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Dalle "toghe rosse" alle"toghe pazze". Storia di una magistratura indigesta

a cura di Roberto Lombardi • mag 23, 2024

La Legge n. 17 giugno del 2022 ha conferito una serie di deleghe al governo per la riforma, tra l’altro, dell’ordinamento giudiziario.

In particolare, l’articolo 1, comma 1, lett. c) di tale legge ha stabilito che avrebbero dovuto essere modificati anche i presupposti per l'accesso in magistratura dei laureati in giurisprudenza, secondo i seguenti principi e criteri direttivi (come individuati dal successivo art. 4, significativamente intitolato “Riduzione dei tempi per l'accesso in magistratura”):

- prevedere che la prova scritta del concorso per magistrato ordinario abbia la prevalente funzione di verificare la capacità di inquadramento teorico-sistematico dei candidati e consista nello svolgimento di tre elaborati scritti, rispettivamente vertenti sul diritto civile, sul diritto penale e sul diritto amministrativo, anche alla luce dei principi costituzionali e dell'Unione europea;

- prevedere una riduzione delle materie oggetto della prova orale del concorso per magistrato ordinario, fermo restando il colloquio in una lingua straniera.

A fronte di questa delega, il Governo, con l’art. 5, comma 1 del d.lgs. n. 44 del 28 marzo 2024, ha introdotto, tra le “materie” della prova orale, un “colloquio psico-attitudinale diretto a verificare l'assenza di condizioni di inidoneità alla funzione giudiziaria, come individuate dal Consiglio superiore della magistratura con propria delibera”.

Tale colloquio è strettamente connesso all’ulteriore sostanziale modifica della disciplina di accesso alla magistratura, in base alla quale è stato previsto che “terminata la valutazione degli elaborati scritti, i candidati ammessi alla prova orale (..) sostengono i test psico-attitudinali individuati dal Consiglio superiore della magistratura”, ai fini di verificare l'assenza di condizioni di inidoneità alla funzione giudiziaria, “nel rispetto delle linee guida e degli standard internazionali di psicometria”.

I test psico-attitudinali, viene infine precisato, hanno un’inerenza esclusiva allo svolgimento del colloquio psico-attitudinale introdotto tra le “materie” dell’orale.

Tale colloquio, nel contesto dello svolgimento della prova orale, è diretto dal presidente della specifica seduta di commissione con l'ausilio di un esperto psicologo, e il suo esito deve essere infine valutato insieme all’esito dell’interrogazione nelle altre materie.

Riepilogando, dunque.

La legge di delega ha individuato alcuni criteri in base ai quali modificare l'accesso in magistratura, con particolare riferimento alla fase concorsuale. L'obiettivo dichiarato era quello della riduzione dei tempi per diventare magistrato, e a tale obiettivo sarebbe stata funzionale la "prevalente" verifica della capacità del candidato di inquadramento teorico-sistematico dei contenuti giuridici a lui sottoposti, oltre che la riduzione delle materie oggetto della prova orale, "fermo restando il colloquio in una lingua straniera".

Tutto era stato previsto, insomma, tranne che l'autorizzazione al governo ad introdurre test psico-attitudinali volti a verificare l'assenza di idoneità alla funzione giudiziaria.

A prima vista parrebbe neanche un eccesso di delega, quanto addirittura un'assenza di delega o peggio ancora un’attuazione contraria alla delega, visto che invece di ridurre le materie ne è stata addirittura introdotta un'altra (con relativo colloquio preceduto dalla somministrazione apposita di test), che peraltro materia di concorso non è.

Alquanto particolare è anche la collocazione cronologica della nuova "prova", che si inserisce, in prima battuta – ovvero nel suo segmento “scritto” -, a metà strada tra lo scritto e l'orale, e aggrava l'iter di assunzione proprio quando la prova notoriamente più caratterizzante e selettiva (la prova scritta) è stata superata, e il candidato dovrebbe serenamente dedicarsi soltanto alla preparazione di uno degli orali più difficili che esistano nell'ambito dei concorsi pubblici.

Con il rischio, tra l'altro, non solo di un oggettivo allungamento dei tempi di assunzione, ma anche di falsare lo stesso esito dei test psico-attitudinali, dato che chi ha superato gli scritti di questo concorso sa benissimo quale stress e "deformazione" transitoria della personalità può comportare uno studio così "matto e disperato".

Ma di quali test si sta parlando poi?

L'espressione usata dal legislatore delegato è molto generica e potenzialmente indefinita ("verifica dell'assenza di condizioni di inidoneità", così come individuate dal Consiglio superiore della magistratura: si tratta in ogni caso di condizioni che certamente esulano dal profilo della preparazione tecnica), ma un aiutino alla soluzione del rebus lo fornisce la sibillina frase inerente al "rispetto delle linee guida e degli standard internazionali di psicometria". La psicometria può a sua volta essere definita come l’insieme dei metodi d’indagine psicologica che tendono al raggiungimento di valutazioni quantitative del comportamento umano o animale.

Indagine psicologica – valutazioni quantitative – comportamento umano: ecco le tre espressioni chiave.

Il test psicometrico per eccellenza, già in uso per limitare l'accesso nelle forze dell'ordine e nell'Esercito, è il Minnesota Multiphasic Personality Inventory.

Si tratta di un test che fornisce indicazioni numeriche e standardizzate rispetto alla struttura personologica dell'individuo, secondo una valutazione di 10 scale cliniche e di 3 scale di validità.

Si cercano, in altre parole, tramite specifiche domande, caratteristiche sintomatiche di un disturbo, senza ulteriore specificazione, considerando che quando è nato il test venivano considerati come disturbi della personalità anche l'orientamento sessuale "deviato" e sensibilità non ortodosse sul tema del fine vita.

L'attendibilità di tali test è inoltre strettamente condizionata, al fine della diagnosi, al colloquio clinico.

In linea generale, uno strumento utile per la diagnosi di una sofferenza psichica, ma non sufficiente per una sua approfondita comprensione, non dovrebbe mai essere trasformato in uno strumento che decide il futuro lavorativo e sociale di un soggetto.

Ma è applicato ai futuri magistrati - persone che dovranno poi prendere decisioni complesse sulla base di valutazioni e riflessioni ponderate - che il test psicometrico manifesta tutte le sue aporie.

In primis, deve essere adattato a verificare l'idoneità all'esercizio delle funzioni giudiziarie: quali dati statistici ed esperenziali il CSM utilizzerà per formulare le domande? È possibile equiparare la necessità di prevenire comportamenti impulsivi e aggressivi (target tipico dei test per poliziotti e militari) alla necessità di garantire la stabilità mentale del magistrato, quando questi nell'ordinario non usa armi ma concetti giuridici?

Secondariamente, occorre osservare che l'eventuale discrepanza da una linea di "normalità" nelle risposte del candidato dovrebbe portare ad un colloquio clinico per accertare scientificamente la disfunzionalità; ma davvero si crede che questo colloquio è sovrapponibile a quello immaginato dal Legislatore, pochi minuti all'interno di una complessa e faticosissima prova orale?

E mettiamo pure che il presidente di commissione e lo psicologo optino per una inidoneità psichica del candidato, sulla base, sostanzialmente, della mera validazione dell'esito del quiz: quanto può resistere un giudizio tecnico così fragile all'eventuale successivo vaglio giurisdizionale?

Sempre che il Giudice di quell'ipotetico futuro contenzioso non sia a sua volta un altro giudice pazzo...

Un intervento così potenzialmente dirompente e parimenti scomposto sull'accesso alla carriera di soggetti che svolgono una funzione essenziale per gli equilibri democratici del Paese, risolvendosi in un'indagine sull’equilibrio psichico dei singoli magistrati, rischia dunque di diventare nient’altro che "terreno fertile per la tendenza a usare la psicologia non come strumento di comprensione dell’essere umano, ma come dispositivo di controllo". [1]

Un tempo la politica si accaniva contro le toghe rosse, ovvero contro quelle toghe accusate di avere una vicinanza politica, o comunque una comunione d'intenti con la sinistra ideologica. Poi la fronda si è spostata contro i pubblici ministeri al di là del colore politico della toga, in quanto ritenuti abusivi rappresentanti di una giustizia priva di garanzie.

E prima ancora un Presidente della Repubblica ha tuonato contro i "giudici ragazzini", rei di essere troppo giovani per la delicata funzione da svolgere.

Adesso che le garanzie abbondano - salvo per i meno abbienti e fortunati, che devono continuare a scalare la montagna dei processi con il difensore di ufficio che la sorte offre loro -, e che i pubblici ministeri sono stato messi parzialmente al guinzaglio dei Procuratori, ecco che resta l'ultimo ostacolo da abbattere, il giudice pazzo.

Con un incredibile slancio ideologico, trasfuso in un probabilmente inutile sforzo riformatore, si prova a bloccare gli ultimi giapponesi della giustizia malata prima ancora che accedano alla magistratura.

Ancora una volta, tuttavia, il Legislatore dimostra di non avere capito il vero male della magistratura italiana: la carenza di controlli seri sulle carriere “aberranti”.

Vuoi per aderenza con colleghi capaci di proteggerli nell'attività di autogoverno, vuoi per compiacenza o superficialità del responsabile dell'ufficio - quando non si sommano addirittura in una catena impenetrabile comportamenti omissivi e negligenti - il magistrato pazzo (categoria che può tranquillamente estendersi al magistrato insolente, arrogante, prevenuto o impreparato sulle singole cause) tende ad andare avanti, fino all'anzianità massima di carriera.

E porta con sé non solo una tremenda nomea presso gli avvocati - che poi sono le prime e meno importanti vittime della sua follia, perché dietro ci sono i poveri clienti - ma anche l'insopportabile sensazione - per chi questo lavoro lo fa con scrupolo - di un degrado complessivo della funzione giurisdizionale.

Eppure sarebbe bastato fermarlo durante il tirocinio, se la follia si è evidenziata, come spesso accade, già in questa fase. Oppure punirlo più severamente in sede disciplinare, quando infine la condotta insostenibile ha superato gli argini del singolo ufficio ed è diventata di pubblico dominio.

Il Governo interviene invece con una misura che si colloca a monte del processo di formazione del magistrato, quando l'uomo non ha avuto ancora davanti a sé il potere di decidere dei soldi e della libertà delle persone, incaricando altri di prevedere, da novelli stregoni, la inettitudine a svolgere le funzioni giudiziarie prima ancora che esse vengano in concreto svolte.

E tuttavia, l'arretramento dei controlli ad un momento sempre più lontano nel tempo dall'effettivo esercizio delle funzioni sembra soltanto il frutto del fallimento del giudizio ex post sulla professionalità e sull'equilibrio dimostrato in concreto nell'esercizio delle funzioni. Si vuole bloccare l'uomo problematico prima ancora che diventi un giudice maldestro. Ma si fanno anche andare avanti impunemente tutti quei "regolari" che diventeranno dei lavativi, burocratizzeranno il servizio giustizia o peggio ancora lo strumentalizzeranno a fini personali, magari per trascorrere la maggior parte della carriera in fuori ruolo.

Ma allora perché non sparare alle gomme di questi talentuosi disturbati durante l'università o meglio ancora a scuola? Sempre che non siano stati proprio questi luoghi, accanto a un contesto familiare disagiato, ad alimentare l'inattitudine psichica a fare un lavoro che presuppone più di tanti altri una predisposizione caratteriale equilibrata, ma che come tutti gli altri si innesta in un percorso umano e formativo lungo e complesso.

D'altra parte, il recente caso della messa in stato di arresto e custodia cautelare del Governatore della Liguria ci mostra in tutta la sua evidenza il problema vero della cosiddetta giustizia malata: la politica non è in grado di stabilire con precisione i confini tra malcostume, abuso penalmente irrilevante e illecito penalmente rilevante.

All'interno di questo spazio intermedio, che potremmo definire "grigio", ogni intervento della magistratura, invece di essere ricondotto a fisiologico sviluppo di una funzione fondamentale dello Stato - quella giudiziaria -, viene visto come una specie di invasione di campo.

Ma per sconfessare l'assolutezza di questo assunto, spesso utilizzato ad arte per occultare responsabilità e condotte molto gravi a danno della collettività, basta diffondersi in un paio di apparentemente banali considerazioni.

La prima, è che la professione del magistrato è assimilabile ad altre professioni di tipo intellettuale, soggetta per sua natura a regole e procedure spesso scritte, a volte validate sul campo.

Non si tratta di una scienza esatta, ma di un impegno che fa dell'interpretazione e della qualificazione giuridica del fatto il suo cuore pulsante.

A volte capita che il fatto sia controverso, altre volte capita che le interpretazioni siano più di una, in tutti i casi l'elemento umano di comprensione e razionalizzazione resta decisivo e non c'è intelligenza artificiale che possa sostituirsi a valutazioni spesso complesse e filtrate dal buon senso.

L'unico antidoto all'arbitrio o all'errata soggettivizzazione è che a giudicare gli stessi fatti siano più soggetti in diversi gradi di giudizio, e infatti è quello che succede nel nostro sistema ordinamentale.

La seconda considerazione è che - piaccia oppure no - è stata proprio la Costituzione della Repubblica ad avere attribuito alla magistratura un ruolo di indipendenza e autonomia dagli altri poteri dello Stato, come corollario della democraticità delle nostre istituzioni.

Pertanto, stabilite le regole di ingaggio - compito che tocca al Legislatore -, il magistrato deve essere lasciato libero di esercitare il suo potere-dovere, senza interferenze esterne, e nel solo limite del rispetto delle regole esistenti.

Questa dinamica non è stata evidentemente compresa o digerita da tutti, nel palazzo del Potere.

Ecco dunque che il Ministro della Difesa Crosetto si lancia in affermazioni [2] che smontano drasticamente l'indagine contro il Governatore della Liguria, dopo una semplice lettura dell’ordinanza cautelare, dimenticando che sono i giudici, all'esito di un regolare processo, i soggetti incaricati di svolgere questo delicatissimo compito (nel caso di specie, in primis, il Tribunale del Riesame ed eventualmente la Corte di Cassazione).

Dopo di che, portando alle estreme conseguenze il percorso logico che ha condotto l'Esecutivo a imboccare la strada dei quiz psico-attitudinali per sbarrare la strada al giudice pazzo, ci si potrebbe anche chiedere: e se il giudice pazzo fosse quello che, dopo una serie infinita di processi condotti da magistrati abili e normodotati, tutti propensi alla condanna del colletto bianco incriminato per corruzione, butta all'aria in ultima istanza un lavoro ben fatto, con un'assoluzione maldestra?

La maggioranza di turno avrebbe ancora interesse alla sua estromissione dalla magistratura?

Forse, quando si parla di rapporti tra magistratura e politica, non guasterebbe una rilettura corale della nostra Costituzione, o, prima ancora, di quello splendido e ancora attualissimo testo di Montesquieu che si ritiene, a torto o a ragione, una delle pietre miliari di tutte le Costituzioni degli Stati sorti dopo il 1789. [3]

Ciò, sempre che sia ancora vero che “tutto sarebbe perduto se lo stesso uomo, o lo stesso corpo di maggiorenti, o di nobili, o di popolo, esercitasse questi tre poteri: quello di fare le leggi, quello di eseguire le decisioni pubbliche, e quello di giudicare i delitti o le controversie dei privati".




[1] Si riporta il link di un interessante spunto in materia offerto da Sarantis Thanopulos, Presidente della Società Psicoanalitica Italiana: https://www.questionegiustizia.it/articolo/i-test-psicoattitudinali-la-selezione-impersonale-dei-magistrati

[2] Intervista riportata sul seguente link: https://www.open.online/2024/05/09/guido-crosetto-giovanni-toti-raffaele-fitto-giustizia-orologeria/

[3] "De l'Esprit des Lois"



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