Corte europea dei diritti dell'uomo, sentenza del 7 ottobre 2021 (ricorso n. 41994/21)
IL CASO E LE VIOLAZIONI DENUNCIATE
Un cittadino francese ha presentato alla Corte europea un esposto contro il contenuto delle norme con cui il suo Stato ha stabilito le misure generali necessarie per garantire e gestire la via di uscita dalla crisi sanitaria connessa alla pandemia da covid-19.
Il regime transitorio concepito dalla Repubblica francese per far cessare lo stato di emergenza tuttora vigente – come contestato dal ricorrente – ha comportato, tra l’altro, la limitazione dell’utilizzo dei trasporti pubblici e l’introduzione di un dispositivo costituito da un pass sanitario, necessario fino al 15 novembre 2021 per accedere e lavorare nell’ambito di tutta una serie di attività della vita quotidiana.
Il mancato rispetto di tali norme, in termini di non presentazione o utilizzazione fraudolenta del pass sanitario, è punito con una serie di sanzioni.
Il ricorrente ha invocato gli articoli 3, 8 e 14 della Convenzione, e altresì il primo articolo del protocollo n. 12.
In particolare, secondo il cittadino francese, la normativa da lui contestata sarebbe essenzialmente finalizzata a obbligare alla vaccinazione e le misure ritorsive previste nei confronti di chi non si procura il pass sanitario provocherebbero intense sofferenze psichiche e morali senza che vi sia necessità medica, e in un periodo storico in cui i vaccini disponibili sarebbero ancora in una fase di sperimentazione clinica.
Le leggi contestate, imponendo un sistema di “lasciapassare sanitario”, costituirebbero inoltre una ingerenza discriminatoria nel diritto al rispetto della vita privata, che da un lato non sarebbe né prevista né prevedibile dalla legge, e dall'altro non perseguirebbe un motivo legittimo di ordine pubblico, oltre a non essere necessaria in una società democratica.
LA SOLUZIONE DELLA CORTE
La Corte adita ha osservato, innanzitutto, che, pur avendo l’opposizione alle misure contestate dato luogo a manifestazioni pubbliche di protesta in Francia, il ricorso non concerne né il diritto alla libertà di espressione né il diritto alla libertà di associazione di cui agli articoli 10 e 11 della Convenzione.
La Corte ha altresì rilevato che il ricorrente non aveva proposto, prima di adire il Giudice europeo, impugnazioni contro gli atti regolamentari applicativi delle leggi contestate, in quanto, secondo costui, la dichiarazione di conformità a Costituzione di tali legge da parte del Consiglio costituzionale francese – consultato in via preventiva – gli avrebbe precluso la possibilità di disporre di rimedi effettivi di tutela giurisdizionale interna.
In altre parole, il cittadino francese avrebbe agito direttamente dinanzi alla Corte Europea dei diritti dell’uomo, perché le stesse leggi contestate, già considerate nei loro aspetti controversi legittime secondo il diritto francese, sarebbero state in realtà “convenzionalmente non conformi”.
Tuttavia, il Giudice europeo ha rammentato che il meccanismo di tutela instaurato dalla Convenzione ha un carattere sussidiario rispetto ai sistemi nazionali di garanzia dei diritti dell’uomo, e che la Corte non può sostituirsi – prima dell’esaurimento dei rimedi interni – ai singoli Stati nazionali, i quali rinvengono una legittimità democratica diretta per ciò che concerne la protezione dei diritti dell’uomo e si trovano in una posizione migliore del Giudice sovranazionale per valutare i bisogni e i contesti locali.
D’altra parte, secondo la Corte, la regola dell’obbligo pregiudiziale di esaurimento delle “vie interne” di ricorso si basa sull’ipotesi che l’ordinamento dei singoli Stati offra una tutela effettiva rispetto alla violazione allegata.
I soggetti desiderosi di valersi della competenza di controllo dei Giudici europei devono dunque prima adire i tribunali nazionali, e in particolare devono farlo quando si tratta di invocare la violazione dell’art. 8 – come nel caso di specie -, trattandosi di questioni complesse e delicate che concernono un bilanciamento da effettuare tra i diritti e gli interessi in gioco, bilanciamento che vede, come detto, in migliore posizione valutativa la giurisdizione interna.
Al riguardo, la Corte adita ricorda che nel diritto francese i ricorsi per eccesso di potere rappresentano una via di tutela interna adeguata e disponibile – a cui si affianca la possibilità di arrivare fino in Cassazione -, la cui chance di successo non è inficiata dall’intervento preventivo del Consiglio costituzionale, che non si pronuncia sulle disposizioni della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, ma semplicemente sulla conformità di una legge a Costituzione.
In altre parole, il controllo del rispetto della Convenzione è in ogni caso affidato al giudice di merito, di modo che un atto regolamentare o una decisione individuale presa in applicazione di una legge di cui è stata dichiarata la conformità alle disposizioni costituzionali interne può essere comunque giudicato/a incompatibile con il rispetto dei diritti garantiti dalla CEDU con riguardo, ad esempio, al suo carattere sproporzionato in rapporto alle circostanze di causa.
Sotto altro profilo, la Corte ha evidenziato che, perché un ricorrente si presenti come “vittima” della violazione di un diritto protetto dalla Convenzione, deve produrre indizi ragionevoli e convincenti del fatto di essere stato coinvolto personalmente dalla presunta violazione, non essendo sufficienti al riguardo dei semplici sospetti o delle congetture.
Nel caso di specie, il ricorrente si è lamentato in astratto dell’insufficienza e dell’inadeguatezza delle misure prese dallo Stato francese nella lotta contro il contagio virale ma non ha fornito, secondo la Corte, alcuna informazione sulla sua situazione personale e non ha spiegato concretamente in che misura le carenze allegate sarebbero suscettibili di lederlo direttamente, anche in relazione a specifiche peculiarità della sua condizione personale.
Il ricorso è stato dunque dichiarato irricevibile, anche se la conclusione in rito non ha impedito alla Corte europea di svolgere delle considerazioni di “contorno” sul merito della vicenda.
In particolare, i Giudici aditi, così come già aveva fatto il
Conseil constitutionnel, hanno ritenuto di precisare che la normativa francese sul green pass non introduce una nuova vaccinazione obbligatoria, dal momento che la certificazione necessaria per accedere ad alcuni luoghi può essere ottenuta in tre diverse modalità, né è possibile ipotizzare che vi sia stata una violazione della privacy (intesa quale libertà di autodeterminazione) del ricorrente, non risultando che egli sia stato messo davanti al dilemma di porre in essere un comportamento contrastante con le proprie intime convinzioni oppure subire una sanzione, e posto che l’esibizione del green pass è un obbligo richiesto tanto ai soggetti vaccinati quanto ai soggetti non vaccinati.