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Falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici

27 dicembre 2020

Tribunale di Milano, 26/04/2016, n. 5253/ Corte di Cassazione n. 31721 del 2020 


IL CASO

Il Presidente di Sezione di un Tribunale amministrativo regionale, nella specifica qualità di estensore di un provvedimento cautelare, viene accusato di avere attestato falsamente, nel dispositivo di tale provvedimento, il contenuto della decisione collegiale assunta con gli altri componenti del Collegio giudicante (art. 479 c.p.).

In particolare, l’imputato, a fronte della discussione, nella causa di cui era Giudice relatore ed estensore, della legittimità di due atti (decisione della Commissione europea che aveva qualificato un rifinanziamento ad una società per azioni quale “aiuto di Stato” e provvedimento della Presidenza del Consiglio dei Ministri di recupero delle somme in tesi indebitamente corrisposte), aveva deciso di sospenderli entrambi, nonostante la maggioranza del Collegio decidente avesse espressamente negato la possibilità di sospendere anche l’atto della Commissione europea, per insussistenza di giurisdizione al riguardo.

La decisione della Commissione, peraltro, non era stata neanche autonomamente impugnata dal ricorrente, ed era in quel momento oggetto di censura giurisdizionale nella sua sede propria, ovvero dinanzi al Tribunale di primo grado dell’Unione Europea.


LA SOLUZIONE

Secondo il Giudice di primo grado (con sentenza integralmente confermata in appello) è stata dimostrata, nel corso del dibattimento, la penale responsabilità dell’imputato.

Sotto il profilo oggettivo, è stata accertata al di là di ogni ragionevole dubbio la falsità dell’attestazione compiuta dal Presidente estensore nel dispositivo dell’ordinanza cautelare, rispetto a quanto effettivamente deciso ad esito della camera di consiglio in cui è stata decisa la causa (e chiusa la fase cautelare).

In altri termini, il provvedimento giurisdizionale non era corrispondente a quanto deliberato in camera di consiglio: in camera di consiglio, dopo apposita discussione al riguardo, si era deciso di non sospendere l’atto europeo; nel provvedimento, tale atto è stato invece sospeso.

Il Giudice di primo grado ha altresì precisato che la condotta tenuta non avrebbe potuto considerarsi quale falso ideologico innocuo, perché tale falso ricorrerebbe unicamente nei casi in cui l’infedele attestazione sia del tutto irrilevante ai fini del significato dell’atto e non esplichi effetto sulla sua funzione documentale, mentre nel caso di specie la falsità dell’ordinanza era idonea a ledere la pubblica fede e la stessa amministrazione della giustizia.

Invero, se è corretto dire che il bene della vita finale oggetto del procedimento cautelare (insussistenza di obblighi di recupero delle somme considerate “aiuti di Stato”) sarebbe stato ugualmente conseguito anche se non fosse stata sospesa la decisione della Commissione europea, il dispositivo di un provvedimento giurisdizionale, secondo il Tribunale di Milano, non può mai considerarsi, per definizione, una parte del provvedimento priva di significato, e la tesi dell’innocuità dell’errata statuizione sarebbe stata smentita dall’evidenza dei fatti successivi all’ordinanza (in particolare, dall’avvio di una procedura di infrazione contro lo Stato italiano e dalla oggettiva lesione del prestigio dei Giudici a latere e del Tribunale di riferimento).

Sotto il profilo soggettivo, secondo il Giudice di primo grado, non era possibile che un Presidente di Sezione, con lunga esperienza professionale nella magistratura, non avesse capito il senso della deliberazione collegiale, anche considerando che tutte le altre circostanze accertate nel corso del dibattimento avevano deposto per un atteggiamento di pervicace convinzione di essere nel giusto.

Il Tribunale di Milano ha dunque ritenuto sussistente il dolo generico richiesto dall’art. 479 c.p., senza necessità di dovere accertare specifiche finalità ulteriori, in quanto il reato di falso ideologico si configura indipendentemente dalle motivazioni che possono aver spinto l’agente a comportarsi secondo la condotta contestata a titolo di falso.

La Cassazione, tuttavia, non ha condiviso il ragionamento del Giudice di primo grado (fatto proprio anche dalla Corte di Appello), con riferimento alla idoneità della accertata attestazione “ultronea” del dispositivo (rispetto alla discussione e alla decisione collegiale) a vulnerare la fede pubblica, vale a dire l'affidamento dei terzi in ordine alla corrispondenza tra il contenuto dell’ordinanza e la decisione sulla “lite cautelare” assunta dall’organo collegiale.

E ciò perché, da un lato, nell’ordinanza cautelare dinanzi al TAR il dispositivo rappresenterebbe il naturale “precipitato” della motivazione (con implicita prevalenza della parte afferente alla motivazione, nella quale è stato accertato che non era stato fatto riferimento alla illegittimità della Decisione della Commissione europea); dall’altro, la prospettazione della domanda cautelare del ricorrente era stata rivolta alla sola paralisi degli effetti degli atti interni, e ciò ha comportato che la sospensione anche della citata Decisione fosse da considerarsi “un elemento spurio, privo di qualsiasi logica processuale, dotato, nell’economia dell’atto, di una irrilevanza talmente radicale da renderlo non tanto un falso innocuo, quanto, piuttosto, tamquam non esset, in quanto tale inidoneo a ledere la fede pubblica”.


IL REATO

Il pubblico ufficiale può commettere sia il reato di falso materiale (artt. 476, 477 e 487 c.p.) che il reato di falso ideologico (art. 479 c.p.).

I due reati hanno in comune il soggetto attivo (il pubblico ufficiale, appunto) e il fatto che la condotta deve essere posta in essere nell’esercizio delle funzioni.

Ne deriva che anche l’atto rispetto al quale viene commesso il falso deve avere una valenza pubblicistica, connessa all’attività funzionale svolta; se, ad esempio, un giudice civile che è anche amministratore del suo condominio falsifica il verbale condominiale, certamente non incorre in nessuno dei reati in esame, perché non lo fa nell’esercizio delle sue funzioni.

La differenza tra falso materiale e falso ideologico in atto pubblico risiede nella tipologia di condotta commessa, che nel primo caso (falso materiale) consiste nell’alterazione fisica del documento o comunque nella creazione dal nulla di un documento che non aveva ragione di essere, e nel secondo caso nell’attestazione di circostanze e fatti dal contenuto falso, quando invece tali fatti erano destinati a provare la verità, o comunque omissione o alterazione di dichiarazioni realmente ricevute nell’esercizio delle funzioni.

Si dice anche che il falso materiale si ha quando il documento non è genuino, mentre il falso ideologico si ha quando il documento è genuino ma non veritiero.

La differenza tra le due ipotesi si coglie bene nel seguente esempio: un poliziotto sottoscrive un’annotazione di servizio falsificando la firma di un collega; il suo superiore redige un’altra annotazione di servizio in cui attesta al Procuratore della Repubblica che l’annotazione era stata effettivamente sottoscritta, alla sua presenza, dal poliziotto di cui la firma era stata falsificata.

Nel primo caso, alterazione “fisica” del documento; nel secondo caso, attestazione falsa di un fatto destinato a provare la verità.

In particolare, è atto pubblico fidefaciente quel documento che, oltre all'attestazione di fatti appartenenti all'attività del pubblico ufficiale o caduti sotto la sua percezione, sia destinato ab initio alla prova, ossia precostituito a garanzia della pubblica fede e redatto da un pubblico ufficiale autorizzato, nell'esercizio di una speciale funzione certificatrice, diretta, cioè, per legge, alla prova di fatti che lo stesso funzionario redigente riferisce come visti, uditi o compiuti direttamente da lui.

La dottrina penalistica, che ha elaborato la teoria del falso documentale, ha affermato che il documento rilevante per il diritto si caratterizza per quattro elementi imprescindibili:

- per essere il veicolo espressivo del pensiero o della volontà di un uomo;

- per la sua incorporazione in un sostrato materiale;

- per l'intellegibilità del suo contenuto, affidato ad un linguaggio comune, ancorché convenzionale;

- per la sua riferibilità ad un autore.

A tali indici strutturali è stato aggiunto il dato funzionale dell'idoneità alla prova di rapporti giuridici.

Da ciò deriva che, ad esempio, la sottoscrizione costituisce una componente fondamentale del documento, perché è il segno grafico che consente di riferire ad un determinato soggetto il contenuto di pensiero o di volontà in esso trasfuso e nel documento informatico, cui a riferimento l'art. 491-bis c.p., è surrogata, nei casi specificamente previsti e alle condizioni disciplinate dal d.lgs. n. 82 del 2005, dalla "firma digitale".

Né è possibile ordinariamente parlare, in caso di falsificazione della sottoscrizione di un atto pubblico o di attestazione di fatti diversi da quelli percepiti, che non   siano del tutto irrilevanti ai fini del significato dell'atto, di falso innocuo.

In linea più generale, in tema di falsità in atti, il falso innocuo si configura solo in caso di inesistenza dell'oggetto tipico della falsità, di modo che questa riguardi un atto assolutamente privo di valenza probatoria, quale un documento inesistente o assolutamente nullo.

Se, infatti, il falso lede l'aspettativa sociale di corrispondenza ai fatti di alcuni tipi di rappresentazione, la innocuità della contraffazione o dell'alterazione di un documento può essere dovuta esclusivamente all'inesistenza dell'oggetto materiale tipico delle falsità in atti, che coincide con un documento dotato di efficacia probatoria legale, di modo che la condotta falsificatrice che riguardi l'uso del documento non risulta comunque innocua perché non cade sull'oggetto materiale del reato, vale a dire sul documento in sé.

Diverso ancora dal falso innocuo è il falso inutile, categoria a cui forse fa riferimento la Corte di Cassazione nel caso sopra esaminato.

In linea teorica, il falso inutile ricorre quando la falsità incide su un documento irrilevante o non influente ai fini della decisione da emettere in relazione alla situazione giuridica che viene in questione.

Si tratterebbe di un falso, cioè, che ricade su un atto non richiesto dalla legge o su un atto assolutamente incapace di influire sulla decisione processuale od extraprocessuale.

In quest’ottica, anche la parte di dispositivo “assurda” di un’ordinanza o di una sentenza – in quanto radicalmente incompatibile con il petitum e con la motivazione, o comunque del tutto incapace di influire sulla decisione processuale -, seppure inserita dolosamente dall’estensore in contrasto con la volontà espressa dal collegio decidente in camera di consiglio, potrebbe non costituire, secondo la Cassazione, un falso punibile.


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