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Commissioni concorsuali e parità di genere

a cura di Federico Smerchinich • 14 ottobre 2024

TAR Lombardia, Milano, Sez. V, 16.07.2024, n. 2203


IL CASO E LA DECISIONE

Il giudizio da cui trae origine la sentenza in commento riguarda un concorso universitario per 1 posto da ricercatore a tempo determinato nel settore del diritto privato e storia del diritto.

La ricorrente ha contestato il decreto di approvazione della graduatoria e la delibera di nomina della Commissione.

In particolare, con il motivo di interesse nel caso di specie, la ricorrente ha chiesto la riedizione della procedura alla luce dei vizi degli atti di nomina della Commissione. 

La censura si basa sul fatto che non sarebbe stata garantita la presenza di un docente di genere femminile nella Commissione, con violazione del Regolamento di Ateneo.

Stando ai fatti, risulta che il Consiglio di dipartimento avrebbe designato il componente interno e designato la rosa dei docenti esterni sorteggiabili per formare la Commissione. La rosa era composta da 4 docenti di sesso maschile ed una donna. Questa differenza numerica, spiega l’Università, è stata dovuta al fatto che non sarebbero state reperibili donne con i requisiti per far parte della predetta Commissione.

All’esito del sorteggio, la Commissione veniva formata da 3 docenti maschi. Quindi, in linea teorica la parità di genere non è stata rispettata.

Al TAR è spettato decidere se tale mancato rispetto della parità sia o meno giustificabile.

Il Giudice di primo grado inizia la propria argomentazione facendo leva sull’art. 51 Cost. in cui si afferma che “la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini”. In tal senso, l’attuazione del principio di parità di genere nella rappresentanza democratica è uno dei valori fondanti del nostro sistema ordinamentale, di cui vi è traccia già nell’art. 6 comma 3 d.lgs. n. 267/2000 e, poi, nell’art. 57 d.lgs. n. 165/2001. Successivamente è entrato in vigore il Codice delle Pari Opportunità ed è stato modificato in senso più rigoroso l’art. 6 del TUEL già citato.

A queste norme, bisogna aggiungere il D.P.R. n. 82/2023 che ha modificato l’art. 9 del D.P.R. n. 487/1994, “Regolamento recante norme sull’accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni e le modalità di svolgimento dei concorsi, dei concorsi unici e delle altre forme di assunzione nei pubblici impieghi”, stabilendo che «in ogni caso nella composizione delle commissioni esaminatrici si applica il principio della parità di genere, secondo quanto previsto dall’articolo 57, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165».

Il TAR fa discendere da queste disposizioni il corollario secondo cui il principio di parità è da considerarsi una norma cogente dell’ordinamento, tanto che esso costituisce un vincolo per l’azione dei pubblici poteri nello svolgimento della discrezionalità loro consegnata dall’ordinamento stesso, e una direttiva in ordine al risultato da perseguire, in funzione della parità sostanziale e del buon andamento amministrativo.

Questa tesi sarebbe suffragata dal dato letterale delle norme, in cui sono usati i termini “in ogni caso”, “promuovere”, “garantire”, a dimostrazione della vincolatività predetta. In tal senso sarebbe andato, nel caso di specie, anche il Regolamento di Ateneo.

A quanto sin qui argomentato, il TAR ha aggiunto un passaggio decisivo nella sua argomentazione. E, cioè, che “l’interesse al ricorso per fare valere la violazione del principio e delle norme in materia, non richiede l’allegazione di un pregiudizio concreto arrecato dall’asserita composizione irregolare della stessa all’esito del procedimento di valutazione comparativa concorrenziale, in quanto si tratta di un interesse strumentale alla rinnovazione della gara.”

Come si vedrà, questo inciso è dirimente, dato che in altri casi la giurisprudenza si è orientata in maniera diversa.

Il Giudice di primo grado ha infine concluso affermando che l’Università ha errato nella scelta dei commissari, perché non ha garantito la presenza di un commissario donna e non ha dato la prova di aver effettivamente cercato dei docenti femminili che potessero far parte della Commissione.

Quindi, il TAR ha annullato con sentenza breve l’atto di nomina impugnato e ordinato all’Università di riavviare la procedura, tramite nomina di una Commissione che rispetti la parità di genere e che dimostri di essersi effettivamente adoperata per reperire un commissario donna.

Il Consiglio di Stato ha sospeso con ordinanza n. 3586 del 2024 la pronuncia di primo grado, ma soltanto limitatamente alle conseguenze della sua esecuzione sul contratto in corso con il soggetto destinatario della nomina a ricercatore.  


PARITA' DI GENERE E DECLINAZIONE DELL'INTERESSE

Il tema della garanzia della parità di genere è molto attuale nel dibattito politico, sociale e giuridico, rappresentando uno degli approdi di decenni di scontri e lotte per ottenere un riconoscimento non scontato nel secolo scorso.

E così, ancora oggi, la questione della parità di genere trova un suo ambito di discussione nel settore dei concorsi pubblici e della partecipazione di eguale numero di soggetti maschi e femmine alle commissioni di valutazione. Sebbene possa apparire una questione scontata, la strada è ancora lunga per raggiungere in concreto determinati standard di certezza e parità di genere.

D'altra parte, la giurisprudenza in materia si attesta su posizioni diverse che meritano di essere esaminate più da vicino.

La sentenza in commento si apprezza per la sua chiarezza nell’affermare la cogenza del principio della parità di genere anche nell’ambito della nomina delle Commissioni di concorso.

Questa tesi del TAR parte dal dato costituzionale (art. 51) per poi analizzare la normativa nazionale e quella "universitaria".

Il passaggio decisivo, a parere di chi scrive, è la statuizione del TAR secondo cui la violazione della parità di genere può ravvisarsi anche laddove non vi sia l’allegazione di un pregiudizio diretto al ricorrente dovuto alla nomina della Commissione senza il rispetto della parità di genere, trattandosi di interesse strumentale alla riedizione della procedura. 

Ma questa statuizione, condivisibile alla luce della normativa, non è sempre scontata nella giurisprudenza.

Infatti, si registra un contrasto pretorio in argomento (ben ricostruito in TAR Liguria, Sez. I, 16.07.2024, n. 510 con una decisione del medesimo giorno della sentenza in commento).

Secondo un primo indirizzo, che si pone in armonia con la sentenza in commento, colui che contesta la legittimità della composizione di una commissione esaminatrice non ha l'onere di dimostrare lo specifico pregiudizio derivante da tale vizio, atteso che questo, ove effettivamente sussistente, determina il travolgimento dell'intera procedura concorsuale e la necessità di sua ripetizione (cfr., ex multis, Cons. St., sez. VII, 29 luglio 2022, n. 6719; Cons. St., sez. V, 23 dicembre 2020, n. 8269; Cons. St., sez. VI, 30 luglio 2018, n. 4675; Cons. St., sez. IV, 12 novembre 2015, n. 5137).

Secondo altro orientamento, più rigoroso, la non corretta formazione di una commissione giudicatrice non può, di per sé, integrare un motivo di ricorso laddove il candidato non provi o, perlomeno, non prospetti adeguatamente le ragioni per cui l'errata composizione ha influenzato il negativo risultato concorsuale (v., ex aliis, Cons. St., sez. VI, 14 gennaio 2019, n. 334; T.A.R. Campania, Napoli, sez. VII, 2 ottobre 2023, n. 5369); con specifico riferimento alla parità di genere nell'organo esaminatore, è stato affermato che la violazione della relativa normativa (art. 57, comma 1, lett. a del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 9 del D.P.R. n. 487 del 1994) non esplica ex se effetti vizianti delle operazioni concorsuali, assumendo rilevanza soltanto in presenza di una condotta discriminatoria in danno dei concorrenti di sesso femminile (Cons. St., sez. V, 20 agosto 2015, n. 3959; Cons. Stato, sez. V, sent. 240 del 26 giugno 2015; T.A.R. Puglia, Bari, sez. I, 13 dicembre 2019, n. 1652).

Ebbene, la sentenza del TAR Milano si allinea al primo di questi due orientamenti, confermando che l’interesse alla riedizione della procedura prevale sulla dimostrazione della lesione che ne consegue in concreto. Come se si passasse dal piano della giurisdizione soggettiva a quella oggettiva, dove si tutela il principio del corretto agire della pubblica amministrazione.

Una tesi forse condivisibile, se si considera che la pubblica amministrazione dovrebbe sempre rispettare i principi cogenti della materia, per assicurare il buon andamento di cui all’art. 97 Cost.. 

Ciò detto, è interessante notare che nella materia si sono anche registrate posizioni che trattano la questione della parità di genere con riferimento a tematiche più generali come la corruzione e la trasparenza, che andrebbero a tutelare interessi ultronei rispetto al singolo ricorso o alla singola posizione soggettiva. 

In tal senso si veda TAR Liguria, Sez. II, 15.09.2023, n. 234 che, nel respingere la tesi del ricorrente, ha affermato in sede cautelare che “la denunciata violazione della parità di genere non concerne disposizioni poste a garanzia dei candidati al conferimento dell’incarico”, come se il ricorrente non avesse interesse a farla valere autonomamente dinanzi al TAR.

Oppure, in maniera più approfondita e con la finalità di accogliere la tesi del ricorrente, può vedersi la sentenza del T.A.R. Lazio Roma, Sez. III, 22.04.2023, n. 6964 che afferma: “il Collegio ritiene che il prescritto rispetto della parità di genere nelle procedure valutative in generale e nella procedura per cui è causa in special modo, costituisca una misura di prevenzione della corruzione esplicitamente contemplata dall'Anac nella Delib. n. 1208 del 22 novembre 2017, recante "Approvazione definitiva dell'Aggiornamento 2017 al Piano Nazionale Anticorruzione", nonché ripresa nell'atto di indirizzo del Miur -OMISSIS9/2018. La equilibrata composizione di genere, quindi, costituisce una misura volta a prevenire il manifestarsi del rischio corruttivo nelle procedure di selezione dei docenti universitari, che l'Ateneo resistente ha specificamente introdotto, nel libero esercizio della propria autonomia ordinamentale, nell'art. 7.3 del regolamento di Ateneo per la chiamata dei professori di I e II fascia…. Nel caso di specie, quindi, risulta inconferente l'orientamento giurisprudenziale richiamato dalla parte controinteressata, secondo il quale le disposizioni sulla parità di genere nelle commissioni di concorso sono poste a garanzia non dei candidati, ma della componente femminile in possesso dei requisiti per farne parte (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. V, sent. n. 406 del 3 febbraio 2016).… Invero, posto che la prescrizione del regolamento di Ateneo in ordine al rispetto, ove possibile, del principio della equilibrata composizione di genere delle commissioni di concorso designate in relazione alle procedure di tipo valutativo, costituisce, sulla scorta delle precedenti considerazioni, una misura di prevenzione della corruzione, il rispetto della stessa viene richiesto per assicurare la regolare composizione della Commissione giudicatrice e, dunque, l'imparzialità e l'obiettività di giudizio di tale organo nell'espletamento delle operazioni di valutazione dei candidati partecipanti alla procedura di chiamata.”.

Secondo questa sentenza, quindi, l’obiettivo del principio della parità di genere va traslato su un piano differente rispetto a quello della mera lesione al candidato di genere femminile, viziando l’azione amministrativa ogni qual volta non sia stata rispettata la parità di genere per motivi non giustificabili. La conclusione di questa sentenza è sostanzialmente la medesima del TAR Milano in commento, secondo cui il candidato non ha l’onere di dimostrare la lesione in concreto subita, posto che "quanto alle conseguenze dell’accertamento dell’illegittimità dell’atto di nomina della Commissione giudicatrice, la giurisprudenza amministrativa ha affermato che l’illegittimità dell’atto di nomina della Commissione di concorso è, da solo, idoneo a supportare l’accoglimento del ricorso in esame, comportando l’illegittimità derivata, e quindi l’annullamento, di tutti i successivi atti di gara, trattandosi di un vizio che ‘involge la legittima attribuzione del potere ad un organo collegiale che, in ragione dell'illegittima composizione dello stesso, non è legittimato ad esercitare tale potere’; è perciò assimilabile al vizio di incompetenza".

Ricostruito in tali termini il dibattito giurisprudenziale, si arriva alla conclusione che la materia è particolarmente caotica e fluida, avvicendandosi tesi differenti, ma che, forse, come anche confermato dalla sentenza del TAR Milano in commento, la strada che individua il principio della parità di genere come cogente e vincolante per le amministrazioni è quella che meglio rispecchia gli intenti legislativi e di buon andamento che permeano la nostra era. Ciò considerato, si ritiene che la materia potrà trovare una soluzione chiarificatrice solamente attraverso un intervento legislativo ancora più dettagliato o, come si ritiene probabile, in sede giurisprudenziale con una decisione dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato.




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