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Diritto alla salute e obblighi del Servizio sanitario pubblico

17 febbraio 2023

Tribunale ordinario di Milano, ordinanza n. 8894/2022 del 07/04/2022 (RG n. 1855/2022)


IL CASO E LA DECISIONE

I genitori di un bambino di sette anni hanno chiesto in via di urgenza l’accertamento del diritto del figlio a ricevere una specifica prestazione dal sistema sanitario pubblico, in ragione del disturbo generalizzato dello sviluppo da cui è stata ritenuto affetto il minore, a seguito di certificazione stilata dall’Azienda sanitaria competente.

In particolare, tale disturbo, secondo i ricorrenti, sarebbe stato fronteggiabile soltanto con l’erogazione del trattamento riabilitativo cognitivo comportamentale mediante metodologia ABA, secondo un orario intensivo di 30 ore settimanali, oltre due ore per la supervisione e due ore per la logopedia.

Invero, la neuropsichiatra infantile che si è occupata del caso, ha accertato un quadro compatibile con la diagnosi di autismo infantile ed ha consigliato il trattamento educativo strutturato di tipo ABA.

Tale trattamento (analisi comportamentale applicata - Applied Behaviour Analysis) è stato preliminarmente ritenuto dal Giudice adito conforme alla previsione di cui all’art. 1, comma 7, del d. lgs. n. 502/1992, in quanto si tratta di prestazione sanitaria per la quale sussistono evidenze scientifiche di un significativo beneficio in termini di salute.

Al riguardo, occorre ricordare che l’art. 2 della legge n. 134/2015 (“Disposizioni in materia di diagnosi, cura e abilitazione delle persone con disturbi dello spettro autistico e di assistenza alle famiglie”) ha previsto un particolare strumento di cura della disabilità in questione, ossia le Linee guida sul trattamento dei disturbi dello spettro autistico, che l’Istituto superiore di sanità ha provveduto ad aggiornare nell’ottobre 2015.

In relazione all’efficacia dei programmi intensivi comportamentali, le linee guida si diffondono nell’analizzare le prove scientifiche raggiunte, secondo diverse metodologie di revisioni, “inclusive” o “restrittive”, rispetto alle quali si può affermare, in sintesi, che nel primo caso (revisioni inclusive) sono state fornite prove coerenti nel sostenere l’efficacia del modello dell’analisi comportamentale applicata su tutte le misure di esito valutate, quali QI, linguaggio e comportamenti adattativi, se paragonati ad un gruppo eterogeneo di interventi non altrettanto strutturati, come ad esempio il trattamento standard e la combinazione di interventi educativi terapeutici senza strutturazione, o lo stesso ABA ma ad intensità ridotta o con distinte modalità di erogazione.

In altri termini, il Tribunale ha rilevato che le prove a disposizione, anche se non definitive, consentono di consigliare l’utilizzo del metodo ABA nel trattamento dei bambini con disturbi dello spettro autistico.

D’altra parte, Il legislatore statale ha provveduto con D.P.C.M. del 12 gennaio 2017 a rideterminare i principi fondamentali della materia, aggiornando i c.d. Livelli Essenziali di Assistenza (c.d. LEA), e così individuando le forme di assistenza programmata a domicilio, gli interventi sanitari e sociosanitari rivolti ai pazienti in fase terminale e, infine, gli interventi ospedalieri a domicilio. L’assistenza sociosanitaria ai minori con disturbi in ambito neuropsichiatrico e del neurosviluppo è disciplinata dall’articolo 25 e dall’art. 60 di questo decreto.

In particolar modo il predetto art. 60 garantisce “alle persone con disturbi dello spettro autistico, le prestazioni della diagnosi precoce, della cura e del trattamento individualizzato, mediante l’impiego di metodi e strumenti basati sulle più avanzate evidenze scientifiche”.

Posto dunque che in termini di cura tale metodo è l’optimum, e che l’ordinamento giuridico vigente, secondo il Giudice adito, non consente l’esercizio di alcuna discrezionalità in capo alle strutture pubbliche onerate di erogare il trattamento (con conseguente natura di diritto soggettivo perfetto anche del diritto al rimborso di spese affrontate privatamente), il Tribunale ha proceduto a valutare, con riferimento al caso di specie, l’intensità e la durata del trattamento da eseguire e di cui si chiedeva il riconoscimento, in forma diretta o indiretta, da parte del Servizio sanitario nazionale. 

Anche sotto questo profilo sono giunte in soccorso le citate Linee Guida, le quali sottolineano in più punti l’esigenza di assicurare un trattamento il più possibile intensivo, strutturato, continuativo e individualizzato.

Esse precisano altresì che incidono sull’efficacia del metodo rispetto al trattamento tradizionale alcune variabili legate al singolo soggetto che riceve l’intervento, quanto all’età o alle abilità intellettive dello stesso, anche se non vi sono ancora dati sufficienti per stabilire in misura precisa l’effetto di tali variabili sull’efficacia dell’intervento.

Occorre inoltre tenere in debito conto che gli studi avrebbero dimostrato che l’efficacia dell’intervento precoce ed intensivo è più accentuata con riferimento ai bambini in età prescolare e che all'aumentare dell’intensità oltre le 25 ore a settimana non corrisponde un proporzionale miglioramento dei risultati.

Il Tribunale ha dunque ritenuto di non doversi discostare, quanto al caso esaminato, dall’indicazione di trenta ore proveniente dal medico e supervisore che ha seguito negli anni il minore, così accertando il diritto dell’interessato a ricevere a carico del sistema sanitario nazionale l’erogazione del trattamento riabilitativo cognitivo comportamentale mediante la metodologia c.d. ABA secondo un orario intensivo di 30 ore a settimana per 24 mesi, condannando contestualmente l’Azienda sanitaria competente a prendere in carico direttamente il minore stesso o comunque a sostenere le spese relative alle cure ricevute da terzi, per un trattamento pari a quello ritenuto necessario.

Quanto infine al periculum in mora allegato, la cui sussistenza è necessaria per ottenere la tutela cautelare richiesta, il Giudice adito ha evidenziato che, in assenza di una specifica contestazione circa i rilevanti costi annui del trattamento terapeutico ABA, e considerato nel caso di specie il modesto reddito familiare, vi era il concreto rischio che la famiglia interessata non sarebbe stata in grado di sostenere a lungo i costi, quantomeno per il numero di ore settimanali prescritte, con una verosimile perdita di efficacia del trattamento.


IL DIRITTO ACCERTATO. PROFILI DI GIURISDIZIONE

La tutela della salute, ai sensi dell’art. 117 Cost. rientra nelle materie di competenza legislativa concorrente.

Spetta dunque alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato.

Il d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502 dispone che la tutela della salute come diritto fondamentale dell’individuo ed interesse della collettività è garantita, nel rispetto della dignità e della libertà della persona umana, attraverso il Servizio sanitario nazionale, quale complesso delle funzioni e delle attività assistenziali dei Servizi sanitari regionali e delle altre funzioni e attività svolte dagli enti ed istituzioni di rilievo nazionale

Il Servizio sanitario nazionale assicura, attraverso specifiche risorse finanziarie pubbliche e in coerenza con i principi e gli obiettivi indicati dagli articoli 1 e 2 della legge 23 dicembre 1978, n. 833, i livelli essenziali e uniformi di assistenza definiti dal Piano sanitario nazionale nel rispetto dei principi della dignità della persona umana, del bisogno di salute, dell’equità nell’accesso all’assistenza, della qualità delle cure e della loro appropriatezza riguardo alle specifiche esigenze, nonché dell’economicità nell’impiego delle risorse. 

L’individuazione dei predetti livelli essenziali e uniformi di assistenza assicurati dal Servizio sanitario nazionale, per il periodo di validità del Piano sanitario nazionale, è effettuata contestualmente all’individuazione delle risorse finanziarie destinate al Servizio sanitario nazionale, nel rispetto delle compatibilità finanziarie definite per l’intero sistema di finanza pubblica nel Documento di programmazione economico finanziaria. Le prestazioni sanitarie comprese nei livelli essenziali di assistenza sono garantite dal Servizio sanitario nazionale a titolo gratuito o con partecipazione alla spesa.

Sono posti a carico del Servizio sanitario le tipologie di assistenza, i servizi e le prestazioni sanitarie che presentano, per specifiche condizioni cliniche o di rischio, evidenze scientifiche di un significativo beneficio in termini di salute, a livello individuale o collettivo, a fronte delle risorse impiegate, mentre sono esclusi dai livelli di assistenza erogati a carico del Servizio sanitario nazionale le tipologie di assistenza, i servizi e le prestazioni sanitarie che, in presenza di altre forme di assistenza volte a soddisfare le medesime esigenze, non soddisfano il principio dell’economicità nell’impiego delle risorse, ovvero non garantiscono un uso efficiente delle risorse quanto a modalità di organizzazione ed erogazione dell’assistenza. A sua volta, l’art. 26 della legge 833/1978 (“Prestazioni di riabilitazione”) dispone che le prestazioni sanitarie dirette al recupero funzionale e sociale dei soggetti affetti da minorazioni fisiche, psichiche o sensoriali, dipendenti da qualunque causa, sono erogate dalle unità sanitarie locali (oggi Aziende sanitarie) attraverso i propri servizi, ovvero, qualora tali unità non siano in grado di fornire il servizio direttamente, attraverso convenzioni con istituti esistenti nella regione in cui abita l’utente o anche in altre regioni.

Sulla base di questo coacervo di norme, è consolidata affermazione giurisprudenziale, seguita nel caso in esame anche dal Tribunale di Milano, quella secondo cui la dimensione primaria e costituzionalmente garantita del diritto alla salute non possa essere sacrificata o compromessa dalla discrezionalità amministrativa, dovendosi escludere la configurabilità di atti amministrativi (comunque eventualmente disapplicabili, ai sensi della L. 20 marzo 1865, n. 2248, art. 5, all. E) che condizionino in tal senso il diritto all’assistenza.

Invero, la salute è un bene costituzionalmente protetto, da cui consegue che, in presenza della gravità delle condizioni di salute in cui si trovi a versare il cittadino e dell’impossibilità di ottenere dalle strutture pubbliche prestazioni adeguate, la pretesa del soggetto al riconoscimento ed al rimborso delle spese sostenute per suo conto ha consistenza di diritto soggettivo perfetto.

Conseguentemente, ove un atto amministrativo non preveda od escluda il rimborso di dette spese per alcune patologie o lo sottoponga all’osservanza di condizioni burocratiche incompatibili con “l’estrema gravità delle condizioni di salute” in cui il cittadino dovesse versare, l’atto amministrativo medesimo deve essere disapplicato, in quanto in contrasto con norme di rango costituzionale e legislativo. 

In particolare, la Corte di Cassazione, allargando il campo di immediata operatività del principio della tutela alla salute, ha confermato che il diritto dei cittadini all’assistenza sanitaria trova il suo fondamento nell’art. 32, comma 1 della Costituzione e ha esplicitamente enunciato che il diritto primario alla salute, quale “fondamentale diritto dell’individuo”, rientra fra quelli inviolabili della persona.

L’asserzione ha avuto fino ad oggi un riflesso diretto non solo sui diritti accertabili (e sull’ampiezza di essi), nei casi di volta in volta esaminati, ma anche sull'individuazione del Giudice che li deve accertare.

Nella particolare ipotesi del riconoscimento del diritto del minore affetto da disturbo dello spettro autistico ad essere curato con trattamento educativo strutturato di tipo ABA (analisi comportamentale applicata), la giurisprudenza maggioritaria era nel senso che la giurisdizione appartenesse al Giudice ordinario.

In particolare, trattandosi di erogazione di prestazioni sanitarie ascrivibili ai LEA, e pur riconoscendosi che le stesse presuppongano anche scelte organizzative dell’amministrazione a monte, era stata valorizzata la natura meramente scientifica dei criteri che presiedono alla valutazione finale e precisato che la prestazione sanitaria disegnata dalla legge come incomprimibile è tale da offrire anche soltanto l'opportunità di migliorare le condizioni di integrità psico-fisica, e quindi delle condizioni di vita, della persona bisognosa di cura, o di allontanarne l'aggravamento clinico o diminuirne l'indice di aggravamento, racchiudendo in sé la pretesa alla più adatta terapia.

In altri termini, secondo l’orientamento prevalente, anche nel caso di predisposizione regionale, in attuazione della normativa in materia di disturbi dello spettro autistico, di un complesso sistema tecnico - amministrativo volto alla presa in carico e cura dei pazienti che presentano questa tipologia di disturbi, la valutazione del singolo caso avviene secondo parametri di tipo puramente tecnico-scientifico, per individuare per ciascun paziente il percorso sanitario più opportuno, di modo che, pur non essendo in discussione che il Giudice Amministrativo, in ambito di giurisdizione esclusiva, possa essere competente anche per materie afferenti i diritti fondamentali - restando imprescindibile, a tal fine, che la pretesa azionata sia contrassegnata da un sindacato sull’esercizio del potere autoritativo -, tale potere autoritativo in questi casi non era riscontrabile.

D’altra parte, sempre secondo questo orientamento, pur non derivando, dalle linee guida statali, un automatico diritto all’erogazione di una determinata terapia, quanto piuttosto la pretesa a che il paziente sia inserito nell’apposito percorso socio-sanitario per essere al meglio diagnosticato e quindi curato secondo le più opportune terapie, salva la possibile parità di efficacia di diverse alternative terapeutiche, la scelta finale della terapia nei confronti del singolo paziente implica l’attivazione delle strutture sanitarie secondo schemi di mera valutazione tecnico-scientifica del caso specifico, essendo il diritto alla miglior prestazione in materia conformato dalla legge e il percorso socio-sanitario eventualmente delineato dalla normativa regionale.

In contrario avviso, altra giurisprudenza di merito ha richiamato, per applicarli alle ipotesi sopra descritte, i principi espressi dalla Cassazione in materia di diritto all’istruzione, con particolare riferimento all’adozione del piano educativo individualizzato (PEI).

Al riguardo, la Suprema Corte ha precisato che, ai fini del riparto della giurisdizione, occorre innanzitutto verificare se a seguito della redazione conclusiva, da parte dei soggetti pubblici competenti, del piano educativo individualizzato, ci si trovi di fronte ad un diritto già pienamente conformato nella sua articolazione concreta o se vi sia ancora spazio discrezionale per diversamente modulare gli interventi in favore della salvaguardia del diritto all’istruzione stesso, radicandosi la giurisdizione (esclusiva) del Giudice amministrativo nella fase che precede la redazione del piano educativo individualizzato, poiché in tale fase sussiste ancora, in capo all’amministrazione scolastica, il potere discrezionale, espressione di autonomia organizzativa e didattica, di individuazione della misura più adeguata al sostegno, il cui esercizio è, invece, precluso dalla successiva predisposizione dello stesso, che determina il sorgere dell’amministrazione dell’obbligo di garantire il supporto per il numero di ore programmato e il correlato diritto all’istruzione.

Invero, l’ampiezza della latitudine della giurisdizione esclusiva amministrativa in materia di servizi pubblici, segnalata dal carattere generale delle espressioni lessicali utilizzate all’art. 133, comma 1, lett. c), c.p.a., precluderebbe qualsiasi esegesi riduttiva del perimetro della cognizione piena affidata al giudice amministrativa in materia di pubblici servizi, in difetto di qualsivoglia positiva ed esplicita eccezione che la autorizzi, non essendo estranea all’ambito della potestà giurisdizionale amministrativa la cognizione e la tutela dei diritti fondamentali, intendendosi per tali quelli costituzionalmente garantiti, nella misura in cui il loro concreto esercizio implica l’espletamento di poteri pubblicistici, preordinati non solo alla garanzia della loro integrità, ma anche alla conformazione della loro latitudine, in ragione delle contestuali ed equilibrate esigenze di tutela di equivalenti interessi costituzionali.

Nel caso in cui gli interessati chiedano dunque all’Azienda sanitaria competente di fornire (o di rimborsarne le spese) un trattamento sanitario specifico (metodo A.B.A.), asserendo che si tratta di metodo indispensabile per la tutela del primario interesse individuale alla salute del figlio, la scelta di un percorso terapeutico diverso da quello indicato dagli interessati stessi implicherebbe l’esercizio del potere amministrativo da parte della P.A., trattandosi della modalità attraverso cui le articolazioni territoriali della sanità pubblica contemperano i diversi interessi coinvolti (diritto alla salute dell’interessato, organizzazione, spesa, risorse disponibili).

D’altra parte, sono effettivamente variegati – secondo le stesse Linee guida statali - gli interventi attraverso i quali può estrinsecarsi il modello terapeutico messo a disposizione delle persone affette dal disturbo dello spettro autistico.

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno recentemente accolto quest’ultimo diverso orientamento (ordinanza 20/01/2022, n. 1781), precisando che, quando non si verte nell'ipotesi della contestazione dell'esecuzione di un "programma individuale" di intervento terapeutico in favore del soggetto disabile, ma invece in quella della richiesta di ampliamento del programma medesimo con una specifica prestazione (diretta ovvero indennitaria), viene implicata l'attività discrezionale, sia amministrativa che tecnica, della Azienda sanitaria competente, con la consequenziale devoluzione della controversia al Giudice amministrativo in virtù dell’art. 133, comma 1, lett. c), c.p.a., secondo cui "Sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (…) le controversie in materia di pubblici servizi (…) relative a provvedimenti adottati dalla pubblica amministrazione (…)".

Va detto peraltro che tale pronuncia richiama espressamente un altro arresto delle Sezioni Unite (ordinanza 24/09/2020, n. 20164), che però si è espresso su una fattispecie diversa e non perfettamente sovrapponibile.

In particolare, la Corte di Cassazione ha stabilito che il principio individuato con riferimento al riparto di giurisdizione in materia di PEI scolastico deve applicarsi anche nel caso del progetto individualizzato di cui all’art. 14 della L. n. 328 del 2000, relativo al campo della disabilità.

Invero, posto che l’azione promossa per l’attuazione di tale progetto afferisce astrattamente alla materia dei servizi pubblici, in quanto il progetto stesso costituisce servizio alla persona e, pertanto, resta attratto alla giurisdizione del giudice amministrativo in forza della previsione dettata dall'art. 133 c.p.a., comma 1, lett. c), secondo i Giudici di legittimità occorre distinguere tra la mancata (o incompleta) attuazione o esecuzione del documento programmatorio (giurisdizione del GO) e la redazione stessa del progetto individuale o il suo aggiornamento (giurisdizione del GA), sia nel caso in cui non vengano affatto compiuti che nel caso in cui ne vengano contestati gli esiti.

Il tutto in coerenza con quanto affermato dalla giurisprudenza costituzionale in tema di giurisdizione esclusiva del Giudice amministrativo sulla materia dei servizi pubblici, la cui sussistenza è obbligatoriamente riconnessa alla circostanza che la pubblica amministrazione agisca esercitando il suo potere autoritativo, ovvero adottando, nei casi in cui la legge lo consente, strumenti negoziali in sostituzione del potere autoritativo.

Occorrerebbe sempre in definitiva distinguere, secondo questa declinazione di principi, tra la previa individuazione di un percorso socio-sanitario o assistenziale, che deve discrezionalmente tenere conto – nell’erogazione delle prestazioni di cura e di riabilitazione a carico del Servizio sanitario nazionale e dei servizi alla persona - delle risorse disponibili in base ai piani di settore, e la doverosità nell’erogazione di quelle prestazioni e di quei servizi, una volta che il diritto sia stato già pienamente conformato, nella sua articolazione concreta, rispetto alle specifiche necessità della persona beneficiaria.

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