreta ed effettiva possibilità operativa[11].
In altri casi, la Cassazione ha affermato la responsabilità della Provincia[12], a cui appartiene la strada ove si è verificato il sinistro, in quanto ente cui sono stati concretamente affidati poteri di amministrazione e funzioni di cura e protezione degli animali selvatici nell'ambito di un determinato territorio, e non già alla Regione, cui invece spetta, ai sensi della L. 11 febbraio 1992, n. 157, salve eventuali disposizioni regionali di segno opposto, solo il potere normativo per la gestione e tutela di tutte le specie di fauna selvatica[13].
Il conflitto giurisprudenziale in ordine all’individuazione del soggetto responsabile, oltre a determinare incertezza sulle decisioni giudiziarie, ha reso ancora più complicato l’approccio alla tutela giurisdizionale da parte del danneggiato, il quale si trovava costretto, non solo a dover individuare e provare una specifica condotta colposa dell'ente convenuto, causativa del danno, ma anche a districarsi in un ipertrofico e confuso sovrapporsi di competenze statali, regionali, provinciali e di enti vari (enti parchi, enti gestori di strade e oasi protette, aziende faunistico venatorie, ecc.), i cui rapporti interni non sono sempre agevolmente ricostruibili, al fine di individuare l'unico soggetto pubblico effettivamente legittimato passivo, in concreto, in relazione all'azione risarcitoria avanzata (e ciò anche al fine di evitare la responsabilità per le spese processuali in relazione agli altri enti potenzialmente responsabili, eventualmente citati a "scopo cautelativo")[14].
Ciò finisce per risolversi in un sostanziale diniego di effettiva tutela giurisdizionale, in evidente tensione con i valori costituzionali, comunitari e tutelati anche dalla CEDU[15].
Inoltre, è stato sottolineato[16] come l’accertamento di volta in volta e in concreto dell’Ente responsabile ha condotto a ricostruzioni non sempre coincidenti delle medesime legislazioni regionali, finendosi per sostenere e/o negare altre volte (anche in relazione alla medesima regione) che avesse rilievo una determinata delega di funzioni amministrative e/o che la stessa potesse dirsi "concretamente attuata", ovvero che una determinata condotta omessa spettasse ad un ente o ad un altro, e/o fosse o meno esigibile dall'uno o dall'altro[17].
Non solo, ma in tal modo si finisce per ammettere un regime della responsabilità civile per i danni causati dagli animali selvatici differenziato, regione per regione: ciò ha posto dei dubbi di compatibilità sistematica di una tale ricostruzione con il principio, anch'esso di rilievo costituzionale, per cui la normativa regionale non può incidere sui rapporti di diritto privato.
Anche sotto il profilo della cd. analisi economica del diritto sono state sollevate perplessità sulla razionalità di un regime di imputazione della responsabilità che nella sostanza lascia nella maggioranza dei casi il danno causato dalla fauna selvatica, bene tutelato nell'interesse della collettività, in capo al singolo che lo ha subito, invece di "collettivizzarlo".
Infine, è stato sottolineato che la complessa ricostruzione sistematica operata dalla giurisprudenza di legittimità in ordine al fondamento della responsabilità e all'individuazione dell'ente pubblico responsabile, ha spesso finito per determinare in concreto un paradosso: quello della implicita contraddizione delle stesse premesse teoriche dell'indirizzo fatto proprio dall'organo decidente.
La necessità, quindi, di superare le suddette incertezze e problematiche, con conseguente deficit di tutela, ha portato la giurisprudenza più recente a rivedere “alla radice” il proprio indirizzo interpretativo, ripensando al criterio stesso di imputazione della responsabilità per i danni da fauna selvatici, cogliendo come le incertezze nella identificazione del soggetto legittimato/titolare passivo dell’azione per risarcimento dei danni fosse una conseguenza della scelta iniziale di escludere il regime previsto dall'art. 2052 c.c..
3. Il più recente orientamento della giurisprudenza di legittimità.
Il nuovo approccio che si è venuto delineando e sempre più confermando, nella giurisprudenza della terza Sezione della Corte di Cassazione[18] - ancorché in modo non univoco[19] - in primo luogo, confuta l’assunto, fatto proprio dall’orientamento tradizionale, secondo il quale l’art. 2052 c.c. riguarderebbe, esclusivamente, gli animali domestici e non pure quelli selvatici, in quanto recante un criterio di imputazione della responsabilità basato sulla violazione di un dovere di "custodia" dell'animale, da parte del proprietario o di chi lo utilizza per trarne un'utilità (patrimoniale o affettiva), custodia per natura non concepibile per gli animali selvatici, vivendo essi in libertà.
Al contrario, il nuovo “trend” giurisprudenziale dà conto del fatto che, tanto la lettera della norma, quanto la sua funzione, non giustificano una simile opzione ermeneutica.
In particolare, l'art. 2052 c.c., non reca alcuna espressa menzione che sia limitata gli animali domestici, ma fa riferimento, esclusivamente, a quelli suscettibili di "proprietà" o di "utilizzazione" da parte dell'uomo.
La norma, inoltre, viene sottolineato, prescinde dalla sussistenza di una situazione di effettiva custodia dell'animale, e ciò sulla scorta, nuovamente, del tenore letterale della disposizione, là dove prevede, espressamente, che la responsabilità del proprietario o dell'utilizzatore sussista sia che "l'animale fosse sotto la sua custodia, sia che fosse smarrito o fuggito".
In tal senso, il riferimento alla proprietà e all'utilizzazione (quale relazione, come detto, dalla quale si trae una "utilitas" anche non patrimoniale), individua, secondo la Corte, un criterio oggettivo di allocazione della responsabilità in forza del quale, dei danni causati dall'animale, deve rispondere il soggetto che dallo stesso trae un beneficio, in sostanziale applicazione del principio "ubi commoda ibi et incommoda", con l'unica salvezza del caso fortuito, senza quindi che venga in gioco la necessità di una situazione di “custodia”.
La previsione di una proprietà pubblica in relazione ad alcune specie di animali selvatici (precisamente, quelle oggetto della tutela di cui alla citata L. n. 157 del 1992), non solo è collegata all’appartenenza, normativamente disposta, al patrimonio indisponibile dello Stato, ma, soprattutto, è funzionale alla tutela generale dell'ambiente e dell'ecosistema, cioè risponde ad un rilevante interesse generale.
A questo proposito, la cura di tale interesse pubblico è stata approntata, dal legislatore, con la l. n. 157 del 1992, attribuendo alle Regioni specifiche competenze normative e amministrative, nonché di indirizzo, coordinamento e controllo (non escluso il potere sostitutivo) sugli altri enti, titolari di più circoscritte funzioni amministrative nello stesso ambito: di qui, secondo la Cassazione, l’imputabilità della responsabilità ex art. 2052 c.c. in capo alle Regioni.
L'esenzione degli enti pubblici dal regime di responsabilità oggettiva di cui all'art. 2052 c.c., non potendosi in diritto giustificare sulla base della impossibilità di configurare un effettivo rapporto di custodia per gli animali selvatici[20], finisce per risolversi in un ingiustificato privilegio riservato alla pubblica amministrazione[21].
Poiché la proprietà pubblica delle specie protette è disposta in funzione della tutela dell'ambiente e dell'ecosistema, che avviene anche attraverso la tutela e la gestione di dette specie, mediante l'attribuzione alle Regioni di specifiche competenze normative e amministrative, nonché di indirizzo, coordinamento e controllo (non escluso il potere di sostituzione) sugli enti minori titolari di più circoscritte funzioni amministrative, proprie o delegate, viene a determinarsi, infatti, una situazione che è equiparabile (nell'ambito del diritto pubblico) a quella della "utilizzazione" degli animali da parte di un soggetto diverso dal loro proprietario, ai fini dell'art. 2052 c.c.: la funzione di tutela, gestione e controllo del patrimonio faunistico appartenente alle specie protette operata dalle Regioni costituisce nella sostanza una "utilizzazione", in senso pubblicistico, di tale patrimonio, di cui è formalmente titolare lo Stato, al fine di trarne una utilità collettiva pubblica per l'ambiente e l'ecosistema.
Quindi, nell'ottica della stessa previsione legislativa di una proprietà pubblica, evidentemente funzionalizzata ad interessi e utilità collettive, l'art. 2052 c.c. è applicabile nella parte in cui attribuisce la responsabilità per i danni causati dagli animali al soggetto (in tal caso pubblico) che "se ne serve", salvo che questi provi il caso fortuito.
Tale soggetto, in base alle disposizioni dell'ordinamento in precedenza richiamate, viene come detto individuato esclusivamente, nelle Regioni, dal momento che sono le Regioni gli enti territoriali cui spettano, in materia, non solo la funzione normativa, ma anche le funzioni amministrative di programmazione, coordinamento, controllo delle attività eventualmente svolte (per delega o in base a poteri di cui sono direttamente titolari) da altri enti, ivi inclusi i poteri sostitutivi, per i casi di eventuali omissioni.
Le Regioni, infatti, sono gli Enti che "utilizzano" il patrimonio faunistico protetto al fine di perseguire l'utilità collettiva di tutela dell'ambiente e dell'ecosistema.
La sussumibilità della fattispecie nell’art. 2052 c.c., comporta l’applicabilità del relativo regime di imputazione della responsabilità, avente, secondo l’orientamento prevalente, natura oggettiva.
Sotto il profilo del riparto dell’onere probatorio, quindi, incomberà sul danneggiato allegare e dimostrare l’evento lesivo occorso e il fatto che lo stesso sia stato causato dall'animale selvatico, dovendo, quindi, provare il c.d. nesso di causalità materiale; il danneggiato dovrà poi allegare e provare le conseguenze, patrimoniali e non patrimoniali conseguenti all’evento lesivo e il nesso di causalità c.d. giuridica che lega quest’ultimo alle prime.
Non solo, ma essendo un elemento costitutivo della responsabilità della Regione, l’appartenenza dell’animale selvatico ad una delle specie oggetto della tutela di cui alla l. n. 157 del 1992, il danneggiato deve fornire tale prova o, comunque, dimostrare che si tratti di un animale rientrante nel patrimonio indisponibile dello Stato.
La Cassazione[22] ha avuto modo di precisare che, nell’ipotesi[23] di danni derivanti da incidenti stradali che abbiano visto il coinvolgimento di un veicolo e di un animale selvatico, il danneggiato non potrà limitarsi alla dimostrazione della presenza dell'animale sulla carreggiata, dell'impatto tra lo stesso ed il veicolo, e della riconducibilità causale dell’evento dannoso alla condotta dell’animale, ma dovrà, altresì, dar prova di avere fatto tutto il possibile per evitare il danno, cioè di avere, nella specie, adottato ogni opportuna cautela nella propria condotta di guida[24].
Ciò in forza della presunzione prevista dall’art. 2054, comma 1 c.c., avente portata generale, essendo applicabile a tutti i soggetti che subiscano danni dalla circolazione[25] e quindi anche nei confronti del conducente di veicolo senza guida di rotaie per danni prodotti a persone o cose, compresi anche gli animali, dalla circolazione del veicolo, con conseguente compatibilità con l’ipotesi di responsabilità di cui all’art. 2052 c.c. [26]
La natura oggettiva dell’imputazione della responsabilità ex art. 2052 c.c. è correlata al fatto che la prova liberatoria consiste nella dimostrazione che l’evento lesivo sia dovuto a "caso fortuito", nel senso che l’Ente dovrà provare che la condotta dell'animale si sia posta del tutto al di fuori della sua sfera di possibile controllo, operando, così, come causa autonoma, eccezionale, imprevedibile ed inevitabile del danno.
L’oggetto della prova, quindi, consiste nel dimostrare che si sia trattato di una condotta che non era ragionevolmente prevedibile e/o che, comunque, non era evitabile, e ciò anche mediante l'adozione delle più adeguate e diligenti misure di gestione e controllo della fauna (e di connessa protezione e tutela dell'incolumità dei privati), concretamente esigibili in relazione alla situazione di fatto, purché, peraltro, sempre compatibili con la funzione di protezione dell'ambiente e dell'ecosistema cui la stessa tutela della fauna è diretta[27].
La Cassazione, quindi, ha avuto modo di precisare che la Regione[28], convenuta in giudizio per il risarcimento, qualora reputi che le misure idonee ad impedire il danno avrebbero dovuto essere adottate da un altro Ente, potrà - anche in quello stesso giudizio - agire in rivalsa[29], senza, però, che ciò implichi modifica, in relazione all'azione posta in essere dal danneggiato, del criterio di individuazione del titolare, dal lato passivo, del rapporto dedotto in giudizio.
Di conseguenza, solo con riferimento dell'azione di rivalsa tra la Regione e l'Ente da questa indicato come effettivo responsabile potranno - e quindi limitatamente al rapporto processuale tra di essi intercorrente - assumere rilievo tutte le questioni inerenti al trasferimento o alla delega di funzioni alle Province (ovvero eventualmente ad altri enti) e l'effettività della delega stessa (anche sotto il profilo del trasferimento di adeguata provvista economica, laddove ciò possa ritenersi rilevante in tale ottica), così come tutte le questioni relative al soggetto effettivamente competente a porre in essere ciascuna misura di cautela[30].
4. La soluzione del Tribunale di Treviso
Il Giudice di prime cure, nel caso di specie, pur dando conto della giurisprudenza più recente da ultimo ricordata[31], ha ritenuto di non adeguarsi a tale revirement, fondato sul fatto che l’art. 2052 c.c. <<facendo esclusivo riferimento agli animali suscettibili di “proprietà” o di “utilizzazione” da parte dell’uomo, non limita la responsabilità del soggetto in relazione ai soli animali domestici e, pertanto, sarebbe applicabile anche alla fauna selvatica dal momento che la stessa deve considerarsi patrimonio indisponibile dello Stato ex art. 1 l. 157/1992>>, nonché sul fatto che <<che l’inciso “sia che [l’animale] fosse smarrito o fuggito” permetterebbe di concludere che la responsabilità del soggetto sussiste a prescindere dall’esistenza di una situazione di effettiva custodia dell’animale da parte di questi>>.
Secondo il Tribunale di Treviso, infatti, riprendendo l’orientamento tradizionale, i danni cagionati dalla fauna selvatica ai veicoli in circolazione non sono risarcibili ai sensi dell’art. 2052 c.c., poiché lo stato di libertà della selvaggina è incompatibile con qualsiasi obbligo di custodia a carico della Pubblica Amministrazione; bensì in forza dell’art. 2043 c.c. e ciò anche dopo l’entrata in vigore della legge n. 157/1992, il cui art. 1 stabilisce che “La fauna selvatica è patrimonio indisponibile dello Stato”[32].
Le regole di cui all’art. 2052 cod. civ. non sono applicabili, in particolare, in considerazione della natura stessa di detti animali e dell’impossibilità di ritenere sussistente un rapporto di proprietà o di uso in relazione ad essi, da parte dei soggetti della pubblica amministrazione[33].
Nel rammentare come anche la Corte Costituzionale abbia ritenuto manifestamente infondata, con riferimento all’art. 3 Cost. la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2052 c.c., laddove esclude la sussistenza di una irragionevole disparità di trattamento tra il privato, proprietario di un animale domestico (o in cattività), e la Pubblica Amministrazione, nel cui patrimonio sono ricompresi anche gli animali selvatici[34], il Giudice trevigiano ha censurato come il più recente orientamento giurisprudenziale obliteri la rilevanza del rapporto di custodia tra il proprietario o l’utilizzatore esclusivo e l’animale, sotteso all’art. 2052 c.c., e attribuisca all’inciso più sopra indicato una funzione diversa da quella tradizionalmente riconosciutagli.
Richiamando, al riguardo, i principi accolti dalla giurisprudenza in materia, il Giudice di prime cure ha sottolineato che il presupposto indispensabile all’applicazione dell’art. 2052 c.c., <<è costituito dall’effettivo potere d’uso e di governo dell’animale, condizione che non sussiste nel caso di fauna selvatica, non essendo riconducibile alla Pubblica amministrazione alcun potere di utilizzo>>; <<ne consegue che l’espressione “sia che fosse smarrito o fuggito” individua il momento temporale rilevante ai fini dell’applicazione della disposizione in questione e, quindi, tale inciso deve essere inteso nel senso che il custode risponde anche nel caso in cui l’evento si sia verificato in un momento in cui l’animale era smarrito o fuggito, purché lo stesso fosse legato al soggetto chiamato a rispondere da un rapporto effettivo di custodia>>.
5. Brevi considerazioni.
Come è stato efficacemente sottolineato dalla stessa giurisprudenza del “nuovo trend”[35], la “parabola” applicativa dell’art. 2052 c.c. anche alla fauna selvatica, cioè di fatto a “beni pubblici” la cui gestione e tutela è funzionale alla salvaguardia di interessi generali, come l’ambiente, ricorda molto da vicino l’evoluzione giurisprudenziale che, nell’ambito dei rapporti tra privato e P.A. ha riguardato, da un lato, la proponibilità dell'azione di ingiustificato arricchimento, ex art. 2041 c.c., nei confronti degli enti pubblici, e, dall’altro lato, la configurabilità a carico della P.A. di una responsabilità oggettiva, ai sensi dell’art. 2051 c.c., per i danni causati da beni demaniali.
In tutti questi casi, ad un iniziale orientamento che negava l'applicabilità alla pubblica amministrazione della disciplina generale civilistica, nei medesimi termini normativi previsti per i soggetti privati, in guisa di una sorta di privilegio soggettivo, ha fatto seguito il superamento del privilegio e l'applicazione alla pubblica amministrazione del regime legislativo "comune" (fermi restando gli adattamenti necessari per la sussunzione della fattispecie concreta in quella astratta, in relazione alle effettive peculiarità dell'attività eventualmente svolta dalla pubblica amministrazione o della sua situazione concreta di fatto, ma senza alcuna distinzione sotto il profilo della disciplina normativa in astratto applicabile).
Le stesse preoccupazioni per le conseguenze dell'affermazione della possibile responsabilità oggettiva della pubblica amministrazione, anche in relazione a situazione di proprietà o custodia diffuse (come per i beni demaniali e, in particolare, del demanio stradale), sono state infine superate, con una più precisa e corretta ricostruzione dei presupposti di imputazione della responsabilità e di individuazione dell'oggetto della prova liberatoria e dei relativi oneri probatori (risulta emblematica, sotto tale profilo, la vicenda della responsabilità per i danni causati agli automobilisti da anomalie presenti nelle strade pubbliche, quali buche o macchie d'olio, ormai coerentemente ricondotta al regime ordinario di cui all'art. 2051 c.c., con la precisazione per cui non è esigibile dalla pubblica amministrazione un onere di manutenzione tale da eliminare del tutto la stessa possibilità che una anomalia si determini, ma che riconduce al caso fortuito tale eventualità, laddove essa non sia stata ragionevolmente prevenibile, conoscibile ed eliminabile in concreto, prima del verificarsi del sinistro).
Anche nel caso dell’art. 2052 c.c., la Corte di Cassazione, nelle sue pronunce più recenti, come sopra visto, ha raggiunto una conclusione analoga a quella accolta per l’art. 2051 c.c., riconoscendo la natura “oggettiva” del regime di imputazione della responsabilità per i danni causati dagli animali selvatici rientranti nelle specie protette, di proprietà pubblica, la cui tutela e la cui gestione sono affidate dalla legge alla competenza normativa e amministrativa degli enti territoriali, a fini di protezione dell'ambiente e dell'ecosistema.
[1] Cass., sez. III, 27 febbraio 2019, n. 5722; Cass., sez. I, 24 aprile 2014, n. 9276; Cass., sez. III, 21 novembre 2008, n. 27673; Cass., sez. III, 28 marzo 2006, n. 7080.
[2] Cass., 17 settembre 2019, n. 23151; Cass., sez. III, 31 luglio 2017, n. 18952; Cass., sez. III, 21 giugno 2016, n. 12727; Cass., sez. III, 10 ottobre 2014, n. 21395; Cass., sez. III, 8 gennaio 2010, n. 80.
[3] Recante “Principi generali e disposizioni per la protezione e la tutela della fauna e la disciplina della caccia”: la fauna selvatica è stata dichiarata patrimonio indisponibile dello Stato e tutelata nell'interesse della comunità nazionale (art. 1), assegnandosi le relative funzioni amministrative alle Regioni (quelle legislative ad esse già spettando in virtù della competenza in materia di caccia, secondo la previsione del testo originario dell'art. 117 Cost.), pur riconoscendosi la possibilità di delega alle Province (art. 5).
[4] Recante “Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio”: la disciplina ha approntato una tutela per "le specie di mammiferi e di uccelli dei quali esistono popolazioni viventi stabilmente o temporaneamente in stato di naturale libertà nel territorio nazionale", con le eccezioni specificate (talpe, ratti, topi propriamente detti, nutrie, arvicole) ed avviene anche nell'interesse della comunità internazionale.
In forza della normativa legislativa, le Regioni a statuto ordinario provvedono "ad emanare norme relative alla gestione ed alla tutela di tutte le specie della fauna selvatica" (art. 1), ad esercitare "le funzioni amministrative di programmazione e di coordinamento ai fini della pianificazione faunistico-venatoria", nonché a svolgere "i compiti di orientamento, di controllo e sostitutivi previsti dalla presente legge e dagli statuti regionali", oltre ad attuare "la pianificazione faunistico-venatoria mediante il coordinamento dei piani provinciali" (art. 9), essendo, infine, titolari "di poteri sostitutivi nel caso di mancato adempimento da parte delle province" delle loro funzioni (art. 10). Esse, inoltre, "provvedono al controllo delle specie di fauna selvatica anche nelle zone vietate alla caccia", controllo che, "esercitato selettivamente, viene praticato di norma mediante l'utilizzo di metodi ecologici" (art. 19), nonché istituiscono e disciplinano il fondo destinato al "risarcimento dei danni prodotti dalla fauna selvatica e dall'attività venatoria", per "far fronte ai danni non altrimenti risarcibili arrecati alla produzione agricola e alle opere approntate sui terreni coltivati e a pascolo dalla fauna selvatica, in particolare da quella protetta" (art. 26).
[5] Ai sensi dell’art. 14, comma 1, lett. f), con previsione riprodotta, identicamente, nel d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, art. 19, comma 1, lett. f), spettano alla Provincia "le funzioni amministrative di interesse provinciale che riguardino vaste zone intercomunali o l'intero territorio provinciale" nel settore costituito da "caccia e pesca nelle acque interne”.
[6] Si vedano, tra le altre, Cass., sez. III, 27 febbraio 2019, n. 5722; in senso conforme, per limitarsi alle pronunce più recenti, Cass., sez. I, 24 aprile 2014, n. 9276; Cass, sez. III, 20 novembre 2009, n. 24547; Cass., sez. III, 21 novembre 2008, n. 27673; Cass., sez. III, 28 marzo 2006, n. 7080; Cass., sez. III, 24 giugno 2003, n. 10008; Cass., sez. III, 23 luglio 2002, n. 10737; Cass., sez. III, 14 febbraio 2000, n. 1638; Cass., sez. III, 15 marzo 1996, n. 2192; Cass., sez. III, 12 agosto 1991, n. 8788.
[7] Corte Cost., ord. 4 gennaio 2001, n. 4, ciò sull'assunto per cui, poiché questi ultimi soddisfano il godimento della intera collettività, i danni prodotti dagli stessi costituiscono un evento naturale di cui la comunità intera deve farsi carico secondo il regime ordinario di imputazione della responsabilità civile di cui all'art. 2043 c.c.
[8] Tra le altre, Cass., sez. III, 21 febbraio 2011, n. 4202; Cass., sez. III, 16 novembre 2010, n. 23095; Cass., sez. III, 13 gennaio 2009, n. 467; Cass., sez. III, 7 aprile 2008, n. 8953.
[9] In tal senso, Cass., sez. III, 17 settembre 2019, n. 23151; Cass., sez. III, 31 luglio 2017, n. 18952; Cass., sez. III, 21 giugno 2016, n. 12727; Cass., Sez. III, 08 gennaio 2010, n. 80; Cass., sez. III, 10 ottobre 2014, n. 21395. Ciò sul presupposto che il fondamento della responsabilità sia da ricercare nella clausola generale ex art. 2043 c.c. e che ciò richiede l'individuazione di un concreto comportamento colposo ascrivibile all'ente pubblico (Cass., sez. III, 28 marzo 2006, n. 7080; Cass., sez. III, 21 novembre 2018, n. 27673).
[10] Cass., sez. III, 21 febbraio 2011, n. 4202, con conferma della decisione di merito che aveva attribuito alla Regione Molise la responsabilità dei danni derivati dall'impatto tra una autovettura ed alcuni caprioli, sebbene la legge regionale avesse delegato alle Province la gestione della fauna selvatica).
[11] Cass., 17 settembre 2019, n. 23151, che ha cassato la decisione di merito che aveva escluso la responsabilità della Provincia di Macerata per i danni causati ad un'autovettura da un cinghiale, affermandosi che, anche in caso di delega, non vi è, in linea di principio, responsabilità civile esclusiva del delegante, e quindi vi sarebbe comunque responsabilità della Provincia, almeno concorrente, e disponendosi che in sede di rinvio fosse accertato anche quali poteri in concreto erano stati trasferiti alla Provincia, cioè se la Regione avesse messo quest'ultima nelle condizioni materiali di provvedere alla gestione ed al controllo della fauna selvatica, ovvero, in altre parole, se la Provincia, oltre a disporre dei poteri attribuitile dalla Regione "sulla carta", avesse anche ricevuto i mezzi per farvi fronte; Cass., sez. III, 21 giugno 2016, n. 12727, in fattispecie in cui è stata negata la responsabilità della Provincia di Reggio Emilia per danni causati da caprioli, ritenendosi legittimata passiva all'azione risarcitoria la locale azienda venatoria; Cass., sez. III, 6 dicembre 2011, n. 26197, che ha confermato la decisione di merito che aveva rigettato una domanda proposta contro la Regione Calabria per i danni causati da istrici ad una piantagione.
[12] Si è affermato che i poteri di protezione e gestione della fauna selvatica attribuiti alle Province toscane rendono le stesse responsabili dei danni cagionati da animali selvatici, Cass., sez. III, 10 novembre 2015, n. 22886, che ha confermato la decisione di merito la quale, in relazione al danno subito da un'autovettura a seguito dell'impatto con un capriolo, aveva peraltro condannato sia la Regione Toscana che la Provincia di Siena; la responsabilità della Regione Toscana è stata invece esclusa da Cass., sez. III, 31 luglio 2017, n. 18952, sul presupposto della legittimazione esclusiva della Provincia, per i danni causati ad un motociclista da un branco di cinghiali; la responsabilità della Provincia di Siena è stata esclusa da Cass., sez. III, 9 agosto 2016, n. 16642, relativa a danni derivanti dall'impatto tra un’autovettura ed un cinghiale, sull'assunto che i poteri di protezione e gestione della fauna selvatica attribuiti alle Province toscane ai sensi della L.R. Toscana n. 3 del 1994, da cui discende la responsabilità delle medesime per i danni cagionati da animali selvatici anche a protezione degli utenti della strada per i rischi riconducibili al ripopolamento della fauna, non determinano l'assunzione di specifici doveri di diligenza, al di là di quello generale assolto con la segnaletica stradale, non potendo discendere in capo all'ente delegato doveri diversi da quelli previsti da specifiche disposizioni normative. Cass., sez. III, 21 giugno 2016, n. 12727, ha ritenuto le Province dell'Emilia Romagna responsabili dei danni provocati nell'intero territorio da specie il cui prelievo venatorio sia vietato, anche temporaneamente, per ragioni di pubblico interesse, escludendo, d’altronde, in concreto la legittimazione passiva della Provincia di Reggio Emilia, in ragione dell'effettivo oggetto della domanda, essendosi ritenuta legittimata esclusivamente l'azienda venatoria locale, con conseguente rigetto della domanda dell'attore.
[13] Cass., sez. III, 12 maggio 2017, n. 11785, per i danni causati dall'attraversamento della carreggiata autostradale da parte di un capriolo, ha cassato la decisione di merito che aveva escluso la responsabilità della società di gestione autostradale, ex art. 2051 c.c., sul solo rilievo della presenza di una recinzione, ancorché integra, in corrispondenza del tratto interessato dall'incidente; Cass., 19 giugno 2015, n. 12808, ha confermato la decisione di merito, che aveva escluso la legittimazione passiva della Regione Abruzzo, per i danni ad un'autovettura causati da un cervo
[14] Peraltro, l'esclusione, da parte di C. Cost. n. 4 del 2001, cit., dell'illegittimità costituzionale del "diritto vivente" formatosi in materia, è antecedente all'affermarsi degli orientamenti interpretativi che richiedono, per l'accoglimento della domanda risarcitoria, l'individuazione, da parte del danneggiato, dell'ente cui è in concreto ascrivibile la specifica condotta colposa causativa del danno.
[15] La cui operatività si estende anche ai giudizi civili di danno: Cass., sez. III, 17 settembre 2013, n. 2125. Cass., sez. lav., 29 marzo 2018, n. 7833, ha sottolineato la stretta connessione che esiste tra la "stabilità" degli indirizzi giurisprudenziali e il carattere "effettivo" del principio della tutela giurisdizionale delle situazioni giuridiche soggettive.
[16] Cass., sez. III, 20 aprile 2020, n. 7969, in Foro it. 2020, 7-8, I, 2344, la quale ha anche censurato come la questione dell'individuazione dell'ente cd. "legittimato passivo sostanziale" ha assunto nella sostanza rilievo determinante e esclusivo ai fini della stessa attribuzione della responsabilità, trascurandosi la valutazione della concreta allegazione e prova, da parte dell'attore, della specifica condotta omissiva in rapporto di causalità con l'evento dannoso, e addirittura dando in qualche modo per scontata la sussistenza della responsabilità dell'ente individuato come "legittimato passivo" sotto tale profilo, in considerazione del mero coinvolgimento dell'animale selvatico nell'evento dannoso. In tal modo, si perviene molto spesso (specie, ma non solo, nelle decisioni di merito, comunque di frequente non più tangibili sul punto in sede di legittimità) ad una sorta di "tacita" applicazione, nei fatti, di un criterio di imputazione della responsabilità molto più vicino a quello previsto dall'art. 2052 c.c. (benché in linea di principio lo si affermi come non utilizzabile), che non a quello, espressamente (ma solo apparentemente) enunciato come applicabile, di cui all'art. 2043 c.c..
[17] Ciò senza contare che talvolta la stessa responsabilità delle Regioni e delle Province è stata considerata concorrente e altre volte esclusiva.
[18] Cass., sez. VI, 09 febbraio 2021, n. 3023; Cass., sez. III, 20 aprile 2020, n. 7969, in Foro it. 2020, 7-8, I, 2344; Cass., sez. III, 29 aprile 2020, n. 8384; Cass., sez. III, 29 aprile 2020, n. 8385; Cass., sez. III, 6 luglio 2020, n. 13848; Cass., sez. III, 31 agosto 2020, n. 18085; Cass., sez. III, 31 agosto 2020, n. 18087; Cass., sez. III, 15 settembre 2020, n. 19101; Cass., sez. III, 2 ottobre 2020, n. 20997; Cass., sez. III, 11 novembre 2020, n. 25280.
[19] Ad esempio, in senso contrario, Cass., 18 febbraio 2020, n. 4004 in Giust. civ. mass., 2020, cui si rimanda anche per gli ampi richiami giurisprudenziali, secondo la quale la responsabilità della P.A. in materia, in realtà, non è equiparabile a quella inerente al controllo sugli animali di cui si abbia una custodia o detenzione, anche dopo l'entrata in vigore della L. n. 157 del 1992, essendo lo stato di libertà della selvaggina incompatibile con qualsiasi obbligo di custodia a carico della P.A., pertanto, il danno cagionato dalla fauna selvatica in circolazione è risarcibile non tanto ex art. 2052 c.c., bensì in forza dell'art. 2043 c.c., con la conseguenza che, in base all'onere probatorio stabilito da tale ultima disposizione, spetta al danneggiato provare una condotta colposa dell'ente pubblico causalmente efficiente rispetto al danno. La sentenza ha precisato altresì che, sotto il profilo della condotta diligente che la P.A. è tenuta ad osservare, rileva che, a tenore della norma di cui all'art. 84, comma 2, Reg. Codice della Strada, il segnale di pericolo deve essere installato "quando esiste una reale situazione di pericolo sulla strada, non percepibile con tempestività da un conducente che osservi le normali regole di prudenza". In tale contesto, ove la pubblica amministrazione deve orientare la propria condotta a fini generai-preventivi e sulla base di un principio di precauzione, il pericolo deve essere considerato al fine di generare un obbligo della p.a. di attivarsi a comprimerlo, con valutazione ex ante, trattandosi di una norma che orienta l'attività della p.a. in relazione alla situazione di rischio prospettabile nell'area in questione. L'obbligo insorge, dunque, quando vi sia pericolo concreto da comprimere.
[20] Come detto non costituendo la custodia il presupposto di applicabilità della disposizione che disciplina l'imputazione della responsabilità, ai sensi dell'art. 2052 c.c.
[21] In tal senso, l'effettiva peculiarità della situazione che implica la gestione dell'intero patrimonio faunistico protetto, così come la connessa preoccupazione di una eccessiva ed incontrollabile attribuzione di responsabilità risarcitoria in capo alla pubblica amministrazione, non possono giustificare l'alterazione del regime normativo civilistico di imputazione della responsabilità per i danni causati dagli animali in proprietà o in uso, e quindi l'affermazione di un siffatto privilegio, che va certamente superato.
[22] Cass., n. 20997 del 2020, cit.
[23] Si potrebbe dire “casisticamente tipica”, in considerazione della frequente ricorrenza.
[24] Cautela da valutare con particolare rigore in caso di circolazione in aree in cui fosse segnalata o comunque nota la possibile presenza di animali selvatici: in tal senso, Cass., sez. III, 20 aprile 2020, n.7969, in Foro it. 2020, 7-8, I, 234, secondo la quale occorre anche la dimostrazione che la condotta dell'animale selvatico abbia avuto effettivamente e in concreto un carattere di tale imprevedibilità ed irrazionalità per cui - nonostante ogni cautela - non sarebbe stato possibile evitare l'impatto, di modo che essa possa effettivamente ritenersi causa esclusiva (o quanto meno concorrente) del danno.
[25] Cass., sez. III, 7 marzo 2016, n. 4373; Cass, sez. III, 6 agosto 2002, n. 11780.
[26] In tal senso, Cass., sez. III, 20 aprile 2020, n.7969, cit. cui si rimanda in motivazione per i richiami giurisprudenziali.
[27] Come sottolineato da Cass., 20997 del 2020, cit., viene in rilievo una nozione di caso fortuito analoga a quella elaborata dalla giurisprudenza di legittimità con riguardo alla fattispecie di cui all'art. 2051 c.c., in particolar modo con riguardo all'ipotesi di danni causati da anomalie dei beni demaniali di ampia estensione, in cui si dà rilievo alla concreta esigibilità da parte dell'ente pubblico di una condotta, nella manutenzione del bene e nell'adozione di misure di protezione degli utenti, tale da poter effettivamente impedire il danno (Cass., sez. III, 18 giugno 2019, n. 16295; Cass., sez. III, 5 marzo 2019, n. 6326 Cass., sez. III, 23 gennaio 2019, n. 1725. Cass., sez. III, 20 aprile 2020, n.7969, cit. ha sottolineato che la Regione andrà senz'altro esente da responsabilità laddove dimostri che la condotta dell'animale, che sia stato dimostrato dall'attore essere la causa del danno, non era ragionevolmente prevedibile (avendo ad esempio assunto carattere di eccezionalità rispetto al comportamento abituale della relativa specie) o comunque, anche se prevedibile, non sarebbe stata evitabile neanche ponendo in essere le più adeguate misure di gestione e controllo della fauna selvatica e di cautela per i terzi, comunque compatibili con la funzione di tutela dell'ambiente e dell'ecosistema cui la protezione della fauna selvatica è diretta, che naturalmente richiede che gli animali selvatici vivano in stato di libertà e non in cattività (come nel caso di comportamenti degli animali oggettivamente non controllabili, quali ad esempio il volo degli uccelli).
[28] Quale ente cui spettano, in base alla Costituzione e alle leggi statali, le competenze normative, le principali competenze amministrative, e comunque di programmazione, coordinamento e controllo, nonchè i connessi poteri sostitutivi, per la tutela e la gestione della fauna selvatica, e che quindi, sul piano civilistico, nell'ottica della funzione che svolge la stessa previsione della proprietà pubblica di detta fauna, rappresenta il soggetto che "la utilizza" allo scopo di realizzare il fine di utilità collettiva della protezione dell'ambiente e dell'ecosistema e, quindi, che risponde nei confronti dei terzi dei danni eventualmente causati dagli animali selvatici, ai sensi dell'art. 2052 c.c.: Cass., sez. III, 20 aprile 2020, n. 7969, cit.
[29] In tal caso l'onere di dimostrare l'assunto della effettiva responsabilità del diverso ente spetterà alla Regione, che non potrà naturalmente avvalersi del criterio di imputazione della responsabilità di cui all'art. 2052 c.c., ma dovrà fornire la specifica prova della condotta colposa dell'ente convenuto in rivalsa, in base ai criteri ordinari
[30] Ivi incluse le segnalazioni di pericolo per gli utenti nelle strade e in altre aree eventualmente gestite da specifici enti, pubblici o privati, con la eventuale necessità che, laddove il pericolo da segnalare non possa essere noto all'ente gestore, gli sia preventivamente segnalato dall'autorità competente.
[31] Citando, in particolare, Cass., sez. III, 20 aprile 2020, n. 7969; Cass., sez. III, 29 aprile 2020, n. 8385; Cass., sez. III, 6 luglio 2020, n. 13848.
[32] Cass., sez. III, 27 febbraio 2019, n. 5722; Cass., sez. I, 24 aprile 2014, n. 9276; Cass., sez. III, 21 novembre 2008, n. 27673; Cass., sez. III, 28 marzo 2006, n. 7080.
[33] Cass., sez. III, 27 febbraio 2019, n. 5722; Cass., sez. 1, 24 aprile 2014, n. 9276.
[34] Corte Cost., 4 gennaio 2001, n. 4.
[35] Cass., sez. III, 20 aprile 2020, n.7969, in Foro it., 2020, 7-8, I, 2344.