IL CASO
Una società privata aveva chiesto l'avvio del procedimento per l’autorizzazione paesaggistica in sanatoria.
Dopo avere ottenuto il motivato parere favorevole con prescrizioni dalla Commissione locale al paesaggio, e dopo che l’Ufficio responsabile del vincolo tutela paesaggistica aveva inviato la pratica alla Sovrintendenza, ai fini del prescritto parere, il procedimento si era però arrestato senza un apparente motivo, nonostante numerosi solleciti.
Dopo diversi mesi, infine, era intervenuto l’atto con cui l’Ufficio paesaggio del Comune competente comunicava che, per completare l’iter “per il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica, atto necessario al fine dell’ottenimento del permesso di costruire in sanatoria per la pratica de quo, si è in attesa del parere obbligatorio e vincolante della Soprintendenza”, aggiungendo che, se nei successivi 90 giorni quest’ultima non si fosse pronunciata, ai sensi e per gli effetti dell’art. 167 comma 4 del d.lgs. n. 42/2004, l’istanza avrebbe dovuto ritenersi rifiutata, anche in virtù di quanto previsto dall’art. 36 del d.P.R. n. 380/01.
La società privata ha così impugnato il suddetto atto dinanzi al Tribunale regionale amministrativo per la Campania, sostenendo che erroneamente l’amministrazione aveva affermato l’applicabilità del regime del silenzio rifiuto, mentre la norma applicabile sarebbe stata l’art. 17-bis legge 241/90, che disciplina «i casi in cui è prevista l’acquisizione di assensi, concerti o nulla osta comunque denominati di amministrazioni pubbliche e di gestori di beni o servizi pubblici, per l’adozione di provvedimenti normativi e amministrativi di competenza di altre amministrazioni pubbliche», di modo che, per effetto dell’inerzia tenuta dalla Soprintendenza a fronte della prima richiesta, doveva ritenersi formato il silenzio assenso sulla richiesta, con illegittimità della successiva determinazione dell’amministrazione comunale che, su sollecitazione della Soprintendenza stessa, aveva riattivato un procedimento che secondo la ricorrente era in realtà da considerarsi già concluso.
Il TAR per la Campania, per decidere la controversia, ha dovuto dunque affrontare e risolvere la questione dell’applicabilità del meccanismo di cui all’articolo 17-bis della legge 241/90 al procedimento per il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica in sanatoria.
LA SOLUZIONE
Moduli procedimentali a confronto
Il Giudice amministrativo di primo grado, per perimetrare l’ambito applicativo dell’articolo 17-bis, ha dovuto innanzitutto evidenziare punti di contatto e differenze rispetto a due moduli procedimentali in qualche modo simili al meccanismo in questione: quello della conferenza di servizi e del silenzio assenso ex art. 20 della legge sul procedimento amministrativo.
“Nel primo caso (...), va rilevato come l’elemento che accomuna le fattispecie è il rendere applicabile un meccanismo che collega al silenzio tenuto dall’autorità interpellata il valore di assenso, anche qualora si tratti di autorità preposte alla tutela di interessi sensibili quali l’ambiente, il paesaggio e la salute dei cittadini”.
La norma di cui all’art. 20 della legge n. 241 del 1990 viene invece accostata “per contrapposizione all’art. 17 bis, rilevandosi come la stessa riguardi i rapporti cosiddetti verticali, ovvero tra l’amministrazione e il cittadino richiedente, nell’ambito dei quali non vi è spazio operativo per il silenzio assenso ove siano coinvolte autorità preposte alla tutela di interessi cd. sensibili (art. 20 co 4). La decisione in tal caso si caratterizza per essere monostrutturata, nel senso che è riferibile solo alla amministrazione “competente” ed attiene ai “procedimenti ad istanza di parte per il rilascio di provvedimenti amministrativi”, cd. verticali, configurabili qualora il procedimento parta da un istanza del privato e sia attivato nell’interesse di quest’ultimo.
Le due disposizioni si differenziano per più aspetti: principalmente per l’esclusione del meccanismo qualora siano coinvolti interessi sensibili nell’art. 20, laddove per l’articolo 17 bis, la peculiarità consiste proprio nella possibilità di superamento del silenzio nell’ipotesi in cui siano coinvolte autorità preposte alla tutela di interessi sensibili.
Non è poi secondario il rilievo che il silenzio nel meccanismo del 17 bis si colloca in una fase procedimentale anteriore alla decisione, nella parte finale dell’istruttoria, per cui si parla al riguardo di un modulo di silenzio endoprocedimentale, non producendo effetti diretti ed immediati verso l’esterno. Pertanto lo stesso non può rappresentare l’equivalente di un provvedimento, ma solo di un atto endoprocedimentale, concernendo rapporti tra pubbliche amministrazioni coinvolte a vario titolo nel percorso istruttorio e decisorio diretto all’emissione di un provvedimento finale.
In tale prospettiva, l’articolo 17 bis, concernente rapporti tra più amministrazioni pubbliche, si colloca nella fase cd. predecisoria, prevedendo che l’autorità procedente trasmette uno schema di provvedimento all’amministrazione che deve esprimere il nulla osta, concerto o assenso comunque denominato, ma il cui intervento è con valenza codecisoria, dal momento che si pone al termine dell’istruttoria procedimentale (come dimostra la collocazione sistematica della disposizione dopo gli artt. 16 e 17 che disciplinano l’acquisizione di pareri o valutazioni tecniche nel corso dell’istruttoria propriamente detta).
Il provvedimento finale è una cd. decisione pluristrutturata, e per quanto riguarda l’ambito più propriamente tecnico dei pareri, si è affermato che l’art. 17 bis diviene il luogo elettivo per la manifestazione dei pareri vincolanti, i quali esprimono una funzione che va oltre la mera manifestazione consultiva, partecipando della determinazione del contenuto del provvedimento in modo stringente e tale da porre un sostanziale veto nel caso di determinazione negativa”.
Formazione del silenzio procedimentale
Secondo il Giudice partenopeo, sia nel caso dell’art. 16 che nel caso dell’art. 17 della L. n. 241 del 1990, “le regole di semplificazione, valevoli nella fase istruttoria del procedimento, escludono dal loro perimetro applicativo il silenzio di autorità preposte a tutela degli interessi sensibili, considerandosi necessaria la valutazione delle amministrazioni deputate alla tutela degli stessi. Il legislatore ha escluso il formarsi del silenzio procedimentale, dal momento che è ineludibile l’acquisizione di una cognizione dei fatti nella prospettiva dell’amministrazione tenuta alla gestione degli interessi sensibili, spesso implicanti valutazioni tecnico scientifiche di natura complessa e la cui esclusione per silentium verrebbe a snaturare l’intero procedimento, che risulterebbe monco di un suo tratto essenziale.
Può dunque costituire approdo ermeneutico legato alla complessiva configurazione degli atti endoprocedimentali nel sistema della legge 241/90 quello per cui l’art. 17 bis non si presta a rendere applicabile il silenzio endoprocedimentale per quegli atti che presuppongono necessariamente un apprezzamento di carattere specialistico da parte dell’amministrazione, i quali difficilmente potrebbero qualificarsi come atti di assenso, concerto o nullaosta, assumendo l’ attività di carattere valutativo rilievo prioritario rispetto all’esigenza di semplificazione e di accelerazione .
Deve in altri termini evincersi, attraverso l’analisi comparativa con le disposizioni di cui agli artt. 16 e 17, che il silenzio‐assenso di nuova introduzione si forma solamente sugli atti di “assenso, concerto o nulla‐osta” sui quali l’Amministrazione procedente abbia redatto uno “schema di provvedimento corredato della relativa documentazione”, sul quale l’Amministrazione concertante debba dunque soltanto esprimere (o meno) la propria adesione. In tal senso depone il tenore testuale del 17‐bis che fa riferimento allo “schema di provvedimento”, e non menziona i pareri o le valutazioni tecniche. Giova in proposito richiamare l’orientamento del Giudice delle leggi (cfr. sentenza n. 393 del 1992,che, nel dichiarare l’illegittimità costituzionale dei 3,4,5,6 e 7 dell'art. 16 della legge 17 febbraio 1992, n. 179 (...) sul procedimento di formazione per silenzio‐assenso del programma integrato d'intervento, ha rilevato come la semplificazione non possa incidere sul contenuto essenziale dell’attività amministrativa e che il meccanismo di silenzio‐assenso non è di per sé estensibile a tutti i procedimenti amministrativi, in quanto bisogna sempre rispettare i limiti legati all’esigenza che la pubblica Amministrazione eserciti il potere discrezionale affidatole dalla legge, svolgendo le opportune verifiche istruttorie e indagini. Negli stessi termini vanno richiamate anche le pronunce della Corte Cost. 12 febbraio 1996, n. 26, 17 dicembre 1997, n. 404 9‐10 marzo 1998, n. 302, relative queste ultime a leggi Regionali che prevedevano il meccanismo del silenzio assenso in procedimenti complessi, caratterizzati da un elevato tasso di discrezionalità)”.
Secondo il Giudice adito, “siffatte considerazioni debbano permanere immutate anche dopo la modifica di cui all’art. 17 bis essendo espressione del superiore principio inerente anche al buon andamento di cui all’art. 97 Costituzione, per cui, qualora la fattispecie implichi necessariamente complesse fasi istruttorie o sia parte di un procedimento più complesso, è doveroso lo svolgimento di tutte le necessarie verifiche, documentate espressamente nel provvedimento finale”.
Applicabilità del meccanismo di cui all’articolo 17-bis all’ipotesi del rilascio di autorizzazione paesaggistica
Secondo il TAR Campania, nell’ipotesi di silenzio della Soprintendenza chiamata all’emissione del parere obbligatorio e vincolante per il rilascio di autorizzazione paesaggistica in sanatoria, le regole di semplificazione di cui all’articolo 17-bis della L. n. 241 del 1990 non possono trovare applicazione, per più di una considerazione.
“La opposta tesi, di recente sostenuta da una pronuncia di questo Tribunale (TAR Napoli sez. VI, 7 giugno 2019 n. 3099), si fonda su un duplice ordine di considerazioni:
a) la natura pluristrutturata della decisione, che deriva dalla vincolatività del parere della Soprintendenza, tale da non costituire mero atto della fase istruttoria, ma a valenza propriamente decisoria;
b) la impossibilità di sussumere il procedimento di richiesta della autorizzazione paesaggistica nello schema dei rapporti verticali tra privato e PA, atteso che l’autorità comunale non interviene come mero sportello di ricezione dell’istanza, ma istruisce la pratica e elabora un proprio motivato parere sulla compatibilità paesaggistica dell’intervento.
Sotto il primo aspetto, va rilevato che la natura pluristrutturata della decisione non esprime un dogma assoluto, dal momento che ciò che rileva non è la funzione codecisoria ex se, ma il modo in cui interviene nel procedimento l’autorità “interpellata”.
In altri termini, nel peculiare procedimento per il rilascio della autorizzazione paesaggistica, la Sovrintendenza non deve esprimere solamente un assenso o dissenso sulla scelta finale che l’amministrazione comunale intende assumere, ma è chiamata a rendere un giudizio tecnico complesso all’esito di una compiuta e complessa attività valutativa, per ciò stesso presentandosi ineludibile la valutazione dell’amministrazione deputata alla tutela dell’interesse sensibile.
E’ infatti acquisizione indiscussa quella secondo la quale la Soprintendenza nel rilascio del parere paesaggistico esercita una discrezionalità di natura tecnica, esaminando fatti complessi, tanto che lo stesso sindacato del giudice amministrativo in ordine alle valutazioni discrezionali è di tipo debole e può concernere solamente figli di manifesta irragionevolezza, inattendibilità, contraddittorietà o illogicità.
Ne deriva che, pure qualificando la fattispecie quale procedimento di carattere orizzontale (qualificazione della quale si dubita per le ragioni di seguito esposte), non dovrebbe predicarsi l’applicabilità allo stesso del meccanismo ex 17 bis, considerato l’apprezzamento di carattere specialistico che viene in rilievo da parte della Soprintendenza, assumendo rilievo prioritario l’attività valutativa delle esigenze paesaggistiche rispetto a quelle di semplificazione ed accelerazione.
D’altra parte una diversa opzione ermeneutica presterebbe il fianco a profili di irragionevolezza, e contrasto con principi costituzionali.
Invero, proprio richiamando il parallelo innanzi svolto con il modulo della conferenza di servizi di cui agli articoli 14 e ss., ove il legislatore con la riforma Madia ha previsto la possibilità di superare l’inerzia anche dell’amministrazione preposta alla tutela di interessi sensibili, deve rilevarsi come in tal caso sia fatta salva l’ipotesi di una tutela ulteriore di tali interessi. Tanto viene assicurato dalla disciplina dei dissensi qualificati di cui all’articolo 14 quater della legge 241, secondo cui in caso di dissenso di amministrazioni preposte alla tutela di interessi sensibili, ovvero di sostituzione dei relativi atti ai sensi dell’art. 14 ter, le stesse possono sollecitare nel primo caso dinanzi al Consiglio dei Ministri un procedimento di valutazione della determinazione definitiva assunta dall’amministrazione procedente (art. 14 quinquies) e nel secondo caso un procedimento di autotutela ex art. 21 nonies.
In contrario, ritenendo applicabile l’articolo 17 bis anche a procedimenti che coinvolgono amministrazioni preposte alla tutela di interessi sensibili, non si assicurerebbe alcun tipo di tutela a questi ultimi, in dissonanza con le determinazioni assunte dal legislatore tema di conferenza di servizi.
Peraltro, essendo il silenzio in oggetto di natura endoprocedimentale, la mancanza di tutela degli interessi sensibili rileverebbe anche nella successiva fase, relativa alla emissione del provvedimento autorizzatorio da parte dell’autorità procedente, la quale diverrebbe l’unico arbitro della stessa individuazione della formazione del silenzio endoprocedimentale, non essendo previsto alcun meccanismo di comunicazione di tale esito alla autorità preposta alla cura dell’interesse sensibile, che non avrebbe neppure in molti casi conoscenza idonea tale da poter contestare la decisione finale.
Quanto alla seconda obiezione, che fa leva sulla differenza della fattispecie esaminata da quella dell’art. 20 legge 241/90, per il carattere verticale dei rapporti contemplati da quest’ultima disposizione, contemplandosi una maggior tutela degli interessi sensibili in ragione della natura di procedimento ad istanza di parte e nell’interesse del privato, ritiene il Collegio che debba accedersi ad una interpretazione sostanziale della nozione di procedimento ad istanza di parte e di “interesse del privato”, tale da consentire una lettura costituzionalmente orientata della norma.
In tal senso va data continuità alla giurisprudenza di questo Tribunale (Tar Campania sezione IV, sentenza n.5547 del 20 settembre 2018), che ha affermato come il modulo dell’art. 17 bis non si applica ove la richiesta non provenga dall’amministrazione procedente, ma dal privato destinatario dell’atto, configurandosi un rapporto verticale tra privato e l’amministrazione, soggetto all’applicazione dell’articolo 20 della legge 241 del 1990.
Non sembra invero accettabile il postulato che, a seconda di come si costruisca il procedimento e della prospettiva dalla quale lo stesso venga letto, una identica fattispecie, consistente in una domanda proposta non certo nell’interesse del Comune procedente, ma del privato richiedente, possa comportare conseguenze talmente diverse e dirompenti per la tutela dell’interesse paesaggistico.
Invero un interesse dell’amministrazione comunale potrebbe predicarsi laddove la stessa investa la Soprintendenza della richiesta di autorizzazione per un’opera comunale o comunque pubblica da realizzare, ma non rispetto ad un’opera privata, in cui la richiesta del privato viene trasmessa all’amministrazione comunale, e da questa inoltrata alla Soprintendenza.
Diversamente opinando, non si giustificherebbe l’evidente irrazionalità nella disciplina di fattispecie sovrapponibili, laddove l’articolo 20 fa salva la tutela degli interessi sensibili nell’ipotesi del silenzio assenso provvedimentale, mentre l’articolo 17 bis la escluderebbe nell’ipotesi di silenzio assenso endoprocedimentale, in presenza tuttavia di un medesimo procedimento.
La stessa lettura delle due determinazioni (assunte da Comune e Soprintendenza) in funzione codecisoria, a ben vedere, porta a conseguenze opposte a quelle propugnate dalla tesi favorevole alla applicabilità del modulo di cui all’art 17 bis, dovendosi ritenere che il silenzio dell’amministrazione preposta alla tutela paesaggistica, proprio in quanto partecipa della funzione decisoria, sia provvedimentale, più che endoprocedimentale, avendo la stessa la potestà - in ipotesi di atto espresso negativo - di arrestare il procedimento e comunque di vincolare ineludibilmente l’autorità comunale.
Ciò involge il delicato problema della cogestione del vincolo da parte della autorità comunale (nella specie quale subdelegata della Regione Campania) e di quella statale, divisa tra i diversi livelli di competenza territoriale, rispetto al quale non può concludersi che valorizzando la modifica del ruolo svolto dalla Soprintendenza per effetto del D. Lgs 42/2004.
In proposito, la giurisprudenza ha di recente precisato, circa il rapporto tra la competenza dell’ente locale sub delegato (il Comune) e quella della Soprintendenza, quale definito dall’art. 146 del d.lgs. n. 42 del 2004 che “…con l’entrata in vigore, a regime (dal 1° gennaio 2010), dell’art. 146 sulla disciplina autorizzatoria prevista dal Codice dei beni culturali e del paesaggio (d.lgs. 22 gennaio 2004 n.42), la Soprintendenza si è ritrovata ad esercitare, non più un sindacato di mera legittimità (come previsto dall’art. 159 d.lgs. n. 42/04 nel regime transitorio vigente fino al 31 dicembre 2009) sull’atto autorizzatorio di base adottato dalla Regione o dall’ente subdelegato, con il correlativo potere di annullamento ad estrema difesa del vincolo (su cui Cons. Stato, Ad. plen., 14 dicembre 2001, n. 9), ma una valutazione di “merito amministrativo”, espressione dei nuovi poteri di cogestione del vincolo paesaggistico (art. 146 d.lgs. 42/04). Non par dubbio che tale mutato quadro normativo abbia giustificato sul piano normativo una diversa e più penetrante valutazione, da parte della Soprintendenza, della compatibilità dell’intervento edilizio progettato con i valori paesaggistici compendiati nella richiamata disciplina vincolistica (Cons. Stato, Sez. VI, 25 febbraio 2013, n. 1129 , Consiglio di Stato Sez. VI del 4.6.2015).
La funzione esercitata dalla Soprintendenza è perciò consultiva, ma non di meno il relativo parere assume valenza, in sostanza, di tipo codecisionale rispetto alla determinazione di autorizzazione paesaggistica emanata dal Comune".
Interpretazione e parere del Consiglio di Stato
Il Giudice adito specifica, a questo punto, che il parere n. 1640 del 2016 della sezione consultiva del Consiglio di Stato, invocato dalla tesi favorevole all’applicabilità dell’articolo 17-bis al procedimento in esame, può in realtà interpretarsi anche diversamente.
Invero, tale parere precisa: “Deve quindi escludersi che il nuovo silenzio assenso tra pubbliche amministrazioni possa operare nei casi in cui l’atto di assenso sia chiesto da un’altra pubblica amministrazione non nel proprio interesse, ma nell’interesse del privato (destinatario finale dell’atto) che abbia presentato la relativa domanda tramite lo sportello unico.…“.
Secondo i Giudici di primo grado, “il citato parere non sembra quindi legittimare pacificamente l’opzione ermeneutica secondo la quale il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica rappresenti un’ipotesi di procedimento in cui il carattere codecisorio comporti un rapporto orizzontale tra amministrazioni, soggetto al modulo del 17 bis.
Nell’ipotesi in esame indubitabilmente ci si trova in presenza di un procedimento ad iniziativa di parte, atteso che l’istanza è destinata ad operare in funzione della rimozione di un vincolo a favore del privato richiedente, sia essa inoltrata ai sensi dell’articolo 146 o 167 del testo unico dei Beni Culturali, non potendosi ritenere configurabile un “interesse“ dell’autorità procedente.
Nel citato parere il Consiglio di Stato, pur rilevando che la norma ha introdotto un nuovo paradigma nei rapporti tra cittadino e pubblica amministrazione, sebbene nell’alveo dei rapporti “interni“ tra amministrazioni pubbliche, afferma che l’applicazione della norma agli atti di tutela degli interessi sensibili dovrà “essere esclusa laddove la relativa richiesta non provenga dall’amministrazione procedente, ma dal privato destinatario dell’atto. In tal caso, venendo in rilievo il rapporto verticale, troverà applicazione l’articolo 20 della legge 241 del 1990… senza che rilevi la circostanza che la richiesta sia presentata direttamente dal privato o da questi per il tramite dello sportello unico“.
La contraria opzione ermeneutica, con specifico riguardo al procedimento in esame, è stata esplicitamente sostenuta in una nota del Ministero Beni culturali ed ambientali, contenente precisazioni alla circolare numero 40 del 2015; detta circolare precisa che trova applicazione il nuovo art. 17 bis in tutti i casi in cui la domanda provenga da una pubblica amministrazione, anche se tale domanda abbia ad oggetto un’autorizzazione paesaggistica e il destinatario finale dell'atto titolare della posizione soggettiva condizionata al previo atto di assenso sia un privato, a nulla rilevando che la domanda di quest’ultimo sia intermediata e veicolata dallo sportello unico comunale. Il Ministero giusta successiva circolare del 20 luglio 2016, ha ribadito che il silenzio assenso c.d. "orizzontale" opera in tutti i procedimenti che prevedano una fase co-decisoria necessaria di competenza di altra amministrazione, qualunque sia la natura del provvedimento finale che conclude il procedimento.
La nota, pur premettendo di aderire al predetto parere del Consiglio di Stato, nel senso di escludere l’applicabilità dell’istituto del silenzio assenso agli atti di tutela degli interessi sensibili laddove si configuri un rapporto verticale, sostiene che nel procedimento di richiesta dell’autorizzazione paesaggistica venga in rilievo un rapporto di natura orizzontale tra le autorità preposte alla gestione del vincolo (Regione o Comune subdelegato e la Soprintendenza chiamata a rendere il parere vincolante codecisorio). Di qui viene fatta discendere la asserita applicazione del silenzio assenso tra pubbliche amministrazioni, precisandosi che lo stesso che non trova applicazione nel rapporto a valle tra l’autorità preposta alla gestione del vincolo e il privato che ha chiesto l’autorizzazione paesaggistica.
Osserva il Collegio come non sembrino condivisibili le premesse di tale ermeneutica, che equipara il procedimento de quo ad un rapporto orizzontale tra pubbliche amministrazioni, dovendosi dare prevalenza alla natura sostanziale dell’interesse fatto valere, che si dispiega in un procedimento ad istanza di parte, attivato nell’interesse del privato richiedente. Diversamente opinando, dovrebbe concludersi che - una volta espressa la propria proposta positiva in ordine alla assentibilità dell’intervento sotto il profilo paesaggistico - l’amministrazione comunale che trasmette gli atti alla Soprintendenza abbia acquisito un interesse proprio al rilascio dell’autorizzazione paesaggistica, la cui natura non appare di facile individuazione”.
Lettura conforme al diritto unionale e alla giurisprudenza di legittimità
Sempre secondo il Tribunale partenopeo, la lettura da esso proposta sembra preferibile, “ponendosi in aderenza alla normativa comunitaria, che nel caso degli interessi sensibili richiede l’adozione di provvedimenti espliciti, per cui il modulo del silenzio assenso può dirsi limitato ai soli casi di atti di assenso, concerto o nullaosta connotati da un modesto apporto valutativo dell’autorità interpellata.
Invero, la normativa euro unitaria rappresenta la necessità di tutela ambientale e paesaggistica come valore da tutelare al massimo livello, ed è tale da intendersi comprensiva anche dell’interpretazione resa da sentenze della Corte di giustizia dell’unione; quest’ultima più volte ha espresso il principio per cui le amministrazioni preposte alla tutela di valori ambientali sono tenute a concludere il procedimento con l’adozione di un provvedimento espresso, che dia giusto conto dell’istruttoria svolta. In tal senso depone la sentenza 28 febbraio 1991 C-360/87 commissione contro Repubblica italiana - con cui era stato ritenuto illegittimo l’articolo 15 della legge 219 del 1976 laddove prevedeva la formazione tacita dell’autorizzazione provvisoria agli scarichi in acque sotterranee, affermandosi che: “il rifiuto alla concessione o la revoca delle autorizzazioni devono risultare da un provvedimento esplicito... Ne consegue che un’autorizzazione tacita non può ritenersi compatibile con le prescrizioni della direttiva (del consiglio del 17 dicembre 79 ,80/68). Tanto più che siffatta autorizzazione non consente la realizzazione di indagini preliminari ed indagini successive e di controlli’’.
Anche successivamente la Corte unionale (sentenza 10 giugno 2004 causa C-87 /02) in ipotesi di procedure di verifica di assoggettabilità a valutazione di impatto ambientale ha affermato che sulla base del principio di precauzione in materia ambientale occorre un’effettiva istruttoria per valutare l’impatto di un intervento da autorizzare.
Pertanto la clausola di salvaguardia di cui al comma 4 dell’articolo 17 bis, confermando tale rinvio alle fonti normative comunitarie, ivi compresa la giurisprudenza della Corte dell’Unione, deve ritenersi impeditiva di un meccanismo che consenta di elidere un provvedimento espresso in materia paesaggistica.
Peraltro tale interpretazione è sostanzialmente condivisa anche dalla Cassazione penale sezione III con ordinanza numero 15523 del 9 aprile 2019, che ha richiamato le disposizioni del testo unico edilizia, e segnatamente:
1.a) art. 20, comma 8, rubricato « Procedimento per il rilascio del permesso di costruire », il quale, al comma 8, che prevede: « Decorso inutilmente il termine per l'adozione del provvedimento conclusivo, ove il dirigente o il responsabile dell'ufficio non abbia opposto motivato diniego, sulla domanda di permesso di costruire si intende formato il silenzio-assenso, fatti salvi i casi in cui sussistano vincoli relativi all'assetto idrogeologico, ambientali, paesaggistici o culturali, per i quali si applicano le disposizioni di cui agli articoli 14 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241»;
1.b) art. 22 del d.P.R. n. 380 del 2001, rubricato «Interventi subordinati a segnalazione certificata di inizio di attività», il quale, al comma 5, prevede: «La realizzazione degli interventi di cui al presente Capo che riguardino immobili sottoposti a tutela storico-artistica, paesaggistico-ambientale o dell'assetto idrogeologico, è subordinata al preventivo rilascio del parere o dell'autorizzazione richiesti dalle relative previsioni normative.
Nell'ambito delle norme di tutela rientrano, in particolare, le disposizioni di cui al decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490 [poi sostituito dal d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42]»;
1.c) art. 23-bis d.P.R. n. 380 del 2001, rubricato «Autorizzazioni preliminari alla segnalazione certificata di inizio attività e alla comunicazione dell'inizio dei lavori », che, a norma del comma 3, si applica anche agli interventi subordinati a comunicazione di inizio lavori asseverata, prevedendo, in ogni caso, la necessità di «acquisizione di tutti gli atti di assenso, comunque denominati, necessari per l'intervento edilizio».
Dal combinato disposto di queste previsioni, secondo la Suprema Corte, “sembra corretto desumere che, quando si intende realizzare un intervento edilizio per il quale è necessario il permesso di costruire o la segnalazione certificata di inizio di attività, su immobili sottoposti a tutela paesaggistica o ambientale, è necessario acquisire preventivamente il parere o l'autorizzazione prevista dalle specifiche discipline di salvaguardia, e, inoltre, che l'istituto del silenzio assenso non opera con riferimento agli atti e procedimenti riguardanti la tutela del patrimonio paesaggistico o dell'ambiente”.
Richiesta di autorizzazione paesaggistica “a sanatoria”
Da ultimo, secondo il Tar, “non appare irrilevante la circostanza che il procedimento in esame non scaturisce dalla richiesta di autorizzazione paesaggistica ex ante, ma investe una richiesta cd. a sanatoria, a fronte di un intervento già realizzato senza titolo, e per il quale il richiedente ha attivato sotto il profilo urbanistico la procedura ex art. 36 DPR 380/2001.
Invero, allorquando si tratti di opere già realizzate e, come nella specie, si verta in tema procedimento ex art. 36 DPR 380/2001, con la richiesta di accertamento di compatibilità postuma, opera la disposizione di carattere generale dell’art. 167 co. 5 D.Lgs 42/2004, a mente del quale se le opere rientrano in una delle tipologie indicate, "il proprietario, possessore o detentore a qualsiasi titolo dell'immobile o dell'area interessati dagli interventi … presenta apposita domanda all'autorità preposta alla gestione del vincolo ai fini dell'accertamento della compatibilità paesaggistica degli interventi medesimi. L'autorità competente si pronuncia sulla domanda entro il termine perentorio di centottanta giorni, previo parere vincolante della soprintendenza da rendersi entro il termine perentorio di novanta giorni”.
La perentorietà del termine ivi indicato viene interpretata, secondo condivisa giurisprudenza, nel senso che, «qualora non sia rispettato il termine di novanta giorni stabilito dall’art. 167, comma 5, del Codice per il paesaggio, il potere dell’Amministrazione statale continua a sussistere … ma l’interessato può proporre ricorso al giudice amministrativo per contestare l’illegittimo silenzio-inadempimento dell’organo statale (Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 4656 del 18 settembre 2013)».
Per cui, decorso il termine assegnato, l’organo statale conserva la possibilità di rendere il parere ma il parere espresso tardivamente perde il suo valore vincolante e deve essere quindi autonomamente e motivatamente valutato dall’amministrazione preposta al rilascio del titolo (Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 2136 del 27 aprile 2015).
Anche in tale ipotesi la complessità degli accertamenti tecnici dell’amministrazione preposta alla tutela dell’interesse paesaggistico e la attivazione di un meccanismo ex post non consentono di ritenere apprezzabile l’applicazione di un meccanismo di semplificazione, che è predisposto per operare per interventi ancora da eseguire, e non qualora gli stessi siano stati comunque effettuati, atteso che in tale evenienza le esigenze di semplificazione ed accelerazione procedimentale non avrebbero ragione giustificativa alcuna”.