Tribunale di Udine, sentenza n. 455 del 2021
IL CASO
Una donna e un uomo si incontrano vicino ad un torrente. Lui l'aiuta a cercare il cellulare di lei, ed imbastisce nel frattempo una conversazione. Poi le rivolge diversi apprezzamenti fisici e le mette una mano sul seno.
La donna, che era insieme al suo bambino, si limita a spostare la mano dell'uomo dal suo corpo, temendo di far spaventare suo figlio con una diversa reazione.
Ma l'uomo insiste e rimette la sua mano sul seno, non continuando nella sua condotta soltanto per il veloce allontanamento di mamma e figlio verso un luogo meno isolato.
Il Giudice penale, ad esito del dibattimento, crede alla versione della denunciante e condanna l'imputato alla pena di due anni e otto mesi per il reato di violenza sessuale.
In particolare, il Tribunale procedente, dopo avere ricordato che l'accertamento della penale responsabilità, in un caso come quello affrontato, può essere sorretto anche dalla sola testimonianza della persona offesa, qualora intrinsecamente attendibile, ha individuato nel palpeggiamento improvviso gli estremi del reato previsto e punito dall'art. 609-bis c.p..
Sotto il profilo dell'elemento oggettivo, gli atti sessuali subiti sono anche quelli compiuti improvvisamente all'insaputa della persona destinataria, in modo da poterne prevenire una eventuale manifestazione di dissenso, e che siano idonei a compromettere la libera determinazione della sessualità della persona o ad invaderne la sfera sessuale con modalità che sono variamente connotate da costrizione, sostituzione ingannevole di persona e abuso di inferiorità fisica o psichica, ivi compresi gli atti insidiosi e rapidi, che riguardino zone erogene su persona non consenziente.
Sotto il profilo dell'elemento soggettivo, è sufficiente il dolo generico, non richiedendosi che l'atto sessuale sia finalizzato al soddisfacimento del piacere erotico.
In altri termini, proprio come accaduto nel caso affrontato dal Tribunale di Udine, è sufficiente ad integrare il delitto di violenza sessuale l'aggressione fisica (tramite provocazione di contatto, cioè) di zone erogene della vittima, anche se tale aggressione è soltanto indice della volontà di costringere l'altro a subire una intromissione fisica su parti del corpo da ritenersi a più elevata connotazione sessuale, e magari costituisce il completamento "materiale" e repentino di una avance verbale che, ad esito della negativa e successiva reazione della vittima, non trova corrispondenza d'intenti.
I REATI DI VIOLENZA SESSUALE
Il delitto di violenza sessuale è previsto nel nostro codice penale dall’art. 609-bis.
E’ un reato di condotta che si compone di due segmenti, tra di loro intimamente connessi: il primo, di costrizione mediante violenza, minaccia o abuso di autorità; il secondo, consistente nel fare o subire, da parte della vittima, e in conseguenza della costrizione, atti sessuali.
Accanto alla condotta di costrizione, sussiste un’ulteriore fattispecie di violenza sessuale, disciplinata dal comma secondo dell’art. 609-bis c.p., e caratterizzata dall’induzione.
Si tratta di una modalità di aggressione del bene protetto complessa e “delicata”, perché l’induzione a praticare atti sessuali non è sempre e in quanto tale punibile – restando nella sfera del penalmente lecito tutte le condotte persuasive non particolarmente insidiose -, ma soltanto quando si abusi delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto o la si tragga in inganno, per essersi il colpevole sostituito ad altra persona.
In altri termini, le condotte decettive non sono sempre punibili ai sensi dell’art. 609-bis c.p., ma soltanto se arrivano a sfruttare un’oggettiva condizione di inferiorità della vittima o a indurla in errore incolpevole sull’identità personale del soggetto attivo.
L’elemento soggettivo è il dolo generico, e consiste nella consapevolezza e volontà di intromettersi nella sfera sessuale della persona offesa senza il suo consenso (anche gli atti repentini e insidiosi sono sinonimi di violenza, secondo giurisprudenza consolidata), o comunque di sfruttare, a tale fine, una condizione di inferiorità o di inganno qualificata.
Il bene giuridico tutelato, dopo la riforma del 1996, è stato individuato nella libertà personale e non più nell’asfittica categoria della lesione della moralità pubblica e del buon costume, così da attribuire alla fattispecie un ambito di applicazione più vasto rispetto a quello tradizionale.
La nozione centrale e maggiormente dibattuta del reato di cui all’art. 609-bis è quella di “atti sessuali”.
In giurisprudenza, è prevalsa la definizione di atto sessuale, ai fini penalistici, come di qualsiasi atto che, risolvendosi in un contatto corporeo, ancorché fugace ed estemporaneo, tra soggetto attivo e soggetto passivo, ovvero in un coinvolgimento della corporeità sessuale di quest'ultimo, sia idoneo e finalizzato a porre in pericolo la libera autodeterminazione della sfera sessuale.
La valutazione del giudice sulla sussistenza dell'elemento oggettivo non deve peraltro fare riferimento unicamente alle parti anatomiche aggredite ed al grado di intensità fisica del contatto instaurato, ma deve tenere conto anche dell'intero contesto in cui il contatto si è realizzato e della dinamica intersoggettiva, esaminando la vicenda con un approccio interpretativo di tipo sintetico: di conseguenza, possono costituire un'indebita intrusione fisica nella sfera sessuale non solo i toccamenti delle zone genitali, ma anche quelli delle zone ritenute "erogene" - ossia in grado di stimolare l'istinto sessuale - dalla scienza medica, psicologica ed antropologico-sociologica (si intende in particolare per zone erogene l'area della pelle o delle mucose, la cui stimolazione produce sensazioni piacevoli ed eccitazione sessuale).
La corretta definizione di “atto sessuale” influisce anche sulla distinzione tra la fattispecie consumata e la fattispecie tentata, in quanto una condotta sessualmente insidiosa che però non attinga a zone erogene – come può essere un tentato bacio sulla bocca che si fermi sulla guancia per la reazione della persona offesa, o uno sfioramento del ginocchio non portato ad estreme conseguenze – non vale a perfezionare il reato.
Accanto al delitto di violenza sessuale nella sua versione monosoggettiva, si pone, quale disposizione incriminatrice autonoma, seppure con un esplicito richiamo agli “atti di violenza sessuale di cui all'articolo 609-bis”, la fattispecie di violenza sessuale di gruppo, prevista e punita dall’art. 609-octies c.p..
Ai fini della configurabilità di tale reato, è necessario che più persone riunite partecipino alla commissione del fatto.
Si tratta di una fattispecie autonoma di reato necessariamente plurisoggettivo proprio, in cui la pluralità di agenti è richiesta come elemento costitutivo.
La previsione di un trattamento sanzionatorio più grave si connette proprio al riconoscimento di un peculiare disvalore alla partecipazione simultanea di più persone, in quanto una tale condotta partecipativa imprime al fatto un grado di lesività più intenso sia rispetto alla maggiore capacità di intimidazione del soggetto passivo ed al pericolo della reiterazione di atti sessuali violenti (anche attraverso lo sviluppo e l'incremento di capacità criminali singole) sia rispetto ad una più odiosa violazione della libertà sessuale della vittima nella sua ineliminabile essenza di autodeterminazione.
La contemporanea presenza di più di un aggressore è idonea a produrre, infatti, effetti fisici e psicologici particolari nella parte lesa, eliminandone o riducendone la forza di reazione.
Non è tuttavia richiesto che tutti i componenti del gruppo compiano atti di violenza sessuale, essendo sufficiente che dal compartecipe sia comunque fornito un contributo causale, materiale o morale, alla commissione del reato, né è necessario che i componenti del gruppo assistano al compimento degli atti di violenza sessuale, essendo sufficiente la loro presenza nel luogo e nel momento in cui detti atti vengono compiuti, anche da uno solo dei compartecipi, atteso che la determinazione di quest'ultimo viene rafforzata dalla consapevolezza della presenza del gruppo.
Il concetto di "partecipazione", quindi, non può essere limitato nel senso di richiedere il compimento, da parte del singolo, di un'attività tipica di violenza sessuale (ciascun compartecipe, cioè, dovrebbe porre in essere, in tutto o in parte, la condotta descritta nell'art. 609-bis c.p.), dovendo invece - secondo un'interpretazione più aderente alle finalità perseguite dal legislatore - ritenersi estesa la punibilità (qualora sia comunque realizzato un fatto di violenza sessuale) a qualsiasi condotta partecipativa, tenuta in una situazione di effettiva presenza non da mero "spettatore", sia pure compiacente, sul luogo ed al momento del reato, che apporti un reale contributo materiale o morale all'azione collettiva.
Ad esempio, è stata giudicata "partecipazione" penalmente rilevante la presenza di un soggetto nel luogo della perpetrata violenza sessuale durante tutto il tempo in cui si verificavano i fatti, in quanto questi, pur non compiendo atti sessuali, realizzava un video dei fatti criminali, manifestando così una chiara adesione alla violenza di gruppo e rafforzando il proposito criminoso del gruppo stesso.
E' stata altresì recentemente ritenuta punibile ai sensi dell’art. 609-octies c.p. la condotta della madre adottiva che accompagna il minore nella stanza da letto del suo “carnefice”, così, contribuendo, con la sua presenza e la sua piena adesione alla violenza, a renderla possibile, tramite l'abbattimento della capacità di difesa e di autodeterminazione della vittima.
La sussunzione dei fatti nell'ambito dell'art. 609 octies c.p. è stata ritenuta in questo caso conforme a diritto, in quanto il rapporto causale rilevante, ai sensi di tale disposizione, non va inteso necessariamente quale causalità in senso strettamente materiale, ben potendo apprezzarsi un contributo causale in termini di concorso morale, a condizione che sia rispettata l'ulteriore condizione della contestualità spaziale.
Al riguardo, e sotto concorrente profilo, la giurisprudenza di legittimità è altresì ferma nello stabilire che l'attenuante contemplata dall'art. 609 bis c.p., comma 3 (“casi di minore gravità”) è logicamente incompatibile con la fattispecie di reato disciplinata dall'art. 609 octies c.p.., di modo che con riferimento al delitto in esame operano solo la circostanza attenuante speciale per il partecipante il cui contributo abbia avuto minima importanza nella preparazione o nella esecuzione del reato laddove si sia trattato di un contributo di marginale efficienza eziologica, del tutto trascurabile nell'economia generale della condotta criminosa, nonché le altre attenuanti previste dall'art. 609-octies c.p., comma 4.
Emerge, pertanto, una sostanziale diversità rispetto agli atti di violenza sessuale monosoggettiva, tale da rendere non proponibile una diretta comparazione tra il trattamento sanzionatorio riservato ai due reati e, per tale ragione, l'omessa previsione dell'attenuante dei casi di minore gravità non può quindi essere ritenuta espressione di una scelta del legislatore palesemente irragionevole, arbitraria o ingiustificata, contrastante con gli artt. 3 e 27 Cost., malgrado la latitudine dei comportamenti in astratto idonei ad integrare gli atti sessuali che costituiscono l'elemento materiale di entrambi i reati.
Occorre da ultimo ricordare che la condotta di violenza sessuale può concorrere con quella caratteristica di altri reati normalmente assorbiti nella necessaria temporanea lesione dell’autodeterminazione e nella violenza necessaria per compiere tale lesione.
Se con riferimento al concorso con il reato di percosse soccorre la disposizione di cui all’art. 581, comma 2 c.p., secondo cui “tale disposizione non si applica quando la legge considera la violenza come elemento costitutivo o come circostanza aggravante di un altro reato”, la Corte di cassazione ha recentemente precisato che possono concorrere tra di loro il reato di violenza sessuale e il reato di sequestro di persona, nel caso in cui la privazione della libertà personale si protragga anche nel tempo anteriore o successivo alla costrizione necessaria a compiere gli atti sessuali.