IL CASO
1. Il Presidente e i componenti di una Commissione di gara istituita per aggiudicare l’appalto pubblico dei lavori di ripristino e ristrutturazione di un centro culturale, in concorso con il legale rappresentante della impresa beneficiaria, sono accusati di avere falsato la gara in questione (art. 353 c.p.) colludendo con la ditta di costruzione vincitrice con le seguente condotte:
- collaborazione nel rimaneggiare il progetto posto a base dell’offerta, affidando tale intervento al professionista successivamente nominato direttore dei lavori
stessi;
- omissione della pubblicazione del bando di gara sulla Gazzetta Ufficiale, sui quotidiani a diffusione locale e nazionale e sul sito del Ministero delle Infrastrutture e dell'Osservazione ex art. 122 quinto comma Codice degli appalti, trattandosi di appalto superiore ai 500 mila euro), di modo da limitare la concorrenza di altri soggetti economici alla gara;
- nomina quali commissari di gara di persone tecnicamente inidonee a valutare anche gli aspetti tecnici della
progettazione definitiva ed esecutiva dell'appalto integrato (geometri anziché ingegneria/architetti);
- tempo di durata della gara non sufficiente a consentire l'esame progettuale.
2. Lo stesso Presidente di Commissione, stavolta in qualità di RUP, in concorso con il Direttore dei lavori da lui nominato e con il rappresentante legale dell’impresa beneficiaria, viene accusato di avere avallato una perizia di variante superiore al 10% dell’importo offerto in gara per fatti non imprevedibili, quali il semplice incremento delle misure sulle lavorazioni previste nel progetto esecutivo, così procurando all’impresa, tramite artifizi, un ingiusto profitto in danno della pubblica amministrazione (art. 640-bis c.p.).
LA SOLUZIONE
Secondo il Giudice di primo grado sono state dimostrate in giudizio le circostanze che nella prospettazione dell’accusa hanno avuto l'effetto di falsare la regolarità della gara relativa all'affidamento dei lavori di ripristino e ristrutturazione del centro culturale.
In particolare, sarebbero emersi una serie di “indici sintomatici” della volontà da parte del Presidente di commissione di tenere sotto controllo gli atti di gara, limitando la possibilità di intervento e di controllo di terzi soggetti, e in special modo provvedendo alla nomina di commissari di gara di tre soggetti che rivestivano la qualità di geometri, e non di architetti o ingegneri, per cui gli stessi non avrebbero rivestito la necessaria competenza per l'esame e la valutazione tecnica degli elaborati presentati.
Non sarebbero infine state allegate e provate, da parte dell’imputato, circostanze volte a fornire una ricostruzione alternativa dei fatti, specialmente sotto l’elemento psicologico del reato a lui contestato.
Sempre secondo il Giudice di primo grado, invece, il reato di cui all’art. 640-bis c.p. non sussiste, in quanto l’istruttoria dibattimentale ha fatto emergere l’assenza di un profitto ingiusto.
In particolare, l'importo dei lavori di cui alla perizia di variante effettuata dopo il SAL era stato inferiore alla soglia (quinto dell’importo originario del contratto) che l'art. 132 del d.lgs 163/2006 – norma ratione temporis applicabile - prevedeva come soglia che la stazione appaltante non avrebbe dovuto superare per non essere obbligata poi alla risoluzione del contratto e all’indizione di una nuova gara.
IL REATO
Il reato previsto dall’art. 353 del codice penale è un reato comune contro la pubblica amministrazione, cioè un reato che può essere commesso da “chiunque” e che ha come soggetto passivo e titolare dell’interesse protetto soltanto la pubblica amministrazione.
Si tratta di un reato di mera condotta, che può alternativamente mettere in pericolo o ledere il bene giuridico tutelato (“impedire o turbare”), bene che corrisponde, in questo caso, al regolare svolgimento delle procedure di gara secondo regole concorrenziali.
Non basta tuttavia la semplice condotta di impedimento o di turbativa della gara, occorre un quid pluris che accompagni tale condotta, rappresentato alternativamente da violenza, minaccia, doni, promesse o mezzi fraudolenti.
Nel concetto di mezzi fraudolenti, che costituisce una categoria per così dire aperta, seppure entro i limiti del principio di tassatività della fattispecie, si colloca anche la cosiddetta collusione, che consiste in un accordo clandestino e illecito volto ad alterare o ad eludere il normale svolgimento della gara, come può essere stato, nel caso sopra esaminato, l’accordo tra il preposto alla gara e uno dei concorrenti; ma può anche accadere che siano soltanto i concorrenti ad operare la collusione fraudolenta, presentando, ad esempio, offerte coordinate, nei loro specifici ed effettivi contenuti, in modo da assicurare la vittoria della gara o, quanto meno, aumentarne le relative probabilità ad una di esse.
Quale ipotesi di confine rispetto alla turbata libertà degli incanti, si colloca l’ipotesi di cui all’art. 353-bis c.p., ovvero il delitto di turbata libertà del procedimento di scelta del contraente.
In particolare, tale norma incriminatrice prevede che “salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque con violenza o minaccia, o con doni, promesse, collusioni o altri mezzi fraudolenti, turba il procedimento amministrativo diretto a stabilire il contenuto del bando o di altro atto equipollente al fine di condizionare le modalità di scelta del contraente da parte della pubblica amministrazione è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni e con la multa da euro 103 a euro 1.032”.
Si tratta di fattispecie con cui il legislatore ha inteso anticipare la tutela penale rispetto al momento di effettiva indizione formale della "gara" ed anche quando una procedura volta alla determinazione del bando (o di atto equivalente) sia stata svolta, pur senza approdare a un positivo provvedimento formale; nel caso in cui invece il condizionamento delle modalità di scelta del contraente sia avvenuto e la gara abbia avuto corso, occorre valutare sulla base delle concrete emergenze processuali l'idoneità delle condotte contestate ad incidere sulla configurazione dell'atto genetico della gara e a condizionarne l’esito.
Se dunque il bando viene emesso e risulta coerente con le manipolazioni contestate, viene integrato il reato previsto dall'art. 353 c.p., in considerazione della evidente compressione che patisce la libertà di concorrenza fin dalla fase precoce della individuazione dei requisiti per la partecipazione alla gara.
D’altra parte il rifluire della condotta illecita precedente all’emissione del bando sul turbamento effettivo della gara esclude la rilevanza dell’art. 353-bis, in considerazione della clausola di riserva espressa contenuta nell’incipit della norma (“salvo che il fatto costituisca più grave reato”).