Tribunale del riesame di Napoli, ordinanza del 9 giugno 2020/ Corte di Cassazione, sentenza n. 10805 del 19 marzo 2021
IL CASO
Un medico, dirigente in servizio del reparto di anestesia e rianimazione di un ospedale campano, viene accusato di avere abusato dei poteri e delle qualità inerenti alla sua funzione, e di avere in tal modo costretto una paziente, che si trovava nella necessità di essere sottoposta ad un intervento chirurgico, a promettergli la corresponsione della somma totale di € 3.500 (di cui 500 consegnate “brevi manu”), prospettandogli, in caso contrario, la inesorabile necessità di dover attendere in via ordinaria tempi lunghi per essere operata in regime di convenzione con il SSN da uno specialista, e rappresentandole altresì che l'intervento effettuato privatamente sarebbe costato € 17.000.
La somma promessa sarebbe dunque servita, per la paziente, ad essere operata in breve tempo dallo specialista indicato dal medico “facilitatore” presso un ospedale di Roma, con l’aggiunta che sarebbe stato il reo stesso a fare da tramite per consegnare al suo collega il denaro.
Il Tribunale di Napoli, in sede di riesame, aveva confermato la disposta misura degli arresti domiciliari nei confronti dell’indagato per il reato di concussione, ma la Corte di Cassazione ha annullato con rinvio l’ordinanza del Tribunale, censurando il ragionamento giuridico ivi svolto, rispetto alla base fattuale emergente dagli atti fin lì acquisiti.
Il primo profilo problematico, secondo il Giudice di ultimo grado, è stabilire se sia stato effettivamente posto nel caso di specie un abuso costrittivo.
La Cassazione richiama l’orientamento delle Sezioni unite secondo cui, ai fini della individuazione della condotta costrittiva, è necessario polarizzare l'attenzione sugli aspetti contenutistici di quanto il pubblico agente prospetta al soggetto privato e quindi sugli effetti che a quest'ultimo derivano o possono derivare in termini di danno o di vantaggio, ove non aderisca alla richiesta alternativa di dazione o promessa di denaro o di altra utilità.
Occorre in altri termini valutare la qualità della scelta davanti alla quale l'extraneus viene posto, atteso che "la costrizione indica, in via generale, una eterodeterminazione dell'altrui volontà, nel senso che si obbliga taluno a compiere un'azione che altrimenti non sarebbe stata compiuta o ad astenersi dal compiere un'azione che altrimenti sarebbe stata compiuta".
Ne deriva che la modalità costrittiva rilevante nel delitto di concussione va enucleata dalla combinazione dei comportamenti tenuti dall'intraneus, con il risultato che i medesimi producono, e trova la sua genesi nell'abuso della qualità o dei poteri.
Il soggetto passivo, per effetto della condotta di violenza o minaccia, è posto in una condizione di sostanziale mancanza di alternativa: evitare il verificarsi del più grave danno minacciato, che altrimenti si verificherà sicuramente, offrendo la propria disponibilità a dare o promettere una qualche utilità (danno minore) che sa non essere dovuta.
Deve inoltre rimanere estranea alla sfera psichica e alla spinta motivante dell'extraneus qualsiasi scopo determinante di vantaggio indebito, considerato che, in caso contrario, il predetto non può essere ritenuto vittima agli effetti dell'art. 317 c.p., perché finisce per perseguire, con la promessa o con il versamento dell'indebito, un proprio tornaconto, divenendo co-protagonista della vicenda illecita.
Nel caso del medico “facilitatore” risultava necessario capire se e in che termini il soggetto passivo, per effetto della condotta di violenza o minaccia, era stato posto in una condizione di sostanziale mancanza di alternativa, se fosse rimasto davvero estraneo alla sfera psichica e alla spinta motivante dell'extraneus qualsiasi scopo di perseguire un vantaggio indebito e se e in che termini la condotta dell'indagato fosse davvero qualificabile come minaccia, cioè come prospettazione di un danno ingiusto.
Anche l’impatto della condotta dello specialista di riferimento nella complessiva vicenda di rilevanza penale resta da chiarire, posto che si parte dall’assunto che egli non abbia concorso nella condotta costrittiva del reo.
Il compiuto accertamento dei fatti, per il quale la Cassazione rimanda nuovamente al Tribunale delle libertà, diviene dunque necessario per ricostruire la loro qualificazione giuridica.
Orbene, stabilire se il rapporto tra i due medici fosse stato effettivo, se la somma corrisposta dalla vittima fosse servita a pagare la mediazione del suo diretto conoscente per il fatto del terzo ovvero fosse il prezzo di un accordo corruttivo, e se anche il soggetto passivo del reato avesse nella specie conseguito un vantaggio indebito, avrebbe potuto ricondurre i fatti ad altre fattispecie delittuose, di tipo corruttivo, ovvero di induzione indebita a dare o promettere utilità, o di traffico di influenze illecite.
Allo stesso modo, accertare un contenuto decettivo nella condotta del soggetto attivo avrebbe addirittura potuto far profilare un’ipotesi di truffa.
IL REATO E LE IPOTESI DI CONFINE
Il reato di concussione, previsto dall’art. 317 c.p., è un reato di condotta e a dolo generico, che offende la pubblica amministrazione e il suo dovere di buon andamento e imparzialità (bene giuridico tutelato).
E’ un delitto caratterizzato da un abuso costrittivo del pubblico agente, che si attua mediante violenza o minaccia, esplicita o implicita, di un danno contra ius, da cui deriva una grave limitazione della libertà di autodeterminazione del destinatario, il quale, senza alcun vantaggio indebito per sé, viene posto di fronte all’alternativa di subire un danno o di evitarlo con la dazione o la promessa di un’utilità indebita; si distingue dal delitto di induzione indebita (art. 319-quater, comma 1 c.p.), introdotto con la L. n. 190 del 2012, la cui condotta si configura come persuasione, suggestione, inganno (sempre che quest’ultimo non si risolva in un’induzione in errore), di pressione morale con più tenue valore condizionante della libertà di autodeterminazione del destinatario il quale, disponendo di più ampi margini decisionali, finisce col prestare acquiescenza alla richiesta della prestazione non dovuta, perché motivata dalla prospettiva di conseguire un tornaconto personale, che giustifica la previsione di una sanzione a suo carico.
Un’ipotesi di confine paradigmatica tra le due fattispecie si ha quando l’imputato sparga persuasione e suggestione, svolgendo altresì una chiara pressione morale, e introducendo una richiesta indebita proprio nella fase temporale in cui, sulla base della sua qualifica e/o dei poteri a lui attribuiti dalla legge, gestisce una situazione in cui lui è il dominus di un’attività che può potenzialmente pregiudicare o favorire il soggetto passivo.
Da un lato, occorre verificare se sussista una vera e propria costrizione, tipica del reato di cui all’art. 317 c.p., e implicante un’attività più marcata della mera persuasione; dall’altro, è importante accertare se, a fronte dell’abuso del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio - sono queste le due qualifiche considerate dalla legge penale ai fini di configurabilità dello specifico reato – la promessa o la dazione di denaro o altra utilità del soggetto sottoposto all’esercizio del potere non consenta anche a costui di raggiungere un indebito vantaggio.
Invero, il perseguimento di un indebito vantaggio da parte del privato giustifica – in coerenza con i principi fondamentali del diritto penale e con i valori costituzionali in tema di colpevolezza, pretesa punitiva dello Stato, proporzione e ragionevolezza – la punibilità dell’indotto che abbia dato o promesso l’utilità al pubblico ufficiale, e si colloca nell’ottica di una interpretazione costituzionalmente orientata e funzionale alla salvaguardia dell’esigenza, imposta dall’art. 27 Cost., di giustificare la punibilità del privato, che cede alle richiesta dell’agente pubblico non perché coartato e vittima del “metus”, nella sua accezione più pregnante, ma perché attratto dalla prospettiva di conseguire un indebito vantaggio, in una posizione di complicità con il pubblico agente e lo rende meritevole di sanzione.
A sua volta, il cosiddetto “metus”, ovvero il timore del privato verso la publica potestas a causa della posizione di supremazia dell'intraneus, non integra un elemento strutturale dell'illecito, ma rappresenta la manifestazione dello stato di soggezione psicologica della vittima come l'altra faccia dell'abuso della qualità o dei poteri da parte del pubblico agente, il che nulla aggiunge alla struttura dei reati (art. 317 e art. 319-quater, comma 1, c.p.) così come innanzi delineata.
D’altra parte, il fatto che la dazione o la promessa di utilità rilevi anche per la sussistenza della fattispecie consumata di cui al secondo comma dell’art. 319-quater c.p. comporta che si verta in una fattispecie di induzione indebita a dare o promettere utilità (nella sua forma tentata) anche quando il privato non abbia concorso a raggiungere il vantaggio indebito, magari perché abbia tempestivamente denunciato il fatto alle autorità.
In altri termini, la condotta di tentata induzione non diviene tentata concussione soltanto perché deprivata della corrispondente condotta utilitaristica del privato.
Il delitto di induzione indebita non integra infatti un reato bilaterale, in quanto le condotte del soggetto pubblico che induce e del privato indotto si perfezionano autonomamente ed in tempi diversi, sicché il reato di induzione si configura soltanto in forma tentata nel caso in cui l’evento non si verifichi per la resistenza opposta dal privato alle illecite pressioni del pubblico agente.
Si pensi al caso di un ufficiale giudiziario che richieda ad una donna - occupante abusiva di un immobile a seguito di sfratto - un rapporto sessuale proprio nella fase temporale in cui è possibile gestire, seppure contra ius, un rinvio dell’esecuzione dello sfratto, ed in cui è lui (la “legge”) il dominus di questo possibile rinvio, lasciandole intendere di poter ottenere, per tale prestazione, un rinvio dell’esecuzione della procedura.
Sotto altro profilo, come indicato dalla Cassazione nel caso in commento, i reati di concussione e induzione si pongono come ipotesi di confine rispetto ad altre fattispecie previste dal codice penale.
Innanzitutto, occorre distinguere la concussione/induzione dalla corruzione.
Al riguardo, secondo la giurisprudenza di legittimità, costituisce elemento decisivo il tipo di rapporto che si stabilisce tra il pubblico ufficiale agente e il suo interlocutore privato.
Infatti, mentre nella corruzione le rispettive volontà si incrociano su un piano sostanzialmente paritario, nella concussione il pubblico ufficiale sfrutta la propria autorità e il proprio potere funzionale per coartare o condizionare la volontà del soggetto, facendo capire a questi che non dispone di alternative ad una arrendevole adesione alle sue ingiuste richieste, così che lo stato volitivo del privato è scandito dalla sensazione di essere sottomesso alla predominante, e come tale percepita, volontà del pubblico ufficiale.
Ciò ha riflessi anche per dirimere la differenze tra ipotesi di concussione ambientale e sistema corruttivo vero e proprio, laddove la concussione ambientale, quale peculiare fattispecie concussiva in cui il pubblico agente non pone in essere una condotta direttamente induttiva nei confronti del privato, ma tiene un contegno volto a rafforzare nello stesso - attraverso comportamenti suggestivi, ammissioni o silenzi - la convinzione di dover effettuare l'illecita dazione o promessa, sulla scorta di una prassi consolidata nell'ambiente di riferimento, si riveli in realtà come un sistema in cui il mercimonio delle funzioni pubbliche e la prassi di remunerazioni tangentizie siano costanti e svolte su un piano di sostanziale parità.
Lo stesso tenore di considerazioni (parità o non parità tra i due soggetti coinvolti) giustifica, in linea di principio, la diversità tra i reati di concussione/induzione e istigazione alla corruzione.
In particolare, la tentata concussione (o induzione) si configura quando alla posizione statica di preminenza, di influenza o di autorità che il pubblico ufficiale può vantare rispetto al privato – con correlativa soggezione connaturata al rapporto privato-pubblica amministrazione – si affianca una costrizione o induzione qualificata, ovvero vista nel suo aspetto dinamico, in quanto posta in essere dal pubblico agente con l’abuso della sua qualità o dei suoi poteri, nella prospettiva di determinare il privato alla successiva promessa o dazione indebita.
Se alla posizione statica non si affianca quella dinamica, e l’iniziativa parte dal pubblico ufficiale o dall’incaricato di pubblico servizio, si configura l’ipotesi di istigazione alla corruzione di cui all’art. 322 comma 4 c.p., la quale si differenzia, a sua volta ancora, dalla tentata corruzione, perché è richiesto il contegno positivo di una sola delle parti e non una violazione incompleta degli obblighi di legge da parte di entrambi i concorrenti necessari del reato di corruzione.
Il reato di concussione/induzione si distingue altresì dalla truffa (eventualmente aggravata), quando la determinazione della volontà del soggetto passivo è influenzata dalla qualità o dalla funzione del pubblico ufficiale solo in maniera accessoria, mentre la convinzione vera e propria a compiere un certo comportamento avviene tramite artifici o raggiri.
D’altra parte, occorre distinguere le due condotte delittuose di cui sopra anche dal delitto di peculato mediante profitto dell’errore altrui di cui all’art. 316 c.p., configurandosi quest’ultimo reato esclusivamente nel caso in cui l’agente profitti dell’errore in cui il soggetto passivo già spontaneamente versi, indipendentemente dalla condotta del soggetto agente.
Occorre infine stabilire la linea di confine tra concussione/induzione e traffico di influenze illecite aggravato (art. 346-bis, commi 1e 3 c.p.), al di fuori dei casi di concorso in corruzione.
Nel traffico di influenze illecite lo sfruttamento o il vanto delle relazioni prescinde dall’abuso tipico dei reati di concussione e induzione, e l’utilità ricevuta costituisce prezzo della mediazione effettuata o remunerazione in favore del pubblico ufficiale o dell’incaricato di un pubblico servizio o di uno degli altri soggetti di cui all'articolo 322-bis c.p. in relazione all'esercizio delle funzioni o dei poteri di questi ultimi.
La differenza tra le fattispecie si conferma nei medesimi termini anche dal lato del beneficiario della mediazione, il quale commette il delitto di cui all’art. 346-bis comma 2 c.p. (e non quello di cui all’art. 319-quater, comma 2 c.p.) se indebitamente dà o promette denaro o altra utilità per ottenere la mediazione illecita o per remunerare il dominus del potere amministrativo “finale”, e non in conseguenza dell’abuso del pubblico agente.
Da ultimo, occorre tenere presente che le fattispecie di concussione e induzione “assorbono”, in quanto punite con pene edittali più gravi, il delitto di abuso di ufficio - di cui potrebbero altrimenti facilmente integrare i presupposti -, in virtù della clausola di sussidiarietà espressa contenuta nell’incipit dell’art. 323 c.p. (“Salvo che il fatto non costituisca un più grave reato”).