Tribunale ordinario di Milano, Prima civile, Sentenza n. 9937/2021 pubblicata il 30/11/2021
IL CASO E LA DECISIONE
Il Comune di Milano notificava a un’occupante abusiva di un alloggio di sua proprietà un’ingiunzione di pagamento, entro 30 giorni dalla data della notificazione, della somma di circa quarantamila euro a titolo di canoni e oneri accessori non corrisposti, nel periodo compreso tra il 2008 e il 2016.
La presunta debitrice proponeva opposizione a tale ingiunzione con atto di citazione, contestando preliminarmente la legittimità stessa dell’ingiunzione, in quanto la pretesa creditoria non sarebbe stata sorretta da alcun titolo, trattandosi, in tesi, di credito di natura risarcitoria derivante dall’occupazione abusiva dell’immobile non basato su altri atti definitivi, nella sua quantificazione, se non su una mera richiesta di indennizzo avanzata dall’Agenzia del Demanio.
L’opponente eccepiva altresì la prescrizione dei crediti antecedenti al novembre del 2014, data l'applicazione del termine di prescrizione quinquennale ex art. 2947 cod. civ., in considerazione della fonte extra contrattuale della pretesa creditoria azionata, e non essendovi atti interruttivi della decorrenza del termine.
Il Tribunale adito, dopo avere qualificato l’occupazione dell’opponente come abusiva, ha annullato l’ingiunzione e contestualmente accertato il credito maturato dal Comune di Milano, rideterminando in diminuzione la somma dovuta dall’occupante.
In particolare, il giudice di primo grado, pur ritenendo illegittimo nel caso di specie il ricorso da parte dell’ente pubblico alla speciale procedura di ingiunzione fiscale di cui al r.d. n. 639/1910, e pur non avendo il Comune svolto nell’atto di costituzione in giudizio una domanda riconvenzionale subordinata all’ipotesi di accertamento dell’illegittimità dell’ingiunzione, ha valorizzato il principio secondo cui l’opposizione ex art. 3 del RD n. 639 del 1910 è diretta all'accertamento dell'illegittimità della pretesa fatta valere dall'Amministrazione, con il conseguente potere/dovere del giudice di accertare il rapporto sostanziale nonostante l'accertata illegittimità dell'ingiunzione (Cass. civ. sez. 3, 29 gennaio 2019 n. 2355).
L’illegittimità del ricorso alla procedura di ingiunzione fiscale non ha dunque precluso al Giudice adito l’esame delle altre questioni preliminari e di merito dedotte nel giudizio, ivi compresa quella afferente alla prescrizione del diritto di credito.
Al riguardo, il Tribunale ha ritenuto che la fonte extra contrattuale della pretesa creditoria azionata comporta l’applicazione del termine quinquennale di cui all’art. 2947 cod.civ. e che, con riferimento alla decorrenza del termine di prescrizione, diversamente da quanto sostenuto dal Comune opposto, il dies a quo non si individua nella data di cessazione della occupazione, ma decorre dal giorno stesso di inizio dell’occupazione, dal momento che il diritto al risarcimento del danno derivante dal mancato utilizzo del bene può essere esercitato giorno per giorno dalla data di inizio dell’occupazione.
Non assume dunque rilievo, ai fini della decorrenza del termine prescrizionale, la circostanza che l’occupazione dell’alloggio fosse ancora in atto.
Nei cinque anni precedenti all’ingiunzione, dunque, il credito non si è prescritto, mentre, per i periodi antecedenti, il Tribunale di Milano ha verificato se la documentazione prodotta dal Comune configurasse validi atti interruttivi della prescrizione, dopo avere premesso che, per produrre l'effetto interruttivo in discorso, un atto deve contenere, oltre alla chiara indicazione del soggetto obbligato, l'esplicitazione di una pretesa e l'intimazione o la richiesta scritta di adempimento, che - sebbene non richieda l'uso di formule solenni né l'osservanza di particolari adempimenti - sia idonea a manifestare l'inequivocabile volontà del titolare del credito di far valere il proprio diritto, nei confronti del soggetto indicato, con l'effetto sostanziale di costituirlo in mora.
Nel merito, il giudice di primo grado, stante la pacificità del fatto di occupazione dell’immobile oggetto di causa e l’assenza di titolo giustificante la detenzione dell’alloggio, ha negato che le concomitanti circostanze di trovarsi in stato di indigenza, di essere disoccupato e di vivere con la madre pensionata e due figli minori, nonché di avere proposto in più occasioni domanda di regolarizzazione della occupazione, con esito negativo, potessero rendere applicabile al caso di specie l’esimente dello stato di necessità. Sul punto, il Tribunale di Milano ha ricordato il
dictum
consolidato della Corte di Cassazione, secondo cui, in tema di illecita occupazione di un alloggio popolare, lo
stato di necessità può essere invocato solo per un pericolo attuale e transitorio e non per sopperire, come avvenuto nel caso di specie, alla necessità di trovare un alloggio al fine di risolvere in via definitiva la propria esigenza abitativa, tanto più che l'edilizia popolare è destinata a risolvere le esigenze abitative dei non abbienti, ma soltanto attraverso procedure pubbliche e regolamentate.
CREDITI RISARCITORI E UTILIZZO DELL’INGIUNZIONE FISCALE
La decisione del Tribunale ordinario di Milano si segnala per un’accurata ricostruzione dell’istituto dell'ingiunzione fiscale, nel caso in cui lo stesso sia utilizzato dall’amministrazione comunale per recuperare crediti di natura privata.
In particolare, viene richiamato il consolidato orientamento di legittimità secondo cui lo speciale procedimento disciplinato dal r.d. 14 aprile 1910, n. 639 è astrattamente utilizzabile, da parte della P.A., non solo per le entrate strettamente di diritto pubblico, ma anche per quelle di diritto privato, trovando il suo fondamento nel potere di auto-accertamento degli enti pubblici.
L’unico limite, al riguardo, consisterebbe nel fatto che il credito in base al quale viene emesso l'ordine di pagare sia certo, liquido ed esigibile, dovendo la sua sussistenza, la sua determinazione quantitativa e le sue condizioni di esigibilità derivare da fonti, da fatti e da parametri obiettivi e predeterminati, rispetto ai quali l'amministrazione dispone di un mero potere di accertamento, restando affidata al giudice del merito la valutazione, in concreto, dell'esistenza dei suindicati presupposti.
Enunciata tale premessa, però, il Giudice di primo grado ha negato che il credito posto al centro della controversia azionata avesse le caratteristiche enucleate dalla giurisprudenza suddetta per rendere ammissibile il suo recupero tramite ingiunzione fiscale.
Tale credito aveva infatti, nel caso di specie, natura risarcitoria, in quanto era derivante da fatto illecito costituito dall’occupazione di immobile pubblico destinato all’edilizia agevolata, in assenza di assegnazione dell’alloggio e della stipula del relativo contratto.
La natura risarcitoria escluderebbe, secondo il Giudice ordinario, l’utilizzabilità da parte dell’amministrazione dello speciale procedimento ingiunzionale di cui al r.d. 14 aprile 1910 n. 639, né sarebbero rinvenibili nella legislazione regionale richiamata dal Comune opposto norme regolanti il pagamento di indennità da occupazione abusiva di alloggi di edilizia pubblica e determinanti la misura dell’indennità da corrispondere, di modo che la regolamentazione contenuta nella delibera della Giunta Comunale utilizzata a tali fini (la n. 30 del 30.1.2009) non sarebbe stata sufficiente ad integrare i sopra citati presupposti, trattandosi di atto di formazione e provenienza unilaterale.
In base alla citata delibera comunale, per gli occupanti abusivi la misura del canone viene attestata su un determinato valore predeterminato massimo, fermo restando sempre il pagamento di un canone mensile minimo di € 250,00.
Secondo la prospettazione del Comune di Milano, tale delibera costituirebbe attuazione delle previsioni contenute nella legislazione regionale vigente, ma dall’esame di tale normativa il Giudice adito non ha tratto alcuna norma che consenta di affermare l’attribuzione ai Comuni del potere di autoliquidazione in via di autotutela delle indennità da occupazione abusiva.
Pertanto, in assenza di una fonte legale specifica che sia univocamente attributiva del potere dell’ente di autoliquidare tale credito di natura risarcitoria, non è stata ritenuta la sussistenza dei presupposti per ricorrere al procedimento di ingiunzione di cui al r.d. n. 639/1910.
L’ordinanza ingiunzione è stata dunque annullata, nel caso di specie, non perché tesa al recupero di crediti insussistenti o – almeno parzialmente – prescritti, ma proprio perché in sé ontologicamente inutilizzabile come strumento di attuazione, in sede di esecuzione forzata, della posizione creditoria vantata.
Secondo altra ricostruzione, invece, avallata da diversa Sezione dello stesso Tribunale di Milano, il credito risarcitorio derivante da occupazione abusiva, oggetto di ingiunzione, sarebbe da considerarsi assistito dalle necessarie caratteristiche di certezza, liquidità ed esigibilità, atteso che i criteri di calcolo dell’indennità richiesta sono predeterminati mediante atti normativi e regolamentari, ed in particolare dall’art. 2, lett. c), della Delibera di Giunta Comunale n. 30/2009, che recepisce le prescrizioni della L.R. 27/2007, poi sostituita dalla L.R. 27/2009 e dalla L.R. 16/2016, e del Regolamento Regionale n. 1/2004, in seguito sostituito dal Regolamento Regionale n. 4/2017.
Secondo questa prospettiva, in altri termini, si tratta, nei casi come quello esaminato nella sentenza in commento, di un credito certo e liquido – in quanto fissato con atto amministrativo meramente ricognitivo di tariffe prestabilite in conformità alle norme legislative statali e regionali vigenti -, che l'Amministrazione può pretendere tramite l’ingiunzione di cui al r.d. 14 aprile 1910, n. 639.
Da questa differente impostazione, peraltro, il Giudice ordinario non fa ordinariamente derivare, in concreto, conseguenze processuali che incidano in modo sfavorevole sulla posizione creditoria dell’amministrazione che ha utilizzato lo strumento dell’ingiunzione.
Invero, secondo il Giudice adito, anche a seguire l’orientamento più rigoroso sulla sorte dell’ordinanza ingiunzione, essendo l’opposizione ex art. 3 del r.d. n. 639 del 1910 diretta all'accertamento dell'illegittimità della pretesa fatta valere dall'amministrazione, ne deriva il potere/dovere del giudice di accertare il rapporto sostanziale nonostante l'accertata illegittimità dell'ingiunzione stessa, e anche ove l’amministrazione opposta non proponga domanda riconvenzionale, come nel caso di specie, la pronuncia che abbia accertato la positiva esistenza della pretesa sostanziale sarebbe suscettibile di formare all'esito dell'impugnazione il giudicato di mero accertamento circa la pretesa sostanziale.
Secondo una diversa prospettazione, invece – allorché il Comune si costituisce in giudizio chiedendo di respingere l'opposizione e di confermare l'ingiunzione, ma senza svolgere alcuna domanda subordinata o riconvenzionale volta ad accertare giudizialmente il credito controverso - il Giudice che compie tale accertamento, pur avendo annullato l'ordinanza e pur in assenza di specifica domanda della parte interessata, incorrerebbe sempre nel vizio di ultrapetizione, in violazione dell’art. 112 c.p.c..
Si tratterebbe, in tesi, di una pronuncia emessa al di fuori dei limiti oggettivi della controversia esaminata, così come stabiliti dalle stesse parti.
Un'altra interpretazione, forse preferibile, consiste nel distinguere, in assenza di domanda subordinata e/o riconvenzionale da parte del Comune, tra annullamento dell'ingiunzione per illegittimità dello strumento utilizzato e annullamento dell'ingiunzione per insussistenza o prescrizione anche solo parziale del credito azionato.
In quest’ultimo caso, conserverebbe validità l’orientamento volto a consentire al giudice, ex officio, un mero accertamento del credito contestato, pur in assenza di domanda in tal senso, in ragione della natura dell’opposizione ex art. 3 del r.d. n. 639 del 1910, che, come detto, è diretta all'accertamento dell'illegittimità della pretesa fatta valere dall'amministrazione.
Nel primo caso, tuttavia (illegittimità in sé dello strumento utilizzato dal Comune) verrebbe a cadere radicalmente il presupposto non solo dell’atto pubblico opposto, ma forse anche dello stesso procedimento di cui al r.d. n. 639 del 1910, di modo che, nella suddetta prospettiva, pare innegabile che soltanto la specifica domanda volta all’accertamento del credito e proposta in giudizio dalla parte avente interesse a tale accertamento autorizzerebbe il giudice a non fermarsi al mero rilievo dell’insanabile illegittimità dello strumento attivato dall’amministrazione per recuperare il suo credito risarcitorio.