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La Casa del giudice Livatino. Dichiarazione di interesse culturale e testimonianza storica di legalità e impegno morale

di Elettra Papaccio, tirocinante presso il TAR Campania • 31 maggio 2021

TAR per la Sicilia, Sezione I, sentenza n. 2887 del 2016 - Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana- sez. giurisdizionale, sentenza 15/2/2021 n.107


IL CASO

Gli attuali proprietari dell’abitazione che fu del giudice Livatino ricorrono avverso il decreto regionale che ha dichiarato l’interesse culturale ed ha sottoposto a vincolo storico-artistico - ai sensi dell’articolo 10 del Codice dei Beni Culturali - l’immobile denominato “Casa Famiglia del Giudice Rosario Livatino” sito in Canicattì ed i beni mobili ivi custoditi. Il TAR aveva respinto il ricorso avverso il decreto di vincolo, con decisione confermata dal Giudice di appello, in una fattispecie in cui vengono in rilievo aspetti interessanti sia in tema della nozione di bene culturale, sia in tema di ampiezza del sindacato del giudice amministrativo sulle scelte tecniche della PA.

Il Consiglio di Giustizia Amministrativa della Regione Sicilia ripercorre da un lato la vita e il valore della memoria del giudice Rosario Livatino, noto come “il giudice ragazzino”, che riempie di contenuti culturali e di memoria storica l’immobile in cui lo stesso ha vissuto, sottolineando come si sia attualmente affermata una nozione di bene culturale diversa da quella meramente estetizzante; e, dall’altro, riepiloga il quadro normativo e giurisprudenziale relativo al sindacato sui provvedimenti di apposizione di vincoli su beni di interesse storico-culturale, come espressione di discrezionalità tecnica nella sua massima declinazione, censurabili soltanto mediante un sindacato estrinseco. 


VINCOLI SUI BENI CULTURALI E SINDACATO GIURISDIZIONALE

Le pronunce in esame si inscrivono nel variegato panorama giurisprudenziale relativo al sindacato giurisdizionale sui provvedimenti di apposizione di vincoli su beni culturali, e si caratterizzano per un aspetto inedito, connesso al rilievo di una nuova valenza della nozione di bene culturale.

Il percorso ermeneutico parte da una rievocazione sintetica ma eloquente della vita del giudice Livatino, dedicata al servizio dello Stato ed alla lotta contro la criminalità organizzata, portata avanti mediante l'impegno diretto in rilevanti indagini sul potere mafioso, in rapporto anche alla capacità dello stesso di inquinamento dell’economia legale.

Sottolineano i Giudici aditi come l’impegno “morale ed etico” del magistrato è alla base della decisione di apposizione del vincolo, inteso non già nel suo senso classico e statico come conservazione di beni culturali di pregnante rilevanza artistica o storica, bensì come tributo ad un “servitore eccezionale dello Stato”, per assicurare il ricordo del magistrato alle future generazioni. Il giudice amministrativo rileva come la dedizione di Livatino alla causa della legalità, arrestata dalla sua tragica uccisione, costituisca fulgido esempio e, in proposito, testimoni quella lezione di impegno e riservatezza che il provvedimento di vincolo vuole assicurare a futura memoria. Tali elementi sono desumibili dalla relazione storica della Soprintendenza, che ne fornisce una lettura orientata a ricavare un nuovo concetto di bene culturale. 

Va rilevato come la nozione di “bene culturale” ha subito una evoluzione dal punto di vista teleologico: il Codice dei Beni culturali lo definisce come res avente interesse storico, artistico, etnoantropologico, e chiude con la clausola aperta ricomprendente ogni “testimonianza materiale avente valore di civiltà”; l’attenzione si è tuttavia progressivamente spostata da una nozione estrinseco-artistica ad una nozione predominata da aspetti assiologici, relativi ai valori cui il bene concreto rimanda. La res rileva in quanto proiezione dell’uomo in un contesto storico-culturale, non in sé per le sue caratteristiche formali (es. un quadro di una certa corrente pittorica), ma per l’importanza etica e sociale dei valori che è capace di trasmettere in modo trasversale e diacronico alle generazioni venture (considerazioni già accennate da Cons. Stato 17 ottobre 2003, n. 6344, che ha evidenziato la rilevanza prospettica del concetto dinamico e sociale di bene culturale, ormai «protetto per ragioni non solo e non tanto estetiche, quanto per ragioni storiche, sottolineandosi l’importanza dell’opera o del bene per la storia dell’uomo e per il progresso della scienza»).

La stessa nozione di bene culturale, precipitato delle convenzioni internazionali (Convenzione UNESCO 1972, 2003 e Convenzione Quadro del Consiglio d’Europa del 2005) e di una secolare evoluzione normativa, può compendiarsi nella definizione di “testimonianza materiale avente valore di civiltà”. Al riguardo, la giurisprudenza afferma che “i valori si incardinano inscindibilmente nel bene materiale, ed il bene diventa radice ed espressione di una significazione altra che non si identifica con il supporto materiale ma rimanda ai valori ed ai principi che in dato momento storico guidano l’evoluzione della società”.

Con il definitivo superamento del criterio estetizzante, in favore di uno storicistico, le pronunce in esame attestano che il valore culturale si identifica nel rimando all’impegno etico e morale del giovane magistrato che, con la normalità della sua vita, ha indicato ai giovani, non solo siciliani, la via del riscatto e della liberazione dal predominio mafioso. Anche un bene ex se privo di un valore intrinseco da un punto di vista artistico o estetico, ma connotato da una pregnante valenza simbolico-valoriale - nella specie il messaggio di legalità e senso del dovere di cui è stato portatore il giudice Livatino -, può assumere una forte valenza storico culturale, da preservare e tramandare alle future generazioni. Ciò assume peculiare rilievo proprio mediante la preservazione dell’originaria atmosfera in cui il giudice Livatino ha vissuto e lavorato, in modo da trasmettere alla collettività, tramite la quotidianità della casa di abitazione, la dimensione umana prima che istituzionale del magistrato nella quale si colloca la sua lotta alla criminalità (ricreando l’atmosfera emotiva del modus vivendi sobrio e semplice del giudice, testimoniato  da un immobile con arredamento semplice e nel quale traspare - anche dagli oggetti personali ivi conservati - un ambiente autentico che veicola gli insegnamenti di superiore ricerca della giustizia e senso delle istituzioni).

Ne discende come lo strumento del vincolo storico-culturale rappresenta il frutto di una precisa scelta di tipo tecnico-discrezionale della amministrazione, nella specie finalizzata alla migliore conservazione e preservazione del bene in quanto intriso dei valori fondanti la vita e l’operato del magistrato; scelta caratterizzata da margini di discrezionalità particolarmente intensi e come tale censurabile in sede di legittimità soltanto laddove la valutazione della amministrazione appaia inattendibile o manifestamente illogica.

Nell’aspetto afferente la natura del sindacato giurisdizionale la pronuncia applica consolidati principi in base ai quali i provvedimenti di vincolo sono caratterizzati da “fisiologica ed ineliminabile opinabilità” degli apprezzamenti, in un campo connotato da elevato tecnicismo: è necessario - per il principio di separazione dei poteri - rispettare la sfera valutativa propria della PA, dovendo il giudice limitarsi ad un sindacato estrinseco sub specie di verifica della completezza dell’istruttoria, della sussistenza dei presupposti, di adeguatezza della motivazione, della evidente attendibilità del giudizio dell’amministrazione; fermo in tutti questi casi il divieto per il giudice amministrativo di sovrapporre il proprio giudizio a quello espresso dagli organi tecnici. 

Invero, tali provvedimenti sono caratterizzati da apprezzamenti tecnico discrezionali che presentano margini di soggettività particolarmente intensi: gli accertamenti compiuti dall’autorità preposta, la Soprintendenza, esprimono un giudizio valutativo di elevata opinabilità, basato su scienze umane e non esatte, che coinvolgono anche interessi e valori costituzionali di speciale delicatezza. Al riguardo, l’amministrazione è chiamata ad applicare regole che non appartengono al diritto, ma a scienze tecniche (come la medicina, la biologia, la fisica e nel caso in esame la storia dell’arte): in altri termini, si instaura un rapporto tra tecnica e diritto nella misura in cui la norma attributiva del potere compia un rinvio a siffatte scienze, attribuendo rilevanza ad elementi extra giuridici che integrano il dato normativo.

Peraltro, individuare gli elementi di interesse artistico, storico, archeologico, ovvero i caratteri di “eccezionale interesse culturale” coinvolge accertamenti complessi nella cui applicazione entrano in gioco non solo elementi extra giuridici ma anche di carattere indeterminato, fortemente influenzati da variabili di natura soggettiva, relativi a colui che compie la valutazione, e di natura oggettiva, relativi alla evoluzione del concetto di bene culturale. Ne deriva che il potere è conformato dalla legge come aperto, ossia, in altri termini, più che rinvio ad una vera regola tecnica, vi sarebbe rinvio ad una clausola aperta che deve essere riempita dalle valutazioni della Pubblica Amministrazione.

Di conseguenza, la giurisprudenza ha più volte affermato che il giudice deve necessariamente arrestare il proprio controllo ad un sindacato cd. estrinseco debole, che si arresti sulla soglia del contenuto dell’atto, compiendo una verifica  dall’esterno ovvero riscontrando se lo stesso sia affetto da vizi di manifesta illogicità, irrazionalità ed errore di fatto, tali da far emergere la inattendibilità delle valutazioni dell’amministrazione (è invero frequente la massima secondo cui “nel peculiare settore dei beni culturali l’accertamento volto a verificare la sussistenza del relativo interesse non può che essere compiuto dall’amministrazione applicando regole tecnico specialistiche ontologicamente caratterizzate da una fisiologica ed ineliminabile opinabilità. Ne consegue che queste valutazioni possono essere censurate in sede giurisdizionale solo quando risulti la loro palese inattendibilità sotto il profilo tecnico”- Consiglio di Stato sezione VI, 3 luglio 2014 numero 3355; Consiglio di Stato sez. VI 2 gennaio 2018 n. 17).

Tali stringenti binari al sindacato giurisdizionale sono imposti, oltre che dalla obiettiva opinabilità della valutazione, dal principio di separazione dei poteri, che preclude al giudice la diretta valutazione e comparazione degli interessi pubblici in gioco.

Proprio per la matrice assiologica di tali scelte e per l’elevato grado di soggettività del giudizio, in origine le valutazioni tecnico discrezionali erano assimilate al merito e considerate non sindacabili, sul presupposto della indistinguibilità del giudizio tecnico da quello di opportunità (espressione di tale atteggiamento si rinviene nella posizione di quella dottrina più risalente - Ranelletti - che propugnava la teoria assimilativa, secondo cui la discrezionalità tecnica coincide e si confonde con quella amministrativa, col corollario della insindacabilità del potere discrezionale della PA). Di qui anche un ‘originaria adesione della giurisprudenza alla totale insindacabilità delle scelte tecnico discrezionali in genere, e di quelle attinenti alle scienze umane, inscrivendole nell’ambito del cd. merito, in quanto compiute con l’ausilio del solo canone di buona amministrazione, alla stregua di un giudizio di opportunità.

L’area della riserva di amministrazione è stata erosa progressivamente da un orientamento giurisprudenziale che ha affermato la possibilità di un controllo dell’atto dall’esterno, attraverso le figure sintomatiche dell’eccesso di potere. 

La più importante svolta in materia è costituita dalla sentenza Baccarini – CdS n. 601/1999 - punto di approdo di circa un secolo di elaborazioni dottrinarie che, a partire dalla teorica dei “fatti complessi” del Cammeo, hanno inaugurato la discussione sulla possibilità di un sindacato sui giudizi tecnici della PA.

Detta pronuncia, che riecheggia gli studi del Ledda sulla distinzione tra opinabilità ed opportunità delle valutazioni tecniche, ha inaugurato un nuovo modello di sindacato sui giudizi tecnici, cosiddetto intrinseco debole, il quale si estende alla verifica diretta dell’attendibilità delle scelte della PA, quanto a criterio tecnico e procedimento applicativo seguito, fermo il limite del merito. Così si è giunti a delineare il proprium della discrezionalità tecnica, come giudizio caratterizzato da margini di opinabilità comunque sindacabili, in quanto distinto dal vero e proprio merito attinente ad un giudizio di opportunità. Opinabilità ed opportunità corrono su piani distinti, poiché le scienze non sono sempre esatte, e non vi è una soluzione tecnica univoca, ma ciò non esclude una possibilità di verifica dei fatti posti a base delle valutazioni stesse, anche qualora siano fatti cd. complessi. 

Oggi non è più predicabile una riserva dell’esame del fatto alla sola amministrazione, atteso che il giudice può conoscere dello stesso, e può compiere un sindacato diretto sul fatto, nel senso della verifica di attendibilità e correttezza delle valutazioni tecniche sotto il profilo di procedimento applicativo e criterio tecnico prescelto; tale accesso al fatto è reso possibile anche dai rinnovati mezzi istruttori e decisori introdotti con la legge di riforma del processo amministrativo 205/2000 (quale per antonomasia la consulenza tecnica di ufficio) e successivamente trasfusi nel c.p.a..

Il sindacato sulla discrezionalità tecnica tuttavia deve modularsi con differente intensità a seconda delle scienze di riferimento che vengono in rilievo nel caso concreto, potendo dispiegarsi in senso cd forte o sostitutivo soltanto nell’ipotesi di scienze esatte, ove la valutazione della PA può essere finanche sostituita da quella compiuta dal giudice. Per contro, laddove la scienza di riferimento sia inesatta, il giudice non può spingersi a sostituire la propria valutazione a quella della PA , ancorché opinabile, per il rispetto della separazione dei poteri, dovendosi il sindacato arrestare ai confini dell’attendibilità e ragionevolezza della scelta . 

Nell’ambito dei giudizi di vincolo storico artistico, la Soprintendenza esprime un giudizio connotato da ampia discrezionalità tecnica-valutativa, che implica l’applicazione di cognizioni tecniche e specialistiche proprie di settori scientifico-disciplinari caratterizzati da forti margini di opinabilità, fisiologici ed ineliminabili. Ne discende che il controllo del giudice potrà atteggiarsi a sindacato debole - non sostitutivo - ed estrinseco: l’intervento in via “estrinseca” del GA si sostanzia nel controllo della completezza dell’istruttoria, della sussistenza dei presupposti, di adeguatezza della motivazione, della evidente inattendibilità del giudizio dell’amministrazione, fermo in tutti questi casi il divieto per il giudice amministrativo di sovrapporre il proprio giudizio a quello espresso dagli organi tecnici.

Invero, qualora si sia mantenuto nell’ambito della coerenza e attendibilità dei presupposti di fatto, della plausibilità dei criteri tecnici assunti nonché in un contesto di ragionevolezza e proporzionalità, l’esercizio del potere, ovvero della discrezionalità tecnica, in ambito attinente alla tutela dei beni culturali e del paesaggio si presenta riservato alla valutazione specialistica dell’amministrazione, attenendo al campo delle cosiddette “soft sciences”, ovvero di quelle tecniche con marcato carattere di soggettività, dove è fisiologico che anche dopo l’esercizio del potere l’assunto seguito resti non dimostrabile e oggettivamente non da tutti condivisibile nei risultati.

Siffatte coordinate sono state fatte proprie dalle sentenze in commento, che evidenziano come il giudizio circa la sussistenza dei requisiti legittimanti l’emissione del provvedimento sia ampiamente discrezionale sicché “lo stesso meriterebbe censura solo nelle ipotesi in cui debba ritenersi illogico o irrazionale”. Infatti, il vaglio del GA deve compiersi alla stregua del principio di proporzionalità, connesso “alla ragionevolezza e questa si specifica nel conseguimento di un punto di equilibrio identificabile nella corretta e sufficiente funzionalità dell’esercizio del potere di vincolo”.

In tale prospettiva, la relazione tecnica della Soprintendenza è stata ritenuta dimostrativa del corretto esercizio del potere di valutazione tecnica, poiché ha ancorato il proprio giudizio ad elementi di carattere storico e culturale, con richiamo al ritenuto valore simbolico dei beni vincolati, che si colora di indubbi significati etici. Le valutazioni, come illustrato nella relazione dell’amministrazione, ”rappresentano oggi la memoria storica su cui incentrare una azione di sensibilizzazione e divulgazione di valori fondanti come il perseguimento della legalità, la ricerca della giustizia, il compimento del proprio dovere, tutti valori che concorrono alla costruzione di una società migliore“, e il loro esame prescinde dalla considerazione di interessi ulteriori e diversi da quelli presi in esame dall’amministrazione procedente, nell’ottica di massima valorizzazione della tutela del bene culturale “con sensibile riduzione dei margini per l'applicazione del principio di proporzionalità quale misura del potere esercitato dall'Amministrazione “.

Conclusivamente, va rilevato come le pronunce aderiscano alla giurisprudenza che anche di recente (cfr. CdS n. 2061/2020) hanno provveduto alla perimetrazione del sindacato giurisdizionale nell’ambito del vaglio di ragionevolezza e logicità della motivazione del provvedimento di vincolo (come esplicitata nella relazione storico-culturale), a cui si affianca la peculiarità del procedimento impositivo del vincolo, ove si tratti dell’accertamento di una qualità che il bene possiede intrinsecamente, e che non può venire meno in considerazione di eventuali interessi secondari riconducibili all’utilizzazione e agli oneri di conservazione del bene.



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