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(Anno 2024) NULLITA’ DELLA SENTENZA DI PRIMO GRADO

20 gennaio 2025

IN CASO DI ERRONEA DECLARATORIA DI INAMMISSIBILITA’ DEL RICORSO DA PARTE DEL TAR, CON IL CONSEGUENZIALE MANCATO ESAME DELLA TOTALITA’ DEI MOTIVI DI RICORSO, PUO’ ESSERE INTEGRATO IL CASO DI NULLITA’ DELLA SENTENZA AI SENSI DELL’ART 105, COMMA 1 C.P.A. (CON RIMESSIONE DELLA CAUSA AL GIUDICE DI PRIMO GRADO), QUALORA LA SENTENZA CHE NEGA LA SUSSISTENZA DELLA LEGITTIMAZIONE O DELL’INTERESSE AL RICORSO NON CONSTI DI UNA MOTIVAZIONE ADEGUATA, RAGIONEVOLE E COERENTE CON I PRINCIPI PROCESSUALI, CHE TENGA CONTO DEI FATTI DI CAUSA E DELLE CENSURE DEDOTTE IN RELAZIONE ALLA LESIONE PROSPETTATA, E CHE FACCIA COMPRENDERE IN MODO CHIARO IN FATTO E IN DIRITTO L’EFFETTIVA SUSSISSTENZA DELLA RAGIONE GIURIDICA POSTA A BASE DELLA DECLARATORIA DI INAMMISSIBILITA’.

OCCORRE IN ALTRI TERMINI, PER EVITARE LA NULLITA’ DELLA SENTENZA CHE SI E’ PRONUNCIATA IN TERMINI DI INAMMISSIBILITA’ PER CARENZA DI LEGITTIMAZIONE (O DI INTERESSE), CHE LA SENTENZA DI PRIMO GRADO OFFRA UNA MOTIVAZIONE PUNTUALE SULLA SPECIFICA POSIZIONE DEDOTTA IN GIUDIZIO DALLA PARTE RICORRENTE TENENDO CONTO DELLA SITUAZIONE FATTUALE, NON ESSENDO SUFFICIENTE A TALI FINI RIPORTARE IN SENTENZA SOLTANTO GLI ORIENTAMENTI DELLA GIURISPRUDENZA SULLE CONDIZIONI DELL’AZIONE, SENZA VAGLIO CRITICO DEL GIUDICE SUL CASO CONCRETO.

TALE SOLUZIONE, A PARERE DEL CONSIGLIO DI STATO, OLTRE AD ESSERE IN ARMONIA CON I PRINCIPI ESPRESSI DALLE ADUNANZE N. 10 E N. 11 DEL 2018 SUL PUNTO, E’ COERENTE CON LA PORTATA DELL’EFFETTO DEVOLUTIVO DELL’APPELLO AMMINISTRATIVO, CON IL SIGNIFICATO DELLA “TASSATIVITA’” DELLE FATTISPECIE PREVISTE DALL’ART. 105 C.P.A., CON LA PORTATA DEL PRINCIPIO DEL DOPPIO GRADO DEL GIUDIZIO AMMINISTRATIVO; INOLTRE, NON PREGIUDICA IN CONCRETO LA RAGIONEVOLE DURATA DEL PROCESSO.  (Adunanza Plenaria n. 16).


L’art. 105, comma 1, del c.p.a. dispone che “Il Consiglio di Stato rimette la causa al giudice di primo grado soltanto se è mancato il contraddittorio, oppure è stato leso il diritto di difesa di una delle parti, ovvero dichiara la nullità della sentenza, o riforma la sentenza o l’ordinanza che ha declinato la giurisdizione o ha pronunciato sulla competenza o ha dichiarato l’estinzione o la perenzione del giudizio”.

Tra i casi di rimessione al T.A.R., non sono espressamente previsti da tale comma quelli in cui il Consiglio di Stato riforma la sentenza che abbia dichiarato l’irricevibilità, l’inammissibilità o l’improcedibilità del ricorso di primo grado.

Si pone pertanto la questione se essi siano riconducibili, e con quali condizioni, alle ipotesi generali, elencate nell’art. 105, comma 1, di “mancanza del contraddittorio”, “lesione del diritto di difesa”, “nullità della sentenza”.

Si tratta di una questione già affrontata dall’Adunanza Plenaria nel 2018, e a parere della quale, posto che l’art. 105 del c.p.a. deve essere interpretato alla luce dell’art. 354 c.p.c., espressivo di principi processuali generali, rilevanti ai sensi dell’art. 39 c.p.a., le espressioni “lesione del diritto di difesa” e “mancanza del contraddittorio”, pur non costituendo un’endiadi (perché ciascuna nozione ha un suo significato autonomo che non si risolve in quello dell’altra), sarebbero ambedue riconducibili alla menomazione del contraddittorio lato sensu inteso, nel senso che in entrambi i casi è mancata la possibilità di difendersi nel giudizio-procedimento, con suo svolgimento irrimediabilmente viziato, sicché il giudice è pervenuto a una pronuncia la cui illegittimità va riguardata non per il suo contenuto, ma per il solo fatto che essa sia stata resa, senza che la parte abbia potuto esercitare il diritto di difesa o beneficiare dell’integrità del contraddittorio.

Nell’ambito di questa macro-categoria (di violazione del contraddittorio in senso lato), l’ulteriore distinzione tra mancanza del contraddittorio in senso stretto e violazione del diritto di difesa atterrebbe alla natura “genetica” o “funzionale” del vizio che ha inficiato lo svolgimento del giudizio-procedimento.

La “mancanza del contraddittorio” sarebbe così essenzialmente riconducibile all’ipotesi in cui doveva essere integrato il contraddittorio o non doveva essere estromessa una parte: il vizio sarebbe, quindi, genetico, nel senso che - a causa della mancata integrazione del contraddittorio o della erronea estromissione - una o più parti vengono in radice e sin dall’inizio private della possibilità di partecipare al giudizio-procedimento.

A sua volta, la “lesione del diritto di difesa” non sarebbe una categoria generale e aperta, ma quella individuabile secondo “criteri determinati e identificabili attraverso le singole e puntuali norme processuali che prescrivono, con sfumature diverse secondo l’incedere del processo, le garanzie del diritto di difesa”.

Essa farebbe riferimento ad un vizio non genetico, ma funzionale del contraddittorio, incidente sui diritti di difesa di una parte, che ha, tuttavia, preso parte al giudizio, perché nei suoi confronti il contraddittorio iniziale è stato regolarmente instaurato, ma, successivamente, nel corso dello svolgimento del giudizio, è stata privata di alcune necessarie garanzie difensive.

Rileverebbe al riguardo la giurisprudenza formatasi nella vigenza dell’art. 35 della legge n. 1034 del 1071, per il quale doveva esservi l’annullamento con rinvio al T.A.R. nei casi di “difetto di procedura”, in particolare nei casi di mancata concessione di termini a difesa o di mancata trasmissione di avvisi alle parti.

Le stesse sentenze n. 10 e n. 11 dell’Adunanza Plenaria hanno peraltro ritenuto che anche l’erronea declaratoria di irricevibilità, inammissibilità o improcedibilità del ricorso di primo grado potrebbe dare luogo a una rimessione al primo giudice, ma solo nel caso di ‘nullità della sentenza’, sussistente quando essa sia ‘totalmente carente di motivazione’ o basata su una ‘motivazione apparente’.

Il Consiglio di Stato, nuovamente investito della questione, conferma, nella sostanza, l’impostazione sopra descritta, seppure con un percorso argomentativo parzialmente diverso e con una integrazione, quanto alla individuazione delle ipotesi di ‘nullità della sentenza’, e lo fa muovendo dalla conformazione costituzionale del processo amministrativo e dalla individuazione dei limiti entro cui le disposizioni del codice di procedura civile possono essere ad esso applicate.





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