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Carta di identità, impronte digitali e libera circolazione del cittadino europeo

dalla Redazione ("pillole" di diritto UE) • 1 luglio 2024

Corte giust. Ue, Grande sezione, 21.3.24, causa C-61/22/ Corte giust. Ue 1^, 22.2.24, causa C-491/21


Nell’ambito di una controversia tra un privato e la città tedesca di Wiesbaden, avente ad oggetto il diniego espresso dall’Amministrazione sulla istanza di rilascio di una carta d’identità che non contenesse le impronte digitali dell’interessato, è stata sollevata domanda di pronuncia pregiudiziale vertente sulla validità del regolamento (UE) 2019/1157 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 giugno 2019, sul rafforzamento della sicurezza delle carte d’identità dei cittadini dell’Unione e dei titoli di soggiorno rilasciati ai cittadini dell’Unione e ai loro familiari che esercitano il diritto di libera circolazione.

Facendo leva su uno dei tre motivi di sospetta illegittimità dell’atto, la Corte di Giustizia, seppure nella parte finale della sua motivazione, ha “”preliminarmente” verificato se l’imposizione del dato identificativo di due impronte digitali, come previsto dal suddetto regolamento, fosse da considerarsi disposizione legittima.

Secondo la Corte, la limitazione dell’esercizio dei diritti garantiti dagli articoli 7 e 8 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (“Rispetto della vita privata e della vita familiare” e “Protezione dei dati di carattere personale”) , come risultante dall’inserimento di due impronte digitali nel supporto di memorizzazione delle carte d’identità, non è, tenuto conto della natura dei dati di cui trattasi, della natura e delle modalità dei trattamenti nonché dei meccanismi di salvaguardia previsti, di gravità sproporzionata rispetto all’importanza delle finalità perseguite da detta misura. Pertanto, una misura del genere deve essere considerata fondata su una ponderazione equilibrata tra, da un lato, tali finalità e, dall’altro, i diritti fondamentali coinvolti.

In particolare, si tratta di imposizioni di obblighi che costituiscono indubbiamente limitazioni oggettive dei due diritti protetti dagli artt. 7 e 8 della Carta, ma tali limitazioni, conformemente all’articolo 52, paragrafo 1, prima frase, della Carta, sono previste dalla legge e rispettano il contenuto essenziale di detti diritti (le informazioni fornite dalle impronte digitali non consentono, di per sé, di avere una visione di insieme sulla vita privata e familiare delle persone interessate).

Le limitazioni in parola rispettano altresì il principio di proporzionalità, in quanto necessarie e rispondenti a effettive finalità di interesse generale riconosciute dall’Unione o all’esigenza di proteggere i diritti e le libertà altrui.

Sotto quest’ultimo profilo, l’inserimento di due impronte digitali complete nel supporto di memorizzazione delle carte d’identità è da considerarsi, secondo la Corte, misura idonea a realizzare le finalità di interesse generale di lotta contro la fabbricazione di carte d’identità false e contro l’usurpazione d’identità, nonché di interoperabilità dei sistemi di verifica.

D’altra parte, il rilevamento e la memorizzazione di due impronte digitali complete sono autorizzate dal regolamento 2019/1157 solo ai fini dell’inserimento di tali impronte digitali nel supporto di memorizzazione delle carte d’identità.

La decisione della Corte UE, peraltro, pur avallando come legittima l’imposizione del dato identificativo di due impronte digitali, ha contemporaneamente rilevato l’invalidità del regolamento Ue che prevede tale obbligo, in quanto fondato su una base giuridica errata, vale a dire su un articolo del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea diverso da quello che sarebbe stato corretto.

Il Parlamento europeo e il Consiglio lo hanno infatti adottato sul fondamento dell’art. 21, par. 2, Tfue, relativo al diritto dei cittadini europei di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, mentre la corretta base giuridica era la disposizione più specifica dell’art. 77, par. 3, dello stesso Tfue che riguarda lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia e, più precisamente, le politiche relative ai controlli alle frontiere, all’asilo e all’immigrazione. L’applicazione della disposizione corretta prevede, in effetti, una procedura legislativa speciale e, in particolare, l’unanimità in seno al Consiglio, laddove il regolamento del 2019 è stato applicato con la procedura ordinaria, che non prevede tale unanimità.

Tuttavia, per arginare gli effetti immediati dell’annullamento, la Corte ha stabilito di mantenere l’efficacia del regolamento invalido fino all’entrata in vigore, entro un termine ragionevole e al più tardi il 31 dicembre 2026, di un nuovo regolamento, fondato sulla base giuridica idonea.

Al riguardo, i Giudici eurounitari hanno rilevato che gli effetti di un atto dichiarato invalido possono essere mantenuti per motivi di certezza del diritto, in particolare qualora gli effetti immediati della sentenza che dichiara tale invalidità possa comportare conseguenze negative gravi per gli interessati, come avverrebbe nel caso di specie, per un numero significativo di cittadini dell’Unione, con riferimento alla loro sicurezza nello spazio di libertà, sicurezza e giustizia.


Un avvocato, cittadino rumeno, che esercita le sue attività professionali sia in Francia sia in Romania e che è domiciliato in Francia dal 2014, ha proposto un ricorso amministrativo dinanzi alla Corte d’appello di Bucarest, diretto ad ingiungere alla direzione dell’Ufficio competente di stato civile di rilasciargli il documento richiesto.

In particolare, l’avvocato aveva chiesto il rilascio di una carta d’identità o di una carta d’identità elettronica, ma tale domanda era stata respinta sul presupposto che egli non aveva stabilito il proprio domicilio in Romania.

Le autorità rumene gli avevano infatti rilasciato un passaporto semplice elettronico dal quale risulta che è domiciliato in Francia, mentre, per ciò che concerne la carta d’identità, si erano limitati a mettergli a disposizione una carta provvisoria – che non costituiva in ogni caso un documento che gli consente di viaggiare all’estero -, nonostante la vita privata e professionale del richiedente si svolga sia in Francia che in Romania e lo stesso fissi ogni anno la propria residenza in Romania

Investita della questione pregiudiziale, la Corte di Giustizia ha evidenziato che l’art. 21 Tfue e l’art. 45, par. 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, letti e interpretati in combinato disposto con l’art. 4, par. 3, della direttiva 2004/38, ostano alla normativa di uno Stato membro in forza della quale a un cittadino dell’Unione, che abbia la nazionalità di tale Stato membro e che abbia esercitato il proprio diritto di libera circolazione e soggiorno in altro Stato membro, è negato il rilascio di una carta d’identità che possa valere come documento valido per l’espatrio all’interno dell’Unione, per il solo motivo che egli ha stabilito il proprio domicilio nel territorio di tale altro Stato membro.



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