Cedu 5^, 9.11.23, ric. 72173/17/ Corte giust. Ue 1^, 4.7.24, causa C-760/22 / Corte giust. Ue 3^, 5.9.24, causa C-603/22/ Trib. Ue, Grande Sezione, 2.10.24, causa T-797/22
Non confligge con il diritto a un processo equo, sub specie di diritto di accesso al giudice, l’introduzione in via pretoria, da parte del Consiglio di Stato francese, del termine di un anno, in luogo di quello ordinario di due mesi, per l’impugnazione delle decisioni amministrative sprovviste di indicazioni circa i mezzi e i termini di ricorso, per le quali la legge prevede, invece, espressamente l’impugnabilità sine die. Confligge, invece, con tale diritto, nonché con il diritto al rispetto dei propri beni, l’applicazione retroattiva di tale termine ai giudizi in corso introdotti con ricorsi antecedenti al revirement giurisprudenziale che ha introdotto il termine.
L'Autorità giudiziaria bulgara, con il deposito di una richiesta di rinvio a giudizio, ha avviato dinanzi al competente Tribunale penale specializzato un procedimento penale a carico di varie persone accusate di aver fatto parte di un’organizzazione criminale creata a fini di arricchimento e al fine di perpetrare reati tributari.
Uno degli imputati ha partecipato a molte udienze mediante videoconferenza dichiarando che, in mancanza di obiezioni delle altre parti del processo, desiderava partecipare al processo online poiché viveva e lavorava nel Regno Unito; contestualmente, il suo avvocato, che era fisicamente presente in aula di udienza, ha indicato che il suo cliente era a conoscenza di tutti i documenti della causa e che qualsiasi nuovo documento poteva essere trasmesso all'assistito per via elettronica per la tempestiva consultazione.
Analogamente, era stato attestato che le consultazioni tra imputato e avvocato avrebbero potuto essere organizzate in modo riservato mediante una connessione separata.
A seguito di una modifica normativa sopravvenuta nel corso del processo, che ha trasferito la competenza del caso dal Tribunale penale specializzato al Tribunale penale ordinario di primo grado, il nuovo Giudice ha peraltro chiesto pregiudizialmente alla Corte di Giustizia europea se, in assenza di un fondamento giuridico nel diritto nazionale che consentisse espressamente il ricorso alla videoconferenza, il diritto dell’imputato di presenziare al processo, ai sensi dell’articolo 8, [paragrafo] 1, in combinato disposto con i considerando 33 e 44 della direttiva 2016/343, risulti violato, qualora l’imputato stesso partecipi alle udienze relative al procedimento penale, su sua espressa richiesta, tramite una connessione on-line, e sia difeso da un avvocato cui abbia conferito mandato e presente in aula, e laddove la connessione gli consenta di seguire lo svolgimento del procedimento, di indicare mezzi di prova e di prendere conoscenza delle prove, di poter essere sentito senza ostacoli tecnici, e laddove gli sia altresì garantita una comunicazione efficace e riservata con l’avvocato.
La Corte di Giustizia ha premesso che l'art. 8, par. 1, della direttiva 2016/343 dispone che gli Stati membri garantiscono che gli indagati e imputati abbiano il diritto di presenziare al proprio processo, nell'ambito di una disciplina che difende i diritti fondamentali e i principi riconosciuti dalla Carta e dalla CEDU, compresi il diritto a un processo equo, la presunzione di innocenza e i diritti della difesa.
Come risulta dal considerando 33 di detta direttiva, il diritto degli indagati e imputati di presenziare al processo si fonda sul diritto a un equo processo, sancito dall’articolo 6 della CEDU, al quale corrispondono, come precisato nelle spiegazioni relative alla Carta, gli articoli 47, secondo e terzo comma, e 48 di tale Carta. E' d'altra parte necessario che l’interpretazione e l'applicazione di tali ultime norme assicuri un livello di protezione che non conculchi quello garantito dall’articolo 6 della CEDU, come interpretato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. Dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo risulta che la comparizione di un imputato riveste un’importanza fondamentale nell’interesse di un processo penale equo, e, tuttavia, la portata limitata dell’armonizzazione operata dalla direttiva 2016/343 e la circostanza che l’articolo 8, paragrafo 1, della stessa, non disciplina la questione se gli Stati membri possono prevedere che l’imputato possa, su sua espressa richiesta, partecipare alle udienze del suo processo penale mediante videoconferenza, impongono di considerare la soluzione di detta questione come affidata al diritto nazionale.
Ne deriva che, in assenza di una specifica disciplina nella direttiva, l'art. 8 sopra citato non osta a che un imputato possa, su sua espressa richiesta, partecipare alle udienze del proprio processo mediante videoconferenza, dovendo peraltro essere garantito il diritto a un equo processo. Nell'ambito di tale possibilità, in ogni caso, l'imputato ha diritto a comunicare con il proprio avvocato senza che sia messa a repentaglio la confidenzialità delle comunicazioni.
I minori indagati o imputati devono avere la possibilità di essere assistiti da un difensore, se del caso nominato d’ufficio. A tale obbligo deve ottemperarsi in un momento antecedente al primo interrogatorio da parte della polizia o di qualsiasi altra autorità di contrasto o giudiziaria e, al più tardi, nel corso di quest’ultimo. Se compiono 18 anni durante il procedimento, i diritti conferiti ai minori devono perdurare “allorché ciò è appropriato alla luce di tutte le circostanze della fattispecie, compresa la maturità e la vulnerabilità delle persone di cui trattasi”.
I minori devono essere informati dei loro diritti processuali il più rapidamente possibile, al più tardi, prima del primo interrogatorio. Tali informazioni devono essere comunicate in modo semplice e accessibile, adeguato alle loro necessità specifiche. Un documento standard, destinato agli adulti, non soddisfa detti requisiti. Per quanto riguarda le prove incriminanti tratte da dichiarazioni rese in violazione di tali diritti, la normativa UE non impone di prevedere la possibilità per il giudice nazionale di dichiarare inammissibili prove del genere; tuttavia, il giudice deve poter verificare il rispetto di tali diritti e trarre tutte le conseguenze derivanti dalla loro violazione, in particolare relativamente al valore probatorio delle prove in questione.
Alcuni ordini professionali e avvocati belgi hanno sostenuto che il divieto di fornire servizi di consulenza giuridica al Governo russo o a persone giuridiche stabilite in Russia, stabilito dall’articolo 1, punto 12, del regolamento 2022/1904 - che ha a sua volta inserito un nuovo articolo 5 quindecies nel regolamento n. 833/2014 -, violasse l’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, in quanto avrebbe compromesso il diritto di difesa e di agire in giudizio che deve essere garantito a ogni persona fisica e giuridica.
Il Tribunale Ue ha respinto il ricorso affermando una nozione più ristretta del diritto di accesso a un avvocato e di beneficiare della sua consulenza. L’attività di consulenza, in materia non contenziosa, nei casi in cui si sia in un “contesto privo di un collegamento con un procedimento giurisdizionale”, è al di fuori dell’ambito di applicazione del diritto a un ricorso effettivo.
Invero, il diritto fondamentale di avere accesso a un avvocato e di beneficiare della sua consulenza, sancito dall'art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE, che assicura il diritto a un ricorso effettivo, deve essere riconosciuto solo se esiste un collegamento con un procedimento giurisdizionale, indipendentemente dal fatto che tale procedimento sia già stato avviato o che possa essere prevenuto o anticipato, sulla base di elementi tangibili, nella fase di valutazione, da parte dell'avvocato, della situazione giuridica del suo cliente. Pertanto, sono compatibili con la Carta e con le regole sullo Stato di diritto misure proporzionali che vietano servizi di consulenza giuridica nei confronti di determinati enti stabiliti in Russia.