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Diritti fondamentali e soggetti diversamente abili: istruzione, inclusione e tutela

di Stefano Tenca • 18 aprile 2021

A) L’EVOLUZIONE NORMATIVA

Prima dell'entrata in vigore della Costituzione, l'ordinamento scolastico si basava su un principio di separazione degli alunni diversamente abili dagli altri, attuato con l'istituzione delle “scuole speciali” e delle “classi differenziali” (Regi Decreti 5/2/1928 n. 577, 26/4/1928 n. 1297, 1/7/1933 n. 786): l'istituzione non veniva concepita per l’istruzione dei soggetti diversamente abili, i quali venivano allontanati e confinati qualora la malattia psichica o sociale impedisse la normale e ordinata attività scolastica.

Per la tutela delle persone che vivono in condizione di fragilità, la Costituzione del 1948 ha enucleato principi orientati alla promozione della persona. Oltre ai diritti inviolabili consacrati all’art. 2, il successivo art. 3 comma 2 afferma il valore dell’uguaglianza sostanziale, individuando il dovere di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza, impediscono il pieno sviluppo della persona umana, attraverso la realizzazione individuale e le interazioni sociali. La Carta costituzionale riconosce altresì il diritto alla salute (art. 32) e il diritto all’istruzione (art. 34, per il quale “La scuola è aperta a tutti”) e codifica la spettanza del “diritto all’educazione e all’avviamento professionale” a favore dei minorati e degli invalidi (art. 38). 

Il sistema pregresso è stato tuttavia mantenuto anche dopo l’entrata in vigore della Costituzione per i “disadattati scolastici” ex L. 31/12/1962 n. 1859. Il DPR 22/12/1967 n. 1518 (art. 30) indirizzava nelle scuole speciali “i soggetti che presentano anomalie o anormalità somato-psichiche che non consentono la regolare frequenza nelle scuole comuni e che abbisognano di particolare trattamento e assistenza medico-didattica …” e nelle classi differenziali i “soggetti ipodotati intellettuali non gravi, disadattati ambientali, o soggetti con anomalie del comportamento, per i quali possa prevedersi il reinserimento nella scuola comune …”.


Un primo passo verso l’integrazione è avvenuto con il D.L. 30/1/1971 n. 5 conv. in L. 30/3/1971 n. 118, che all’art. 28 ha stabilito (al comma 1) per i mutilati e invalidi civili non autosufficienti frequentanti la scuola dell'obbligo il trasporto gratuito e “l'accesso alla scuola mediante adatti accorgimenti per il superamento e la eliminazione delle barriere architettoniche che ne impediscono la frequenza”, nonché “l'assistenza durante gli orari scolastici degli invalidi più gravi”. Il comma successivo ha fissato la regola generale per cui “L'istruzione dell'obbligo deve avvenire nelle classi normali della scuola pubblica, salvi i casi in cui i soggetti siano affetti da gravi deficienze intellettive o da menomazioni fisiche di tale gravità da impedire o rendere molto difficoltoso l'apprendimento o l'inserimento nelle predette classi normali”. Inoltre ai sensi del comma 3 “Sarà facilitata, …, la frequenza degli invalidi e mutilati civili alle scuole medie superiori ed universitarie”.

Le classi differenziali non scomparivano, ma la fruizione era circoscritta ai casi più gravi secondo una valutazione discrezionale dell’amministrazione.

La L. 4/8/1977 n. 517 ha abolito le classi differenziali, riconoscendo il diritto allo studio e alla piena formazione della personalità degli alunni presso le scuole elementari e medie inferiori. Agli articoli 2 e 7 ha stabilito forme di integrazione a favore degli alunni portatori di handicap, con l’impiego di insegnanti specializzati. Nelle classi dovevano essere assicurati l’integrazione specialistica, il servizio socio-psicopedagogico e forme particolari di sostegno, secondo le rispettive competenze degli Enti e nei limiti delle disponibilità di bilancio.

Per quanto riguarda le scuole medie superiori, è stato decisivo l’intervento della Corte costituzionale: con sentenza n. 215/87 ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell’art. 28 comma 3 della L. 118/71 nella parte in cui, in riferimento ai soggetti portatori di handicap, prevede che la frequenza «Sarà facilitata», anziché disporre che «È assicurata». Nella motivazione, la Corte ha sottolineato tra l’altro che “per valutare la condizione giuridica dei portatori di handicap in riferimento all'istituzione scolastica occorre innanzitutto considerare, da un lato, che è ormai superata in sede scientifica la concezione di una loro radicale irrecuperabilità, dall'altro che l'inserimento e l'integrazione nella scuola ha fondamentale importanza al fine di favorire il recupero di tali soggetti. La partecipazione al processo educativo con insegnanti e compagni normodotati costituisce, infatti, un rilevante fattore di socializzazione e può contribuire in modo decisivo a stimolare le potenzialità dello svantaggiato, al dispiegarsi cioè di quelle sollecitazioni psicologiche atte a migliorare i processi di apprendimento, di comunicazione e di relazione attraverso la progressiva riduzione dei condizionamenti indotti dalla minorazione”; inoltre, “insieme alle pratiche di cura e riabilitazione ed al proficuo inserimento nella famiglia, la frequenza scolastica è dunque un essenziale fattore di recupero del portatore di handicaps e di superamento della sua emarginazione, in un complesso intreccio in cui ciascuno di tali elementi interagisce sull'altro e, se ha evoluzione positiva, può operare in funzione sinergica ai fini del complessivo sviluppo della personalità”.


Con la L. 5/2/1992 n. 104 – legge quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate – è stato definitivamente affermato e regolato il diritto dei disabili all'istruzione e all’integrazione scolastica.

L'art. 3 comma 2 stabilisce che la persona handicappata ha diritto alle prestazioni stabilite in suo favore in relazione alla natura e alla consistenza della minorazione, alla capacità complessiva individuale residua e all’efficacia delle terapie riabilitative. Tale principio deriva, dagli artt. 3, 32, 34 e 38 Cost., sicché la giurisprudenza costituzionale ha evidenziato in più occasioni l'importanza dell'integrazione scolastica del disabile e la natura di diritto fondamentale dell'istruzione (cfr. Corte Costituzionale n. 215 del 1987, già citata). 

Tra le varie misure previste dal legislatore viene in rilievo l'obbligo a carico del Ministero dell'Istruzione (cfr. art. 13 comma 3), di garantire al minore, nelle scuole di ogni ordine e grado, le attività di integrazione e sostegno con assegnazione di docenti specializzati: questi ultimi devono favorire la socializzazione della persona, consentirle di “avere un futuro” nella società poiché l'istituzione scolastica - utilizzando tali docenti - deve elaborare un progetto per ogni alunno portatore di deficit. Il docente specializzato è presente in classe unitamente all'insegnante titolare della materia, e segue direttamente l'alunno disabile presente.

La Corte costituzionale (cfr. sentenza n. 406 del 1992) ha sottolineato che il complessivo disegno del legislatore “… è fondato sulla esigenza di perseguire un evidente interesse nazionale, stringente ed infrazionabile, quale è quello di garantire, in tutto il territorio nazionale, un livello uniforme di realizzazione dei diritti costituzionali fondamentali dei soggetti portatori di handicap”. 

La giurisprudenza ha osservato che le norme a tutela dei disabili, in un quadro costituzionale che impone alle Istituzioni di favorire lo sviluppo della personalità, risultano essenziali al sostegno delle famiglie ed alla sicurezza e benessere della società nel suo complesso, poiché evitano la segregazione, la solitudine, l'isolamento, nonché i costi che ne derivano, in termini umani ed economici, potenzialmente insostenibili per le famiglie; inoltre, l'inserimento e l'integrazione sociale rivestono fondamentale importanza per la società nel suo complesso perché rendono possibili il recupero e la socializzazione (Consiglio di Stato, sez. VI – 23/6/2017 n. 3077).

Attualmente l’obiettivo è quello di promuovere un’effettiva inclusione scolastica, che risponda ai differenti bisogni con strategie educative e didattiche finalizzate allo sviluppo delle potenzialità individuali, nel rispetto del diritto all’autodeterminazione e all’accomodamento ragionevole in vista di una migliore qualità della vita (art. 1 comma 1 D. Lgs. 66/2017). 


B) IL QUADRO SOVRANAZIONALE

Vengono anzitutto in considerazione le previsioni di cui agli artt. 21 (divieto di discriminazione fondata tra l’altro sulla disabilità) e 22 (rispetto delle diversità) della Carta dei diritti fondamentali dell'UE, nonché dagli artt. 9 (lotta contro l’esclusione sociale e per un elevato livello di istruzione), e 10 (divieto di discriminazione fondata sulla disabilità) del Trattato sul funzionamento dell'UE. 

La Convenzione internazionale sui diritti delle persone disabili è stata sottoscritta a New York il 13/12/2006, è entrata in vigore il 3/5/2008 ed è esecutiva nel nostro paese in virtù della L. 3/3/2009 n. 18. I Paesi aderenti si sono impegnati ad adottare tutte le misure politiche per favorire la piena realizzazione dei diritti umani e delle libertà fondamentali in capo alle persone disabili, nonché a promuovere i provvedimenti per combattere le discriminazioni fondate sulla disabilità, ivi compreso nel campo del sistema educativo: e ciò, al fine di garantire il libero e pari accesso alla scuola, agevolare l'integrazione scolastica e facilitare l'apprendimento e la partecipazione alla vita di comunità, anche attraverso l'offerta di misure di sostegno assicurate dallo Stato.

L’art. 24 statuisce che gli Stati Parti “riconoscono il diritto all'istruzione delle persone con disabilità”. Il diritto a un sistema inclusivo a tutti i livelli va garantito senza discriminazioni e sulla base di pari opportunità, per un apprendimento continuo lungo tutto l’arco della vita (cd. long life learning).

Nel nostro ordinamento, l'adesione alla convenzione non ha determinato una vera e propria rivoluzione nell'approccio giuridico alla tutela delle disabilità, e tuttavia detta fonte è stata letta in senso confermativo della promozione della persona umana, veicolata dalla nostra Costituzione attraverso il principio personalista e l’eguaglianza sostanziale. 

La Corte costituzionale, nella sentenza n. 80 del 2010, il giudice delle leggi ha posto in relazione l'art. 24 della Convenzione (che, oltre a riconoscere il diritto all'istruzione dei disabili, prevede che esso debba essere garantito attraverso accomodamenti ragionevoli) con l'articolo 38 Cost., riempito a sua volta di contenuto dall'art. 12 della L. 104/92. 

La natura fondamentale del diritto di cui si discorre è avallata, secondo la Corte, dalla tutela riconosciuta sia in sede internazionale sia dal diritto interno.


C) LA CORTE COSTITUZIONALE 

Nella sentenza 26/2/2010 n. 80, la Corte ha affermato che il diritto del disabile all'istruzione si configura come un diritto fondamentale, e la sua fruizione è assicurata attraverso “misure di integrazione e sostegno idonee a garantire ai portatori di handicaps la frequenza degli istituti d'istruzione”: tra le varie misure previste dal legislatore viene in rilievo quella del personale docente specializzato, chiamato per l'appunto ad adempiere alle “ineliminabili (anche sul piano costituzionale) forme di integrazione e di sostegno” a favore degli alunni diversamente abili (cfr. sentenza n. 52 del 2000).

In attuazione dell'art. 38, terzo comma, Cost., il diritto all'istruzione dei disabili e l'integrazione scolastica degli stessi sono previsti dalla L. 104/92, la quale “attribuisce al disabile il diritto soggettivo all'educazione ed all'istruzione a partire dalla scuola materna fino all'università”.

Nell’esaminare disposizioni legislative che prevedevano (cfr. Legge finanziaria 2007) da un lato, un limite massimo nella determinazione del numero degli insegnanti di sostegno e, dall'altro, l'eliminazione della possibilità di assumerli in deroga, la Corte ha ravvisato un “contrasto con il … quadro normativo internazionale, costituzionale e ordinario, nonché con la consolidata giurisprudenza di questa Corte a protezione dei disabili …”. Ha affermato che è vero che, secondo costante giurisprudenza di questa Corte, il legislatore nella individuazione delle misure necessarie a tutela dei diritti delle persone disabili gode di discrezionalità (da ultimo, ex plurimis, sentenze n. 431 e 251 del 2008, ordinanza n. 269 del 2009), e tuttavia si deve <<riaffermare che, sempre secondo la giurisprudenza di questa Corte, detto potere discrezionale non ha carattere assoluto e trova un limite nel «[...] rispetto di un nucleo indefettibile di garanzie per gli interessati» (sentenza n. 251 del 2008 che richiama sentenza n. 226 del 2000).

Risulta, pertanto, evidente che le norme impugnate hanno inciso proprio sull'indicato «nucleo indefettibile di garanzie» che questa Corte ha già individuato quale limite invalicabile all'intervento normativo discrezionale del legislatore. La scelta operata da quest'ultimo, in particolare quella di sopprimere la riserva che consentiva di assumere insegnanti di sostegno a tempo determinato, non trova alcuna giustificazione nel nostro ordinamento, posto che detta riserva costituisce uno degli strumenti attraverso i quali è reso effettivo il diritto fondamentale all'istruzione del disabile grave.

La ratio della norma, che prevede la possibilità di stabilire ore aggiuntive di sostegno, è, infatti, quella di apprestare una specifica forma di tutela ai disabili che si trovino in condizione di particolare gravità; si tratta dunque di un intervento mirato, che trova applicazione una volta esperite tutte le possibilità previste dalla normativa vigente e che, giova precisare, non si estende a tutti i disabili a prescindere dal grado di disabilità, bensì tiene in debita considerazione la specifica tipologia di handicap da cui è affetta la persona de qua>>.


Nell’esaminare una legge della Regione Abruzzo che garantiva per il servizio di trasporto dei disabili un contributo del 50% della spesa documentata dalle Province solo “nei limiti della disponibilità finanziaria determinata dalle annuali leggi di bilancio”, la Corte costituzionale (cfr. sentenza 16/12/2016 n. 275) ha ribadito che la natura fondamentale del diritto impone alla discrezionalità del legislatore un limite invalicabile nel "rispetto di un nucleo indefettibile di garanzie per gli interessati", tra le quali rientra il servizio di trasporto scolastico e di assistenza poiché, per lo studente disabile, esso costituisce una componente essenziale ad assicurare l'effettività del medesimo diritto.

Nel caso affrontato il legislatore regionale si era assunto l'onere di concorrere, al fine di garantire l'attuazione del diritto, alla relativa spesa, ma una previsione lasciava incerta nell'an e nel quantum la misura della contribuzione rendendola aleatoria, traducendosi negativamente sulla possibilità di programmare il servizio e di garantirne l'effettività, in base alle esigenze presenti sul territorio.

La Corte ha ritenuto che l'indeterminata insufficienza del finanziamento “condizioni, ed abbia già condizionato, l'effettiva esecuzione del servizio di assistenza e trasporto come conformato dal legislatore regionale, violando in tal modo il precetto contenuto nell'art. 38, terzo e quarto comma, Cost”. L’effettività deriva dalla certezza delle disponibilità finanziarie per il soddisfacimento del medesimo diritto, nel quadro dei compositi rapporti amministrativi e finanziari degli enti territoriali coinvolti: l’affidamento generato dalla previsione del contributo regionale condiziona la misura della disponibilità finanziaria della Provincia e degli altri Enti coinvolti nell'assolvimento del servizio in questione.

Sebbene il legislatore goda di discrezionalità nell'individuazione delle misure per la tutela dei diritti delle persone disabili, detto potere trova un limite invalicabile nella necessità di coerenza intrinseca della stessa legge regionale, con la quale viene specificato il nucleo indefettibile di garanzie per gli interessati. Dunque il livello delle prestazioni dovute, mentre appare salvaguardato dalla legge regionale nel suo complesso ed in particolare nella parte che prevede una pianificazione del fabbisogno degli interventi, nonché un preciso rendiconto degli oneri sostenuti, risulta poi vanificato dalla prescrizione contraddittoria che subordina il finanziamento (da parte regionale) degli interventi alle politiche ed alle gestioni ordinarie del bilancio dell'ente.

Sull’argomento secondo il quale, ove la disposizione impugnata non contenesse il limite delle somme iscritte in bilancio, la norma violerebbe l'art. 81 Cost. per carenza di copertura finanziaria, la Corte ha puntualizzato che, “una volta normativamente identificato, il nucleo invalicabile di garanzie minime per rendere effettivo il diritto allo studio e all'educazione degli alunni disabili non può essere finanziariamente condizionato in termini assoluti e generali”, e che che “è di tutta evidenza che la pretesa violazione dell'art. 81 Cost. è frutto di una visione non corretta del concetto di equilibrio del bilancio, sia con riguardo alla Regione che alla Provincia cofinanziatrice. È la garanzia dei diritti incomprimibili ad incidere sul bilancio, e non l'equilibrio di questo a condizionarne la doverosa erogazione”.


D) IL BILANCIAMENTO CON LE ESIGENZE FINANZIARIE

Per assicurare l’erogazione delle prestazioni – di carattere sanitario o assistenziale – l'esercizio della discrezionalità legislativa è inevitabilmente condizionato dalla disponibilità delle risorse finanziarie disponibili in un dato momento storico. 

A partire dagli anni novanta del secolo scorso, per effetto della crisi economica il legislatore ha introdotto rigorose misure di austerità, che hanno messo in discussione erogazioni in precedenza garantite. 

La risposta della Corte costituzionale è stata (ed è) chiara: il nucleo irriducibile del diritto alla salute non tollera compressioni e deve comunque trovare esplicazione.

Esso, in quanto diritto costituzionale "a prestazioni positive" basato su norme costituzionali di carattere programmatico, è un diritto soggettivo pieno ed incondizionato, ma nei limiti e secondo le modalità prescelte dal legislatore nell'attuazione della relativa tutela, ben potendo detti limiti e modalità essere conformati dai condizionamenti che lo stesso legislatore incontra nella distribuzione delle risorse finanziarie disponibili (tra le altre, Corte Costituzionale n. 309 del 1999, n. 432 del 2005 e n. 251 del 2008).

Tuttavia, nelle scelte discrezionali del legislatore che hanno ad oggetto la garanzia di prestazioni, i vincoli finanziari non possono assumere “un peso talmente preponderante da comprimere il nucleo irriducibile del diritto alla salute protetto dalla Costituzione come ambito inviolabile della dignità umana” (cfr. sentenze 455/1990; 267/1998; 309/1999; 354/2008). 

Il quadro che risulta dalla combinazione tra il dato costituzionale, le fonti internazionali e le disposizioni legislative della L. 104/92 pone l’esigenza che l'affermazione dei diritti della persona sia accompagnata dall’effettività nella dimensione concreta. Solo così si persegue scopo di realizzare la piena realizzazione della persona, per mezzo dell'eliminazione delle barriere che costituiscono un ostacolo concreto alla sua interazione con il mondo circostante. Ne segue il carattere comunque prevalente del nucleo essenziale dei diritti delle persone con disabilità, anche al di sopra delle logiche di bilancio e della limitatezza delle risorse finanziarie.


E) GLI INTERVENTI DELLA GIURISPRUDENZA

E’ sorto un contenzioso per un disabile al 100% e non autosufficiente, che nel gennaio 2016 (sedicenne) è stato inserito in un centro diurno per 3 giorni a settimana, malgrado il bisogno riconosciuto di un inserimento per 5 giorni. E’ rimasto quindi in lista d’attesa, e la frequenza full time è stata autorizzata soltanto il 3/7/2018. 

L’amministrazione regionale si è difesa affermando che, pur dopo l'istituzione del Fondo regionale per la non autosufficienza, potevano essere erogati i necessari finanziamenti in favore dei destinatari nei limiti delle risorse disponibili. L’Azienda Sanitaria a sua volta ha dichiarato che fuorusciva dai suoi poteri modificare il quantum di risorse annualmente destinato dalla Regione Veneto al finanziamento dei servizi semiresidenziali; né poteva autorizzare la frequenza del Centro diurno al di fuori di criteri di imparzialità e del rispetto della graduatoria. Fino all'inserimento sopravvenuto nel centro diurno, l'Azienda ha erogato un contributo mensile di euro 700.

Secondo il Consiglio di Stato, sez. III – 2/1/2020 n. 1, “Il mancato inserimento nel Centro Diurno, laddove ne sia stata valutata la necessità terapeutica e assistenziale per la totale disabilità accertata, è contrario a tutte le norme nazionali e internazionali, invocate dai ricorrenti, che pongono tra i valori essenziali da tutelare nel nostro ordinamento la salute e dignità delle persone disabili”.

Hanno ritenuto i giudici d’appello che “l'affermato principio dell'equilibrio di bilancio in materia sanitaria, ribadito in più occasioni anche dalla giurisprudenza di questo Consiglio (cfr. AP 3 del 2012 CDS III 5538/2015; 3060 del 2018), non possa essere invocato in astratto, ma debba essere dimostrato concretamente come impeditivo, nel singolo caso, all'erogazione delle prestazioni e, comunque, nel caso in cui la disabilità dovesse comportare esigenze terapeutiche indifferibili, il nucleo essenziale del diritto alla salute deve essere salvaguardato (cfr. Corte costituzionale n. 304 del 15 luglio 1994)”. 

Nello specifico, l'Azienda sanitaria intimata avrebbe dovuto dimostrare concretamente di non avere avuto risorse disponibili nel periodo considerato per l'assolvimento dell'obbligo di prestazione verso il ragazzo, al quale era stata riconosciuta una totale disabilità e la necessità dell'inserimento in un Centro diurno per l'inefficacia del percorso scolastico con insegnante di sostegno (valutazione dell’equipe dedicata del 27/1/2017).

Il Consiglio di Stato non ha ritenuto sufficiente a tal fine la mera dichiarazione contenuta nel provvedimento impugnato “di aver esaurito i posti nel centro diurno”, essendo necessaria la dimostrazione dell'inesistenza di fondi di bilancio a cui attingere anche per una forma di assistenza indiretta, presso Centri privati, mediante rimborso alla famiglia del costo necessario a consentire l'adeguato sostegno socio-educativo.

Secondo i giudici “l'Ente pubblico dovrebbe dimostrare che non vi sono alternative organizzative e di essersi, comunque, adoperato in ogni modo per rinvenirle o reperire ulteriori risorse finanziarie” … “una volta individuate le necessità dei disabili tramite il Piano individualizzato, l'attuazione del dovere di rendere il servizio comporti l'attivazione dei poteri - doveri di elaborare tempestivamente le proposte relative all'individuazione delle risorse necessarie a coprire il fabbisogno e, comunque, l'attivazione di ogni possibile soluzione organizzativa”.


E’ stato dichiarato illegittimo il regolamento per il servizio per l'autonomia e la comunicazione in favore di alunni con disabilità frequentanti le scuole dell'infanzia, le scuole primarie e secondarie di primo grado del Comune di Catania, nella parte in cui lo ha riservato esclusivamente a quegli alunni che risiedono nel territorio del Comune. 

Una minore domiciliata a Catania (dove la madre lavorava) è stata esclusa dal servizio in quanto non residente. 

Il C.G.A. Sicilia – 24/11/2020 n. 1105, nel richiamare gli artt. 12 commi 2 e 3 e 13 della L. 104/92 ha riconosciuto in capo al Comune la competenza alla predisposizione dei servizi di assistenza igienico personale e di assistenza per l'autonomia degli alunni diversamente abili, ferma la competenza delle province per i servizi agli alunni che frequentino le scuole secondarie di secondo grado e gli altri istituti superiori. Secondo il giudice amministrativo “Si tratta di una vera e propria obbligazione pubblica che direttamente la legge pone a carico dei comuni chiamati a dare attuazione alle relative disposizioni”. 

Il C.G.A. ha posto l’accento sull'effettività del diritto all'istruzione, bene primario tutelato da un diritto sociale, che costituisce parte integrante del riconoscimento e della garanzia dei disabili per il conseguimento di quella pari dignità sociale che consente il pieno sviluppo della persona umana con disabilità (Corte Cost. n. 80 del 2010): pur riconosciuto e garantito dal legislatore e dalla Costituzione, è condizionato quanto al "se" alla predisposizione da parte dell'amministrazione di apposite strutture e servizi che ne assicurino il godimento (In assenza di tali presidi assistenziali, compresi quelli all'autonomia e alla comunicazione, tali diritti sono destinati a rimanere sulla carta). Le esigenze regolamentazione economica fra i due Comuni interessati (Comune di residenza del minore e Comune che ospita l'istituto di istruzione primaria in cui è iscritto) “devono essere risolte ex post dagli enti locali interessati, senza poter minimamente incidere sulla effettività del sostegno scolastico”. 


E.1) PRONUNCE A GARANZIA DELLE ORE DI SOSTEGNO

In linea generale va riconosciuto il diritto fondamentale all’istruzione del disabile grave, a fronte del quale “il legislatore (in prima battuta) e l'amministrazione (in attuazione della legge) non possono esimersi dall'apprestare un nucleo indefettibile di garanzie fino anche a giungere alla determinazione di un numero di ore di sostegno pari a quello delle ore di frequenza, in caso di accertata situazione di gravità del disabile”. E’ dunque illegittima la condotta dell'istituto scolastico che riconosce un monte-ore settimanali di sostegno inferiore, rispetto a quelle individuate come necessarie" (T.A.R. Campania Salerno, sez. I – 10/2/2021 n. 349).


T.A.R. Umbria – 7/11/2019 n. 573 ha sottolineato che, in materia di assegnazione delle ore di sostegno all'alunno disabile, il provvedimento finale del dirigente scolastico con cui si stabilisce l'assegnazione delle ore di sostegno non può rendere prive di effetti concreti, sul piano del sostegno, le statuizioni operate dall'organo collegiale competente a stabilire la gravità dell'handicap e a predisporre il piano individuale di intervento a sostegno del minore in una situazione di handicap riconosciuto come grave; esso inoltre non si può basare su un vincolo derivante dalla carenza di risorse economiche che non possono, in modo assoluto, condizionare il diritto al sostegno sino a esigere e sacrificare il diritto fondamentale allo studio e all'istruzione (cfr. Cons. St., sez. VI, 10 luglio 2017, n. 3393). 


L’attuale orientamento in materia trae fondamento dal chiaro indirizzo elaborato dal Consiglio di Stato nella sentenza pilota della sez. VI – 3/5/2017 n. 2023, che ha ricostruito procedure e competenze nel complesso meccanismo di riconoscimento delle ore di sostegno scolastico. A questo proposito si riporta uno stralcio:

“a) il G.L.O.H. (Gruppo di Lavoro Operativo Handicap) elabora i P.E.I. (piani educativi individualizzati) all'interno dei singoli Istituti scolastici, al termine delle fasi procedimentali previste dall'art. 12, comma 5, della L. n. 104 del 1992;

b) il dirigente scolastico trasmette le relative risultanze agli Uffici scolastici;

c) gli Uffici scolastici, a seguito dell'acquisizione dei dati, devono attribuire ai singoli Istituti tanti insegnanti di sostegno, quanti ne sono necessari per coprire tutte le ore che sono risultate oggetto delle proposte, salva la possibilità di esercitare un potere meramente correttivo, sulla base di riscontri oggettivi (è questo il caso, ad esempio, di errori materiali, ovvero del fatto che singoli alunni non siano più iscritti presso un dato istituto, perché trasferitisi altrove);

d) il dirigente scolastico - tranne i casi in cui prenda atto della correzione di errori materiali o delle circostanze ostative, specificamente e motivatamente individuate dagli Uffici scolastici - deve attribuire a ciascun disabile un numero di ore di sostegno corrispondente a quello oggetto della singola proposta del G.L.O.H, dalla quale non si può discostare;

e) pertanto, i procedimenti riguardanti gli alunni disabili si devono concludere con gli atti del dirigente scolastico di attribuzione delle ore di sostegno, in conformità alle risultanze del G.L.O.H.

Va pertanto considerato condivisibile l'orientamento dei Tribunali amministrativi regionali per il quale è fondata la pretesa dei genitori a vedere attribuite ai propri figli disabili le ore di sostegno nella misura determinata dai G.L.O.H.

Di conseguenza, proprio per tale ragione i dirigenti scolastici, i quali ovviamente devono evitare di emanare atti illegittimi, devono essi stessi disporre l'attribuzione delle ore nella medesima misura, anche quando gli Uffici scolastici non abbiano assegnato le risorse indispensabili”.

Il giudice d’appello, nel considerare i principi generali sulla responsabilità degli organi amministrativi e sulla leale collaborazione tra tali organi, ha precisato quali ulteriori fasi procedimentali siano configurabili, qualora gli Uffici scolastici abbiano assegnato un numero di insegnanti di sostegno inferiore a quello necessario per assegnare in concreto le ore di sostegno attribuite doverosamente dal dirigente scolastico in conformità alle "proposte" del G.L.O.H.

“In tal caso, il dirigente scolastico stesso:

- deve segnalare agli Uffici scolastici tale circostanza, affinché questi assegnino senza indugio gli ulteriori insegnanti di sostegno che risultino necessari, e ciò con il supporto del Ministero dell'economia e delle finanze, anch'esso tenuto a dare esecuzione agli atti del dirigente scolastico che abbiano concluso i procedimenti riguardanti i singoli alunni disabili, sulla base delle "proposte" del G.L.H.O.;

- qualora risulti la notifica di un ricorso, proposto al giudice civile o al giudice amministrativo, col quale sia lamentata la mancata fruizione delle ore di sostegno formalmente attribuite, a causa dell'insufficienza delle risorse rese disponibili dagli Uffici scolastici o dal Ministero dell'economia e delle finanze, deve trasmettere una relazione alla competente Procura della Corte dei Conti, per le valutazioni di sua competenza;

- non può che affrontare la situazione venutasi a verificare suo malgrado contra legem, e redistribuire provvisoriamente le ore di sostegno, in attesa che siano rese disponibili dall'Ufficio regionale tutte le necessarie risorse”.

Nella sentenza si è ammesso che “… quando gli Uffici scolastici non dispongono l'assunzione in deroga del numero necessario degli insegnanti di sostegno, e si discostano 'in senso riduttivo' dai dati numerici acquisiti - il dirigente scolastico è di fatto talvolta costretto, con atti 'definitivi' o 'provvisori', a 'suddividere' - sulla base di conseguenti penose mediazioni - e non ad 'attribuire' le ore di sostegno, rese disponibili dagli Uffici scolastici e inferiori a quelle necessarie”. In tal caso, “il dirigente scolastico, dopo avere attribuito le ore di sostegno in conformità alle "proposte" del G.L.O.H., può porre in essere le misure provvisorie che ritenga più idonee, per affrontare la situazione, in attesa che gli Uffici scolastici emanino i loro atti dovuti”.

La sentenza ha preso posizione sulla circostanza che “nei fatti - come risulta chiaramente dalla stessa esistenza del contenzioso seriale posto all'esame dei TAR e del Consiglio di Stato, per i casi di attribuzione di ore in numero inferiore a quelle indicate nelle "proposte" - solo i genitori che propongano il ricorso giurisdizionale, e ne abbiano i mezzi anche economici per farlo, possano ottenere una pronuncia che ordini all'Amministrazione scolastica di consentire la fruizione delle ore nel numero determinato dal G.L.H.O., mentre lo stesso non avviene per i genitori che di tali mezzi siano privi”. Ha osservato molto chiaramente in proposito che “Non è però questo il sistema desumibile dai principi costituzionali e dalle leggi che, prima e dopo la sentenza della Corte Costituzionale n. 80 del 2010, hanno attribuito agli alunni disabili il diritto di ottenere le ore di sostegno, come determinate dal G.L.O.H. Infatti, gli Uffici scolastici (così come il dirigente scolastico ed il Ministero dell'economia e delle finanze) non possono sindacare le risultanze delle "proposte" e devono fare in modo che le ore di sostegno siano attribuite a tutti i disabili, già col 'primo atto' del dirigente scolastico e nei tempi fissati, assegnando 'in deroga' gli insegnanti di sostegno quando ciò occorra per 'coprire' le ore determinate nelle "proposte". In altri termini, il sistema deve far sì che gli alunni e le loro famiglie non debbano proporre ricorsi giurisdizionali per ottenere ciò che è loro dovuto”.


Questa sentenza rappresenta un solido punto di riferimento per l’amministrazione e per le pronunce giurisdizionali successive, anche ai fini della valutazione dell’elemento soggettivo (colpa dell’amministrazione). 

Ad esempio C.G.A. Sicilia – 7/11/2018 n. 723 ha ritenuto “che … la novità della questione e la complessità del quadro normativo hanno concorso nel condizionare la condotta posta in essere dall'Amministrazione appellante, che si è determinata in ragione di uno stato almeno putativo di necessità, il quale ha quindi condizionato la concreta adozione del provvedimento impugnato”. 

In alcuni precedenti (sentenze nn. 362 e 363 del 2017 e nn. 234 e 245 del 2016) a sostegno della non colpevolezza dell'Amministrazione erano stati richiamati:

“- la novità della questione (riverberatasi infatti in contrastanti pronunce giurisdizionali), per la quale non può considerarsi quale indirizzo giurisprudenziale di sicuro riferimento quello -ancorché molteplice e diffuso - sostenuto dal Giudice di primo grado, non ancora passato al vaglio dell'appello;

- la complessità del quadro definito dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato "di qualità molto scarsa [...] frammentario e disarmonico [...] di difficile lettura sia per i genitori, sia per gli operatori scolastici" (così Consiglio di Stato, sez. VI, n. 2023 del 2017 §26.1; Id., sez. VI, n. 4342 del 2017).

- le difficoltà organizzative e l'insufficienza di risorse, che, se non possono di per sé giustificare l'orientamento limitativo assunto dall'Amministrazione, al cui vertice compete assicurare risorse proporzionate alle necessità, possono tuttavia far ritenere la condotta amministrativa in questione espressione di uno stato almeno putativo di necessità, il quale ha quindi condizionato la concreta adozione del provvedimento impugnato (CGARS, 31.7.2017 n. 363)”.

Ebbene, negli anni successivi la sentenza pilota del Consiglio di Stato n. 2023/2017 (seguita da numerose pronunce allineate) ha indotto la giurisprudenza a pervenire a conclusioni differenti. Il chiarimento del quadro normativo di riferimento e dell’assetto delle competenze comporta che le omissioni e le lacune non siano più giustificabili.


F) IL DANNO NON PATRIMONIALE

LE QUESTIONI DI GIURISDIZIONE

La Corte di Cassazione, sez. unite civili – 28/1/2020 n. 1870 è stata chiamata a stabilire a chi è devoluta la domanda risarcitoria proposta dal genitore, nei confronti dell'amministrazione scolastica, in relazione ai danni non patrimoniali patiti dal minore disabile per avere fruito, durante l'orario scolastico, di un numero di ore di didattica di sostegno (a mezzo di insegnati specializzati) inferiore a quello necessario in relazione alle sue condizioni di salute.

Sul punto, il giudice regolatore della giurisdizione ha rammentato l’orientamento per il quale, in tema di sostegno all'alunno in situazione di handicap, la giurisdizione si radica diversamente - spettando ora al giudice ordinario ora a quello amministrativo - a seconda della doglianza formulata nei confronti della pubblica amministrazione scolastica.

- Le controversie riguardanti la fase che precede la redazione del piano educativo individualizzato “… sono devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo, ai sensi dell'art. 133 c.p.a., comma 1, lett. c), atteso che, in tale fase, sussiste ancora, in capo all'amministrazione scolastica, il potere discrezionale, espressione dell'autonomia organizzativa e didattica, di individuazione della misura più adeguata al sostegno, il cui esercizio è precluso, invece, dalla successiva formalizzazione del piano suddetto, che determina il sorgere dell'obbligo dell'amministrazione di garantire il supporto per il numero di ore programmato ed il correlato diritto dell’alunno disabile all’istruzione come pianificata, nella sua concreta articolazione, in relazione alle specifiche necessità dell'alunno stesso (Cass., Sez. Un., n. 5060 del 28/02/2017)”.

- Le controversie nelle quali si censurino i provvedimenti adottati dalla P.A. nell'esercizio di poteri autoritativi e discrezionali in materia di servizio di sostegno scolastico a favore di minori diversamente abili, come nell'ipotesi in cui si chieda l'aumento del numero delle ore di supporto concesse al minore e si metta in discussione la correttezza del potere amministrativo esercitato nell'organizzazione del servizio “Parimenti, spettano alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ai sensi del D.Lgs. n. 31 marzo 1998, n. 80, art. 33 come inciso dalla sentenza n. 204 del 2004 della Corte costituzionale (ora ai sensi ai sensi dell'art. 133 c.p.a., comma 1, lett. c)”

- Viceversa, “… una volta approvato il "piano educativo individualizzato", definito ai sensi della L. 5 febbraio 1992, n. 104, art. 12 tale piano obbliga l'amministrazione scolastica a garantire il sostegno all'alunno in situazione di handicap per il numero di ore programmato, senza lasciare ad essa il potere discrezionale di ridurne l'entità in ragione delle risorse disponibili; conseguentemente, la condotta dell'amministrazione che non appresti il sostegno pianificato si risolve nella contrazione del diritto del disabile alla pari opportunità nella fruizione del servizio scolastico, la quale, ove non accompagnata dalla corrispondente riduzione dell'offerta formativa per gli alunni normodotati, concretizza discriminazione indiretta, la cui repressione spetta al giudice ordinario (Cass., Sez. Un., n. 25011 del 25/11/2014; Cass., Sez. Un., n. 9966 del 20/04/2017; Cass., Sez. Un., n. 25101 del 08/10/2019)”.

In senso parzialmente diverso dalla Corte di Cassazione, secondo il Consiglio di Stato, adunanza plenaria – 12/4/2016 n. 7, quando invece il dirigente scolastico abbia attribuito le ore di sostegno in conformità alla proposta del GLHO, ma in concreto tali ore non siano assegnate e quindi non se ne possa fruire, correttamente il Consiglio di Stato ha differenziato la soluzione sulla giurisdizione a seconda della causa petendi e del petitum posti a base della relativa pretesa: 

a) sussiste la giurisdizione del giudice civile “quando l’interessato espressamente lamenti innanzi a tale giudice che l’Amministrazione scolastica abbia posto in essere “un comportamento discriminatorio a proprio danno”, applicandosi, in tal caso, l’art. 3 della legge 1° marzo 2006, n. 67 e – per gli aspetti processuali - l’art. 28 del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150 …”; 

b) si applicano invece le regole sulla giurisdizione esclusiva “quando il ricorrente impugni gli atti del procedimento o contesti un comportamento dell’Amministrazione, lamentando o la mancata corrispondenza tra il provvedimento finale del dirigente scolastico e la proposta del GLHO (ovvero lamentando che sia stata data illegittimamente prevalenza a ragioni di contenimento della spesa), o la mancata redazione del PEI per l’anno scolastico in corso, o la mancata concreta fruizione delle ore di sostegno, attribuite dal dirigente scolastico in conformità alla proposta del GLHO, perché il medesimo dirigente, per la carenza delle risorse fornite dagli Uffici scolastici, ha affrontato provvisoriamente la situazione con misure di redistribuzione delle ore di sostegno (in sostanza, ha attribuito meno ore di sostegno di quelle necessarie richieste dal PEI o dagli organismi competenti)”.

Nell’ottica della concentrazione della tutela e per evitare al privato una defatigante ricerca del giudice chiamato a decidere, la giurisdizione amministrativa sussisterebbe qualora si contestino gli atti dell’amministrazione scolastica che non abbiano dato coerente seguito alle “proposte” del GLHO e cioè gli atti interni al procedimento degli Uffici scolastici e quello - finale o provvisorio - del dirigente scolastico, di attribuzione all’alunno disabile di un numero di ore inferiore a quello oggetto della proposta individuale: sarebbero infatti controversie concernenti un pubblico servizio, quale l’istruzione, ai sensi dell’art. 133, comma 1, lettera c), del codice del processo amministrativo, con la conseguente applicazione dell’articolo 7, comma 5 c.p.a. 

Il punto specifico è stato affrontato da T.A.R. Campania Napoli, sez. IV – 2/12/2019 n. 5668, ad avviso del quale “non si può ricollegare all’esistenza di una discriminazione quello che è un palese disservizio, agevolato dalla complessità della normativa esistente, che nella realtà fenomenica produce l’identico effetto lesivo per il disabile a prescindere dall’esistenza o meno del PEI. Se alla base della criticità legata alla non assegnazione (o all’assegnazione solo in parte) degli insegnanti di sostegno vi è, come detto, la carenza di risorse economiche, non si vede questo in cosa possa mutare la natura del potere esercitabile dell’Amministrazione scolastica, che è sempre e comunque espressione di autonoma volontà decisionale in quanto, stante l’esistenza della possibilità della assegnazione in deroga (secondo il fondamentale dictat della Corte Costituzionale n. 80/2010) ben potrebbe attribuire il corretto numero di ore dall’inizio, prescindendo dall’organico di fatto, risolvendosi la questione a valle (come effetto, questo sì, meramente materiale) nel reperimento in concreto degli insegnanti attraverso i canali amministrativi di gestione del personale da parte degli Uffici scolastici regionali, così come avviene, anche se non sempre, una volta che il disabile abbia ricevuto la pronuncia favorevole del giudice (amministrativo o ordinario)”.


LA GIURISPRUDENZA CIVILE (NEL MERITO)

Secondo le sentenze delle Sezioni unite 11/11/2008 n. 26972, 26973, 26974 e 26975, a differenza dell’atipicità del danno ingiusto patrimoniale, il pregiudizio insuscettibile di valutazione economica – da intendere sempre come danno-conseguenza – è “tipico”, perché tre sono i casi in cui è riconosciuto dall'ordinamento (caso di fatto-reato, ex art. 185 c.p.; caso di riconoscimento espresso da parte del legislatore, es. illecito trattamento di dati personali, lesione delle norme sulla discriminazione razziale; caso di lesione di diritti inviolabili della persona riconosciuti dalla Costituzione, valori non stabiliti ex ante ma selezionati caso per caso dal giudice, purché la lesione sia grave e il pregiudizio non sia futile).

Il danno non patrimoniale da lesione della salute costituisce una categoria unitaria ed omnicomprensiva, che Individua le ripercussioni negative sul “valore persona” che si siano verificate, sia sotto l’aspetto interiore che dinamico-relazionale. Nella liquidazione il giudice deve tenere conto di tutti i pregiudizi concretamente patiti dalla vittima, ma senza duplicare il risarcimento attraverso l'attribuzione di nomi diversi a pregiudizi identici. In quest’ottica, le SSUU del 2008 hanno che i patemi d’animo e la sofferenza interiore sono normalmente assorbiti in caso di liquidazione del danno biologico. E’ noto che quest’ultimo, ai sensi dell’art. 38 comma 2 lett. a) del D. Lgs. 209/2005 consiste nella “lesione temporanea o permanente all'integrità psico-fisica della persona, suscettibile di accertamento medico-legale, che esplica un'incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla sua capacità di produrre reddito”.

Anche la Corte di Giustizia (23/1/2014 causa C-371/2012), pronunciandosi positivamente sulla compatibilità dell’art. 139 del Codice delle assicurazioni private con il diritto comunitario ha affermato che il danno alla persona comprende ogni danno arrecato alla sua integrità, con sofferenze fisiche e psicologiche. 


In seguito i giudici di merito hanno sottolineato che danno biologico, morale, esistenziale integrano pregiudizi non patrimoniali ontologicamente differenti e divengono risarcibili in una visione complessiva della persona, per non incorrere in vuoti risarcitori, attraverso un accertamento in concreto delle voci rinvenibili (rifuggendo dunque dagli automatismi). 

La Corte di Cassazione, sez. III civile – 4/2/2020 n. 2461 ha da ultimo aderito alla tesi della natura unitaria ed onnicomprensiva del danno non patrimoniale, secondo l'insegnamento della Corte costituzionale (n. 233/2003) e delle Sezioni Unite della Suprema Corte, che deve essere interpretata, sul piano delle categorie giuridiche (rispettivamente nel senso:

a. di unitarietà rispetto a qualsiasi lesione di un interesse o valore costituzionalmente protetto e non suscettibile di valutazione economica;

b. di onnicomprensività intesa come obbligo, per il giudice di merito, di tener conto, a fini risarcitori, di tutte le conseguenze (modificative in pejus della precedente situazione del danneggiato) derivanti dall'evento di danno, nessuna esclusa, con il concorrente limite di evitare duplicazioni attribuendo nomi diversi a pregiudizi identici, procedendo, a seguito di articolata, compiuta ed esaustiva istruttoria, ad un accertamento concreto e non astratto del danno, all'uopo dando ingresso a tutti i necessari mezzi di prova, ivi compresi il fatto notorio, le massime di esperienza, le presunzioni.


Se il danno non patrimoniale è stato ritenuto dalle sentenze delle SSUU del 2008 “categoria generale non suscettiva di suddivisione in sottocategorie variamente etichettate”, la giurisprudenza successiva (Corte di Cassazione, sez. III – 17/1/2018 n. 901; 27/3/2018 n. 7513) ha evidenziato che non costituisce duplicazione la congiunta attribuzione del “danno biologico” e di una ulteriore somma a titolo di risarcimento dei pregiudizi che non hanno fondamento medico-legale, perché non aventi base organica ed estranei alla determinazione medico-legale del grado di percentuale di invalidità permanente, rappresentati dalla sofferenza interiore (quali, ad esempio, il dolore dell'animo, la vergogna, la disistima di sé, la paura, la disperazione). 

Si è in questo senso valorizzato dell’intervento del legislatore sugli artt. 138 e 139 del Codice delle assicurazioni private (D. Lgs. 7/9/2005 n. 209) modificati dall’art. 1 comma 17 della L. 4/8/2017 n. 124, art. 1. La nuova rubrica (“danno non patrimoniale”, sostituiva della precedente, "danno biologico"), e il suo contenuto consentono di distinguere definitivamente il danno dinamico-relazionale causato dalle lesioni da quello morale: il giudice deve congiuntamente, ma distintamente, valutare la reale fenomenologia della lesione non patrimoniale e, cioè, tanto l'aspetto interiore del danno sofferto (c.d. danno morale, sub specie del dolore, della vergogna, della disistima di sè, della paura, della disperazione), quanto quello dinamico-relazionale (destinato ad incidere in senso peggiorativo su tutte le relazioni di vita esterne del soggetto).

Anche la Corte di Cassazione (sez. III – 31/1/2019 n. 2788) ha ritenuto che le incertezze sul tema del danno alla persona sono fugate ad opera dello stesso legislatore, con la riforma degli artt. 138 e 139 del codice delle assicurazioni. 

L'art. 138, al comma 2, lett. e), recita testualmente: “al fine di considerare la componente del danno morale da lesione dell'integrità fisica, la quota corrispondente al danno biologico è incrementata in via percentuale e progressiva per punto, individuando la percentuale di aumento di tali valori per la personalizzazione progressiva della liquidazione”. Si legge, ancora, al comma 3 della norma citata: “quando la menomazione accertata incida in maniera rilevante su specifici aspetti dinamico-relazionali personali documentati ed obbiettivamente accertati, l'ammontare del risarcimento, calcolato secondo quanto previsto dalla tabella unica nazionale, può essere aumentato dal giudice, con equo e motivato apprezzamento delle condizioni soggettive del danneggiato, fino al 30%”.

Ha affermato la Corte che “Nella valutazione del danno alla persona da lesione della salute (art. 32 Cost.), … il giudice dovrà necessariamente valutare tanto le conseguenze subite dal danneggiato nella sua sfera morale (che si collocano nella dimensione del rapporto del soggetto con sè stesso), quanto quelle incidenti sul piano dinamico-relazionale della sua vita (che si dipanano nell'ambito della relazione del soggetto con la realtà esterna, con tutto ciò che, in altri termini, costituisce "altro da sè")”.

Ai fini della c.d. "personalizzazione" del danno forfettariamente individuato (in termini monetari) attraverso i meccanismi tabellari, la sentenza deve far emergere e valorizzare, dandone espressamente conto in motivazione, specifiche circostanze di fatto, peculiari al caso sottoposto ad esame, che valgano a superare le conseguenze "ordinarie" già previste e compensate dalla liquidazione forfettizzata assicurata dalle previsioni tabellari; da queste ultime distinguendosi siccome legate all'irripetibile singolarità dell'esperienza di vita individuale nella specie considerata, meritevoli in quanto tali di tradursi in una differente (più ricca e, dunque, individualizzata) considerazione in termini monetari, rispetto a quanto suole compiersi in assenza di dette peculiarità.

Ha concluso la Corte che “La liquidazione finalisticamente unitaria di tale danno (non diversamente da quella prevista per il pregiudizio patrimoniale, nella sua duplice e distinta accezione di danno emergente e di lucro cessante) avrà pertanto il significato di attribuire al soggetto una somma di danaro che tenga conto del pregiudizio complessivamente subìto tanto sotto l'aspetto della sofferenza interiore, quanto sotto quello dell'alterazione o modificazione peggiorativa della vita di relazione in ogni sua forma e considerata in ogni suo aspetto, senza ulteriori frammentazioni nominalistiche (Cass., 20/04/2016, n. 7766, Cass., 17/01/2018, n. 901, Cass., 27/03/2018, n. 7513)”.

Sulla stessa linea si è espressa Corte di Cassazione, sez. III civile – 8/7/2020 n. 14246, statuendo che “Il perimetro di valutazione del danno è contenuto tra il divieto di automatismi risarcitori e il divieto di duplicazioni, all'interno si collocano l'integrale riparazione del danno e la esigenza di garantirne la personalizzazione; con quest'ultima si perfeziona il percorso liquidativo, il quale deve garantire e coniugare l'uniformità di base, cioè assicurare che vittime della stessa età e con la stessa percentuale di invalidità permanente ottengano lo stesso risarcimento, con la valorizzazione del vissuto individuale in vista della realizzazione di una eguaglianza che sia anche sostanziale”. 


GLI ORIENTAMENTI DEL GIUDICE AMMINISTRATIVO

L’inosservanza della disciplina in materia di assistenza della persona disabile attesta l’illegittimità dell’agire amministrativo, ma non determina ex se l'obbligo dell'amministrazione di risarcire un danno non effettivamente comprovato. 

Occorre dimostrare tutti i profili dell’integrazione di tutti gli elementi costitutivi del fatto illecito.

Il danno non patrimoniale, deve essere provato con ogni mezzo, e deve essere dimostrato che, in assenza di una completa attività assistenziale, il minore abbia subito deficit cognitivi che ne abbiano pregiudicato il corso di studi ovvero turbamenti dell'animo che abbiano inciso sulla sua qualità di vita.

In linea generale, anche il danno non patrimoniale discendente dalla mancata assegnazione di un numero sufficiente di ore di sostegno, qualificabile quale danno derivante dall'effettiva lesione di specifici beni/valori costituzionalmente garantiti, deve ancora essere dimostrato nella sua consistenza, se del caso attraverso il ricorso a presunzioni. 


IL DIFETTO DEI PRESUPPOSTI

Il giudice amministrativo è chiamato a dare risposte che garantiscano una tutela piena ed effettiva (art. 1 Cpa). Sotto questo profilo, la tempestività delle decisioni giurisdizionali può soddisfare questo canone di civiltà giuridica, consacrato a livello costituzionale. 

In un caso esaminato da T.A.R. Campania Napoli, sez. IV – 22/3/2021 n. 1900, si è osservato che l'istanza cautelare presentata contestualmente al ricorso notificato il 9/10/2020 ha trovato risposta con l'ordinanza interinale del 9/11/2020 con cui è stato esplicitamente ordinato all'Amministrazione di provvedere tempestivamente alla assegnazione al minore del numero di ore di sostegno in deroga. Nel richiamare analoghe fattispecie della Sezione (le più recenti 6/7/2020 n. 2890; 16/10/2020 n. 4550), ha sostenuto che “la tempestiva decisione di questo Tribunale in ordine alla domanda giudiziale nei tempi in cui essa è stata incardinata dalla parte è tale da elidere il danno per il prosieguo dell'anno in corso e ciò è tanto più vero in rapporto all'adozione di misure ai sensi dell'art. 34 comma 1 lett. e) c.p.a.”. In assenza di prova secondo le regole generali, non è stata ritenuta ipotizzabile la sussistenza di alcun danno risarcibile per la porzione di anno scolastico svolta sino ad ora. 

Ad analoga conclusione è pervenuto il T.A.R. Campania Napoli, sez. IV – 19/2/2020 n. 794, che ha puntualizzato come, “Nel caso di specie - in rapporto alla relativa brevità del periodo in cui tali danni si sarebbero potuti generare e in mancanza del P.E.I. o di altra documentazione tecnica (es. perizia) - non è stata raggiunta la prova del nesso causale tra il minor numero di ore assegnate (rispetto al necessario) e uno danno specifico in termini di deficit formativo o su altri piani (es. danno alla salute)”. 

T.A.R. Veneto, sez. I – 2/10/2020 n. 880 ha fatto riferimento ai principi affermati dall’articolata sentenza del Tar Campania, sez. IV, 2/12/2019 n. 5668 (che sarà illustrata più avanti) sul tema del risarcimento dei danni subiti a causa del mancato riconoscimento dell’assegnazione di un insegnante di sostegno, per denegare il risarcimento.

Ha recepito il principio per cui il termine iniziale da tenere in considerazione per la quantificazione dei pregiudizi subiti non coincide con l’inizio dell’anno scolastico, ma con la data di proposizione del ricorso (per evitare la strumentale tardiva proposizione di ricorsi finalizzata ad ottenere dei risarcimenti anziché il sostegno scolastico), e che “il danno dinamico relazionale collegato al tempo sorge quando, in base al ragionamento presuntivo, è possibile attribuire rilevanza ad un periodo di tempo tale da configurare come certo il danno non patrimoniale, fatta salva la prova contraria: in base alla comune esperienza - il primo quadrimestre è la soglia il cui superamento fa nascere il diritto al risarcimento per il mero trascorrere del tempo (posto che la perdita di metà anno reca in sé una pressoché certa compromissione dell'attività didattica)”.

Nel caso esaminato, il ricorso non era stato tempestivamente proposto all’inizio dell’anno scolastico, e fin dall’inizio dell’anno scolastico era stata comunque assicurata la presenza di un’assistente alla comunicazione per 12 ore settimanali. L’amministrazione aveva poi spontaneamente provveduto nel senso richiesto dai ricorrenti riconoscendo 25 ore settimanali nel mese di gennaio in corrispondenza della fine del primo quadrimestre. Peraltro, in ragione della presenza di un altro alunno disabile che beneficiava per 10 ore settimanali di un assistente nella comunicazione, quest’ultimo si alternava con l’assistente assegnato al figlio dei ricorrenti, per cui era stata comunque assicurata di fatto anche nel primo quadrimestre la presenza di un assistente per un copertura complessiva di 22 ore settimanali, comunicando con entrambi gli alunni.


Una pronuncia del giudice di prime cure (T.A.R. Puglia Lecce, sez. II – 26/2/2021 n. 336) ha richiamato un proprio precedente (n. 1536 dell’8 ottobre 2019), in cui il danno era stato liquidato sulla base di una specifica allegazione della parte ricorrente dalla quale emergeva la situazione di “sofferenza scolastica” a causa della mancanza dell’operatore ABA e che ha consentito l’applicazione della regola causale dell’id quod plerumque accidit. Ha sottolineato poi che “tale allegazione manca nella presente causa” e che “inoltre, parte ricorrente ha rinunciato alla trattazione cautelare, in data 21 aprile 2020, proprio perché l’attività didattica era stata sospesa in ragione della pandemia da covid-19” e che “successivamente a tale rinuncia, parte ricorrente si è limitata a depositare istanza di prelievo il 20 novembre 2020, motivandola nel senso che l’attività scolastica era ripresa da un mese, senza che il minore avesse l’assistenza dell’operatore ABA”. Inoltre “a tale ultimo riguardo, è notorio che, già da novembre 2020, la situazione pandemica si è aggravata e le misure restrittive hanno colpito anche l’attività scolastica”. 

Anche T.A.R. Puglia Lecce, sez. II – 31/12/2020 n. 1534 ha rigettato la domanda risarcitoria proposta dai ricorrenti, in quanto l'impugnato diniego recava la data del 12.3.2020, allorquando, a causa della pandemia Covid-19, gli istituti scolastici di ogni ordine e grado erano chiusi. Ne consegue che la mancata frequentazione, da parte del minore, dell'istituto scolastico, è dipesa da circostanze oggettivamente non imputabili al civico ente, che non può dunque essere chiamato a risponderne.

Si può in proposito soltanto sottolineare come gli effetti della pandemia abbiano inciso negativamente, per lunghi tratti temporali, sui bisogni di socialità dei soggetti diversamente abili. 


L’ONERE DELLA PROVA

Talune pronunce hanno valorizzato, per giungere a conclusione negativa, il mancato soddisfacimento dell’onere della prova: anche il danno non patrimoniale deve infatti essere puntualmente allegato e dimostrato nella sua consistenza, se del caso attraverso il ricorso a presunzioni, purché plurime, precise e concordanti.

Il Consiglio di Stato, sez. VI – 28/6/2019 n. 4454 ha richiamato la giurisprudenza civile secondo la quale, laddove si accedesse all'opposta tesi del danno in re ipsa, si finirebbe per snaturare la funzione stessa del risarcimento, il quale non conseguirebbe all'effettivo accertamento di un danno, ma si atteggerebbe alla stregua di vera e propria pena privata per un comportamento illecito (Cass., Sez. Un. Civ., 11 novembre 2008, n. 26972 e n. 26973): il richiedente è tenuto ad allegare e provare in termini reali il pregiudizio subito, anche se collegato a valori riconosciuti a livello costituzionale, e ciò perché la categoria del danno non patrimoniale ex art. 2059 cod. civ., pur nei casi in cui la sua applicazione consegua alla violazione di diritti inviolabili della persona, costituisce pur sempre un'ipotesi di danno-conseguenza e non un mero danno evento, “il cui ristoro è in concreto possibile solo a seguito dell'integrale allegazione e prova in ordine alla sua consistenza (deducibile da specifiche circostanze da cui possa desumersi la violazione di interessi di rilievo costituzionale) ed in ordine alla sua riferibilità eziologica alla condotta del soggetto asseritamente danneggiato (cfr. Cass. Sez. Un. 11 novembre 2008, n. 26792; Cass. Sez. III, 24 settembre 2013, n,, 21865; Cons. Stato, sez. VI, 9 gennaio 2014, n. 34)”. 


Sulla stessa linea si è posto T.A.R. Campania Napoli, sez. VIII – 25/2/2019 n. 10526, che ha rigettato la domanda di risarcimento del danno non patrimoniale asseritamente occorso al minore, “in quanto parte ricorrente si è astenuta dal fornire qualsivoglia profilo di prova in ordine al pregiudizio sofferto dal minore per la mancata tempestiva attivazione delle prestazioni di sostegno a suo favore, mentre la sussistenza di un danno non patrimoniale risarcibile di cui all'art. 2059 c.c. deve essere dimostrata, sempre secondo la S.C., anche quando derivi dalla lesione di diritti inviolabili della persona, dal momento che costituisce "danno conseguenza" e non "danno evento"; né può sostenersi fondatamente che "nel caso di lesione di valori della persona il danno sarebbe in re ipsa, perché la tesi snatura la funzione del risarcimento, che verrebbe concesso non in conseguenza dell'effettivo accertamento di un danno, ma quale pena privata per un comportamento lesivo" (Cass. Civ., SS.UU, sentenza n. 26972 dell'11 novembre 2008)”. 


Anche secondo T.A.R. Umbria – 7/11/2019 n. 573 “il danno non patrimoniale, anche quando discende dalla violazione di diritti fondamentali della persona, non è mai in re ipsa, ma deve essere sempre allegato e provato da chi ne chiede il risarcimento (Cons. Stato, sez. VI, 15 settembre 2015, n. 4286; T.A.R. Puglia, Lecce, sez. II, 11 giugno 2018, n. 989)”. Il T.A.R. ha rigettato la domanda per mancata dimostrazione della circostanza che la disabile, durante il periodo in cui non ha usufruito dell'insegnante di sostegno nella misura dovuta, abbia subito un peggioramento ovvero una regressione ovvero che ci sia stata una incidenza negativa nella sua vita di relazione con gli altri alunni o che, comunque, non sia stato possibile raggiungere gli obiettivi indicati nel P.E.I. Ha specificato che la modalità di liquidazione in via equitativa “comunque sempre subordinata all'impossibilità di determinare, nel suo preciso ammontare, un danno-conseguenza incerto nel quantum ma certo nell'an; un danno-conseguenza, in altri termini, la cui concreta ed effettiva verificazione sia stata, comunque, oggetto di allegazione e di prova (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 15 settembre 2015, n. 4291; Cons. Stato, sez. VI, 22 settembre 2014, n. 4781)" (TAR Veneto, sez. I, 19 ottobre 2018, n. 976)”. 


Considerando che sono pacificamente coinvolti "diritti costituzionali fondamentali", secondo la sentenza del Consiglio di Stato, sez. VI – 14/9/2017 n. 4342, il danno alla vita di relazione (“esistenziale”) è risarcibile quando risulti che la mancata fruizione delle spettanti ore di sostegno abbia comportato regressioni o abbia reso irrealizzabile il "progetto di vita" delineato dal P.E.I. che in materia rileva quale parametro di riferimento. Ha quindi respinto la domanda risarcitoria posto che nella specie non risultava assolto, da parte di chi lo ha preteso, neanche l'onere di deduzione di un principio di prova in ordine al pregiudizio che si assumeva patito dall'alunno minore di età. Ha precisato il giudice d’appello che “Contrariamente a quanto ha ritenuto la sentenza impugnata, in materia non si può elaborare una regola generale su una 'presunzione di danno non patrimoniale', per il solo fatto che non sia stata rispettata la normativa in materia di assegnazione delle ore di sostegno: tale violazione evidenzia che vi è stato sì il fatto costitutivo di un illecito, ma non determina l'obbligo dell'Amministrazione di risarcire un danno che in concreto non si sia verificato (ovvero che non sia stato comprovato)”. Ha anche aggiunto “che gli atti dell'Amministrazione scolastica sono stati emessi nel vigore di una particolarmente complessa normativa, prima della ricognizione dei principi fondanti in materia, effettuata con la sopra citata 'sentenza pilota' n. 2023 del 2017”. 


Al contrario, diverse pronunce hanno riconosciuto la posta risarcitoria, valorizzando ai fini della prova elementi già acquisiti agli atti ovvero fatti notori, suscettibili di soddisfare il meccanismo presuntivo. 

Consiglio di Stato, sez. III – 2/1/2020 n. 1, dopo aver ampiamente riconosciuto le ragioni del ragazzo che aveva atteso un anno e mezzo per frequentare il Centro diurno a tempo pieno (cfr. supra) ha conclusivamente affermato che “Le medesime considerazioni, inducono il Collegio a ritenere fondata la domanda di risarcimento del danno derivato dall'illegittimo diniego, sussistendo i profili di colpa evidenziati nella gestione dei poteri organizzativi per il reperimento delle risorse atte a dare adeguata assistenza al disabile nel periodo ottobre 2017/luglio 2018. … Il danno patrimoniale e non patrimoniale può quantificarsi equitativamente, tenendo anche conto delle considerazioni svolte dall'Azienda e del parziale sostegno corrisposto, nella misura di euro 10.000, oltre interessi legali e rivalutazione a decorrere dalla liquidazione e fino al soddisfo effettivo”.


Il Consiglio di Stato, sez. VI – 24/7/2020 n. 4741 ha riconosciuto 3.000 € in via equitativa. Dopo aver qualificato il diritto all’istruzione del minore disabile come un diritto fondamentale da rispettare con rigore ed effettività, e sottolineato che la mancata fruizione della piena assegnazione delle ore di sostegno si traduce nell’impossibilità di godere del supporto necessario a garantire la soddisfazione piena dei di lui bisogni di sviluppo, istruzione e partecipazione alla vita collettiva, ha ritenuto consequenziale che “la lesione della correlativa situazione soggettiva di vantaggio, di rango costituzionale, dà luogo al diritto al risarcimento del danno esistenziale ex articolo 2059 c.c.”, ricorrendo per la natura dell’interesse leso alla prova per presunzioni e una valutazione di tipo equitativo. Ha in particolare richiamato la relazione del dirigente dell’Istituto scolastico, sulla necessità – per la grave disabilità – di assistenza continua e impossibilità dei docenti di gestirlo nel gruppo classe in assenza del docente di sostegno, e la reiterazione della condotta omissiva. 


Il Consiglio di Stato, sez. V – 27/6/2018 n. 3943 ha ragionato sul pregiudizio non patrimoniale per mancata erogazione del servizio gratuito di trasporto scolastico, “non essendo stati addotti particolari profili di danno alla salute, né essendo stato in alcun modo specificato l’oggetto dell’accertamento che si dovrebbe rimettere al consulente tecnico d’ufficio”. Ha quindi optato per la tecnica di liquidazione equitativa ai sensi degli artt. 1226 e 2059 cod. civ., tenuto conto dei dati di fatto ossia “l’età e la condizione di disabilità del minore, i periodi di disservizio, il disagio dei genitori per assicurare al figlio la frequenza scolastica giornaliera, oltre che il tempo sottratto alle proprie rispettive occupazioni per provvedervi” reputando equa la somma di € 3.000,00 per ciascuno dei genitori e di € 2.000,00 per il minore (per complessivi € 8.000,00, cifra già rivalutata). 


Per la mancata erogazione del servizio di trasporto scolastico a una minore, anche T.A.R. Lazio Roma, sez. II-bis 14/12/2018 n. 12177 ha preso atto della mancata esplicitazione di “particolari profili di danno alla salute”, per cui ha ritenuto di procedere alla liquidazione equitativa in conformità ai criteri seguiti dal Giudice d’Appello (cfr. sentenza 3943/2018 appena citata): “considerata l’età e la condizione di disabilità del minore, i periodi di disservizio, nonché tenuto conto della distanza di soli sei chilometri tra l’abitazione e l’istituto scolastico” ha stimato equa la liquidazione della somma complessiva di € 2.500,00, già rivalutata alla data odierna, oltre interessi legali dalla pubblicazione della presente sentenza al soddisfo.


Richiamando una propria precedente giurisprudenza (cfr. 5740/2018), T.A.R. Lazio Roma, sez. III – 4/3/2019 n. 2855 ha quantificato in via equitativa il danno “in misura pari a euro 800,00 per ogni mese (con riduzione proporzionale per le frazioni di mese) per il quale risulti che, durante l'anno scolastico interessato, e nonostante le pronunce cautelari di questo T.AR., il minore abbia effettivamente sofferto della mancata assistenza nel rapporto richiesto”. Dopo aver sottolineato il rango di diritto fondamentale del diritto all'istruzione del minore portatore di handicap (artt. 7 e 24 della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità) e il carattere assoluto della tutela derivante dagli artt. 34 e 38, commi 3 e 4, Cost., “La mancata attivazione, nel caso di specie, dell'intervento dell'insegnante di sostegno nel rapporto 1:1, sin dall'inizio dell'anno scolastico, deve ritenersi, secondo le massime di esperienza tratte dalla scienza medica, che abbia accresciuto, con ragionevole probabilità, le difficoltà di inserimento e di partecipazione alla vita scolastica e relazionale della minore”.


Va segnalata la pronuncia di T.A.R. Lazio Roma, sez. III-bis – 26/10/2020 n. 10879, nella vicenda in cui i genitori hanno documentato che la sua bambina, con grave ritardo mentale, doveva essere affiancata costantemente dall'insegnante di sostegno (nel rapporto 1/1) (v. certificati neuropsichiatra 2005/2006 e dell’ASL 2008) per consentire l'apprendimento e per evitare l'isolamento. Inoltre ha dovuto sopportare le barriere scolastiche presenti all'ingresso ed all'interno della scuola, dovendo essere trasportata a braccia dal personale didattico o da genitori presenti (comprovato da foto, planimetrie, lettera dei rappresentanti di classe e ctu giudizio civile).

Secondo l'id quod plerumque accidit tali carenze hanno rispettivamente comportato da un lato un ridotto apprendimento, avendo potuto la bimba usufruire di sole 12 ore su 40 dell'insegnante di sostegno ed, dall'altro lato, il patema e la vergogna quotidiana di essere trasportata dall'ingresso all'aula e da questa alla mensa e la frustrazione non avere potuto comunque accedere ad alcune parti della scuola come il teatro, i laboratori informatici, il cortile. 

Per la quantificazione dei suddetti danni il T.A.R. ha fatto ricorso alla liquidazione equitativa.

Il ristoro richiesto per i pregiudizi patiti sin dalla prima elementare (anno scolastico 2005/2006) è stato limitato per la concorrente condotta colposa della vittima ex artt. 1227 c.c. e 30 comma 3 Cpa, “visto che i genitori della minore hanno agito in giudizio solo prima dell'avvio dell'anno scolastico 2008/2009 né avevano prima presentato atti di diffida”.

Il pregiudizio all'apprendimento cagionato dall'Amministrazione scolastica, cessato a seguito dell'ordinanza cautelare del dicembre 2008-gennaio 2009 con il riconoscimento del sostegno per l'intera durata dell'orario scolastico, è stato limitato al periodo settembre 2008 - gennaio 2009 e individuato in € 1.000 all’attualità, “tenuto conto del fatto che comunque la minore beneficiava dell'educatrice per 30 ore e dei costi medi per la famiglia per ovviare alle carenze del servizio della scuola primaria”.

Per quanto attiene al danno cagionato dall’amministrazione comunale per la mancata eliminazione delle esistenti barriere architettoniche cessate definitivamente nel 2010 è stato invece quantificato il pregiudizio all’attualità di €. 5.000, “tenuto conto del tipo di disagio, dell’arco temporale degli stessi e delle derivate preclusioni all’accesso ad alcuni locali della scuola e delle relative attività, fondamentali per formazione e socializzazione dell’allieva”.


T.A.R. Puglia Lecce, sez. II – 8/10/2019 n. 1536, pronunciandosi sull’omessa attivazione dell’assistente ad personam di competenza comunale ha ritenuto di allinearsi al criterio equitativo “enucleato in precedenza da altri TAR per fattispecie similari (TAR Sicilia, Palermo, Sez. I, 14 ottobre 2013 n. 1818; TAR Toscana, Firenze, 18 aprile 2012 n. 746; TAR Sardegna, Cagliari, 17 novembre 2011 n. 1102), che conduce a determinare il ristoro nella somma di €. 1.000,00 … per ogni mese di difetto dell'assistenza specialistica ad personam ... con riferimento all'anno scolastico 2018-2019”.

Il pregiudizio patito dal ragazzo, nei periodi di non attivazione dell'assistenza specialistica spettante, consisteva nella compromissione dell'inserimento scolastico del minore e dell'integrazione dello stesso nell'ambiente educativo. Il T.A.R. ha richiamato i verbali di riunione del Gruppo H, dai quali emergeva come il ragazzo si trovasse “in una situazione di rilevante difficoltà e disagio nel rapportarsi con gli altri soggetti che popolano l'ambiente scolastico, e come solo la presenza di un educatore specialistico ad esso esclusivamente dedicato e specificamente formato nella terapia comportamentale (che il ragazzo già segue nel pomeriggio presso l'Istituto riabilitativo …) avrebbe potuto consentirne la frequenza scolastica in termini di maggior serenità e vivibilità per il minore”. La presenza dell'assistente specializzato ad personam, con la propria costante opera di mediazione tra l'alunno e l'ambiente scolastico, e mediante l'uso di un approccio terapeutico volto alla modifica dei comportamenti disadattivi, fornisce un apporto determinante al raggiungimento degli obiettivi di autonomizzazione, di tipo comportamentale, relazionale e orientativo (identificati nel PAI). Del resto, l'attivazione dell'assistenza specialistica viene individuata quale atto necessario, e come intervento appropriato per il raggiungimento degli obiettivi suddetti, nello stesso PAI per l'anno scolastico 2018-2019 in sede di Diagnosi funzionale del 6/3/2018, oltre che nelle riunioni del gruppo H. Secondo il T.A.R. “Deve dunque ritenersi, sulla base di una logica presuntiva basata sul id quod plerumque accidit, che l'effettiva attivazione dell'assistenza specialistica in ambito scolastico, avrebbe permesso a …. di ambientarsi meglio e prima nell'ambiente scolastico, di individuare più agevolmente un referente di supporto, con il cui aiuto il ragazzo avrebbe conseguito una più efficace e maggiormente tempestiva promozione dei propri bisogni formativi, di cura, comportamentali e relazionali”. 

E’ stato rilevato che la mancata fruizione, da parte di un minore affetto da una grave disabilità, della piena assegnazione delle ore di sostegno riconosciute nel PEI in base alla documentazione sanitaria che lo riguarda, si traduce nell'impossibilità di godere del supporto necessario a garantire la soddisfazione piena dei di lui bisogni di sviluppo, istruzione e partecipazione alla vita collettiva, onde la lesione della correlativa situazione soggettiva di vantaggio, di rango costituzionale, dà luogo al diritto al risarcimento del danno esistenziale ex art. 2059 c.c.. Il Consiglio di Stato, sez. VI – 6/2/2018 n. 759 ha statuito che “già in linea di principio la peculiare natura dell'interesse leso e costituzionalmente garantito, dalla cui lesione deriva un pregiudizio non suscettibile di valutazione economica, per l'accertamento probatorio degli effetti dannosi consente il ricorso alla prova per presunzioni (inferendo, di regola, l'incidenza lesiva di tale illecito sul valore leso in base alla valutazione delle circostanze del caso concreto) e, sul piano della quantificazione del relativo danno, consente altresì il ricorso a valutazioni anche equitative (ex artt. 2056 e 1226 c.c.), che vanno riferite alle circostanze del caso concreto”. 

Siccome l’amministrazione scolastica aveva ridefinire in aumento, cioè come chiesto dai genitori durante il procedimento amministrativo, il monte-ore di sostegno per ciascun alunno interessato, ha riconosciuto il giudice d’appello che “è certo che la parziale carenza del sostegno abbia concretato un pregiudizio da ristorare” e che “rettamente, quindi, il TAR ha inferito dal ripensamento della P.A. e dalla sua rimozione spontanea degli atti impugnati un evento lesivo verso i predetti alunni (metodo dell’inferenza) … condivisibile è pure il metodo usato per calcolarne il risarcimento, in relazione al numero delle ore erroneamente non riconosciute ai quattro alunni per tutti i mesi in cui tal diminuzione s’è verificato (metodo della equità nel caso concreto)”. Ha quindi confermato la condanna delle amministrazioni soccombenti a risarcire il lamentato danno, subito dai quattro alunni coinvolti, per complessivi € 7.327,25. 


Nel solco tracciato dal Consiglio di Stato (cfr. sentenze 2373/2013 e 759/2018), con specifico riferimento al danno subito da un minore disabile grave C.G.A. Sicilia – 24/4/2020 n. 266 ha giustificato, per la peculiare natura dell'interesse leso e costituzionalmente garantito, dalla cui lesione deriva un pregiudizio non suscettibile di valutazione economica, il ricorso alla prova per presunzioni a valutazioni anche equitative per il quantum, riferite alle circostanze del caso concreto. In particolare, “trattandosi di un pregiudizio relativo ad un bene immateriale, la prova per presunzioni è non solo ammissibile, ma è, invero, la prova principale”. Il pregiudizio è stato riconosciuto nella somma di € 2.000, per la mancata continuativa erogazione delle 24 ore settimanali ritenute adeguate del servizio di assistenza all’autonomia e alla comunicazione per l’anno scolastico 2018/2019, in violazione del giudicato. 

La pronuncia ha argomentato sulle presunzioni gravi, precise e concordanti riguardo al danno subito e al nesso causale con la condotta omissiva del Comune: si tratta della condizione, documentata, di disabile grave e della circostanza che il minore, in assenza del tempestivo supporto di un assistente dotato di competenze nelle tecniche di comunicazione alternativa, ha posto in essere “atteggiamenti aggressivi”, “di comportamenti problematici e di ripercussioni in ambito scolastico”, verbalizzati dal GLHO. Secondo il C.G.A. “Applicando il criterio c.d. del “più probabile che non” può, infatti, concludersi che, ove al minore fosse stato tempestivamente assegnato il servizio assistenziale ritenuto necessario dai competenti organi collegiali, lo stesso avrebbero potuto godere del supporto necessario a garantirgli il pieno inserimento nel contesto scolastico e sociale di riferimento, e ad evitargli quella spiacevole mortificazione connessa all’impossibilità di relazionarsi nel miglior modo possibile con l’esterno. La tempestiva erogazione di un numero adeguato di ore di assistenza avrebbe, dunque, costituito certamente una strategia atta a migliorare le possibilità di apprendimento e di socializzazione del minore, di evitare taluni “comportamenti-problema” e di garantire la dignità del minore”.


T.A.R. Campania Napoli, sez. IV – 2/12/2019 n. 5668 ha sottolineato che non esiste nell’ordinamento una gerarchia delle fonti di prova, che sono tutte liberamente apprezzabili dal giudice. Dunque, nelle vicende come quelle esaminate, affiora l’importanza della prova presuntiva, della comune esperienza, del fatto notorio (art. 2727 c.c., che consente valorizzare gli elementi del fatto quale fonte di presunzione), oltre alle perizie di parte e alle CTU. 

Ha puntualizzato, in linea con le recenti posizioni della Corte di Cassazione, che il danno non patrimoniale si divide ontologicamente in:

- danno da relazione (perdita di didattica e integrazione), per cui la mancata copertura delle ore di sostegno determina un vulnus nel percorso scolastico, con compromissione di apprendimento e inclusione e quindi di crescita umana e culturale; secondo l’esperienza comune, però, per configurare un pregiudizio occorre che il deficit orario si protragga per un periodo congruo, identificabile nel quadrimestre; Il fattore temporale si rivela decisivo, e la tempestiva proposizione del ricorso assistito da istanza cautelare può garantire il bene della vita (grazie alla sollecitudine della risposta giurisdizionale), mentre un’azione promossa con ritardo (che sia accompagnata dall’istanza risarcitoria) può ricadere nella previsione dell’art. 1227 c.c. (concorso del fatto del fatto colposo del creditore) secondo i canoni di correttezza, buona fede e solidarietà;

- danno da sofferenza come conseguenza della privazione, ossia patema d’animo, umiliazione, perdita di fiducia per non aver compensato le proprie difficoltà con la mediazione dell’assistente (nel caso incidono l’età e la consapevolezza, e dunque anche un singolo episodio può ritenersi sufficiente).

Naturalmente nella valutazione incidono il tipo di invalidità e l’età del soggetto fragile. 

Sul quantum del risarcimento, il T.A.R. ha aderito alle regole civilistiche, ove si assiste a una ripartizione tra danno non patrimoniale ordinario (compensato dalla liquidazione standardizzata adeguata al caso, grazie al sistema della tabella unica nazionale) e incremento personalizzato. 

Assumendo che l’equità va intesa come adeguatezza e proporzione ma non può sconfinare nell’arbitrio, ha elaborato criteri oggettivi idonei a supportare la decisione del giudice. 

Ha quindi proposto un sistema flessibile, argomentando dal punto per grado di invalidità. 

In caso di mancata assegnazione di insegnante di sostegno, come già visto, si assiste a un pregiudizio dinamico-relazionale, incrementato percentualmente per la sofferenza morale (interiore) subita.

Per il primo aspetto è stata elaborata una scala da 1 a 5 di “sofferenza” relazionale (da un livello “bassissimo” a un livello “molto alto”). Il punto scala è stato parametrato all’indennità ex L. 289/90 (indennità mensile di sostegno alle famiglie bisognose) di ammontare pari a 285,66 € secondo i dati INPS 2019, arrotondato ragionevolmente a 300 €. 

Il punto scala viene moltiplicato per un valore compreso tra 1 e 5 (e dunque l’importo può oscillare da 300 a 1.500 €), mentre la sofferenza individuale impatta in un range compreso tra il 10% e il 50% del danno relazionale, da determinare secondo parametri definiti ossia tempo della privazione, reiterazione o recidiva nella mancata assegnazione, tipologia di disabilità, grado di scuola e tempo trascorso in classe, contesto familiare di riferimento.

Nel caso esaminato, per una bambina di 4 anni frequentante la scuola dell’infanzia, privata dell’insegnamento per un anno, si è individuato il livello 4 con successivo adeguamento del 10% (per un totale liquidato di 1.320 €). 


In conclusione, la riparazione pecuniaria del danno non patrimoniale rappresenta l’extrema ratio, ed è apprezzabile lo sforzo del giudice amministrativo di dare un riconoscimento, seppur variamente determinato nel quantum, che attesta l’avvenuta inaccettabile lesione di un diritto fondamentale. Anche se compensare ciò che non è compensabile non permette di conseguire l’autentico bene della vita, che consiste nel disporre del sostegno dovuto e universalmente riconosciuto.


* Relazione tratta dall'intervento nel Corso di formazione per Magistrati amministrativi su "Diritti fondamentali e giudice amministrativo" del 16 aprile 2021, tenuto tramite utilizzo della piattaforma Microsoft Teams.

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