La Corte di Cassazione Civile, con la sentenza a Sezioni Unite del 29 ottobre 2020, n. 23902, dopo avere ricordato la distinzione tra edificabilità in senso urbanistico e in senso tributario, perché diverse sono le finalità delle rispettive legislazioni (quella urbanistica tende a garantire il corretto uso del territorio urbano, e, quindi, lo jus aedificandi non può essere esercitato se non quando gli strumenti urbanistici siano perfezionati, garantendo la compatibilità degli interessi individuali con quelli collettivi; quella tributaria, invece, mira ad adeguare il prelievo fiscale alle variazioni dei valori economici dei suoli, che si registrano e progrediscono, in parallelo, dal sorgere della mera aspettativa dello jus aedificandi fino al perfezionamento dello stesso), ha individuato i fattori di distinzione tra:
- urbanistica «perequativa», che “si produce direttamente e preventivamente dal piano urbanistico e comporta la generalizzata, preordinata e diffusa attribuzione di un indice perequativo con effetto diretto sul terreno interessato in quanto facente parte del comparto di intervento; nella perequazione l’indice di edificabilità viene attribuito al fondo divenendo una qualità intrinseca di questo, e la fattispecie di edificabilità può dirsi perfetta fin dall’origine, non necessitando di successiva individuazione ed effettiva assegnazione di aree surrogatorie di atterraggio”;
- urbanistica «compensativa», ove l’Amministrazione attribuisce al proprietario un “indice di capacità edificatoria fruibile su altra area di proprietà pubblica o privata, non necessariamente contigua e anche di successiva individuazione, a fronte della cessione gratuita dell’area oggetto di trasformazione pubblica, ovvero di imposizione su di essa di un vincolo assoluto di inedificabilità o preordinato all’esproprio; può prevedere anche diverse forme attuative, ad esempio di permuta tra aree, ovvero di mantenimento in capo al privato della proprietà dell’area destinata alla realizzazione di servizi pubblici dati al medesimo in gestione convenzionata, e può fungere da strumento della pianificazione generale tradizionale (compensazione infrastrutturale), ovvero dipendere dall’esigenza di tenere indenne un proprietario al quale venga imposto un vincolo di facere o non facere per ragioni ambientali-paesaggistiche; il diritto edificatorio proveniente da interventi compensativi trova fondamento nel piano regolatore generale ma viene assegnato (ed è dunque trasferibile tra privati) solo all’esito della cessione dell’area o dell’imposizione del vincolo; trattandosi di un istituto con funzione corrispettiva o indennitaria di un’edificabilità soppressa, esso risulta indifferente alle successive variazioni di piano; ed è così evidente la progressività dell’iter perfezionativo della fattispecie, dal momento che quest’ultima si articola - seguendo una metafora aviatoria - in una fase (o area) di ‘decollo’, costituita dall’assegnazione del titolo volumetrico indennitario al proprietario che ha subito il vincolo; di una fase (o area) di ‘atterraggio’, data dall’individuazione e assegnazione del terreno sul quale il diritto edificatorio può essere concretamente esercitato; di una fase di ‘volo’ rappresentata dall’arco temporale intermedio durante il quale l’area di atterraggio ancora non è stata individuata, e pur tuttavia il diritto edificatorio è suscettibile di circolare da sé”.
La Corte di Cassazione ha infine concluso affermando che “è dunque nella compensazione - e non nella perequazione - urbanistica che si assiste alla massima volatilità dello jus aedificandi rispetto alla proprietà del suolo”, e su questo presupposto ha pronunciato il seguente principio di diritto: <un’area, prima edificabile e poi assoggettata ad un vincolo di inedificabilità assoluta, non è da considerare edificabile ai fini ICI ove inserita in un programma attributivo di un diritto edificatorio compensativo, dal momento che quest’ultimo non ha natura reale, non inerisce al terreno, non costituisce una sua qualità intrinseca ed è trasferibile separatamente da esso>.