IL CASO E LA DECISIONE
La controversia decisa con la sentenza del T.a.r. Toscana in commento origina da una procedura espropriativa avviata nel 1988. In quell’anno, la Provincia di Lucca approvava il progetto relativo alla soppressione di un passaggio a livello e alla costruzione, in sua vece, di un sottopasso. Con tale delibera, la Provincia dichiarava la pubblica utilità dell’opera. Pertanto, i terreni individuati, di proprietà della società ricorrente, venivano interessati dal 1992 al 1994 dai lavori di realizzazione del tratto stradale, senza che tuttavia il decreto di esproprio venisse mai rilasciato.
A fronte di tale situazione, la ricorrente, spogliata della disponibilità dei suoi fondi, con ricorso proposto nel 2019, ha chiesto il risarcimento dei danni ex art. 2043 c.c. per l’illegittima occupazione, del danno non patrimoniale ex art. 42-bis d.P.R. n. 327 del 2001 e di quello derivante dal mancato godimento dei beni.
Con ordinanza istruttoria, il Collegio adito ha chiesto alla Provincia di Lucca di depositare una relazione, al fine di avere, in particolare, chiarimenti in ordine al titolo giuridico legittimante l’uso pubblico dei beni di proprietà della ricorrente, e relativamente alla possibilità di disporre, sul fronte amministrativo, l’acquisizione sanante (ex art. 42-bis TUES) dei medesimi beni. A questa richiesta, la Provincia ha risposto che “il procedimento relativamente ai terreni oggetto del contenzioso non risulta concluso con un formale provvedimento di acquisto del bene da parte della scrivente amministrazione”; al contempo, ha dichiarato che “non sono in corso eventuali procedimenti ex art. 42-bis D.P.R. n. 327/2001 per l’acquisizione delle aree, vista anche la possibilità per la pubblica amministrazione di divenire proprietaria a titolo originario dell’immobile per usucapione ex art. 1158 c.c.”.
Questa, in sintesi, la situazione alla base della pronuncia del Giudice di prime cure: quest’ultimo ha riconosciuto la fondatezza astratta delle doglianze sostanziali di parte ricorrente, pur non condividendo, come vedremo, la tipologia di tutela richiesta.
È principio ormai consolidato – soprattutto dopo alcune pronunce della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (sentt. del 30/5/2000 ricc. 24638/1994 e 31524/1996, sent. 17/5/2005 ric. 43662/1998, sent. Del 18/12/2012 ric. 24294/2003) – che l’occupazione e la materiale trasformazione di un fondo per scopo di interesse pubblico, realizzate quindi anche a seguito della dichiarazione di pubblica utilità dell’opera o di un legittimo decreto di occupazione d’urgenza, ma senza che sia intervenuto il provvedimento definitivo di esproprio, non determinano più il trasferimento della proprietà in capo alla P.A. espropriante.
Titolare del diritto dominicale, anche a seguito di questo mero fatto, resta il privato.
Per regolamentare tale ipotesi (un tempo classificabile come “espropriazione indiretta”), il legislatore è intervenuto dapprima con l’articolo 43 TUES, poi con il 42-bis.
Ai sensi di quest’ultimo articolo la P.A. è tenuta a esercitare un potere discrezionale relativamente all’acquisizione o meno del bene. Si tratta di un potere che la P.A. deve necessariamente esercitare, ma che risulta discrezionale in ordine alla scelta finale. L’autorità espropriante, infatti, “valutati gli interessi in conflitto… può disporre che esso sia acquisito, non retroattivamente, al suo patrimonio indisponibile e che al proprietario sia corrisposto un indennizzo per il pregiudizio patrimoniale e non patrimoniale…”. In tal modo, la Pubblica Autorità, con un provvedimento "postumo", adeguerebbe la situazione di fatto a quella di diritto, ponendo rimedio a un comportamento illegittimo.
Il T.a.r. Toscana ha evidenziato la necessità da parte della P.A. di esercitare tale potere, con possibilità quindi di decidere la ‘sorte’ del bene (restituzione o acquisizione): si tratta evidentemente di una scelta rimessa alla discrezionalità della P.A., senza che lo stesso Tribunale o a maggior ragione il privato possano obbligare l’Autorità competente ad assumere una determinata decisione.
Nel caso in esame, la ricorrente si era limitata a chiedere solamente il risarcimento del danno per responsabilità extracontrattuale. Il privato, in tal modo, tuttavia, si sostituirebbe alla P.A., scegliendo di perdere la proprietà del bene e chiedendo, perciò, il risarcimento del danno.
Il Tribunale amministrativo regionale della Toscana, pertanto, richiamando l’Adunanza Plenaria 20 gennaio 2020 n. 2, ha sostenuto l’inammissibilità di una richiesta solo risarcitoria, in quanto contrastante con l’art. 42-bis e con il procedimento compositivo degli interessi ivi delineato. Il Collegio ha aggiunto che il privato avrebbe dovuto chiedere alla P.A. di adottare un provvedimento ai sensi dell’art. 42-bis, e, in caso di inerzia, esperire poi l’azione contro il silenzio (117 c.p.a.). La richiesta esclusivamente risarcitoria non poteva dunque essere accolta dal Collegio, con la conseguenza che il ricorso è stato dichiarato inammissibile.
Invero, sotto un profilo processuale, mentre prima dell’entrata in vigore del T.U. espropriazioni l'interessato poteva agire direttamente per il risarcimento del danno conseguente all’illegittima trasformazione dei beni di sua proprietà e alla perdita degli stessi, sulla base della teoria dell’occupazione acquisitiva, dopo l’introduzione dell’art. 42 -bis il privato ha invece l’onere di chiedere la condanna dell’Amministrazione ad attivare la procedura volta all’eventuale adozione di un provvedimento di acquisizione sanante, onde conseguire le relative spettanze economiche.
Lo schema della c.d. occupazione acquisitiva era stato utilizzato dalla giurisprudenza per risolvere le situazioni connesse a una espropriazione illegittima di un terreno che avesse tuttavia subìto una irreversibile trasformazione in forza della costruzione di un'opera pubblica, ma tale istituto non ha trovato più spazio nel nostro ordinamento con l'evoluzione giurisprudenziale e normativa di cui si darà successivamente atto, pur essendo possibile processualmente evitare che le domande proposte sotto l’allora vigente quadro normativo e interpretativo di riferimento siano di ostacolo alla formulazione di istanze di tutela comunque adeguate, tramite ad esempio la conversione della domanda, ove ne ricorrano le condizioni, la rimessione in termini per errore scusabile ai sensi dell'art. 37 c.p.a. o l'invito alla precisazione della domanda in relazione al definito quadro giurisprudenziale.
Sul punto è intervenuta anche l’Adunanza Plenaria 20 gennaio 2020 n. 2, la quale ha affermato che l’Autorità amministrativa che utilizza sine titulo un bene immobile per scopi di pubblico interesse, dopo avere valutato, con un procedimento d’ufficio, gli interessi in conflitto, deve adottare un provvedimento conclusivo del procedimento con cui sceglie se acquisire il bene o restituirlo, al fine di adeguare la situazione di diritto a quella di fatto. L’amministrazione è, dunque, vincolata all’esercizio del potere ed ha un potere discrezionale in ordine alla scelta finale. Nel caso di occupazione sine titulo l’Autorità commette un illecito di carattere permanente, delle cui conseguenze l’amministrazione può liberarsi decidendo se apprendere il bene definitivamente o restituirlo al soggetto privato.
L’Adunanza Plenaria ha anche stabilito che nel caso in cui venga invocata solo la tutela risarcitoria ex codice civile e non si faccia richiamo al procedimento di cui all’art 42-bis, il giudice deve pronunciarsi avendo conto del carattere doveroso della funzione attribuita all’Amministrazione.
Alla luce di tutto questo la sola richiesta risarcitoria, come nel caso deciso dalla sentenza in commento, non è ammissibile, in quanto essa si pone al di fuori del quadro normativo oggi vigente.
ECHI GIURISPRUDENZIALI, EVOLUZIONE NORMATIVA E RIFLESSI PROCESSUALI DEL DOVEROSO PROCEDIMENTO DI ACQUISIZIONE SANANTE
La decisione del T.a.r. Toscana si pone in continuità con il percorso giurisprudenziale originato dalle decisioni della Corte EDU. A tal proposito, sono di grande importanza le sentenze di tale Corte del 30 maggio del 2000. In esse si censura l’istituto – di matrice esclusivamente giurisprudenziale (inaugurato dalla sent. della Corte di Cassazione n. 1464 del 16/2/1983) – dell’“espropriazione indiretta” (anche detta “accessione invertita” o “occupazione acquisitiva”). In ragione di tale istituto, la P.A. acquisiva la proprietà del fondo a titolo originario a seguito dell’occupazione del fondo, della realizzazione dell’opera di interesse pubblico, e a prescindere da un provvedimento formale di esproprio. Pertanto, un mero fatto – per di più illecito – determinava il trasferimento della proprietà del bene, con la conseguenza che il privato, defraudato del suo diritto di proprietà, si sarebbe dovuto attivare per richiedere il risarcimento del danno.
I Giudici di Strasburgo, accogliendo le doglianze delle parti ricorrenti, hanno individuato nell’istituto dell’“espropriazione indiretta” una sistematica violazione dell'articolo 1 del Protocollo n. 1 della CEDU rubricato “Protezione delle proprietà”: “Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di pubblica utilità e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale. Le disposizioni precedenti non portano pregiudizio al diritto degli Stati di porre in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l’uso dei beni in modo conforme all’interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende”.
Per la Corte, l’articolo 1 conterrebbe tre disposizioni distinte ma collegate: la prima riconosce in generale il diritto di proprietà; la seconda enuncia le condizioni che l’autorità pubblica deve rispettare nelle procedure ablative; la terza, infine, riconosce agli Stati il potere di regolamentare l’uso dei beni in modo conforme agli interessi della collettività.
L’istituto dell’“espropriazione indiretta” sarebbe stato lesivo della seconda disposizione contenuta nell’articolo 1, in quanto tale forma espropriativa non trova fondamento in nessuna disposizione dell’ordinamento giuridico del nostro Stato. I Giudici di Strasburgo hanno giudicato la giurisprudenza in materia di “espropriazione indiretta” non costante e contraddittoria. Essa non avrebbe potuto quindi costituire una base sufficientemente solida, precisa e prevedibile dell’istituto. In altre parole, tale prassi amministrativa dell’“espropriazione indiretta”, avallata da talune sentenze nazionali, violava il principio di legalità (sancito dall’articolo 1 del protocollo n.1 CEDU), e in generale minava i principi fondamentali di ogni Sato di diritto della certezza, stabilità e prevedibilità delle relazioni giuridiche (e delle possibili decisioni giudiziali). La Corte, infine, ha espresso ampie riserve sulla legittimità di una procedura espropriativa avente come presupposto l’occupazione illegale di un terreno. A seguito di queste decisioni, è intervenuto il legislatore nazionale per colmare tale lacuna normativa ed adeguare l’ordinamento interno alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
Come noto, l’istituto dell’acquisizione sanante è regolato dal Testo Unico delle espropriazioni, dapprima con l’art. 43 e poi, dopo la dichiarazione della sua incostituzionalità per eccesso di delega, con l’art. 42-bis, introdotto nel testo unico dalla legge n. 111 del 2011.
L’art. 43 rubricato “Utilizzazione senza titolo di un bene per scopi di interesse pubblico”, disciplinava l’istituto della cd. “acquisizione coattiva sanante”, ossia la possibilità per la Pubblica Amministrazione che avesse utilizzato un bene privato in assenza di un valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità, per la realizzazione di un’opera di interesse pubblico, di disporne l’acquisizione al suo patrimonio indisponibile, con l’obbligo di risarcire i danni al proprietario.
Tale norma ricomprendeva nel suo ambito di applicazione i vecchi istituti dell’occupazione “appropriativa” ed “usurpativa”.
In sintesi, nella prima l’acquisto della proprietà conseguiva ad un’accessione invertita, per cui la destinazione irreversibile del suolo privato illegittimamente occupato comportava l’acquisto a titolo originario, da parte dell’ente pubblico, della proprietà del suolo e la contestuale estinzione del diritto di proprietà del privato; l’occupazione usurpativa, invece, era collegata alla trasformazione del fondo di proprietà privata non accompagnata dalla dichiarazione di pubblica utilità, ab initio o per effetto dell’intervenuto annullamento del relativo atto o per scadenza dei relativi termini, che, in quanto tale, non determinava l’effetto acquisitivo a favore della pubblica amministrazione. In questo caso, al privato usurpato non restava che agire per la restituzione del bene o rinunciare alla proprietà chiedendo il risarcimento dei danni: a differenza dell’occupazione acquisitiva, il momento dell’estinzione del diritto di proprietà coincideva con la decisione del privato di rinunciare al bene.
La prima versione del T.U. Espr., d.P.R. 327/2001, vedeva dunque l’art. 43 disciplinare le conseguenze derivanti dalla riconosciuta illegittimità degli istituti dell’occupazione acquisitiva e usurpativa, introducendo il meccanismo dell’acquisizione coattiva sanante”: la P.A. poteva acquisire, ora per allora, retroattivamente, il bene che aveva illegittimamente espropriato, liquidando al privato un indennizzo correlato al valore venale.
Questo meccanismo fu, però, criticato in quanto permetteva di sanare un illecito perpetrato dalla P.A. L’art. 43 è stato al centro di un dibattito giurisprudenziale circa la sua legittimità costituzionale, al punto da invocare l’intervento della Corte Costituzionale, la quale con sentenza 293 del 2010 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’intero art. 43 del d.P.R. n. 327 del 2001, tuttavia solamente per eccesso di delega.
A seguito della dichiarazione di incostituzionalità, il legislatore nazionale è intervenuto con la legge n. 111 del 2011 introducendo l’art. 42-bis nel testo unico, che ha più precisamente individuato i poteri e i doveri dell’amministrazione nei casi di occupazione sine titulo di un fondo da parte della pubblica amministrazione devoluti alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
Nell’attuale quadro normativo, in vigenza dell’art. 42-bis le Amministrazioni hanno l’obbligo di far venire meno tale occupazione. L’amministrazione che utilizza senza titolo un bene privato per scopi d’interesse pubblico, può evitare di restituire il bene al proprietario, mediante un atto di acquisizione coattiva al proprio patrimonio indisponibile. Quest’ atto, sostituendo il procedimento ablativo ordinario, rappresenta un procedimento espropriativo semplificato che consente di acquistare la proprietà con effetto ex nunc al momento dell’emanazione del decreto di acquisizione. L’illecita o l’illegittima utilizzazione di un bene immobile da parte dell’amministrazione per scopi d’interesse pubblico costituisce dunque soltanto il presupposto indispensabile, unitamente alle altre specifiche condizioni previste dal citato art. 42 bis, per l’adozione, nell’ambito di un apposito procedimento espropriativo del tutto autonomo rispetto alla precedente attività dell’amministrazione, del peculiare provvedimento di acquisizione ivi previsto (vedi T.a.r. Toscana sent. n. 738/2023).
La Corte costituzionale - con la sentenza 30 aprile 2015, n. 71 - ha escluso che l’art. 42 bis del d.P.R. n. 327 del 2001 si ponga in contrasto con l’art. 42 Cost. sul presupposto che si è in presenza “di una procedura espropriativa che, sebbene necessariamente “semplificata” nelle forme, si presenta “complessa” negli esiti, prevedendosi l’adozione di un provvedimento «specificamente motivato in riferimento alle attuali ed eccezionali ragioni di interesse pubblico che ne giustificano l’emanazione, valutate comparativamente con i contrapposti interessi privati ed evidenziando l’assenza di ragionevoli alternative alla sua adozione".
L’adozione del provvedimento acquisitivo presuppone, appunto, una valutazione comparata degli interessi in conflitto, qualitativamente diversa da quella tipicamente effettuata nel normale procedimento espropriativo. E l’assenza di ragionevoli alternative all’adozione del provvedimento acquisitivo va intesa in senso pregnante, in stretta correlazione con le eccezionali ragioni di interesse pubblico richiamate dalla disposizione in esame, da considerare in comparazione con gli interessi del privato proprietario. Non si tratta, soltanto, di valutare genericamente una eccessiva difficoltà od onerosità delle alternative a disposizione dell’amministrazione, secondo un principio già previsto in generale dall’art. 2058 cod. civ..
Per risultare conforme a Costituzione, l’ampiezza della discrezionalità amministrativa va delimitata alla luce dell’obbligo giuridico di far venir meno l’occupazione sine titulo e di adeguare la situazione di fatto a quella di diritto, la quale ultima non risulta mutata neppure a seguito di trasformazione irreversibile del fondo.
Ne deriva che l’adozione dell’atto acquisitivo è consentita esclusivamente allorché costituisca l’extrema ratio per la soddisfazione di “attuali ed eccezionali ragioni di interesse pubblico”, come recita lo stesso art. 42-bis del T.U. delle espropriazioni. Dunque, solo quando siano stati escluse, all’esito di una effettiva comparazione con i contrapposti interessi privati, altre opzioni, compresa la cessione volontaria mediante atto di compravendita, e non sia ragionevolmente possibile la restituzione, totale o parziale, del bene, previa riduzione in pristino, al privato illecitamente inciso nel suo diritto di proprietà.
Tali principi sono stati successivamente recepiti e ribaditi dalla decisione dell'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, n. 2 del 2016, con una pronuncia che, relativamente alla natura giuridica, presupposti applicativi ed effetti dell’acquisizione ex art. 42 -bis del Testo unico espropri, ha chiarito i seguenti aspetti:
“l’art. 42-bis configura un procedimento ablatorio sui generis, caratterizzato da una precisa base legale, semplificato nella struttura (uno actu perficitur), complesso negli effetti (che si producono sempre e comunque ex nunc), il cui scopo non è (e non può essere) quello di sanatoria di un precedente illecito perpetrato dall'Amministrazione (perché altrimenti integrerebbe una espropriazione indiretta per ciò solo vietata), bensì quello autonomo, rispetto alle ragioni che hanno ispirato la pregressa occupazione contra ius, consistente nella soddisfazione di imperiose esigenze pubbliche, redimibili esclusivamente attraverso il mantenimento e la gestione di qualsiasi opera dell'infrastruttura realizzata sine titulo;
un tale obbiettivo istituzionale, inoltre, deve emergere necessariamente da un percorso motivazionale - rafforzato, stringente e assistito da garanzie partecipativo rigorose – basato sull’emersione di ragioni attuali ed eccezionali che dimostrino in modo chiaro che l’apprensione coattiva si pone come extrema ratio (perché non sono ragionevolmente praticabili soluzioni alternative e che tale assenza di alternative non può mai consistere nella generica <<…eccessiva difficoltà ed onerosità dell’alternativa a disposizione dell’amministrazione ...>>), per la tutela di siffatte imperiose esigenze pubbliche;
sono coerenti con questa impostazione: le importanti guarentigie previste per il destinatario dell’atto di acquisizione sotto il profilo della misura dell'indennizzo (avente natura indennitaria secondo Cass. civ., Sez. un., n. 2209 del 2015 cit.), valutato a valore venale (al momento del trasferimento, alla stregua del criterio della taxatio rei, senza che, dunque, ci siano somme da rivalutare ma, in ogni caso, tenuto conto degli ulteriori parametri individuati dagli artt. 33 e 40 t.u.espr.), maggiorato della componente non patrimoniale (dieci per cento senza onere probatorio per l'espropriato), e con salvezza della possibilità, per il proprietario, di provare autonome poste di danno”.
La legittimità dell’articolo 42 -bis è stata infine confermata da una recentissima pronuncia della Corte EDU (sent. del 5 dicembre 2023), per la quale i ricorrenti interessati da una procedura espropriativa ex art. 42-bis non possono più essere considerati vittime di una violazione dell'articolo 1 del protocollo n. 1 della Convenzione.
Nel caso di specie, la parte ricorrente, per salvare la ‘sorte’ del ricorso (proposto nel 2019, e dunque dunque ben dopo l’introduzione dell’art. 42 –bis), avrebbe potuto eventualmente, con motivi aggiunti, contestare la determinazione con cui la Provincia di Lucca, in sede di relazione istruttoria ordinata dal T.a.r., aveva dichiarato che “non sono in corso eventuali procedimenti ex art 42-bis per l’acquisizione delle aree”, chiedendo se del caso l’espressa adozione di un provvedimento in conclusione di un procedimento avviato in conformità all'art. 42-bis TUES.
Non essendosi però la parte attivata al fine di superare lo
stallo determinatosi a seguito dell'inerzia dell'amministrazione, il Tribunale Amministrativo Regionale della Toscana non ha potuto fare altro che dichiarare l'inammissibilità "processuale" di una domanda - quella di risarcimento del danno "sostitutivo" della perdita del diritto e del danno da mancato godimento del diritto stesso ad esso conseguente - che fa riferimento a una situazione di modifica irreversibile della titolarità del bene che in realtà ancora non si è verificata e che, anzi, potrebbe non verificarsi mai.