(La Cassazione dirime il conflitto di giurisdizione in materia di obbligo vaccinale degli esercenti le professioni sanitarie)
In attesa che la Corte Costituzionale risolva i dubbi di compatibilità del complessivo sistema impositivo degli obblighi vaccinali con i diritti fondamentali alla salute, all’autodeterminazione in materia sanitaria e al lavoro, dubbi sollevati sia dalla giustizia ordinaria che da quella amministrativa, la Cassazione, con ordinanza n. 28429 del 29 settembre 2022, si è invece pronunciata a sezioni unite sulla questione pregiudiziale della giurisdizione in ordine alla sospensione dall'esercizio della professione sanitaria per mancata ottemperanza all’obbligo vaccinale.
Nella fattispecie esaminata dalla Suprema Corte, era stato sollevato, ai sensi dell’art. 11, comma 3, del codice del processo amministrativo, un conflitto negativo di giurisdizione, da parte del Tribunale amministrativo regionale per le Marche, avverso l’ordinanza del Tribunale di Ancona con la quale il giudice ordinario, adito ex art. 700 c.p.c., aveva dichiarato il proprio difetto di giurisdizione nella controversia promossa da un fisioterapista libero professionista, contro l’Azienda Sanitaria Unica Regionale delle Marche e il proprio Ordine professionale. Tale causa aveva ad oggetto i provvedimenti con cui detto Ordine aveva sospeso il ricorrente dall’esercizio della professione sanitaria per mancata ottemperanza all’obbligo vaccinale introdotto dall’art. 4 del d.l. 1° aprile 2021, n. 44, convertito, con modificazioni, nella legge 28 maggio 2021, n. 76.
Ebbene la Cassazione ha risolto il conflitto di giurisdizione con la declaratoria di giurisdizione del giudice ordinario, posto che verrebbe “in rilievo un diritto soggettivo - ossia continuare ad esercitare la professione sanitaria, nonostante l'inadempimento all'obbligo vaccinale - nei cui confronti la pubblica amministrazione non esercita alcun potere autoritativo correlato all'esercizio di poteri di natura discrezionale, venendo in rilievo esclusivamente limiti e condizioni di previsione legislativa”.
Tale intervento della Corte di Cassazione, oltre a rivestire notevole interesse giuridico, era particolarmente atteso ed auspicato dagli operatori della giustizia, tenuto conto del contrasto che si è creato all’interno della stessa giurisprudenza amministrativa, dove, mentre il Consiglio di Stato ha trattenuto la giurisdizione ravvedendo profili amministrativi e pubblicistici nell’accertamento dell’ottemperanza da parte del sanitario all’obbligo vaccinale, alcuni tribunali amministrativi regionali hanno invece inquadrato la fattispecie nell’ambito del campo giuslavoristico, declinando quindi la giurisdizione in favore del giudice ordinario.
Ma prima di affrontare il cuore della questione occorre illustrare il dato normativo.
L’art. 4 del decreto-legge 1° aprile 2021, n. 44, convertito, con modificazioni, nella legge 28 maggio 2021, n. 76 “al fine di tutelare la salute pubblica e mantenere adeguate condizioni di sicurezza nell’erogazione delle prestazioni di cura e assistenza”, ha imposto agli esercenti le professioni sanitarie che svolgono la loro attività nelle strutture sanitarie, sociosanitarie e socio-assistenziali, pubbliche e private, nelle farmacie, nelle parafarmacie e negli studi professionali, l’obbligo della vaccinazione per la prevenzione dell’infezione da SARS-CoV-2, inizialmente, sino al 31 dicembre 2021. Il termine di efficacia della misura è stato, poi, prorogato più volte, tramite disposizioni novellatrici del citato art. 4; dapprima, di sei mesi a decorrere dal 15 dicembre 2021 e, quindi, sino al 31 dicembre 2022 (in forza dell’art. 8, comma 1, lett. a), del d.l. n. 24 del 2022, convertito, con modificazioni, nella legge n. 52 del 2022).
Lo stesso comma 1 dell’art. 4 dispone che la “vaccinazione costituisce requisito essenziale per l’esercizio della professione”.
L’esenzione dalla vaccinazione obbligatoria o il suo differimento può aversi soltanto “in caso in caso di accertato pericolo per la salute, in relazione a specifiche condizioni cliniche documentate, attestate dal proprio medico curante di medicina generale ovvero dal medico vaccinatore, nel rispetto delle circolari del Ministero della salute in materia di esenzione dalla vaccinazione anti SARS-CoV-2”.
L’art. 4, dal comma 3 al comma 7, ha, quindi, previsto una articolata scansione procedimentale volta a regolare le modalità operative dell’obbligo vaccinale e a verificarne l’adempimento, la quale è stata oggetto di modificazioni ad opera dell’art. 1, comma 1, lett. b, del d.l. n. 172 del 2021, convertito, con modificazioni, nella legge n. 3 del 2022.
In particolare, sono stati rimessi all’Ordine professionale territorialmente competente, i compiti, prima assegnati alle aziende sanitarie locali: di verifica del possesso delle certificazioni verdi COVID-19 (tramite Piattaforma nazionale-DGC); di invito all’interessato a presentare la documentazione attestante l’effettuazione della vaccinazione o la richiesta di vaccinazione ovvero ancora la documentazione attestante le condizioni di esenzione/differimento o l’insussistenza dei presupposti dell’obbligo vaccinale; di accertamento del “mancato adempimento dell’obbligo vaccinale”.
Inoltre, il novellato comma 4 dell’art. 4, proprio nel disporre che “l’atto di accertamento dell’inadempimento dell’obbligo vaccinale è adottato da parte dell’Ordine professionale territorialmente competente, all’esito delle verifiche di cui al comma 3”, ha precisato che tale atto “ha natura dichiarativa e non disciplinare, determina l’immediata sospensione dall’esercizio delle professioni sanitarie ed è annotato nel relativo Albo professionale”.
Ciò posto, nei ricorsi che vengono presentati, gli operatori sanitari in genere chiedono al giudice l’annullamento della disposta sospensione dall’esercizio della professione, dalla quale consegue inevitabilmente la sospensione dallo stipendio e dal lavoro, e contestualmente rivendicano il diritto ad esercitare la loro attività professionale sanitaria anche da non vaccinati, ovvero il diritto alla salute o quello a non subire trattamenti sanitari obbligatori, in genere formulando censure d’incostituzionalità delle norme impositive dell’obbligo vaccinale.
Venendo dunque al tema della giurisdizione, l’art. 7, comma 1, c.p.a. indica, quale criterio di corretta individuazione delle controversie che ricadono nella giurisdizione generale del G.A., l’esercizio o il mancato esercizio del potere amministrativo che si manifesta attraverso provvedimenti, atti o omissioni.
Per una parte della giurisprudenza amministrativa, le cause sopra descritte rientrerebbero nella giurisdizione amministrativa in quanto nella fattispecie l’art. 4 del d.l. n. 44 del 2021 avrebbe attribuito alla pubblica amministrazione un potere volto a tutelare gli interessi pubblici, ossia a garantire, attraverso la vaccinazione obbligatoria, il rispetto del fondamentale interesse pubblico ad evitare la diffusione del virus Sars-CoV-2 o, comunque, il propagarsi della malattia nelle sue forme più gravi e addirittura letali; dunque gli atti di accertamento dell’inadempimento all’obbligo di vaccinazione sarebbero atti autoritativi rispetto ai quali la situazione vantata dal privato non potrebbe che assumere consistenza di interesse legittimo (da ultimo Consiglio di Stato, III sez., 3 ottobre 2022, n. 8434).
Tale orientamento dovrebbe essere rimeditato alla luce della nuova ordinanza della Cassazione, la quale, nella sua funzione regolatrice del riparto di giurisdizione, sembra aver assunto una decisione pienamente condivisibile.
In primo luogo, infatti, come osservato dalla Suprema Corte, la sospensione dal diritto di svolgere prestazioni professionali in ambito sanitario deriva automaticamente, ex lege (secondo quanto previsto dal comma 6 dello stesso art. 4), dall’accertamento, ad opera della ASL (ed ora dell’Ordine professionale), della inosservanza dell’obbligo vaccinale.
Tale accertamento non ha valore provvedimentale, trattandosi della mera verifica della sussistenza o meno di tale “requisito essenziale per l’esercizio della professione”. La ASL o l’Ordine professionale non sono dunque chiamati ad effettuare una ponderazione tra gli interessi in gioco di eminente rilievo costituzionale: interesse alla salute collettiva, da una parte, diritto al lavoro e all’autodeterminazione dall’altra, perché tale comparazione è stata già effettuata a monte dal legislatore con l’introduzione di una fattispecie ex lege d’inidoneità del “lavoratore della sanità” non vaccinato a svolgere la prestazione lavorativa; senza dunque che sia prevista l’intermediazione dell’esercizio di potere da parte di alcuna Pubblica Amministrazione.
Lo schema regolante il rapporto è quindi quello della norma che pone un nuovo presupposto per l’esercizio della professione sanitaria, incidendo direttamente sul diritto soggettivo del professionista o dell’operatore ad espletare le relative mansioni. La norma disciplina dunque direttamente il fatto producendo da sé i conseguenti effetti giuridici secondo lo schema “norma-fatto-effetto”. Con la conseguenza che l’organo amministrativo è chiamato solamente ad accertare il compimento di una fattispecie legale specificamente regolata, ossia che – nei termini stabiliti dalle disposizioni di legge – si sia determinato il “fatto” dell’inadempimento all’obbligo vaccinale e a darne, quindi, attestazione.
Da tale atto, di mera verifica dell’essersi determinato il “fatto” dell’inadempimento all’obbligo imposto dalla legge, discende, in modo automatico, e senza alcun apprezzamento discrezionale di sorta, la sospensione del sanitario dall’esercizio della professione.
Pertanto, se è vero che la disciplina in esame è orientata alla tutela di interessi pubblici di primaria importanza, da ciò non si può desumere che sia stato attribuito alla pubblica amministrazione, per il raggiungimento di tali fini, un potere conformativo della sfera giuridica del privato. L’amministrazione infatti non è chiamata ad esercitare un potere sanzionatorio o disciplinare sull’operatore sanitario che non si è vaccinato, ma solo a “fotografare” un fatto cui la legge connette l’inidoneità temporanea del medesimo operatore sanitario, in quanto lavoratore, sia esso autonomo o subordinato, a svolgere l’attività sanitaria.
Si comprende quindi che, pur avendo l’obbligo vaccinale la sua genesi in una finalità spiccatamente di interesse pubblico, l’intera disciplina approntata dal legislatore con l’art. 4 in esame, rimane racchiusa nell’ambito “privatistico - lavorativo”.
In ogni caso, anche se si volesse inquadrare la disciplina in esame nell’ambito del diritto pubblico, non per questo bisognerebbe necessariamente riconoscere nell’attività svolta dalle ASL o dagli Ordini professionali le caratteristiche del potere in senso proprio e dunque la configurabilità di interessi legittimi; ricorrono infatti nell’ordinamento diversi casi in cui l’attività unilaterale svolta dall’amministrazione, pur essendo disciplinata dal diritto pubblico, non si configura necessariamente come potere amministrativo, come accade nelle vicende relative all’iscrizione ad albi professionali o a registri anagrafici, nelle quali il cittadino è titolare di un diritto soggettivo.
Ne consegue dunque che, rispetto all’atto di accertamento dell’inadempimento all’obbligo vaccinale emesso dall’Azienda sanitaria o dall’Ordine, la situazione giuridica del professionista o dell’operatore non è qualificabile in termini di interesse legittimo, ma di diritto soggettivo.
E d’altra parte, la contestazione dell’accertamento dell’inadempimento, non si risolve nell’impugnativa di un provvedimento o atto amministrativo, ma nella richiesta di verificare l’effettiva situazione di fatto e di diritto sottostante al fine di escludere l’effetto sospensivo ovvero dichiarare l’insussistenza o la non coercibilità dell’obbligo vaccinale.
Ed anche laddove occorra stabilire in giudizio se sussista un’ipotesi di esonero dall’obbligo vaccinale, o di suo differimento per ragioni di salute, non si tratterebbe di sindacare un esercizio del potere autoritativo discrezionale, bensì soltanto di verificare se sussista un caso di “accertato pericolo per la salute, in relazione a specifiche condizioni cliniche documentate, attestate dal proprio medico curante di medicina generale ovvero dal medico vaccinatore”; si tratterebbe quindi di verificare l’esistenza di una certificazione che deve provenire, non direttamente dalla medesima amministrazione agente, ma dal medico di medicina generale o dal medico vaccinatore.
Quindi, anche in tali casi l’attività rimessa all’Amministrazione sanitaria o all’Ordine professionale è una mera attività ricognitiva che non richiede neppure alcuna valutazione o competenza di tipo medico, come peraltro dimostrato dal fatto che l’art. 1, comma 1, lett. b), d.l. 26 novembre 2021, n. 172, nel novellare l’art. 4 del d.l. n. 44 del 2021, ha attribuito quegli stessi compiti di verifica certativa che prima erano assegnati alle ASL, agli Ordini professionali, escludendo qualsiasi ruolo delle amministrazioni sanitarie ai fini dell’accertamento dell’inadempimento che viene ora effettuato dagli Ordini sulla scorta di un mero rilievo documentale, per mezzo di un atto definito esplicitamente avente natura dichiarativa e non disciplinare.
Da tale modifica legislativa si ricava anche l’ulteriore conferma che la suddetta attività non possa configurare un potere amministrativo, il quale per sua natura dovrebbe essere infungibile, ossia riservato in via esclusiva ad un determinato apparato dotato di specifiche competenze, in quanto essa invece è stata in un breve arco temporale assegnata in successione a due enti aventi funzioni del tutto differenti.
Se ne ricava ancora che la realizzazione dell’interesse pubblico alla limitazione della diffusione del contagio nell’ambito del comparto sanitario non è stata affidata alla cura di un particolare organo amministrativo, designato per il perseguimento di tale missione e per l’effettuazione di certe valutazioni tecniche.
In conclusione, pare dunque che a fronte dell’attività accertativa in questione, non caratterizzata da profili autoritativi, siano identificabili solo diritti soggettivi azionabili davanti al giudice ordinario.
E tutto ciò senza nulla togliere alla regola di riparto, ormai acquisita anche da parte della Cassazione, che vede il giudice amministrativo titolare della giurisdizione anche ove l’amministrazione agisca nell’esercizio di un potere previsto dalla legge a conformazione di un diritto fondamentale del privato, ovvero laddove la mediazione amministrativa sia volta ad assicurare la compatibilità dell’esercizio di quel diritto rispetto agli interessi della collettività.
Infatti, una volta che il potere è stato attribuito, è al corretto esercizio di questo che deve aversi riguardo per fornire piena tutela al titolare dell’interesse sostanziale (e in ciò risiede l’essenza dell’interesse legittimo), senza che possa darsi ultroneo rilievo alla natura “fondamentale” della situazione giuridica, e tale tutela può e deve essere assicurata in modo pieno dal giudice amministrativo.
Allo stesso modo è chiaro come non si debba cadere nell’errore di ritenere che il carattere vincolato dell’azione amministrativa porti con sé il corollario della natura “paritetica” dei relativi atti.
L’esistenza infatti di un vincolo al potere amministrativo, e dunque l’assenza di discrezionalità amministrativa, non riduce il potere ad un’obbligazione civilistica, poiché l’amministrazione esercita in questi casi una funzione di verifica, controllo, accertamento tecnico dei presupposti previsti dalla legge, quale soggetto incaricato della cura di interessi pubblici generali.
In tali casi l’intermediazione operata dall’amministrazione costituisce, in ragione delle strette maglie legislative predisposte, un sottile diaframma il cui superamento è ex ante oggettivamente prevedibile sulla base della semplice lettura delle norme e della sussunzione in esse del fatto; nondimeno, poiché una determinata amministrazione è chiamata a svolgere una precipua funzione per tutelare in via diretta uno specifico interesse pubblico, si configura l’esercizio di potere anche se l’an e il quomodo di questo sono predeterminati dalle legge.
Del resto, che il vincolo al potere non muti i termini del riparto di giurisdizione emerge chiaramente dalle disposizioni del codice del processo amministrativo, che prevedono la possibilità della condanna dell’amministrazione all’emanazione dell’atto dovuto (art. 34 lett. c. e 31 comma 3 c.p.a.).
Tuttavia, proprio alla luce di tali ultime riflessioni è ancor più evidente come l’applicazione delle norme sull’obbligo di vaccinazione contro il virus Sars-CoV-2 per il personale sanitario non sia intermediata dal potere pubblico sia pure nella forma vincolata, non essendo l’amministrazione (ASL o Ordine professionale) chiamata direttamente alla cura dell’interesse pubblico ad evitare la diffusione del virus Sars-CoV-2, né ad operare alcuna valutazione tecnica al fine di verificare l’adempimento all’obbligo di vaccinazione.
L’art. 4 del d.l. n. 44 del 2021 descrive infatti una serie di atti e termini diretta a far emergere l’eventuale inadempimento, del quale l’amministrazione si limita a prendere atto, senza l’impegno di specifiche competenze e senza che le venga attribuita la capacità di modificare unilateralmente la sfera giuridica del professionista o dell’operatore sanitario.