Corte di Giustizia UE, IX Sez., nella causa C-261/21 del 7 luglio 2022
IL CASO
La decisione della Corte di Giustizia in commento trae origine da quattro diversi contenziosi tra alcune famose cause farmaceutiche e l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato italiana (AGCM) in relazione all’impugnazione delle ammende inflitte da quest’ultima per un’intesa apparentemente contraria all’articolo 101 TFUE, consistente nella differenziazione artificiosa degli effetti concreti di due farmaci (uno usato di regola per patologie tumorali e l’altro usato di regola per patologie oftalmiche), tramite la manipolazione della percezione dei rischi dell’uso in ambito oftalmico del farmaco usato per curare patologie tumorali, al fine di ridurre le capacità di tale farmaco di concorrere con quello "specifico".
Nell’ambito di questi contenziosi, che hanno comportato il rinvio alla Corte di Giustizia UE per ben 2 volte, è stata chiesta la
revocazione di una sentenza del Consiglio di Stato in quanto, a parere dei ricorrenti, non sarebbe conforme all’interpretazione del diritto dell’Unione fornita dalla Corte di Giustizia UE nella
sentenza Hoffman-La Roche del 23 gennaio 2018.
Partendo dalle origini fattuali del caso (nel 2005), due farmaci commercializzati dalle società ricorrenti sono stati autorizzati dall’EMA (Agenzia Europea Medicinali) l’uno per il trattamento delle patologie tumorali, l’altro per patologie oftalmiche. Tuttavia, alcuni medici hanno iniziato ad utilizzare il farmaco autorizzato dall’EMA per la cura delle patologie tumorali, meno costoso, anche per curare patologie oftalmiche, benché tale uso (off label) non fosse autorizzato. Ne era conseguito che il farmaco autorizzato dall’EMA per le malattie oftalmiche, più costoso, era divenuto meno utilizzato (e quindi meno remunerativo) a fronte della concorrenza del farmaco meno costoso.
Di conseguenza, secondo l’AGCM, i due gruppi farmaceutici si sarebbero accordati tramite un’intesa per diffondere notizie in grado di ingenerare nel pubblico preoccupazioni sull’uso del farmaco meno costoso, nato per malattie tumorali, ed usato nell’ambito oftalmico. Ne sarebbe così derivato un calo delle vendite di questa medicina, con spostamento della domanda verso il più costoso farmaco autorizzato per le malattie oftalmiche. L’AGCM (nel 2014) ha sanzionato tale intesa con due ammende di circa 90 milioni di euro ciascuna casa farmaceutica.
I due gruppi farmaceutici hanno presentato ricorso prima al TAR del Lazio, che li ha rigettati, poi in appello al Consiglio di Stato, proponendo diverse questioni pregiudiziali sull’interpretazione dell’art. 101 TFUE. In risposta a tali questioni, la Corte di Giustizia si è pronunciata con la sentenza Hoffman-La Roche (C-179/16 del 23 gennaio 2018 EU:C:2018:25). Secondo questa decisione del giudice europeo, ai fini dell’applicazione dell’art. 101 TFUE, un’autorità nazionale garante della concorrenza e del mercato può includere nel mercato rilevante, oltre ai medicinali autorizzati per il trattamento delle patologie interessate, anche altri farmaci utilizzabili a tali fini e, quindi, sostituibili a quelli espressamente autorizzati. Tale sostituibilità è da valutare in concreto, avendo riguardo anche agli effetti sulla struttura della domanda e dell’offerta.
Tale sentenza ha affermato anche che, ai sensi dell’art. 101 TFUE, costituisce un’intesa vietata quella stipulata tra imprese che commercializzano medicinali concorrenti laddove, in un contesto di incertezza scientifica, vengano diffuse informazioni ingannevoli sull’uso off label di un dato medicinale al fine di allentare la pressione alla concorrenza sull’altro medicinale usato nello stesso ambito.
Il Consiglio di Stato, alla luce di tale decisione, ha respinto gli appelli dei due gruppi farmaceutici (sentenza n. 4990/2019), che hanno a quel punto domandato, al medesimo giudice d’appello, la revocazione della suddetta sentenza ai sensi dell’art. 395 c.p.c. n. 4 (“Se la sentenza è l'effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa. Vi è questo errore quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l'inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, e tanto nell'uno quanto nell'altro caso se il fatto non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare.”)
L’argomento alla base della richiesta di revocazione
Secondo i due gruppi farmaceutici interessati, il Consiglio di Stato avrebbe errato nel non considerare che il farmaco autorizzato per curare malattie tumorali, ma utilizzato
off label per le patologie oftalmiche in quanto meno costoso, presenterebbe controindicazioni per tale uso accertate dalle autorità ufficiali e dagli organi giurisdizionali competenti. Il Consiglio di Stato, in altre parole, non avrebbe correttamente applicato il dettato della Corte di Giustizia UE della sentenza Hoffman-La Roche, non valorizzando gli elementi del caso in concreto (come richiesto dalla Corte di Giustizia UE) e non svolgendo alcuna valutazione neanche sull’ingannevolezza delle informazioni diffuse dai due gruppi farmaceutici.
In tale contesto argomentativo, è stato fatto valere dai ricorrenti che il combinato disposto degli artt. 106 c.p.a., 395 c.p.c. (casi di revocazione) e 396 c.p.c. (revocazione delle sentenze per le quali è scaduto il termine per l'appello) non preveda la possibilità di chiedere la revocazione di una sentenza nazionale del giudice amministrativo a seguito di una violazione dei principi affermati in via pregiudiziale dalla Corte di Giustizia UE nell'ambito dello stesso contenzioso.
Alla luce di tale argomento, il Consiglio di Stato ha rilevato che sembrano non sussistere nel diritto interno dei rimedi giurisdizionali che consentano di verificare se una sentenza emessa dal giudice nazionale di ultimo grado si ponga in contrasto con la giurisprudenza della Corte di Giustizia UE.
Vero, infatti, che la Corte di Giustizia UE (sentenza 3 settembre 2009 C-2/08, EU:C:2009:506) ha affermato che le modalità di attuazione del giudicato interno spettano agli Stati membri, riconoscendo l’autorità di cosa giudicata anche se si pone in violazione del diritto UE; tuttavia, il Consiglio di Stato nutre dei dubbi sulla valenza di questo principio quando una pronuncia di ultimo grado, passata in giudicato, si ponga in contrasto con la decisione pregiudiziale emessa dalla Corte proprio nella causa che ha dato luogo a tale sentenza nazionale.
Ad ogni modo, pur ritenendo che la sua sentenza n. 4990/2019 rispetti l’interpretazione data dalla sentenza Hoffman-La Roche, con cui è compatibile, lo stesso Consiglio di Stato afferma che non si possa escludere che spetti (solo) alla Corte di Giustizia decidere sulla compatibilità tra una decisione del giudice nazionale ed una sentenza della Corte di Giustizia. Al riguardo, secondo il giudice rimettente, l’art. 267 TFUE attribuisce alla Corte di Giustizia UE la competenza a pronunciarsi sull’interpretazione di “atti compiuti dalle istituzioni, dagli organi e dagli organismi dell’Unione”, tra cui potrebbero rientrare le stesse decisioni della Corte di Giustizia. Pertanto, il Consiglio di Stato, considerando possibile che a decidere sulla compatibilità tra la sentenza n. 4990/2019 e la sentenza Hoffman-La Roche sia (solo) la Corte di Giustizia e non il giudice interno, ha rimesso la specifica questione alla Corte di Giustizia UE.
LA SOLUZIONE
Dopo una prima parte della motivazione, relativa alla valutazione di una questione nuova introdotta dai ricorrenti e dovuta all’adozione da parte dell’EMA di un parere negativo sugli effetti del farmaco, autorizzato per la cura delle patologie tumorali ma usato
off label anche nel trattamento delle malattie oftalmiche - in relazione alla quale la Corte di Giustizia UE ha affermato che solo il giudice nazionale può valutare l’incidenza in concreto di tali fatti nuovi -, il Giudice europeo ha argomentato come segue la sua decisione sul rinvio pregiudiziale.
La Corte di Giustizia, riformulando il quesito posto dal Consiglio di Stato sulla compatibilità europea del combinato disposto degli artt. 106 c.p.a., 395 e 396 c.p.c., che non prevedono cause di revocazione per impugnare sentenze del Consiglio di Stato confliggenti con le sentenze della Corte di Giustizia UE, ha innanzitutto precisato che spetta ad ogni singolo Stato Membro UE stabilire, nella sua autonomia procedurale, le modalità processuali idonee ad assicurare ai singoli cittadini condizioni giurisdizionali non meno favorevoli di quelle analoghe disciplinate dal diritto UE (principio di equivalenza).
Ciò detto, secondo la Corte di Giustizia UE il combinato disposto degli artt. 106 c.p.a., 395 c.p.c. e 396 c.p.c. rispetta il
principio di equivalenza.
Anche sotto il profilo dell’effettività (art. 19 par. 1 comma 2 TUE), la Corte di Giustizia UE ritiene che il sistema processuale italiano non renda impossibile o eccessivamente difficile, nel diritto della concorrenza, l’esercizio dei diritti conferiti ai singoli dal diritto UE. In tale ottica, è ammissibile un sistema che preveda che sia il Consiglio di Stato (e non la Corte di Giustizia) a pronunciarsi in ultima istanza sul ricorso dell'interessato, dopo una decisione resa in via pregiudiziale della Corte di Giustizia sulla interpretazione corretta di specifiche norme di diritto unionale.
Il fatto che un organo giurisdizionale terzo, imparziale e precostituito per legge, emetta la propria decisione dopo aver ricevuto la risposta alle questioni che lo stesso aveva sottoposto alla Corte in merito all’interpretazione di una certa disposizione del trattato o di altre norme sovranazionali direttamente applicabili soddisfa, secondo i Giudici europei, la condizione relativa all’esistenza, nello Stato membro interessato, di un rimedio giurisdizionale che consenta di garantire il rispetto dei diritti che i singoli traggono dal diritto dell’Unione.
"Detto Stato membro può, di conseguenza, limitare la possibilità di chiedere la revocazione di una sentenza del suo organo giurisdizionale amministrativo di ultimo grado a situazioni eccezionali e tassativamente disciplinate, che non includano l’ipotesi in cui, ad avviso del singolo soccombente dinanzi a detto organo giurisdizionale, quest’ultimo non abbia tenuto conto dell’interpretazione del diritto dell’Unione fornita dalla Corte in risposta alla sua domanda di pronuncia pregiudiziale".
D’altronde, l’art. 19 par. 1 comma 2 TUE non obbliga gli Stati membri a prevedere un meccanismo di revocazione per violazione dell’interpretazione del diritto UE.
Secondo il Giudice europeo, anche alla luce dell’art. 267 TFUE, è il giudice di ultimo grado, quindi il Consiglio di Stato nel caso di specie, a dover assicurare che le proprie decisioni siano conformi all’interpretazione del diritto UE data dalla Corte di Giustizia UE e che le stesse, soprattutto, tengano conto dei fatti concreti relativi ad ogni controversia. Quindi, non è la Corte di Giustizia UE a dover chiarire (o suggerire) al Consiglio di Stato se e come applicare l’interpretazione fornita dalla prima al caso che ha originato il rinvio. Solo l’organo di ultima istanza è garante della corretta applicazione del diritto UE. Conclusione che rispetta anche l’art. 47 della Carta di Nizza.
La Corte di Giustizia aggiunge, infine, che i singoli cittadini, che ritengono di aver subito una violazione del diritto UE, possono comunque far valere la responsabilità dello Stato Membro, qualora vengano soddisfatte determinate condizioni (carattere sufficientemente qualificato della violazione ed esistenza di un nesso causale diretto tra tale violazione e il danno subito da tali soggetti).
Quindi, secondo la Corte di Giustizia UE, il risarcimento del danno da responsabilità per errata applicazione del diritto UE rappresenterebbe la tutela (a chiusura del sistema) nel caso in cui il giudice nazionale di ultima istanza applichi erroneamente il diritto UE e l’interpretazione fornita dal giudice europeo.
Conclusioni e osservazioni
Con la sentenza in commento la Corte di Giustizia UE ha fornito un interessante punto di vista sul rapporto tra giudice nazionale di ultima istanza e giudice europeo, spiegando che spetta solo al Consiglio di Stato adeguare la decisione del caso concreto all’interpretazione del diritto UE fornita dalla Corte di Giustizia UE. Se così non facesse, il rimedio non è la revocazione, ma la possibilità di domandare un risarcimento del danno per responsabilità dello Stato (nella veste di apparato giudiziario).
Tale decisione della Corte pone alcuni punti fermi che dovranno essere tenuti in considerazione dai giudici nazionali e dai ricorrenti. Innanzitutto, spetta al legislatore nazionale e non alla Corte di Giustizia UE individuare i rimedi processuali più idonei a garantire ai cittadini la tutela giurisdizionale necessaria ad assicurare il rispetto del diritto UE. Secondariamente, la Corte di Giustizia UE interpreta il diritto UE, limitandosi ad enunciare un principio, ma non decide sul caso concreto: spetta solo al giudice di ultimo grado, come il Consiglio di Stato nell'ambito della tutela dallo stesso apprestata, valutare se, nel caso concreto, il principio espresso dalla Corte di Giustizia UE sia applicabile oppure se, alla luce dei presupposti del caso di specie, sia non pertinente alla risoluzione del caso che ha originato il rinvio. D’altronde, la Corte di Giustizia UE interpreta il diritto UE, ma è il giudice nazionale a conoscere il diritto interno e le condizioni fattuali, con la conseguenza che solo quest’ultimo è preposto alla valutazione della fattispecie concreta, coadiuvato ma non sostituito dalla decisione della Corte di Giustizia UE.
In questa prospettiva, la scelta della Corte UE di ritenere non necessaria la previsione di un meccanismo revocatorio
ad hoc che tenga conto del rispetto dell’interpretazione fornita dalle sentenze europee, si mostra come rispettosa dei ruoli ed evita il rischio di un uso improprio ed eccessivo della revocazione a danno della certezza delle decisioni giuridiche. D’altronde, se si ammettesse la revocazione della sentenza per contrarietà al diritto dell’UE, si assisterebbe ad un aumento dell’uso di tale rimedio al fine di rimettere in discussione ogni decisione del Giudice di ultimo grado. Situazione, questa, similare al tentativo di introdurre un nuovo motivo per sottoporre le sentenze del Consiglio di Stato alla Corte di Cassazione per violazione del diritto europeo (poi risolto negativamente dalla stessa Corte di Giustizia UE).
É bene precisare che, nonostante la decisione della Corte di Giustizia UE in commento, il Consiglio di Stato ha un importante ruolo, ribadito dalla stessa Corte UE, nel valutare attentamente se, alla luce delle situazioni di fatto, il principio espresso dal giudice europeo sia o meno applicabile e valido per risolvere il caso concreto. Potrebbe infatti capitare che la risposta al quesito pregiudiziale data dalla Corte di Giustizia non si attagli alla risoluzione del caso concreto, considerando gli elementi fattuali specifici. Proprio per questo, bisogna concentrare l’attenzione sulla responsabilità del Giudice di ultimo grado della giustizia amministrativa, che non deve sentirsi obbligato ad applicare l’interpretazione fornita dalla Corte di Giustizia “ad ogni costo”, ma deve, invece, trovare la soluzione che, alla luce della posizione del giudice europeo, risolva il caso concreto nel rispetto degli elementi di fatto e di diritto relativi a quella fattispecie in particolare. Solo in tale ottica, cioè aumentando la responsabilità del giudice del caso concreto, può essere in effetti intesa e condivisa la non necessità, riscontrata dalla Corte di Giustizia, di prevedere la revocazione per violazione dell’interpretazione del diritto UE.
D'altra parte, è probabilmente vero che il rimedio del risarcimento del danno per responsabilità dello Stato nel non aver applicato il diritto UE sia meno efficiente rispetto al corretto agire del Giudice di ultima istanza, in quanto un conto è scongiurare "in corsa" il consolidamento della violazione del diritto dell’Unione, un altro è costringere il danneggiato ad avviare un nuovo procedimento (di natura risarcitoria); inoltre, il Consiglio di Stato, in relazione al suo ruolo e al suo rilievo ordinamentale, è in grado di decidere come e quando applicare l’interpretazione fornita dal giudice europeo, eventualmente distanziandosene.
In ogni caso, sarà interessante vedere se il legislatore valuterà prima o poi la possibilità di inserire nel codice di rito un rimedio ad hoc per contestare le sentenze definitive, qualora sia manifesta l’errata applicazione del diritto dell’UE come interpretato dalla Corte di Giustizia, magari limitando l'operatività del rimedio alla revocazione delle pronunce rese a seguito di rinvio in via pregiudiziale alla Corte e che non si siano però conformate al principio di diritto espresso dall'organo giurisdizionale dell'Unione europea.