Corte di Giustizia Europea, Sez. IX, 3 giugno 2021, C-210/20
Premessa.
Le tematiche dell’esclusione per gravi illeciti professionali e della sostituibilità di un partecipante in senso lato alla procedura di gara hanno assunto un interesse sempre crescente nella giurisprudenza sui contratti pubblici.
Questa volta la materia si interseca con la disciplina dell’avvalimento, chiamando in causa la Corte di Giustizia Europea, al fine di risolvere l’annosa questione dei margini di esercizio del potere discrezionale da parte della Stazione appaltante nell’acconsentire alla sostituzione dell’impresa ausiliaria che ha prestato i propri requisiti, ma che non ha dichiarato il vero in merito all’esistenza di precedenti penali.
La sentenza in commento si distingue per l’interessante approccio costruttivo della Corte di Giustizia che, valorizzando il potere discrezionale della Stazione appaltante, acconsente ad una sostituzione dell’impresa ausiliaria, qualora sopraggiungano motivi che ostano alla partecipazione della stessa quale prestatrice dei requisiti richiesti dalla lex specialis di gara.
Un approccio, questo, che segue la linea interpretativa di evitare automatismi esclusivi, permettendo la modificabilità soggettiva con l’unico limite dell’evitare una novazione oggettiva dell’offerta proposta.
Tale modifica necessita, però, di essere armonizzata con i principi della parità di trattamento, tutela della concorrenza e di trasparenza che caratterizzano tutte le fasi delle procedure ad evidenza pubblica. Di conseguenza, sarà il caso concreto ad indicare all’amministrazione la possibilità di procedere alla sostituzione.
Il caso di "partenza" e la questione giuridica.
Nel 2018 una ASL italiana ha indetto una procedura di gara per l’affidamento di lavori di demolizione di alcuni edifici costituenti l’ex presidio ospedaliero, con importo a base di gara di circa 5.000.000,00 di euro. Alla gara hanno partecipato diversi raggruppamenti temporanei d’impresa, alcuni dei quali esclusi.
Uno, in particolare, classificatosi in posizione utile all’aggiudicazione, è stato estromesso dalla gara in quanto si era avvalso dei requisiti tecnici e professionali di un’impresa ausiliaria, la quale non aveva dichiarato una sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti (patteggiamento), a carico del proprio rappresentante legale, e ormai divenuta definitiva.
La mancata dichiarazione di tale precedente penale è stata ritenuta dalla Stazione appaltante come valido motivo di esclusione ai sensi dell’art. 80 comma 5 lett. c) f-bis) e 89 d.lgs. n. 50/2016.
La gara veniva così aggiudicata ad altro raggruppamento.
Il partecipante escluso presentava ricorso al TAR, che accoglieva l’impugnazione, annullando l’esclusione. Tale sentenza è stata impugnata davanti al Consiglio di Stato dal partecipante risultato aggiudicatario dopo l’esclusione degli altri raggruppamenti.
In appello, il Consiglio di Stato ha ritenuto che, in forza dell’art. 80 c. 1 d.lgs. n. 50/2016, una dichiarazione non veritiera resa dall’impresa ausiliaria comporterebbe il dovere per la Stazione appaltante di escludere automaticamente l’offerente che si è avvalso dei requisiti. Tuttavia il giudice di secondo grado ha valutato tale automatismo come contrastante con l’art. 63 della direttiva UE n. 24/2014 rubricato “Affidamento sulle capacità di altri soggetti” e con gli articoli 49 e 56 TFUE. Per tale motivo, con ordinanza collegiale del 20 marzo 2020, n. 2005 la III Sezione ha rimesso alla Corte di Giustizia la questione: “Se l’articolo 63 della direttiva 2014/24 del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 febbraio 2014, relativo all’istituto dell’avvalimento, unitamente ai principi di libertà di stabilimento e di libera prestazione di servizi, di cui agli articoli 49 e 56 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), osti all’applicazione della normativa nazionale italiana in materia di avvalimento e di esclusione dalle procedure di affidamento, contenuta nell’articolo 89, comma 1, quarto periodo, del codice dei contratti pubblici di cui al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, secondo la quale nel caso di dichiarazioni non veritiere rese dall’impresa ausiliaria riguardanti la sussistenza di condanne penali passate in giudicato, potenzialmente idonee a dimostrare la commissione di un grave illecito professionale, la stazione appaltante deve sempre escludere l’operatore economico concorrente in gara, senza imporgli o consentirgli di indicare un’altra impresa ausiliaria idonea, in sostituzione della prima, come stabilito, invece nelle altre ipotesi in cui i soggetti della cui capacità l'operatore economico intende avvalersi non soddisfano un pertinente criterio di selezione o per i quali sussistono motivi obbligatori di esclusione”.
L’argomento del Consiglio di Stato si basa sul fatto che l’art. 63 par. 1 c. 2 della direttiva UE n. 24/2014 (il quale prevede tra l’altro che: “L’amministrazione aggiudicatrice impone che l’operatore economico sostituisca un soggetto che non soddisfa un pertinente criterio di selezione o per il quale sussistono motivi obbligatori di esclusione. L’amministrazione aggiudicatrice può imporre o essere obbligata dallo Stato membro a imporre che l’operatore economico sostituisca un soggetto per il quale sussistono motivi non obbligatori di esclusione”), osterebbe all’applicazione dell’art. 89 c. 1 d.lgs. n. 50/2016. Detta norma del Codice dei Contratti Pubblici italiano, infatti, ammetterebbe un automatismo espulsivo: “Nel caso di dichiarazioni mendaci, ferma restando l'applicazione dell'articolo 80, comma 12, nei confronti dei sottoscrittori, la stazione appaltante esclude il concorrente ed escute la garanzia.”
Non vi sarebbe, insomma, alcuna possibilità per la Stazione appaltante, nell’esercizio della sua discrezionalità, per poter valutare la possibilità di una eventuale sostituzione, come diversamente sarebbe desumibile dalla normativa europea.
Il Consiglio di Stato evidenzia la non secondaria circostanza per cui, nella realtà dei fatti, difficilmente l’operatore che ricorre all’avvalimento potrebbe avere completa contezza di tutte le informazioni che riguardano l’impresa ausiliaria, con la conseguenza che non si potrebbe imputare a detto operatore la responsabilità (oggettiva) di eventuali mancanze dichiarate da un soggetto terzo che presta i requisiti. In tal caso solamente la Stazione appaltante potrebbe ovviare a tale difetto di corretta comunicazione, acconsentendo alla sostituzione dell’impresa ausiliaria, purché non venga mutata l’offerta.
Ciò considerato il Consiglio di Stato ha sospeso il processo e rimesso la questione alla Corte di Giustizia.
La posizione della Corte di Giustizia.
Nel vagliare la problematica proposta, la Corte rileva preliminarmente che un automatismo espulsivo potrebbe rischiare di eludere il principio di non discriminazione, dal momento che in altre occasioni la sostituibilità è invece ammissibile.
Inoltre, l’art. 57 paragrafi 4 e 7 della direttiva UE n. 24/2014 consentono agli Stati membri di godere di una facoltà nel non applicare i motivi di esclusione eventuali ivi indicati o di integrarli in base alle caratteristiche del caso di specie.
Di conseguenza l’inserimento di una normativa più rigida (esclusione automatica) rischierebbe di costituire un’ipotesi di goldplating, “indorando” appunto la normativa europea e rendendola meno flessibile di quanto sia in realtà.
Procedendo nella sua ricostruzione normativa, la Corte di Giustizia UE osserva che l’art. 63 par. 1 della direttiva UE n. 2014/24 è finalizzato a consentire agli operatori concorrenti di avvalersi di un soggetto ausiliario che presta requisiti tecnici e professionali richiesti dall’art. 58 par. 3 della direttiva, e ciò a prescindere dalla natura giuridica dei suoi legami con l’ausiliaria.
La procedura di presentazione dell’offerta passa attraverso l’invio del DGUE in cui ogni operatore dichiara che il medesimo ed i soggetti ausiliari hanno tutti i requisiti per poter partecipare alla gara. Sarà poi la Stazione Appaltante a dover verificare se i soggetti di cui l’operatore economico si avvale soddisfino i criteri di selezione richiesti dalla legge.
Le Amministrazioni hanno dunque un ruolo centrale che, a parere della Corte di giustizia, non può essere svilito o depotenziato tramite la normativa nazionale con cui gli Stati membri impongono un’automatica esclusione degli operatori che si avvalgono di soggetti che hanno rilasciato dichiarazioni mendaci.
In tale contesto, la Corte ricorda che non possono essere adottate disposizioni che vadano oltre quanto richiesto per poter raggiungere l’obiettivo previsto dalla normativa europea (artt. 57 ar. 6 e 63 della direttiva n. 2472014), che in questo caso preciso “è quello di consentire all’amministrazione aggiudicatrice di garantire l’integrità e l’affidabilità di ciascuno degli offerenti e, di conseguenza, la mancata cessazione del rapporto di fiducia con l’operatore economico interessato”.
A dire della Corte, inoltre, prima di procedere all’esclusione vi sarebbero due step preventivi. Il primo è l’invito a richiedere all’operatore di adottare misure correttive; il secondo di consentire la sostituzione e solo residualmente escluderlo dalla gara.
Ciò in ossequio al considerando n. 101 della direttiva n. 24/2014, secondo cui: “Nell’applicare motivi di esclusione facoltativi, le amministrazioni aggiudicatrici dovrebbero prestare particolare attenzione al principio di proporzionalità.”
Proporzionalità calibrata al caso di specie, in cui, ad esempio, l’operatore verrebbe escluso per una violazione non ad esso imputabile. In tale scenario, la Corte parrebbe però richiedere all’amministrazione una valutazione che tenga conto dei mezzi che il concorrente aveva a disposizione per potersi rendere conto delle dichiarazioni mendaci dell’impresa ausiliaria, nonché del comportamento tenuto in concreto dallo stesso offerente.
Solo in tal modo potrebbe essere garantita una concorrenza sana ed efficiente tra le imprese.
L’unico limite espresso ed invalicabile è l’impossibilità di modificare l’offerta originaria né su iniziativa dell’amministrazione né su iniziativa del partecipante. Quindi, qualora la Stazione appaltante rilevi una dichiarazione non veritiera, prima di escludere l’offerente, deve domandare chiarimenti all’offerente, eventualmente domandare la sostituzione dell’ausiliaria, evitando categoricamente che ciò comporti una modifica sostanziale dell’offerta.
Conclude la Corte enunciando il seguente principio di diritto: “L’articolo 63 della direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sugli appalti pubblici e che abroga la direttiva 2004/18/CE, in combinato disposto con l’articolo 57, paragrafo 4, lettera h), di tale direttiva e alla luce del principio di proporzionalità, deve essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale in forza della quale l’amministrazione aggiudicatrice deve automaticamente escludere un offerente da una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico qualora un’impresa ausiliaria, sulle cui capacità esso intende fare affidamento, abbia reso una dichiarazione non veritiera quanto all’esistenza di condanne penali passate in giudicato, senza poter imporre o quantomeno permettere, in siffatta ipotesi, a tale offerente di sostituire detto soggetto.”
Riflessioni "de iure condendo".
La decisione della Corte di Giustizia in commento si apprezza per il ragionamento che propone, valorizzando il dato sostanziale ed il caso concreto, e di fatto salvando l’aggiudicatario della gara, benché si sia avvalso di soggetto che ha omesso di dichiarare un precedente penale rilevante.
E così, il giudice europeo “boccia” ancora una volta gli automatismi espulsivi previsti dalla normativa italiana sui contratti pubblici, richiamando l’attenzione sulla necessità di utilizzare l’esclusione come rimedio sanzionatorio ultimo e residuale, a cui deve necessariamente precedere una fase di interlocuzione tra Stazione appaltante e offerente al fine di correggere eventuali errori/omissioni/falsità scoperte in sede di verifica dei requisiti, e consentire al partecipante di redimersi, correggendo l’anomalia, e di proseguire la gara aggiudicata.
In tale contesto la possibilità di sostituire l’impresa ausiliaria con altro soggetto, ad offerta invariata, è la via dettata dalla Corte di Giustizia, la quale ricorda che tutta l’attività amministrativa deve essere improntata al raggiungimento degli obiettivi previsti dalla legge, tra cui la costituzione di un rapporto di fiducia e affidabilità con il privato al fine della migliore realizzazione dell’opera pubblica.
Infatti, sarebbe effettivamente sproporzionato che l’operatore che fa ricorso all’avvalimento venga escluso per un fatto che non rientra nella signoria dell’offerente, come una dichiarazione dell’impresa ausiliaria su un precedente della stessa.
Ciò detto, però, la decisione è ancor più apprezzabile per aver riportato l’attenzione degli interpreti dal dato astratto della normativa al dato concreto delle procedure di gara. Difatti, se da una parte viene affermato che l’automatismo esclusivo non è in linea con la direttiva UE n. 24/2014 (come preventivabile alla luce dei precedenti in casi analoghi: ad. es., Corte di Giustizia, 30 gennaio 2020, C-395/18), dall’altra si valorizza il potere discrezionale della Stazione appaltante nel valutare in concreto i margini che ha avuto l’operatore economico che si avvale dei requisiti altrui per valutare l’affidabilità e la veridicità delle dichiarazioni dell’impresa ausiliaria, oltre al suo atteggiamento tenuto durante la procedura di gara.
Questa interpretazione parrebbe legittimare il potere, anche tecnico, dell’amministrazione aggiudicatrice nel compiere una valutazione caso per caso che tenga conto delle differenti situazioni, in ossequio ai principi di non discriminazione, di trasparenza e di ragionevolezza, evitando di fare scelte aprioristiche e generalizzate che portino indistintamente all’esclusione dei partecipanti alle procedure di gara.
Una scelta dell’amministrazione potrà comunque essere sindacata in sede giurisdizionale, ma per forza di cose sposterà la visuale del giudice dal (solo) piano della valenza e rilevanza della falsità dichiarata o dell’omissione, alla correttezza della valutazione della Stazione appaltante in merito al comportamento tenuto dall’offerente e alla percezione che quest’ultimo avrebbe potuto avere in merito alle dichiarazioni fatte dall’impresa ausiliaria.
Tale spostamento, o per meglio dire ampliamento, dell’area sindacabile, consentirebbe dall’altra parte anche maggiori margini di impugnabilità delle scelte dell’amministrazione. Infatti, il concorrente arrivato secondo, dietro ad un’impresa a cui è stato consentito di sostituire l’impresa ausiliaria, potrebbe contestare la mancata esclusione, il vaglio positivo sull’assenza di imputabilità dell’offerente in merito alla falsità dichiarata e l’avvenuta sostituzione, oltre che l’offerta proposta.
Ciò però non si ritiene possa essere pregiudizievole alla qualità delle gare o alla loro velocità di conclusione, considerando il rito accelerato previsto dal c.p.a. per la materia degli appalti e la possibilità data dal nuovo decreto semplificazioni, che consente comunque alla Stazione appaltante di consentire l’immediata esecuzione delle opere.
Alla luce di questa ulteriore sentenza che sanziona gli automatismi previsti nel d.lgs. n. 50/2016, si ritiene che non sia più rinviabile un intervento legislativo che, intervenendo sul codice dei contratti pubblici ora vigente, vada ad eliminare o comunque correggere tutte quelle previsioni che rendono per la Stazione appaltante automatica e vincolata una scelta che nella direttiva UE n. 24/2014 era prevista come facoltativa ed anzi residuale.
In effetti, se da una parte è apprezzabile la volontà del d.lgs. n. 50/2016 di punire categoricamente ed in modo assoluto qualsiasi dichiarazione non veritiera, al fine di escludere a monte ogni ipotesi di relazione tra la pubblica amministrazione, le risorse erariali ed offerenti menzogneri, dall’altra deve pur considerarsi che tale meccanismo implica il ricorso ad una serie di presunzioni tutt’altro che relative che danneggiano la concorrenza, il mercato e la qualità delle opere pubbliche, screditando (forse eccessivamente) il concorrente privato.
È quindi meritevole di condivisione la scelta interpretativa della Corte di Giustizia che, lungi dall’addossare l’onere della prova di “non dover essere escluso” sul privato offerente, pone tale onere a carico della Stazione appaltante, la quale prima di escluderlo deve dimostrare che, alla luce del caso concreto, il concorrente era in grado di rilevare la menzogna della propria ausiliaria. In particolare, la Corte di Giustizia fa riferimento ai mezzi con i quali l’offerente poteva rendersi conto della non veridicità delle dichiarazioni.
A proposito, si osserva che tale precisazione, se da una parte concretizza l’analisi del caso soggettivizzando la responsabilità dell’offerente, dall’altra lascia un limitato margine alla “non imputabilità” del privato, considerando che le tecnologie attuali e la possibilità di un ampio accesso agli atti potrebbero consentire (quasi in ogni caso) di verificare se lo stesso poteva o meno essere a conoscenza di quanto dichiarato dall’ausiliaria.
Tale sistema, come costruito in via interpretativa, sembra effettivamente realizzare il dettato europeo proposto con la direttiva n. 24/2014.
Ed alla luce di ciò, parrebbe lecito chiedersi se, forse, non sarebbe meglio (soprattutto in un'ottica de jure condendo) fare un passo indietro e, invece di immaginare un nuovo codice dei contratti pubblici, riavvicinare il testo dell’attuale d.lgs. n. 50/2016 al significato letterale delle direttive europee (anche ricorrendo ad un massiccio copy out), espungendo tutti gli “indoramenti” che hanno il solo effetto di rendere complessa l’applicazione delle norme, incerta l’interpretazione, evanescenti i confini attuativi, appesantendo sia i procedimenti amministrativi che i processi giudiziari e, di fatto, non conducendo a null’altro se non ad un’interpretazione della normativa italiana alla luce di quelle direttive che l’avrebbero, almeno in teoria, originata ed ispirata.
La sentenza qui in commento è dunque l’ulteriore dimostrazione che, più che pensare a creare una normativa nuova, che appesantirebbe l’intero settore, forse sarebbe meglio “ottimizzare”, ripulendola, quella già in uso in modo da “semplificarla”, renderla funzionale ed evitare che continui a creare stalli dovuti alla pur apprezzabile voglia di migliorare un testo (quello delle direttive europee) già efficace.
Una tale opera di restyling forse renderebbe meno arduo raggiungere il risultato del miglior funzionamento della materia e dell’effettiva certezza delle norme giuridiche.