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Diritto di difesa, controversie elettorali e autodichia dei Parlamenti nazionali

Francesco Tallaro • 17 marzo 2021

Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, Grande Camera, caso n. 310/15, sentenza del 10 luglio 2020


Un cittadino belga, responsabile del Partito del Lavoro del Belgio nella provincia di Hainaut, ha partecipato alle elezioni del 25 maggio 2014 per il rinnovo del Parlamento della Vallonia. All’esito della consultazione elettorale, egli è risultato non eletto per soli 14 voti.

Ritenendo che vi fossero state irregolarità nello spoglio, il candidato ha dapprima richiesto invano il riconteggio dei voti, quindi ha proposto un ricorso al Parlamento Vallone. Infatti, l’art. 46 della Costituzione belga prevede che ogni Camera della federazione esamini i titoli dei propri membri e decida le controversie che su di essi possano sorgere; e la legge, più nel dettaglio, assegna alle Camere il contenzioso elettorale.

La controversia è stata dapprima esaminata da una commissione interna alla Camera, la quale, sentito il ricorrente e il suo difensore, ha ritenuto che il ricorso fosse ammissibile e fondato e ha proposto all’Assemblea plenaria di non convalidare i titoli degli eletti nella provincia di Hainaut, ma di disporre il riconteggio delle schede bianche o dichiarate nulle.

La proposta è stata dunque sottoposta al voto dell’Assemblea plenaria, che, con il voto anche dei parlamentari eletti nel collegio oggetto di contesa, non l’ha approvata. Al contrario, sono stati convalidati i titoli di tutti i parlamentari eletti e l’interessato ha visto frustrata la sua aspirazione di sedere in Parlamento.

L’escluso, però, non si è perso d’animo e si è rivolto alla Corte europea dei Diritti dell’Uomo, lamentando di essere stato privato, sul piano sostanziale, del diritto a libere elezioni e, sul piano processuale, del diritto a un rimedio effettivo contro le illegittimità che egli riteneva che fossero state commesse.

Il ricorso è stato trattato dalla Corte nella sua composizione più ampia e più autorevole, la Grande Camera. Ed in effetti, la questione presenta profili piuttosto delicati, in quanto diversi Paesi europei ad antica tradizione democratica prevedono un meccanismo del tutto analogo a quello del Belgio. Si tratta, in particolare, della Danimarca, dell’Islanda, del Lussemburgo, dei Paesi Bassi e della Norvegia.

Come segnalato dal Governo danese, che è intervenuto nel giudizio, un simile sistema, introdotto con l’obiettivo di assicurare l’indipendenza del Parlamento e proteggerlo dalle ingerenze del sovrano, è parte integrante dell’architettura costituzionale, realizza il principio di separazione dei poteri, e si integra nell’antica e solida tradizione democratica dei Paesi che lo adottano.

La Corte ha deciso con sentenza del 10 luglio 2020 [1], adottata all’unanimità. Con essa è stato affermato che la procedura seguita dal Parlamento della Vallonia per decidere il ricorso in materia elettorale non prevede garanzie sufficienti e adeguate per assicurare l’effettivo esame dei motivi di ricorso, violando sia il diritto sostanziale a libere elezioni, sia il diritto a un rimedio effettivo contro le violazioni dei diritti fondamentali.

Più nello specifico, non è stata, in primo luogo, assicurata l’imparzialità dell’organo decisorio, in quanto il ricorso è stato rigettato con una votazione a maggioranza semplice dall’Assemblea parlamentare, della quale facevano parte i controinteressati del ricorrente.

In secondo luogo, la procedura applicata prevede un eccessivo margine di discrezionalità per l’organo decisorio, non sussistendo nessuna indicazione vincolante circa i criteri ai quali attenersi ai fini della decisione.

Infine, non risultano individuate specifiche garanzie procedimentali per chi proponga ricorso in materia elettorale. È vero che il ricorrente ha potuto sostenere le sue ragioni con l’assistenza di un difensore, ma lo ha fatto solo perché tale facoltà gli è stata assicurata con una decisione ad hoc; e, in ogni caso, egli ha potuto perorare la propria causa solo davanti alla Commissione che ha curato l’istruttoria, e non anche d’innanzi all’Assemblea plenaria.

La decisione della Corte di Strasburgo ha destato scarso interesse in Italia [2], ma a nessuno può sfuggire che l’art. 66 della Costituzione italiana prevede, così come l’art. 48 della Carta fondamentale belga, che ciascuna Camera giudica dei titoli di ammissione dei suoi componenti e delle cause sopraggiunte di ineleggibilità e di incompatibilità.

In realtà, esiste una differenza significativa, ben evidenziata nella sentenza della Corte europea, e cioè che a sovrintendere al procedimento elettorale vi sono gli uffici elettorali costituiti presso le Corti d’Appello e la Corte di Cassazione, composti da magistrati, ai quali è affidato il compito di assicurare la regolarità delle operazioni elettorali e una serie di poteri, tra cui quello di risolvere in via amministrativa i ricorsi relativi all’ammissione delle liste, di assegnare i voti contestati, di decidere sui reclami relativi all’assegnazione dei singoli voti.

Nonostante ciò, la decisione definitiva su eventuali controversie spetta comunque alle Camere, con una procedura che prevede una prima fase, caratterizzata da ampie garanzie procedimentali, che viene svolta d’innanzi alla competente Giunta, ma che demanda la decisione conclusiva all’Assemblea, in cui possono ben prevalere, ai fini della decisione, ragioni di carattere politico.

Si profila, dunque, un significativo contrasto sul punto tra la Costituzione e la Convenzione europea per i Diritti dell’Uomo, così come interpretata dalla giurisprudenza della competente Corte.

L’interprete nazionale, ovviamente, è tenuto a dare prevalenza alla norma costituzionale, la cui disapplicazione non è ipotizzabile; la risoluzione dell’antinomia è dunque demandata all’eventuale intervento del legislatore costituzionale o a una sostanziale modifica dei regolamenti parlamentari.

Il giudice nazionale dovrà quindi continuare a ricusare di esaminare ricorsi riguardanti l’esito delle elezioni per la Camera dei Deputati e il Senato della Repubblica.

Ma l’intervento del giudice, quello amministrativo nello specifico, in caso di controversie, è la regola per le altre competizioni elettorali, sicché la pronuncia della Corte europea per i Diritti dell’Uomo ha l’innegabile pregio di sottolineare come il ruolo attribuito al giudice, che assicura un rimedio pieno ed effettivo a fronte di eventuali illegittimità verificatesi, è il cardine del libero esercizio del fondamentale diritto di voto.


[1] Il testo in lingua inglese della sentenza è reperibile al seguente link: https://hudoc.echr.coe.int/fre#{%22itemid%22:[%22001-203885%22]}; il testo in lingua francese della sentenza è reperibile al seguente link: https://hudoc.echr.coe.int/fre#{%22languageisocode%22:[%22FRE%22],%22appno%22:[%22310/15%22],%22documentcollectionid2%22:[%22GRANDCHAMBER%22],%22itemid%22:[%22001-203935%22]}

[2] Si veda Piccirilli, È necessario riformare la giustizia elettorale italiana. Le indicazioni dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, Luiss Open, https://open.luiss.it/2020/07/30/e-necessario-riformare-la-giustizia-elettorale-italiana-le-indicazioni-dalla-corte-europea-dei-diritti-delluomo / .

Un commento in lingua inglese della decisione da parte di dottrina belga Leloup, Mugemangango v. Belgium: finally a Grand Chamber judgment on post-election disputes, Strasbourg Observer, https://strasbourgobservers.com/2020/08/06/mugemangango-v-belgium-finally-a-grand-chamber-judgment-on-post-election-disputes/. Si veda anche Holmøyvik, Strasbourg slams old democracies on elections, VerfBlog, https://verfassungsblog.de/strasbourg-slams-old-democracies-on-elections/.

 


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