GUP di Trapani, sentenza di non luogo a procedere n. 24 del 3 febbraio 2022
IL CASO E LA DECISIONE
A un albergatore veniva imputato il reato di cui all’art. 314 c.p., commesso in più riprese tra gli anni 2017 e 2018, per essersi appropriato di somme di denaro “pubbliche”, in qualità di intermediario e agente contabile di fatto, deputato, per conto dell’amministrazione comunale, alla riscossione e successivo versamento degli importi corrispondenti alla tassa di soggiorno pagata dagli ospiti della struttura ricettiva al Comune beneficiario.
In particolare, l’albergatore, dopo avere incassato tali somme, aveva omesso di procedere ai relativi e dovuti versamenti nei termini normativamente previsti.
A seguito della richiesta di rinvio a giudizio, il Giudice per l’udienza preliminare ha emesso sentenza di non luogo a procedere per insussistenza del fatto.
Invero, nelle more della trattazione del procedimento penale, è intervenuta la norma di cui all’art. 5 quinquies del d.l. n. 146 del 2021, convertito dalla L. n. 215 del 2021, che ha stabilito che la disposizione in base alla quale è stata attribuita la qualifica di responsabile del pagamento dell’imposta di soggiorno al gestore della struttura ricettiva, con diritto di rivalsa sui soggetti passivi – e definito la relativa disciplina sanzionatoria – deve considerarsi applicabile anche retroattivamente.
Da ciò, il Giudice ha inferito che la modifica sostanziale, già intervenuta dopo il 19 maggio 2020 (per effetto dell’inserimento all’interno dell’art. 4 del d.lgs. n. 23 del 2011 del comma 1-ter), del rapporto intercorrente tra gestore della struttura ricettiva e ente impositore – da rapporto di “servizio” per la riscossione dell’imposta a rapporto di natura tributaria in cui il gestore ha assunto il ruolo di responsabile d’imposta –, deve adesso considerarsi estesa anche ai fatti antecedenti al 19 maggio 2020.
Ciò, in quanto la qualifica soggettiva di responsabile d’imposta attribuita retroattivamente all’albergatore, e dunque per tutti i fatti di omesso, ritardato o parziale versamento dell’imposta di soggiorno, ha eliminato anche per il passato la veste giuridica di incaricato di pubblico servizio.
In altri termini, il GUP di Trapani ha applicato la norma intervenuta in termini di interpretazione autentica dell’intero “sistema”, tale cioè da elidere definitivamente la responsabilità penale dell’albergatore per fatti di appropriazione della tassa di soggiorno, e ha ritenuto giustificata la retroattività della disposizione, sul piano della ragionevolezza.
PECULATO, ALBERGATORI E QUALIFICA
Il delitto di peculato ha lo scopo di tutelare, allo stesso tempo, sia il corretto andamento che gli interessi patrimoniali della Pubblica amministrazione.
Esso consiste, nella sostanza, in una appropriazione indebita (delitto a sua volta autonomamente punito dall’art. 646 c.p.) perpetrata da un pubblico ufficiale o da un incaricato di pubblico servizio, di una cosa mobile che abbia un valore giuridicamente apprezzabile, in coerenza con il principio di offensività.
Può realizzarsi sia con una definitiva appropriazione che con un uso momentaneo e una immediata restituzione della cosa (peculato d’uso, art. 314, comma 2 c.p.), ma, quando la cosa mobile è una somma di danaro, non è mai configurabile il peculato d’uso, dal momento che la natura fungibile del danaro non consente dopo l'uso la restituzione della stessa cosa, ma solo del tantundem, irrilevante ai fini dell'integrazione della ipotesi attenuata.
Accanto alla qualifica necessaria di uno dei soggetti che compiono l’azione (si tratta di un reato proprio, seppure non esclusivo), per la configurazione della fattispecie delittuosa di cui all’art. 314 c.p. deve sussistere anche un presupposto giuridico e fattuale, che è dato dal possesso o dalla disponibilità del denaro e/o della cosa mobile in capo al pubblico ufficiale o all’incaricato di pubblico servizio, dovendosi intendere tale disponibilità come la possibilità di disporre, al di fuori dell’altrui sfera di vigilanza, della cosa sia in virtù di una situazione di fatto, sia in conseguenza della funzione giuridica esplicata dall’agente nell’ambito dell’amministrazione.
Si discute peraltro sul titolo che deve qualificare la disponibilità o il possesso, ravvisandosi tale titolo, secondo alcuni, in qualunque circostanza derivante dalle mansioni svolte, secondo altri, con riferimento esclusivo alla competenza funzionale esercita dal soggetto agente, con esclusione di ogni situazione di mera occasionalità.
L’appartenenza del denaro alla Pubblica amministrazione va determinata in relazione all’utilizzo finale del denaro in possesso, di modo che tale denaro deve già essere considerato “pubblico” al momento dell’incameramento, e, quindi, anteriormente alla consegna, mediante versamento, all’ente pubblico destinatario.
Prima della modifica normativa del 2020, che ha disposto l'inserimento del comma 1-ter nell’art. 4 del d.lgs. n. 23 del 2011, si riteneva la sussistenza del delitto di peculato, nel caso di albergatore che si appropriava del quantum dovuto dal cliente al Comune dove era ubicata la struttura ricettiva a titolo di imposta di soggiorno, sull'assunto che lo svolgimento dell'attività ausiliaria di responsabile della riscossione e del versamento, strumentale all'esecuzione dell'obbligazione tributaria intercorrente tra l'ente impositore e il cliente della struttura, avrebbe determinato l'attribuzione della qualifica di incaricato di pubblico servizio al soggetto privato a cui era stata demandata la materiale riscossione dell'imposta.
Invero, la qualità di incaricato di pubblico servizio era stata ritenuta sussistente in capo al gestore della struttura alberghiera, anche in assenza di preventivo specifico incarico da parte della pubblica amministrazione, trattandosi di agente contabile e non di un sostituto di imposta, incaricato dell'espletamento di un'attività ausiliaria nei confronti dell'ente impositore ed oggettivamente strumentale all'esecuzione dell'obbligazione tributaria intercorrente in via esclusiva tra il Comune ed il soggetto alloggiante nella struttura ricettiva.
Altro principio condiviso dalla giurisprudenza di legittimità, era che ogni imputazione delle somme riscosse dai contribuenti alla copertura di voci di altra natura, esulanti dal fine pubblico per il quale erano state versate e ricevute, integrasse la condotta appropriativa di cui all'art. 314 c.p., dal momento che il denaro entrava nella disponibilità della pubblica amministrazione nel momento stesso dell'incasso dell'imposta di soggiorno da parte del gestore.
Con la modifica normativa del 2020, il gestore della struttura è stato invece individuato quale responsabile del pagamento dell'imposta (figura prevista e definita dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 64), e sottoposto alle sanzioni amministrative derivanti dal mancato versamento della stessa.
Secondo l’interpretazione fornita dalla Corte di Cassazione, prima della novella del 2020 il gestore raccoglieva e custodiva il denaro (pubblico) versato dai clienti a titolo di imposta di soggiorno per poi riversarlo all'ente titolare della riscossione, mentre oggi deve versare il tributo a prescindere dal pagamento ad opera degli ospiti della struttura ricettiva, sui quali può esercitare diritto di rivalsa secondo modalità tipiche della figura del responsabile d'imposta di cui all'art. 64 TUIR.
Ma la modifica del quadro di riferimento normativo di natura extra-penale che regola il versamento dell'imposta di soggiorno non ha comportato inizialmente un fenomeno di abolitio criminis, poiché tale effetto si determina solo quando la modifica riguardi norme realmente integratrici della legge penale, come quelle di riempimento di norme penali in bianco o le norme definitorie, ma non anche le norme richiamate da elementi normativi della fattispecie penale, come quelle su cui ha inciso la vicenda normativa esaminata.
D’altra parte, i Giudici di ultimo grado hanno ritenuto che il legislatore, nel caso di specie, non avesse inteso incidere su un elemento strutturale del delitto di peculato, e non avesse di conseguenza modificato la fattispecie astratta, ma soltanto fatto venire meno, in concreto, la qualifica pubblicistica del gestore.
Tuttavia, con l’entrata in vigore della disposizione formalmente definita di “interpretazione autentica” di cui all’art. 5-quinquies del d.l. n. 146 del 2021, il legislatore ha voluto investire sia la componente precettiva della disciplina afferente all’imposta di soggiorno, sia quella propriamente sanzionatoria, rendendo applicabili anche ai fatti pregressi (cioè anteriori al 19 maggio 2020) gli effetti della disciplina a suo tempo introdotta per l’illecito amministrativo-tributario, in deroga al principio di retroattività di cui all’art. 1 della L. n. 689 del 1981.
Tale disposizione contiene dunque una norma innovativa e non di interpretazione autentica, con effetto di retroattività sia riguardo all’estensione di una qualifica soggettiva (di responsabile d’imposta in capo al gestore della struttura ricettiva) che alla dimensione applicativa della relativa disciplina sanzionatoria in sede tributaria.
Il legislatore, in altri termini, non ha introdotto contenuti ricognitivi del significato di termini o concetti il cui alveo semantico fosse stato frainteso nell'ambito del "diritto vivente", ma ha semplicemente innovato alcuni profili della disciplina normativa dell’imposta di soggiorno, stabilendone l’efficacia retroattiva.
Ad ogni modo, resta il dubbio sulla ragionevolezza (e dunque sulla costituzionalità) di una siffatta operazione; la sentenza di primo grado in commento, sul punto, non ha offerto particolari spunti di riflessione, ma la Corte di cassazione, recentemente, ha parlato di una soluzione esegetica imposta dal ius superveniens, in sé non irragionevole – nonostante si diriga verso una determinata categoria di attività imprenditoriali e un determinato settore economico-commerciale -, dal momento che lo scopo del legislatore è stato quello di porre riparo ad una complessiva situazione di incoerenza obiettivamente determinatasi nell’ordinamento a seguito della precedente riforma del 2020.
Invero, l’applicazione di tale riforma aveva comportato il prodursi della singolare situazione per cui, alla diversa qualità soggettiva della persona, si ricollegavano due diversi statuti, anche di natura penalistica, di modo che al cambiamento della qualità conseguiva anche il cambiamento dello statuto, che tuttavia non poteva operare in via retroattiva per l’assenza di un’apposita regola di diritto intertemporale.