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L’efficacia delle sentenze penali nel processo tributario

Alma Chiettini • 15 ottobre 2024

Cass. Civile, Sezione V, 3 settembre 2024, n. 23570


La recente riforma del sistema sanzionatorio tributario, di cui al d.lgs. 14 giugno 2024, n. 87, ha introdotto l’art. 21 bis nel d.lgs. n. 74 del 2000 che, al comma 1 prevede: “la sentenza irrevocabile di assoluzione perché il fatto non sussiste o l’imputato non lo ha commesso, pronunciata in seguito a dibattimento nei confronti del medesimo soggetto e sugli stessi fatti materiali oggetto di valutazione nel processo tributario, ha, in questo, efficacia di giudicato, in ogni stato e grado, quanto ai fatti medesimi”.

Con tale disposizione si è voluto superare il regime del c.d. “doppio binario” tra giudizio penale e giudizio tributario. In precedenza, difatti, nel processo tributario l’efficacia vincolante del giudicato penale di assoluzione non operava automaticamente e ciò poiché nel processo tributario vigono limitazioni delle prove e, soprattutto, possono valere anche presunzioni semplici, le quali sono insufficienti per un giudizio di responsabilità penale ma adeguate (entro i prescritti limiti, ossia se si presentano gravi, precise e concordanti ex art. 2729 c.c.) a fondare e motivare l’atto di accertamento e la sentenza tributaria. Pertanto, il giudice tributario che poneva a fondamento della sua decisione una sentenza penale irrevocabile doveva procedere all’apprezzamento del suo contenuto e porlo a confronto con gli altri elementi di prova acquisiti nel giudizio. La sentenza penale irrevocabile era, quindi, una semplice fonte di prova.

La novella disciplina, in vigore dal 29 giugno 2024, prevede dunque che l’assoluzione del giudice penale, a indicate condizioni, abbia efficacia diretta e vincolante nel giudizio tributario di merito. E anche in quello di legittimità (ultimo grado), purché la sentenza penale irrevocabile venga depositata quindici giorni prima dell’udienza o dell’adunanza in camera di consiglio.

Il primo problema, di diritto transitorio, sull’efficacia delle sentenze penali divenute irrevocabili prima dell’entrata in vigore della nuova disciplina, è stato tempestivamente risolto dalla Corte di cassazione con la pronuncia qui segnalata (ma vedasi anche l’ordinanza n. 23609 del 3.9.2024), secondo cui tale “ius superveniens si applica anche ai casi in cui la sentenza penale dibattimentale di assoluzione sia divenuta irrevocabile prima dell’entrata in vigore del decreto legislativo n. 87 del 2024, purché, alla data di entrata in vigore del d.lgs., sia ancora pendente il giudizio tributario … in relazione ai medesimi fatti, rilevanti penalmente, dai quali egli sia stato irrevocabilmente assolto, in esito a giudizio dibattimentale, con una delle formule ‘di merito’ previste dal codice di rito penale (perché il fatto non sussiste o perché l’imputato non l’ha commesso)”.

Altre questioni sorte con la nuova disciplina riguardano le tre condizioni previste dalla disposizione: 

- la sentenza penale deve essere stata pronunciata “in seguito a dibattimento”: sono così esclusi dal perimetro dell’art. 21 bis i decreti di archiviazione e le sentenze c.d. di “patteggiamento”;

- la sentenza penale deve avere per oggetto gli “stessi fatti materiali oggetto di valutazione nel processo tributario”, fatti che devono essere stati oggetto del giudizio penale e che devono essere stati considerati rilevanti ai fini di quella pronuncia;

- la sentenza penale deve sancire che “il fatto non sussiste o l’imputato non lo ha commesso”: sono pertanto escluse le sentenze penali che recano formule assolutorie quali “il fatto non costituisce reato”, oppure “l’imputato non è punibile o non è imputabile”, oppure le sentenze di non doversi procedere perché il reato è estinto per prescrizione o per amnistia.

Altra questione – ancora non approfondita – è il coordinamento della portata dell’art. 21 bis del d.lgs. n. 74 del 2000 con le formule di cui ai primi due commi dell’art. 530 c.p.p. che, rispettivamente, recitano: - “se il fatto non sussiste, se l’imputato non lo ha commesso, se il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato ovvero se il reato è stato commesso da persona non imputabile o non punibile per un’altra ragione, il giudice pronuncia sentenza di assoluzione indicandone la causa nel dispositivo” (primo comma), e - “il giudice pronuncia sentenza di assoluzione anche quando manca, è insufficiente o è contraddittoria la prova che il fatto sussiste, che l’imputato lo ha commesso, che il fatto costituisce reato o che il reato è stato commesso da persona imputabile" (secondo comma).

Si tratta di formule di assoluzione differenti ed elencate in ordine d’importanza per l’imputato: sono infatti graduate da quelle più favorevoli a quelle a lui meno convenienti.

Vale rammentare che il comma 2 dell’art. 530 ha sostituito il precedente istituto della assoluzione per insufficienza di prove. Ora, il giudice pronuncia sentenza di assoluzione piena, con le formule elencate nel comma 1, anche quando “manca, è insufficiente o contraddittoria la prova che il fatto sussiste, che l’imputato lo ha commesso, che il fatto costituisce reato o che il reato è stato commesso da persona imputabile”. Quindi, la prova positiva dell’innocenza dell’imputato, e la prova negativa della sua responsabilità, sono considerate di pari valore agli effetti del giudizio di colpevolezza. Quando il giudice penale pronuncia la sentenza di assoluzione, indica sempre nel dispositivo la causa. 

La giurisprudenza, in applicazione degli artt. 652, 653 e 654 c.p.p. (sull’efficacia della sentenza penale di assoluzione, rispettivamente, nel giudizio di danno, nel giudizio disciplinare e in altri giudizi civili o amministrativi) distingue le assoluzioni disposte in base ai due differenti commi dell’art. 530 c.p.p. Nelle cause concernenti procedimenti disciplinari, il Giudice amministrativo afferma che “l’efficacia vincolante del giudicato penale è configurabile solo allorché la sussistenza dei reati contestati sia stata esclusa ai sensi dell’art. 530, comma 1, c.p.p., vale a dire quando all’esito del dibattimento è stata raggiunta la prova positiva dell’insussistenza dei fatti o della loro non attribuibilità all’imputato”. E precisa, per esempio, che l’inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche ai fini della prova della responsabilità penale del dipendente (che ne ha permesso l’assoluzione ai sensi del comma 2 dell’art. 530 c.p.p.), non impedisce l’utilizzo di quelle intercettazioni in sede disciplinare, stante l’autonomia tra procedimento penale e procedimento disciplinare (C.d.S., sez. II, 15.3.2014, n. 2509).

E nelle cause civili il Giudice di legittimità ha precisato che “(...) in tema di rapporti tra giudizio penale e giudizio civile, la sentenza di assoluzione ha effetto preclusivo nel processo civile (sia ex art. 652 c.p.p. che ex art. 654 c.p.p.) solo nel caso in cui contenga un effettivo e specifico accertamento circa l’insussistenza o del fatto o della partecipazione dell’imputato, e non anche nell’ipotesi in cui sia stata pronunciata a norma dell’art. 530, comma 2, c.p.p., per inesistenza di sufficienti elementi di prova circa la commissione del fatto o la sua attribuibilità all’imputato” (Cass. civ., sez. III, 15.2.2024, n. 4201).

Tale posizioni, per il vero, non trovano favorevole la dottrina penalistica che le definisce “in contraddizione con i principi ispiratori del processo penale e della equiparazione della sentenza di assoluzione piena a quella disciplinata dall’art. 530, comma 2, c.p.p.”.

In ambito tributario la questione di una differente portata nel processo delle assoluzioni previste dai commi 1 e 2 dell’art. 530 c.p.p. non è stata ancora affrontata. Può solo essere segnalato che nella sentenza in commento, nella parte “in fatto”, si legge che il contribuente era stato assolto in sede penale “ai sensi dell’art. 530, comma 2, c.p.p.”, senza alcun espresso approfondimento, sul punto, nella parte “in diritto”, la quale, dopo la puntualizzazione sulla portata dello ius superveniens, ha semplicemente recepito l’esito del processo penale.



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