QUALORA LA CORTE COSTITUZIONALE FONDI L’IRRILEVANZA DELLA QUESTIONE DI LEGITTIMITA’ COSTITUZIONALE SU UN PROFILO DI RITO DEL GIUDIZIO PRINCIPALE NON ANCORA DELIBATO, NE’ ESPRESSAMENTE AFFRONTATO DAL GIUDICE RIMETTENTE, OCCORRE VERIFICARE SE CIO’ IMPEDISCA AL GIUDICE A QUO DI SOLLEVARE NUOVAMENTE LA QUESTIONE DI LEGITTIMITA’ COSTITUZIONALE, QUALORA QUESTI, DI FRONTE AD UNA DECISIONE DI INAMMISSIBILITA’, CONTINUI TUTTAVIA A DUBITARE DELL’INCOSTITUZIONALITA’ DELLA LEGGE DI CUI DEVE FARE APPLICAZIONE, ADDUCENDO MOTIVAZIONI ATTE A SUPERARE GLI ARGOMENTI FORNITI DALLA CORTE.
TALE EFFETTO PER COSI’ DIRE PRECLUSIVO SI HA SOLTANTO PER LE DECISIONI DI INAMMISSIBILITA’ CHE HANNO NATURA DECISORIA, COME AD ESEMPIO PER QUELLE INCENTRATE SULLA PRECLUSIONE DA GIUDICATO.
TALE EFFETTO NON SI HA INVECE QUANDO LA PRONUNCIA DI INAMMISSIBILITA’ SIA FONDATA SU MOTIVI RIMOVIBILI DAL RIMETTENTE, COME AD ESEMPIO IN CASO DI RILEVATA CARENZA DI MOTIVAZIONE SULLA RILEVANZA O SULLA NON MANIFESTA INFONDATEZZA. (Adunanza Plenaria n. 12).
Giudizio principale e giudizio di costituzionalità, pur avvinti da un rapporto di pregiudizialità, sono distinti nella funzione e nell’oggetto: nel giudizio a quo si fanno valere posizioni soggettive, la cui tutela è dipesa dalla verifica di costituzionalità della legge da applicare; nel giudizio costituzionale l’interesse perseguito dall’ordinamento è quello di ripristinare la legalità costituzionale.
I due giudizi, strutturalmente autonomi, sono coordinati tra di loro attraverso il dispositivo tecnico della «rilevanza», previsto dall’art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (esplicitando quanto contenuto nell’art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1), secondo cui il giudice ha l’obbligo di sollevare questione di costituzionalità «qualora il giudizio non possa essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimità costituzionale». Tale requisito esprime il nesso di necessaria strumentalità e diretta incidenza che deve intercorrere tra la questione di legittimità costituzionale e la risoluzione della causa principale.
Pur essendo il giudice del giudizio principale ‒ nella sua veste istituzionale di ‘intermediario’ tra legge e Costituzione ‒ a dover valutare la rilevanza della questione in relazione ad una norma e la necessità della applicazione per decidere, spetta alla Corte costituzionale non solo stabilire in cosa consista effettivamente la «rilevanza» ma anche presidiare il rispetto delle condizioni di proponibilità delle questioni incidentali.
Proprio in ragione dell’autonomia del giudizio incidentale di costituzionalità rispetto a quello principale, la verifica della Corte su presupposti e condizioni del giudizio a quo (giurisdizione, interesse a ricorrere e altri aspetti comunque concernenti la legittima instaurazione del giudizio) consiste in un sindacato «esterno», esaurendosi nella verifica che gli stessi «non risultino manifestamente e incontrovertibilmente carenti», e fermo restando che la relativa indagine deve arrestarsi laddove il rimettente abbia espressamente motivato sul punto in «maniera non implausibile».
Su queste basi, la decisione processuale di inammissibilità, impiegata dalla Corte per rilevare l’assenza delle condizioni previste dalla legge per la legittima instaurazione del giudizio in via incidentale, non spiega una rilevanza ‘diretta’ sul giudizio principale ‒ come invece la pronuncia di accoglimento o di rigetto, vertente «sulla questione di costituzionalità» ‒ e, pertanto, non preclude al giudice rimettente, che non condivida l’assunto della Corte, di decidere comunque nel merito la causa principale.
Se però sussiste l’effetto preclusivo ad ottenere la pronuncia sulla incostituzionalità di una norma, perché la Corte costituzionale rileva che una determinata questione decisiva per il Giudice
a quo è ormai coperta da giudicato e dunque non può più essere rimessa in discussione, allo stesso Giudice rimettente non rimane altra scelta se non quella di decidere nel merito applicando la norma della cui legittimità costituzionale dubita.