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Alle Sezioni Unite la questione della decorrenza del termine per la riassunzione del processo in caso di fallimento ex art 43, comma 3, l.f.

A cura di Paolo Nasini • 27 dicembre 2020

Nota a Cass. civ., sez. I, ord., 12/10/2020 , n. 21961.


1. Premessa.

La Prima sezione civile della Corte di Cassazione, con ordinanza 12 ottobre 2020 n. 21961, ha rimesso al Primo presidente la valutazione se vada devoluta alle Sezioni Unite la dibattuta questione inerente l'individuazione del dies a quo per la riassunzione del giudizio nel caso di interruzione ex art. 43, comma 3, I. fall., con riferimento alla parte che non sia fallita.

Il provvedimento origina da una controversia instaurata, in primo grado, da una società nei confronti di un istituto di credito, al fine di ottenere la condanna di quest’ultimo alla ripetizione dell'indebito relativo a interessi usurari e anatocistici.

Il Tribunale di Siena, in accoglimento della domanda, ha condannato la banca convenuta alla restituzione della somma di Euro 56.246,90, oltre interessi legali.

A seguito dell’appello proposto dall’istituto di credito, quest’ultimo, essendo medio tempore intervenuta l'interruzione del giudizio a seguito della dichiarazione di fallimento della società appellata, ha provveduto alla riassunzione del processo.

La procedura fallimentare, costituitasi in giudizio, d’altronde, ha eccepito la tardività della riassunzione e, quindi, l'estinzione del giudizio.

La Corte di appello di Firenze, in data 24 marzo 2016, in accoglimento della suddetta eccezione ha, con sentenza, dichiarato estinto il giudizio, asserendo che, in applicazione dell’ipotesi di “interruzione «automatica»”, ex d.lgs. n. 5 del 2006, il ricorso in riassunzione depositato il 29 aprile 2015 e notificato alla curatela il 25 giugno 2015 risultava essere intempestivo anche a voler considerare il termine di mesi sei e non quello trimestrale.

In particolare, la Corte ha valorizzato il fatto che il fallimento della società era stato dichiarato con sentenza del 16 aprile 2014, che la banca risultava aver ricevuto l'avviso ex art. 93 I. fall. (rectius: art. 92 I. fall.) in data 3 maggio 2014 e aver provveduto, il 10 giugno 2014, a sottoscrivere la domanda di ammissione al passivo; che l’istituto di credito, altresì, nulla aveva eccepito all'udienza di precisazione delle conclusioni del 3 dicembre 2015, sicché, ai sensi dell'art. 115 c.p.c., la conoscenza legale del fallimento di OCMA alla data del 3 maggio 2014 doveva «considerarsi risultante anche nel processo in cui la relativa eccezione [era] stata fatta valere».

La Banca, quindi, ha proposto ricorso per Cassazione lamentando che:

- il dies a quo per la riassunzione dovesse essere individuato avendo riguardo alla conoscenza legale dell'evento interruttivo (nel caso di specie, solo all'udienza del 9 dicembre 2014, quando la Corte di merito ha dichiarato l'interruzione del procedimento);

- il termine di tre mesi di cui all'art. 305 c.p.c., nuova formulazione, opera solo nei giudizi introdotti in primo grado dopo il 4 luglio 2009 e, ai fini della tempestività della riassunzione, occorre guardare al momento del deposito del ricorso proposto dalla parte interessata a riattivare il procedimento;

- l'art. 43, comma 3, I. fall., nella versione vigente, non è applicabile in quanto il giudizio di merito è stato introdotto prima della riforma della legge fallimentare;

- la Banca, pur avendo ricevuto l'avviso ex art. 92 I. fall. in data 10 giugno 2014, aveva contestato le conseguenze giuridiche che da tale comunicazione la controparte intendeva far discendere, con conseguente inapplicabilità dell’art. 115 c.p.c.

La Corte di Cassazione, quindi, chiamata a pronunciarsi sul tema, ampiamente dibattuto, della decorrenza per la riassunzione del giudizio nel caso di interruzione ex art. 43, comma 3, l. fall., ha ritenuto necessario rimettere la questione al Primo Presidente e ciò, espressamente, al fine di consentire l’adozione di posizione univoche, da parte della Suprema Corte, su di un tema di rilevantissima dimensione pratica.


2. La questione.

In primo luogo, occorre rammentare che l'art. 41, d.l. 9 gennaio 2006, n. 5, ha aggiunto all’art. 43, l. f., un terzo comma ai sensi del quale <<l'apertura del fallimento determina l'interruzione del processo>>.

La previsione che precede integra un’ipotesi di interruzione di diritto avente, quindi, effetto automatico, senza che sia necessaria la dichiarazione dell'evento interruttivo. La normativa fallimentare costituisce una disciplina speciale rispetto a quella prevista dall'art. 300 c.p.c., poiché, in forza di quest’ultimo, l’effetto interruttivo può prodursi solo nell'ipotesi in cui il procuratore della parte interessata ne faccia specifica dichiarazione. Al contrario, l’art. 43 citato determina un automatismo, che sottrae la facoltà di allegazione alla parte, per rendere l'interruzione operante ipso iure.[1]

Dato l’effetto interruttivo “automatico”, si ritiene che la norma così introdotta sia applicabile anche ai giudizi già pendenti al momento dell’entrata in vigore della stessa.[2]

Il problema che, da sempre, si è posto nei casi di interruzione “automatica”, è quello relativo al momento a partire dal quale decorre il termine, prima di sei mesi, ora di tre[3], per la riassunzione del processo.

Ai sensi dell’art. 305 c.p.c., infatti, il processo deve essere proseguito o riassunto entro il termine perentorio di tre mesi dall’interruzione, altrimenti si estingue.

Si pone, infatti, il problema di tutelare il diritto di difesa della parte estranea all’evento interruttivo, la quale, per poter tempestivamente riassumere il giudizio, deve conoscere o quantomeno essere messa in condizione di conoscere che il predetto evento si è verificato, e da quale momento decorre il termine, semestrale o trimestrale, per la riassunzione.

Al riguardo, la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 17 del 2010[4], nel ritenere non fondata la questione di legittimità costituzionale relativa all'art. 305 c.p.c.[5], ha rammentato che, secondo gli orientamenti della giurisprudenza costituzionale in materia di interruzione del processo civile, recepiti dalla giurisprudenza di legittimità, è da tempo acquisito il principio per cui nei casi di interruzione automatica del processo il termine per la riassunzione decorre non già dal giorno in cui l'evento interruttivo è accaduto, bensì dal giorno in cui esso è venuto a conoscenza della parte interessata alla riassunzione medesima.

In tal senso, la norma censurata non viola gli indicati parametri ove sia interpretata nel senso che, anche nell'ipotesi di interruzione automatica del processo per fallimento di parte costituita, fa decorrere il termine per la riassunzione, ad opera della parte interessata, dalla data di conoscenza dell'evento interruttivo.

Si tratta di problematica più volte affrontata dalla stessa Corte Costituzionale, la quale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 305 c.p.c. nella parte in cui faceva decorrere dalla data dell'interruzione del processo il termine per la sua prosecuzione e la sua riassunzione, anche nei casi regolati dal precedente art. 301 c.p.c. (in cui, appunto, l'interruzione opera automaticamente)[6], e nei casi di cui all’art. 299 c.p.c. (interruzione derivante dalla morte e dalla perdita della capacità della parte prima della costituzione)[7], e ciò in quanto avrebbe dovuto decorrere dal momento in cui dell'evento stesso abbia avuto conoscenza la parte interessata.

La Corte di Cassazione, “adeguandosi” alle indicazione della Corte Costituzionale, negli anni successivi alle predette pronunce, come ricordato dal Giudice delle Leggi nella citata sentenza n. 17 del 2010, ha affermato, in via tendenziale, che il termine per la riassunzione del processo interrotto decorre non già dal giorno in cui si è verificato l'evento interruttivo, bensì da quello in cui tale evento sia venuto in forma legale a conoscenza della parte interessata alla riassunzione, con la conseguenza che il relativo dies a quo può ben essere diverso per una parte rispetto all'altra.[8]

D’altronde, con precipuo riferimento alla portata applicativa del combinato disposto dell’art. 43, comma 3, l. f. e dell’art. 305 c.p.c., quest’ultimo come interpretato dalla Corte Costituzionale, nella giurisprudenza di Cassazione si è registrato un contrasto in conseguenza del quale è stata emessa l’ordinanza qui in commento.


3. Gli orientamenti giurisprudenziali contrastanti.

3.1. La conoscenza legale.

L’orientamento certamente maggioritario in giurisprudenza richiede, ai fini della decorrenza del termine per la riassunzione, la c.d. conoscenza legale dell’evento interruttivo, nel senso che occorrono degli atti muniti di fede privilegiata quali dichiarazioni, notificazioni o certificazioni rappresentative dell'evento medesimo[9], alle quali non è equiparabile la conoscenza di fatto altrimenti acquisita.[10]

Tale impostazione, che valorizza la conoscenza legale, è stata seguita dalla Suprema Corte anche per il caso di interruzione del giudizio determinata dal fallimento di una delle parti.[11]

Peraltro, nel caso in cui la riassunzione debba essere operata dal curatore fallimentare, il quale, essendo soggetto rimasto estraneo al giudizio interrotto, potrebbe ignorare l’esistenza di quest’ultimo, la Corte ha affermato che, ai fini del decorso del termine per la riassunzione, non è sufficiente la sola conoscenza – acquisita, come detto, non in via di mero fatto, ma per il tramite di una dichiarazione, notificazione o certificazione rappresentativa dell'evento interruttivo, assistita da fede privilegiata"- da parte del curatore fallimentare dell'evento interruttivo rappresentato dalla dichiarazione di fallimento, ma occorre anche la conoscenza dello specifico giudizio sul quale detto effetto interruttivo è in concreto destinato ad operare.[12]

Parimenti, anche con riferimento all’ipotesi di riassunzione ad opera della controparte del fallito, la Corte di Cassazione ha affermato che il termine per riassumere decorre dall'acquisizione di una conoscenza legale che deve avere ad oggetto tanto l'evento interruttivo, quanto il processo in cui tale evento viene a produrre i suoi effetti.[13]

La Corte di Cassazione, poi, in più di un’occasione, ha precisato che la conoscenza legale deve investire non già la parte personalmente, ma il suo difensore[14], quale soggetto in grado di apprezzare gli effetti giuridici dell'evento medesimo e di capire se e da quale momento decorre il termine per riassumere il giudizio.[15]

3.2. Conoscenza non legale.

La possibilità di attribuire importanza a una conoscenza non legale, ma effettiva, dell'evento interruttivo è stata di recente esplicitamente affermata da altra pronuncia di legittimità.[16]

La Cassazione, al riguardo, ha affermato che, in caso di interruzione del processo ipso jure, in conseguenza dell'apertura del fallimento ai sensi dell'art. 43, comma 3, I. fall., il termine per la riassunzione del giudizio a carico della parte non colpita dall'evento interruttivo, la quale abbia preso parte al procedimento fallimentare presentando domanda di ammissione allo stato passivo, non decorre dalla legale conoscenza che questa abbia avuto della pendenza del procedimento concorsuale, ma dal momento in cui ne abbia avuto cognizione effettiva.

In mancanza di elementi ulteriori, quindi, rileva il momento in cui sia stata depositata o inviata la domanda di ammissione allo stato passivo.[17]

Chiedendo di insinuarsi al passivo, infatti, la controparte del fallito nel giudizio incardinato prima dell'apertura del fallimento propone nei confronti della massa una domanda giudiziale, di talché non può più considerarsi estraneo al procedimento concorsuale e, pertanto, in quanto asserito creditore, non può più invocare a propria tutela nel procedimento extraconcorsuale pendente (già incardinato nei confronti del fallito) l'esigenza della conoscenza 'legale' del procedimento fallimentare con atto di fede privilegiata, in quanto esigenza superata dalla partecipazione al procedimento concorsuale stesso.

In relazione alla predetta pronuncia, l’ordinanza in commento sottolinea che <<finisce per trascurare il principio, desumibile dalla giurisprudenza richiamata in precedenza, per cui ai fini della riassunzione dovrebbe rilevare la conoscenza (legale) procurata al difensore della parte del giudizio interrotto, e non alla parte stessa: tale regola sembra difatti escludere che, ove la domanda di insinuazione sia sottoscritta da un difensore diverso da quello costituitosi nel giudizio interrotto, essa possa di per sé riflettere quella conoscenza legale che la legge pretende. Per un verso, infatti, la conoscenza del fallimento in capo alla parte è ritenuta irrilevante in quanto quest'ultima — come si è visto — non è normalmente in condizione di valutare gli effetti dell'interruzione, quando debba riassumere il giudizio e quali siano le conseguenze della mancata o intempestiva riassunzione; per altro verso, il difensore che domanda l'ammissione al passivo potrebbe ignorare l'esistenza del giudizio interrotto, in cui non ha prestato il proprio ufficio, onde, nella prospettiva indicata, nemmeno la consapevolezza acquisita da tale soggetto quanto all'apertura del fallimento dovrebbe rilevare ai fini del decorso del termine ex art. 305 c.p.c.. Tutto ciò sta a significare che, se ci si allinea alle decisioni che hanno preceduto Cass. 14 giugno 2019, n. 15996 cit., la proposizione della domanda di ammissione al passivo non può considerarsi sempre e comunque espressiva di una conoscenza utile ai fini del decorso del termine per riassumere>>.

3.3. Insussistenza di un onere di riassunzione in assenza della dichiarazione.

Infine, secondo un altro indirizzo interpretativo, non sussiste un onere di riassunzione in assenza della dichiarazione, da parte del giudice, dell'interruzione del giudizio per l'intervenuto fallimento della parte.

In particolare, la Suprema Corte ha ritenuto che l'art. 43, comma 3, I. fall. vada interpretato nel senso che, intervenuto il fallimento, l'interruzione sia automatica e deve essere dichiarata dal giudice non appena sia venuto a conoscenza dall'evento, senza che, però, la parte non fallita sia tenuta alla riassunzione del processo nei confronti del curatore fino a che l'interruzione sia stata dichiarata.[18]


4. Conclusioni.

Come sottolineato dalla stessa ordinanza di rimessione, la coesistenza di plurimi indirizzi interpretativi che postulano, o comportano, diverse decorrenze del termine per riassumere implica, inevitabilmente, il rischio che, in presenza della medesima situazione processuale, la riattivazione del giudizio venga in alcuni casi reputata tempestiva e in altri casi tardiva: così che, in definitiva, alla parte interessata sia precluso di formulare una prognosi affidabile circa le conseguenze della propria condotta processuale.

Come rilevato in dottrina, proprio in commento a tale ordinanza, la soluzione da preferire deve essere quella che consente, nella misura massima possibile, di prevenire esiti abortivi del processo, dovendo questo di regola concludersi con una pronuncia sul merito della domanda e non con una pronuncia di mero rito.[19]

In tal senso, l’art. 143 comma 3 del codice della crisi d’impresa, dopo aver disposto che «l’apertura della liquidazione giudiziale determina l’interruzione del processo», stabilisce che «il termine per la riassunzione del processo interrotto decorre da quando l’interruzione viene dichiarata dal giudice».[20]

Va rammentato, peraltro, che gli effetti della soluzione alla questione interpretativa in esame trascende l’ambito processualcivilistico puro e semplice, interessando anche tutte quelle discipline, come il processo amministrativo e quello tributario, che fanno rinvio al codice di procedura civile e alle norme ad esso correlate.

Nel caso del codice del processo amministrativo, ad es., l’art. 79 c.p.a. prevede che <<l’interruzione del processo è disciplinata dalle disposizioni del codice di procedura civile>>.

Al riguardo, recentemente, il Consiglio di Stato[21] si è pronunciato affermando che intervenuto il fallimento, l'interruzione è sottratta all'ordinario regime dettato in materia dall'art. 300 c.p.c., nel senso che deve essere dichiarata dal giudice non appena sia venuto a conoscenza dall'evento, ma non anche che la parte non fallita sia tenuta alla riassunzione del processo nei confronti del curatore indipendentemente dal fatto che l'interruzione sia stata o meno dichiarata.[22]

Il Consiglio di Stato ha sottolineato che la previsione dell'art. 43, comma 3, l.f., nel prevedere un effetto interruttivo automatico provocato dal fallimento sulla lite pendente, ha inteso sottrarre alla discrezionalità della parte colpita dall'evento interruttivo la rappresentazione dello stesso all'interno del processo, mentre il decorso dei termini previsti dall'art. 305 c.p.c., ai fini della declaratoria di estinzione presuppone, rispetto alla parte contrapposta a quella colpita dall'evento interruttivo, non solo la conoscenza in forma legale del medesimo evento, ma anche una situazione di quiescenza del processo, che si verifica per effetto della formale constatazione da parte del giudice istruttore dell'avvenuta interruzione automatica della lite, comunque essa sia stata conosciuta.[23]

Inoltre, il Giudice d’appello ha fatto proprio il principio secondo il quale la conoscenza del fallimento di una parte che il procuratore di altra parte non colpita dall'evento interruttivo abbia acquisito in un determinato giudizio non sia idonea a far decorrere il termine per la riassunzione di altra causa, ancorché le parti siano assistite, in entrambi i processi, dagli stessi procuratori[24].

Il rinvio codicistico e giurisprudenziale alle disposizioni normative e agli orientamenti della Suprema Corte, da parte del Consiglio di Stato, rende evidentemente di estremo interesse, anche nell’ambito della giustizia amministrativa, la decisione delle Sezioni Unite affinché sia fatta, per quanto più possibile, chiarezza sotto i diversi profili contrastanti messi in evidenza dall’ordinanza di rimessione.


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[1] In tal senso, ex plurimis, Cass. civ., sez. III, 30 novembre 2018, n. 31010, in Giust. civ. mass., 2019. Prima della novella del 2006, la giurisprudenza della Corte di Cassazione era costante nel ritenere che la pronunzia di fallimento non determinasse effetti interruttivi automatici sui processi in cui era parte il fallito, perché la perdita della capacità processuale, che ne consegue, non si sottraeva alla regola generale dettata dall'art. 300 c.p.c. e alla consequenziale necessità della dichiarazione in giudizio da parte del procuratore, dell'evento interruttivo, in difetto della quale il processo proseguiva tra le parti originarie (tra le tante, Cass. civ., sez. I, 8 maggio 2013, n. 10724, in Guida al dir. 2013, 39, 91; Cass. civ. 20 marzo 2008, n.7443, in Guida al dir., 2008, 17, 54 con nota di Piselli).

[2] La modifica dell'art. 43, l.f., introdotta dall'art. 41, d.lgs. n. 5 del 2006, infatti, trova applicazione, ai sensi dell’art. 153 del medesimo decreto, a partire dal 16 luglio 2006, con consequenziale automaticità dell’interruzione del processo a seguito della dichiarazione di fallimento, purché quest'ultima sia intervenuta successivamente a tale data, anche nei giudizi anteriormente pendenti, restando irrilevante la disposizione transitoria dettata dall’art. 150 del medesimo d.lgs., la quale attiene a norme che regolano la procedura concorsuale, e non alla disciplina processuale già in vigore all’epoca della dichiarazione di fallimento (in tal senso, Cass. civ., sez. III, 28 dicembre 2016, n. 27165, in Giust. civ. mass., 2017).

[3] Le parole «tre mesi» sono state sostituite alle parole «sei mesi» dall'art. 46, comma 14, l. 18 giugno 2009, n. 69, con la decorrenza e la relativa disciplina transitoria indicate sub art. 7.

[4] C. Cost., 21 gennaio 2010, n.17, in Foro it. 2010, 4, I, 1122.

[5] Censurato, in riferimento agli art. 3, 24 e 111, comma 2, Cost., nella parte in cui fa decorrere dalla data dell'interruzione del processo per intervenuta dichiarazione di apertura di fallimento ex art. 43, comma 3, della l.f., e non dalla data di effettiva conoscenza dell'evento interruttivo, il termine per la riassunzione del processo ad opera di parte diversa da quella dichiarata fallita (ovvero diversa dai soggetti che comunque hanno partecipato al procedimento per la dichiarazione di fallimento).

[6] C. Cost., 5 dicembre 1967, n. 139, in Foro It., 1968, 91, 1, 9/10-13/14.

[7] C. Cost., 06 luglio 1971, n. 159, in Foro it., 1971, 94, 9, 2117/2118-2119/2120;

[8] Ex plurimis, Cass. civ., sez. I, 18 ottobre 2001, n. 12706, in Giust. civ. mass., 2001, 1766; Cass. civ., sez. II, 29 aprile 2003, n.6654, in Giust. civ. mass., 2003, 4; Cass. civ., sez. lav., 17 agosto 2004, n. 16020, in Giust. civ. mass., 2004, 7-8; Cass. civ., sez. II, 19 gennaio 2006, n. 974, in Giust. civ. mass., 2006, 1; Cass. civ., sez. I, 08 marzo 2007, n. 5348, in Giust. civ. mass., 2007, 3; Cass. civ., sez. I, 08 ottobre 2008, n. 24857, in Giust. civ. mass., 2008, 10, 1456.

[9] Per il caso di interruzione del processo per morte del procuratore, Cass. civ., sez. II, 16 aprile 2019, n. 10594, in Foro it. 2020, 6, I, 2147; Cass. civ., sez. VI, 25 febbraio 2015, n. 3782, in Giust. civ. mass., 2015; Cass. civ., sez. III, 11 febbraio 2010, n. 3085, in Giust. civ. mass., 2010, 2, 184.

[10] Cass. civ., sez. II, 16 aprile 2019, n. 10594 cit.; Cass. civ., sez. III, 11 febbraio 2010, n. 3085, cit.; Cass. civ., sez. lav., 19 marzo 1996, n. 2340, in Giust. civ. mass., 1996, 392.

[11] Ex plurimis, Cass. civ., sez. I, 30 gennaio 2019, n. 2658, in Giust. civ. mass., 2019 la quale ha sottolineato «l'esigenza che la verifica della (possibilità della) conoscenza del decorso termine per la riassunzione sia ancorata a criteri quanto più possibile sicuri ed oggettivi, così da neutralizzare, per quanto possibile, l'elemento di criticità operativa derivante dall'avere il giudice delle leggi disancorato il termine per la riassunzione dal verificarsi dell'interruzione, così rendendolo mobile e variabile».

[12] Cass. civ., sez. III, 28 dicembre 2016, n. 27165, in Giust. civ. mass., 2017; Cass. civ., sez. lav., 7 marzo 2013, n. 5650, in Giust. civ. mass., 2013.

[13] Cass. civ., sez. III, 15 marzo 2018, n. 6398, in Giust. civ. mass., 2018; Cass. civ., sez. III, 30 novembre 2018, n. 31010, in Giust. civ. mass., 2019; Cass. civ., sez. I, 30 gennaio 2019, n. 2658, in Giust. civ. mass., 2019, la quale ha sottolineato la necessità di “simmetria rispetto all'orientamento formatosi con riguardo al corso del termine per la riassunzione nei riguardi del curatore fallimentare, che per definizione sa del dichiarato fallimento, ma potrebbe non sapere del o dei processi che il fallito aveva pendenti “. In senso contrario, secondo Cass. civ., sez. II, 29 agosto 2018, n. 21325, il suddetto orientamento non vale in relazione alla parte non fallita, rispetto alla quale vi è la necessità – al fine di garantire l’effettività del suo diritto di difesa – di conoscere l’evento interruttivo che ha colpito la controparte, ma non il processo nel quale i relativi effetti vengono a prodursi e che essa non può non conoscere. Al riguardo, Cass. civ., sez. III, 26 giugno 2020, n. 12890, in Guida al dir., 34-35, 61, ha sottolineato che, ai fini dell'idoneità della conoscenza dell'evento interruttivo a far decorrere il termine di riassunzione, ex art. 305 c.p.c., non è sufficiente il carattere formalmente "legale" della stessa, ma è necessario che abbia specificamente ad oggetto tanto l'evento in sé considerato, quanto lo specifico processo nel quale esso deve esplicare i propri effetti. Ciò per evitare un trattamento asimmetrico rispetto a quello riservato, con riguardo al corso del termine per la riassunzione, al curatore fallimentare, che per definizione sa del dichiarato fallimento, ma potrebbe non sapere del o dei processi che il fallito aveva pendenti. Non v'è ragione di usare minore cautela in via di principio con riferimento alla parte diversa da quella colpita dall'evento interruttivo. Nel caso in cui la comunicazione (dell'intervenuto fallimento) venga effettuata nei confronti del procuratore della parte costituita, la presunzione che questi debba con prontezza risalire al processo, pur da lui patrocinato, nel quale quell'evento ha avuto effetto interruttivo, onde provvedere all'eventuale riassunzione, finisce con il presupporre un onere di diligenza organizzativa e di ricerca estraneo alla ratio della norma e, anzi, dissonante rispetto alle esigenze di tutela della parte sottese al principio che richiede, per la decorrenza del termine per la riassunzione, una "conoscenza legale" dell'evento. Appare del resto dirimente la considerazione che il fallimento in tanto ha rilevanza (quale evento interruttivo) in quanto interviene sul processo, determinandone appunto l'interruzione nei confronti di tutte le parti, con la conseguenza che la "conoscenza legale" dell'evento non può non abbracciare, per tutte le parti, entrambi gli elementi di tale binomio: l'evento in sé e il processo cui viene a incidere.

[14] Mentre si è ritenuto non necessario che la conoscenza dell’atto o fatto interruttivo derivi da una comunicazione del difensore della parte nei cui confronti si è verificato l'evento interruttivo, ben potendo provenire da soggetti diversi, come il curatore fallimentare, in tal senso, Cass. civ., sez. I, 30 gennaio 2019, n. 2658, cit.

[15] Cass. civ., sez. I, 30 gennaio 2019, n. 2658, cit.; Cass. civ., sez. III, 15 marzo 2018, n. 6398, cit.; Cass. civ., sez. III, 26 giugno 2020, n. 12890, cit.; Cass. civ., sez. III, 30 novembre 2018, n. 31010, cit.; le ultime pronunce indicate hanno, altresì, sottolineato che, nel caso in cui la parte interessata alla prosecuzione sia assistita, nel processo in cui vengono in rilievo gli effetti interruttivi, da un difensore diverso da quello cui è stata data comunicazione dell'evento, ai fini del decorso del termine per la riassunzione rileva il momento in cui il secondo difensore acquisisce legale cognizione dell'evento interruttivo, atteso che il singolo difensore non è tenuto a conoscere tutti i procedimenti che interessano la parte da lui rappresentata.

E’ stato, peraltro, affermato che, in caso di interruzione automatica del processo ex art. 43, comma 3, I. fall., la conoscenza del fallimento di una parte che il procuratore di altra parte, non colpita dall'evento interruttivo, abbia acquisito in un determinato giudizio, non è idonea a far decorrere il termine per la riassunzione di altra causa, neanche ove le parti siano assistite, in entrambi i processi, dagli stessi procuratori: diversamente, si attribuirebbe all'avvocato una sorta di «rappresentanza generale» della parte che gli ha affidato uno o più mandati ad litem, rappresentanza contraddistinta da un'ampiezza non direttamente correlata con l'oggetto dei singoli giudizi per i quali il professionista sia stato officiato e, dunque, potenzialmente esulante dai confini dei mandati defensionali che il cliente aveva inteso conferire all'avvocato (così Cass. civ., sez. II, 16 dicembre 2019, n. 33157, in Giust. civ. mass., 2020).

[16] Cass. civ., sez. trib., 14 giugno 2019, n. 15996, in Ilprocessocivile.it, 2019, con nota di Cerrato.

[17] Contra, Cass. civ, sez. VI, 9 aprile 2018, n. 8640, in Giust. civ. mass., 2018, secondo la quale la proposizione di una domanda giudiziale nei confronti della curatela implicherebbe una conoscenza dell'evento interruttivo che, per non essere legale, risulterebbe comunque inidonea a far decorrere il termine di cui all'art. 305 c.p.c.

[18] Cass. civ., sez. VI, 1 marzo 2017, n. 5288, in Giust. civ. mass., 2018; Contra, Cass. civ, 30 novembre 2018, n. 31010 cit., secondo la quale ritenere necessaria la declaratoria di interruzione ai fini della decorrenza del termine per riassumere vanificherebbe, nella sostanza, la previsione di automaticità prevista dall'articolo 43 I. fall. D’altronde, come rilevato dall’ordinanza in commento, si tratta di una tesi che, in una chiara ottica di semplificazione, anticipa, di fatto, quanto è stato previsto, sul punto, dal codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza (d.lgs. n. 14/2019): questo, all'art. 143, comma 3, dopo aver disposto che l'apertura della liquidazione giudiziale determina l'interruzione del processo, stabilisce, appunto, che il termine per la riassunzione del processo interrotto decorre da quando l'interruzione viene dichiarata dal giudice

[19] Paris, Alle Sezioni Unite il compito di individuare il termine per la riassunzione del processo interrotto per il fallimento di una delle parti, in Ilprocessocivile.it, fasc., 16 DICEMBRE 2020.

[20] Tale soluzione, si legge nella Relazione illustrativa al codice della crisi d’impresa, è stata adottata «[a]l fine di consentire al curatore di costituirsi nei giudizi che hanno ad oggetto rapporti patrimoniale compresi nella liquidazione [sicché] l’apertura della stessa comporta di diritto l’interruzione automatica del processo, ma, per assicurare il diritto di difesa delle parti, il termine della riassunzione decorre dal momento in cui il giudice dichiara l’avvenuta interruzione».

[21] Cons. Stato, sez. II, 23 marzo 2020, n. 2011.

[22] Così proprio richiamando Cass. civ., sez. I, 1 marzo 2017, n. 5288, cit.

[23] Si veda Cass. civ., sez. I, 11 aprile 2018, n. 9016.

[24] Richiamando Cass. civ., sez. II, 16 dicembre 2019, n. 33157.


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