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Diritto al rispetto della vita privata, ingerenza dei poteri pubblici e protezione della salute umana

dalla Redazione ("pillole" di diritto europeo) • 6 dicembre 2024

Cedu 1^, 16.5.24, ric. 15076/71 / Cedu 1^, 23.5.24, ric. 2507/19/ Cedu, Grande camera, 9.4.24, ric. 53600/20/  Corte giust. Ue, Grande sezione, 25.6.24, causa C-626/22 


Un cittadino ungherese era stato condannato per diffamazione per avere duramente criticato su Facebook la vendita di un edificio decisa da un Comune a un prezzo ritenuto eccessivo.

Investita della questione, la Corte europea dei diritti dell'uomo ha evidenziato che, nel caso di limiti al diritto alla libertà di espressione, necessari per tutelare il diritto alla reputazione, va effettuata una diversa valutazione a seconda dei casi in cui sia lesa la reputazione della persona fisica rispetto a quella giuridica.

La Corte ha statuito altresì che, salvo in casi limitati, l'azione di un ente comunale, che esercita un potere pubblico, avviata in sede giudiziaria nei confronti di un cittadino che manifesta il diritto alla libertà di espressione può costituire una restrizione incompatibile con i diritti convenzionali, tenendo conto che non persegue un fine legittimo.


La Corte europea dei diritti dell'uomo ha stabilito che la mancata possibilità, per un individuo non indagato e non imputato, sottoposto a intercettazioni telefoniche in un procedimento penale in cui non è coinvolto, di agire in sede giurisdizionale e far verificare la legittimità del provvedimento costituisce una violazione dell'art. 8 della Convenzione europea, che assicura il diritto al rispetto della vita privata.

Invero, un sistema che non prevede per i soggetti non coinvolti nel procedimento penale una notificazione del deposito delle registrazioni è incompatibile con la Convenzione poiché non è sufficiente consentire che la persona non direttamente coinvolta nel procedimento possa chiedere a un tribunale di distruggere i dati se non necessari per il proseguimento del procedimento. È richiesto, infatti, ai fini della conformità alla Convenzione, che il giudice sia tenuto a controllare la legittimità e la necessità della decisione con la quale è ordinata l'intercettazione.

Secondo la Corte di Strasburgo l’Italia non aveva, al momento della pronuncia, un quadro legislativo adeguato ai diritti convenzionali verso individui intercettati a loro insaputa senza peraltro essere indagati o imputati, con la conseguenza che sarebbe stato necessario prevedere il diritto di accesso agli atti e un controllo giurisdizionale sui provvedimenti di intercettazione che colpiscono le persone che non sono parti dei procedimenti penali.


A giudizio della Corte europea dei diritti dell'Uomo la mancata adozione di misure idonee a impedire il surriscaldamento globale e gli effetti negativi dei cambiamenti climatici costituisce una violazione dell'art. 8 della Convenzione, in quanto compromette il benessere degli individui.

Sotto altro profilo, è stato accertato il diritto ad agire dinanzi alla Corte di un'associazione ambientalista che dimostri, con specifico riguardo ai cambiamenti climatici, di agire per conto dei suoi membri, poiché il criterio dello status di vittima non deve essere applicato in modo rigido, meccanico e inflessibile, ma considerato in modo evolutivo, alla luce delle condizioni della società contemporanea.

In definitiva, sulla base della relazione causale tra le azioni e/o le omissioni dello Stato sul cambiamento climatico e i danni, o il rischio di danni, che colpiscono gli individui, la Corte ha accertato la violazione dell'art. 8 sul rispetto della vita privata, che comprende il diritto degli individui a una protezione efficace da parte delle autorità statali dai gravi effetti negativi del cambiamento climatico sulla loro vita, salute, benessere e qualità della vita, nonché dell'art. 6, a causa dell'impossibilità concreta di accedere ai tribunali nazionali.


Il Tribunale di Milano ha chiesto alla Corte di giustizia se la normativa italiana e le norme derogatorie speciali applicabili all’acciaieria Ilva, al fine di garantirne la continuità, siano in contrasto con la direttiva "emissioni". In contrario avviso, il Governo italiano ha fatto rilevare che tale direttiva non conterrebbe alcun riferimento alla valutazione del danno sanitario. 

La Corte Ue ha tuttavia bocciato tale ultima lettura affermando che la nozione di «inquinamento» ai sensi della direttiva “emissioni” include sia i danni all’ambiente sia quelli alla salute umana. Pertanto, la valutazione dell’impatto dell’attività di un’installazione come l’acciaieria Ilva su tali due aspetti deve costituire atto interno ai procedimenti di rilascio e riesame dell’autorizzazione all’esercizio.

Peraltro, contrariamente a quanto sostenuto dall’Ilva e dal Governo italiano, il procedimento di riesame non può limitarsi a fissare valori limite per le sostanze inquinanti la cui emissione era prevedibile, in quanto occorre tener conto anche delle emissioni effettivamente generate dall’installazione nel corso del suo esercizio e relative ad altre sostanze inquinanti.

In caso di violazione delle condizioni di autorizzazione all’esercizio dell’installazione, il gestore deve adottare immediatamente le misure necessarie per garantire il ripristino della conformità della sua installazione a tali condizioni nel più breve tempo possibile. In caso di pericoli gravi e rilevanti per l’integrità dell’ambiente e della salute umana, il termine per applicare le misure di protezione previste dall’autorizzazione all’esercizio non può essere prorogato ripetutamente e l’esercizio dell’installazione deve essere sospeso.

In definitiva, secondo la Corte di Giustizia dell'Unione Europea, sussiste uno stretto collegamento tra protezione dell’ambiente e protezione della salute umana, che costituiscono obiettivi chiave del diritto UE, garantiti nella Carta dei diritti fondamentali UE: la direttiva “emissioni” contribuisce al conseguimento di tali obiettivi e alla salvaguardia del diritto di vivere in un ambiente atto a garantire la salute e il benessere.




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