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Confisca doganale e adeguatezza della disciplina

Alma Chiettini • 18 luglio 2024

Cass. Civile, Sezioni Unite, 4 luglio 2024, n. 18286


Il mancato pagamento dei dazi e dell’IVA all’importazione di una Jaguar di proprietà di una società svizzera e condotta da un privato, automobile sottoposta anche a confisca, ha dato modo alla Corte di legittimità, a Sezioni Unite, di approfondire la tematica della legittimità della confisca doganale prevista dall’art. 301 del d.P.R. n. 43 del 1973 (testo unico delle disposizioni legislative in materia doganale - TULD) disposta in relazione alla condotta di contrabbando semplice, di cui all’art. 282 TULD e, nel caso di specie, anche di evasione dell’Iva all’importazione.

Con l’occasione, la Corte ha anche approfondito le caratteristiche e la natura dell’istituto della confisca doganale, precisando che esso trova fondamento in un’espressa norma di legge, il già citato art. 301, non interessata dal recente intervento di depenalizzazione di cui al d.lgs. n. 8 del 2016.

In termini generali, la “confisca” è un nomen iuris che accomuna istituti con finalità diverse (dalla previsione generale di cui all’art. 240 c.p. ove la confisca è una misura di sicurezza patrimoniale, all’art. 20 della l. n. 689 del 1981 ove è prevista come sanzione amministrativa accessoria), “ognuno dei quali caratterizzato da un’autonoma natura giuridica, funzioni e diversità di regolamentazione”, l’unico “elemento unificante delle diverse ipotesi è costituito dall’effetto ablativo della proprietà del bene”. In tal senso, ancora con una pronuncia risalente la Corte costituzionale aveva sottolineato che “la confisca può presentarsi nelle leggi che la prevedono con varia natura giuridica” e, pur consistendo il suo contenuto sempre “nella privazione di beni economici, …può essere disposta per diversi motivi e indirizzata a varie finalità, sì da assumere, volta per volta, natura e funzione di pena, o di misura di sicurezza, ovvero anche di misura giuridica, civile o amministrativa” (sentenza n. 29 del 1961).

In materia penale, ex art. 240 c.p., e fatta eccezione per le cose che costituiscono il prezzo del reato e per quelle la cui fabbricazione, uso, porto, detenzione o alienazione costituisce reato, è prevista solo una forma facoltativa di confisca “delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato, e delle cose che ne sono il prodotto o il profitto”, imponendo così un accertamento in concreto da parte del giudice della pericolosità della cosa in rapporto alla persona che la possiede. Su questo punto la Corte di legittimità penale afferma che “il giudice non può motivare, con formula astratta, il provvedimento che dispone l’applicazione della confisca in relazione al bene utilizzato per commettere un reato con la sola indicazione della finalità di prevenire la commissione di altri reati, ma è tenuto ad argomentare, in concreto, la ritenuta sussistenza del nesso di strumentalità fra il bene ablato e il reato commesso, valutando sia il ruolo effettivamente rivestito dal primo nel compimento dell’illecito, sia le modalità di realizzazione dello stesso (Cass. pen., sez. III, 3.7.2023, n. 33432).

La confisca-sanzione amministrativa di cui all’art. 20, comma 3, della l. n. 689 del 1981 prevede che il relativo provvedimento sia facoltativo e limita l’ambito delle cose suscettibili di ablazione a quelle “che servirono o furono destinate a commettere la violazione e che ne sono il prodotto, sempre che le cose suddette appartengano a una delle persone cui è ingiunto il pagamento”.

In materia doganale il legislatore ha previsto un’ipotesi speciale di confisca all’art. 301 TULD che esplicitamente, nella rubrica, viene qualificata come “misura di sicurezza” e che ha una natura particolarmente afflittiva. Essa è obbligatoria “per le cose che servirono o furono destinate a commettere il reato”, ma anche per quelle - estendendo così la presunzione di pericolosità - che ne sono "l’oggetto ovvero il prodotto e il profitto”.

La maggiore afflittività della confisca doganale “si giustifica per la necessità di una tutela rigorosa ed efficace in ragione della delicatezza degli interessi protetti, già individuati ‘nella lesione di primari interessi finanziari dello Stato ... per il passaggio clandestino o fraudolento, attraverso la linea doganale, delle merci soggette a diritto di confine” (Corte cost., sentenza n. 5 del 1977), e ora, ancor più, di beni giuridici di rilevanza unionale poiché i dazi costituiscono un’entrata propria (e di rilievo significativo) dell’Unione, che esercita una competenza esclusiva. La tutela degli interessi finanziari dell’Unione Europea, difatti, costituisce un obiettivo specifico, codificato dall’art. 325 TFUE, che incombe in pari misura all’Unione e agli Stati membri e deve essere perseguita contrastando le frodi e le attività illegali mediante misure dissuasive ed efficaci sull’intero territorio dell’Unione”.

Anche la Corte di giustizia, in più occasioni, ha ritenuto, con specifico riguardo alla disciplina dei dazi, l’adeguatezza della confisca in relazione all’obiettivo dell’istituzione “di un livello adeguato di sanzioni effettive, dissuasive e proporzionate sull’insieme del mercato interno” (Corte di giustizia, sentenza 7 aprile 2022, causa C-489/20, UB, punto 35,; in termini generali, sentenza 29 aprile 2010, causa C-230/08, Dansk Transport og Logistik).

Dopo la confisca è possibile riscattare il bene confiscato (ai sensi dell’art. 337 del r.d. n. 65 del 1896 che attribuisce all’autorità doganale la facoltà di restituire al contravventore le cose confiscate quando questi, oltre ai diritti, alle multe e alle spese, ne paghi subito il valore proprio). Tale istituto deve essere coordinato, per quanto riguarda i dazi, con le regole del codice doganale dell’Unione, poiché la confisca costituisce una causa di estinzione dell’obbligazione doganale ferma la persistenza delle sanzioni (art. 124, par. 1, lett. e), CDU).

Ma, osserva in conclusione la Corte, tale effetto estintivo non riguarda l’IVA all’importazione che è accomunata ai dazi, poiché l’art. 71, paragrafo 1, secondo comma, della direttiva IVA autorizza gli Stati membri a collegare il fatto generatore dell’esigibilità dell’IVA all’importazione a quelli dei dazi doganali, senza che ciò, tuttavia, ne determini una modificazione della natura e delle condizioni di esistenza. Per cui, in conclusione, la confisca ex art. 301 TULD ha natura di misura di sicurezza, con una finalità special-preventiva finalizzata, tramite l’ablazione del bene, da un lato a neutralizzare l’attrattiva alla realizzazione dell’illecito ove lo stesso fosse lasciato nella disponibilità del contravventore e, dall’altro, a fare recuperare all’erario, nella misura più celere e massima, il tributo evaso, dovendosi escludere che la sua irrogazione, con riguardo al mancato versamento dei dazi, si ponga in contrasto con il principio di proporzionalità. Deriva da ciò che, essendo una misura applicabile per la condotta di contrabbando per i dazi, la questione resta priva di rilevanza rispetto alla condotta di evasione dell’IVA all’importazione. In definitiva, i due istituti convivono autonomamente. 


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