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Foro del consumatore e fideiussore: si conferma anche nella giurisprudenza di merito l’orientamento più recente della Corte di Cassazione e della Corte di Giustizia

Paolo Nasini • 16 febbraio 2021

Trib. Venezia, sez. I, in composizione monocratica, 31 dicembre 2020 – est. Zanon


IL CASO

Con sentenza del 31 dicembre 2020 il Tribunale di Venezia si è pronunciato in un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo esperito dai fideiussori di una società debitrice, nei confronti dell’istituto di credito opposto, di una somma di denaro dovuta in conseguenza della revoca degli affidamenti e della risoluzione del contratto per mancato pagamento del mutuo chirografario acceso con l’istituto di credito medesimo. 

La preliminare contestazione sollevata dagli attori opponenti concerneva il difetto di competenza del Tribunale adito, assumendosi di avere garantito le obbligazioni della società non in qualità di imprenditori, anch’essi, ma di consumatori: da ciò ne conseguirebbe la competenza del Tribunale di Treviso, in quanto, nel caso di specie, foro del consumatore. 

Le argomentazioni contrarie della Banca convenuta opposta, invece, hanno sottolineato il carattere accessorio della prestazione contrattuale assunta dagli attori e comunque la derogabilità del foro del consumatore in caso di connessione per l’oggetto o per il titolo.


La soluzione e gli orientamenti giurisprudenziali

Il Tribunale, valorizzando il fatto che uno dei due opponenti, pur svolgendo attività imprenditoriale, quale titolare di agenzia infortunistica, non era mai stato legale rappresentante o amministratore della debitrice principale, ma solo socio di minoranza della stessa per un ristretto arco di tempo, senza mai esercitare alcun potere gestionale o decisionale, ha accolto, con sentenza, l’opposizione dichiarando il difetto di competenza del Tribunale, e dichiarando nullo il decreto ingiuntivo opposto[1], in tal senso adottando una decisione non esclusivamente sulla competenza, ma avente un duplice contenuto, di accoglimento in rito dell'opposizione e di caducazione, per nullità, del decreto, con la conseguenza che ad esso non si applica la previsione della forma conclusiva dell'ordinanza, di cui all' art. 279, comma 1, c.p.c. , come modificato dall' art. 46 della l. n. 69 del 2009[2].

A fondamento della decisione il Tribunale ha ritenuto applicabile al caso di specie il c.d. “foro del consumatore” di cui all’art. 33, comma 2, d.lgs. n. 206 del 2005 (c.d. codice del consumo).

Ai sensi della suddetta disposizione, si presume vessatoria fino a prova contraria la clausola che ha per oggetto, o per effetto, di stabilire come sede del foro competente sulle controversie località diversa da quella di residenza o domicilio elettivo del consumatore.

Il legislatore, nelle controversie tra consumatore e professionista, ha individuato, quale criterio di determinazione della competenza, il “foro del consumatore”, stabilendo la competenza territoriale esclusiva del giudice del luogo in cui il consumatore ha la residenza o il domicilio elettivo, nel senso della vessatorietà della clausola che stabilisca come sede del foro competente una località diversa da quella di residenza o domicilio eletto dal consumatore, anche se il foro indicato coincida con uno dei fori legali di cui agli artt. 18 e 20 c.c.[3].

Tale regola è stata recepita dalla giurisprudenza[4] in tutti i casi in cui parti della controversia siano un professionista ed un consumatore[5], sottolineando che si tratta di un foro esclusivo e inderogabile, a meno che la previsione di altri fori sia stata oggetto di trattativa tra le parti, giusta la previsione del d.lgs. n. 206 del 2005, art. 33, comma 2, lett. u), e che la prova di tale circostanza costituisce un onere preliminare a carico del professionista che intenda avvalersi della clausola di deroga, ponendosi l'esistenza della trattativa come un prius logico rispetto alla dimostrazione della natura non vessatoria di siffatta clausola[6].

Anche in mancanza di contratto scritto, il foro del consumatore (residenza o domicilio elettivo) è derogabile solo alle condizioni sopra indicate, rimanendo escluso che il comportamento processuale del consumatore, che evidentemente è un posterius rispetto all'introduzione del giudizio, possa assumere valore equipollente alla trattativa e giustificare la deroga al foro del consumatore[7].

Si è posto in giurisprudenza il problema se, in caso di contratto di fideiussione, accedente ad un contratto instaurato – come nel caso di specie - tra due “professionisti” (nello specifico, tra una società di capitali e un istituto di credito) la natura accessoria del contratto di fideiussione fosse tale da determinare sempre e comunque l’inapplicabilità tout court al rapporto fideiussorio delle norme e principi di cui al codice del consumo, ovvero se la natura accessoria potesse, comunque, essere declinata in modo differente a seconda delle specifiche caratteristiche del fideiussore e dello stesso rapporto fideiussorio. 

La fattispecie, quindi, incrocia il tema del c.d. “professionista da rimbalzo”, teoria secondo la quale – per quanto concerne il rapporto fideiussorio[8] - il fideiussore persona fisica che presta garanzia in favore di un’impresa o di un professionista, a sua volta debitore di altra impresa o altro professionista, subisce un’”attrazione” sul piano soggettivo, sì che la sua qualificazione (in termini di imprenditore o professionista) non può che corrispondere a quella del debitore principale[9].

La “qualificazione” del fideiussore come consumatore o professionista comporta conseguenze non confinate al solo profilo processuale, qui specificamente in esame, ma anche sostanziale, in quanto la veste di “consumatore” conduce alla possibilità di valutare e, se del caso, censurare con la nullità le clausole del contratto vessatorie ai sensi del d.lgs. n. 206 del 2005.

L’orientamento giurisprudenziale, per così dire, primigenio, aveva accolto un’impostazione che valorizzava in modo particolarmente accentuato la natura accessoria del contratto di fideiussione.  

La decisione “capostipite”, in tal senso, va ricercata in una sentenza della Corte di Giustizia[10], risalente a più di venti anni fa, la quale aveva affermato che <<allo scopo di accertare se un contratto di fideiussione che garantisce l'esecuzione di un contratto di credito da parte del debitore principale possa ricadere sotto la direttiva 85/577, va ricordato che, fatte salve le eccezioni di cui all'art. 3, n. 2, la direttiva non definisce la sua sfera di applicazione in funzione della natura dei beni o dei servizi che formano oggetto del contratto, purché tali beni o servizi siano destinati al consumo privato. Orbene, la concessione di un credito costituisce un servizio ed il contratto di fideiussione è di natura accessoria rispetto al contratto principale, di cui il più sovente costituisce in pratica un presupposto>>; <<con riguardo allo stretto legame tra il contratto di credito e la fideiussione che ne garantisce l'esecuzione nonché alla circostanza che la persona che si impegna a garantire il rimborso di un debito può avere lo status di condebitore in solido o di fideiussore, non può escludersi che la fideiussione ricada sotto la direttiva>>.

D’altronde, <<risulta dal tenore dell'art. 1 della direttiva nonché dalla natura accessoria della fideiussione che può rientrare nella direttiva unicamente la fideiussione accessoria ad un contratto con cui un consumatore si sia impegnato, in occasione di una vendita a domicilio, nei confronti di un commerciante al fine di ottenere da quest'ultimo beni o servizi. Inoltre, dal momento che la direttiva è unicamente destinata a tutelare i consumatori, un fideiussore rientra nella sua sfera di applicazione soltanto se, in conformità dell'art. 2, primo trattino, della direttiva stessa, si sia obbligato per un uso che può considerarsi estraneo alla propria attività professionale>>.

Pertanto, la CGUE aveva concluso ritenendo che <<l'art. 2, primo trattino, della direttiva 85/577 va interpretato nel senso che un contratto di fideiussione stipulato da una persona fisica, la quale non agisca nell'ambito di un'attività professionale, è escluso dalla sfera di applicazione della direttiva quando esso garantisca il rimborso di un debito contratto da un'altra persona la quale agisce, per quanto la concerne, nell'ambito della propria attività professionale>>.

La giurisprudenza nazionale successiva si è pressoché adeguata a tale orientamento[11].

Secondo la Corte di Cassazione, infatti, in presenza di un contratto di fideiussione, è all'obbligazione garantita che deve riferirsi il requisito soggettivo della qualità di consumatore, ai fini dell'applicabilità della specifica normativa in materia di tutela del consumatore, attesa l'accessorietà dell'obbligazione del fideiussore rispetto all'obbligazione garantita.

Identica soluzione, originariamente, è stata accolta anche in caso di contratto autonomo di garanzia, in quanto anch'esso ritenuto funzionalmente inserito nell'attività dell'impresa garantita - quale elemento utile per il suo funzionamento anche solo corrente, onde appunto assicurarle il credito da parte di altri contraenti, i quali fidano sulla garanzia prestata o, comunque, la prendono in considerazione come elemento determinante nel momento in cui si inducono a contrattare con l'imprenditore garantito, così determinando un diverso e più favorevole andamento dell'attività di impresa – e, quindi, esulando dal concetto di consumo o bisogno personale del contraente, il solo che può giustificare l'applicazione della disciplina generale del diritto del consumatore[12].

Si tratta di un orientamento che ha enfatizzato una ritenuta subordinazione della garanzia personale al debito principale cui accede, sì che l'oggetto dell’obbligazione fideiussoria si viene a determinare "per relationem" sulla base del contenuto dell'obbligazione principale".

In tal senso, quindi, i distinti negozi sarebbero obiettivamente unificati da un nesso di interdipendenza che, per volontà del legislatore stesso, è tale da determinare che ogni vicenda del contratto principale si comunica al contratto subordinato e non viceversa.

A consentire di superare compiutamente il predetto orientamento non poteva che essere, pertanto, la stessa Corte di Giustizia che, con due pronunce relativamente recenti[13], ha infatti ritenuto che le regole uniformi concernenti le clausole abusive devono applicarsi a «qualsiasi contratto» stipulato tra un professionista e un consumatore, quali definiti all'articolo 2, lettere b) e c), della citata direttiva, restando del tutto irrilevante “l’oggetto del contratto”.

La direttiva 93/13 definisce i contratti ai quali essa si applica con riferimento alla qualità dei contraenti, a seconda che essi agiscano o meno nell'ambito della loro attività professionale: il sistema istituito da tale direttiva è posto a tutela del consumatore in quanto questo si viene a trovare in una situazione di inferiorità rispetto al professionista per quanto riguarda sia il potere nelle trattative che il livello di informazione, situazione che lo induce ad aderire alle condizioni predisposte dal professionista, senza poter incidere sul contenuto delle stesse.

Si tratta di tutela evidentemente importante nel caso di un contratto di garanzia o di fideiussione stipulato tra un istituto bancario e un consumatore. Tale contratto si basa, infatti, su un impegno personale del garante o del fideiussore al pagamento del debito contratto da un terzo. Tale impegno comporta, per colui il quale vi acconsente, obblighi onerosi che hanno l'effetto di gravare il suo patrimonio di un rischio finanziario spesso difficile da misurare.

Il contratto di garanzia o di fideiussione, sebbene possa essere descritto, in relazione al suo oggetto, come un contratto accessorio rispetto al contratto principale da cui deriva il debito che garantisce, dal punto di vista delle parti contraenti esso si presenta come un contratto distinto quando è stipulato tra soggetti diversi dalle parti del contratto principale. È dunque in capo alle parti del contratto di garanzia o di fideiussione che deve essere valutata la qualità in cui queste hanno agito.

La nozione di «consumatore», ai sensi dell'articolo 2, lettera b), della direttiva 93/13, poi, ha un carattere oggettivo e va valutata alla luce di un criterio funzionale volto ad analizzare se il rapporto contrattuale in esame rientri nell'ambito delle attività estranee all'esercizio di una professione, spettando al giudice nazionale, investito di una controversia relativa a un contratto idoneo a rientrare nell'ambito di applicazione di tale direttiva, verificare, tenendo conto di tutte le circostanze della fattispecie e di tutti gli elementi di prova, se il contraente in questione possa essere qualificato come «consumatore» ai sensi della suddetta direttiva.

Pertanto, secondo la Corte, nel caso di una persona fisica che abbia garantito l'adempimento delle obbligazioni di una società commerciale, spetta al giudice nazionale determinare se tale persona abbia agito nell'ambito della sua attività professionale o sulla base dei collegamenti funzionali che la legano a tale società, quali l'amministrazione di quest'ultima o una partecipazione non trascurabile al suo capitale sociale, o se abbia agito per scopi di natura privata.

La Corte di Cassazione ha, solo di recente, mutato in modo compiuto il precedente orientamento in conformità al nuovo indirizzo dettato dalla CGUE.

Con l’ordinanza 16 gennaio 2020, n. 742[14], in particolare, la Corte ha sottolineato come, ferma restando la rilevanza delle decisioni della Corte di Giustizia Europea ai fini dell’interpretazione e dell’applicazione del diritto interno, quello dell'accessorietà fideiussoria è un elemento oggettivamente estraneo alla normativa di protezione del consumatore.

L’accessorietà, infatti, per quanto connotante la struttura disciplinare dell'impegno e dell'obbligazione assunti dal fideiussore, non può non rimanere confinata entro tale ristretto ambito e, comunque, non può avere un rilievo “esterno”, tanto da incidere sulla qualificazione dell'attività - professionale o meno - di uno dei contraenti, né, quindi, può far diventare un soggetto (il fideiussore o, più in generale, il terzo garante) il replicante, ovvero il duplicato, di un altro soggetto (il debitore principale).

Pertanto, non rileva l’attività del debitore principale, ai fini della qualificazione del fideiussore quale consumatore, ma occorre valutare se il contratto di fideiussione in sé rientri nell'ambito di attività estranee all'esercizio della eventuale professione specificamente svolta dal soggetto che ha prestato la garanzia.

Si deve applicare, cioè, con precipuo riferimento al solo contratto di fideiussione, il criterio generale, di cui all'art. 3 cod. consumo, comma 1, lett. a).

In tal senso, la qualifica di "consumatore" spetta solo alle persone fisiche e la stessa persona fisica che svolge attività imprenditoriale o professionale potrà essere considerata alla stregua del semplice "consumatore" soltanto allorché concluda un contratto per la soddisfazione di esigenze della vita quotidiana estranee all'esercizio di dette attività; correlativamente deve essere considerato "professionista" tanto la persona fisica, quanto quella giuridica, sia pubblica che privata, che utilizzi il contratto non necessariamente nell'esercizio dell'attività propria dell'impresa o della professione, ma per uno scopo connesso all'esercizio dell'attività imprenditoriale o professionale[15].

Pertanto, non può che essere considerato consumatore il fideiussore persona fisica che, pur svolgendo una propria attività professionale (o anche più attività professionali), stipuli il contratto di garanzia per finalità non inerenti allo svolgimento di tale attività, bensì estranee alla stessa, nel senso che si tratti di atto non espressivo di questa, né strettamente funzionale al suo svolgimento (c.d. atti strumentali in senso proprio).

Nel solco tracciato dall’ordinanza che precede si pongono, altresì, due successive decisioni della Suprema Corte[16], le quali hanno ribadito che i requisiti soggettivi di applicabilità della disciplina legislativa consumeristica in relazione ad un contratto di fideiussione stipulato da un socio in favore della società devono essere valutati con riferimento alle parti dello stesso (e non già del distinto contratto principale), dando rilievo - alla stregua della giurisprudenza comunitaria - all'entità della partecipazione al capitale sociale nonché all'eventuale qualità di amministratore della società garantita assunta dal fideiussore.

Il Tribunale di Venezia, pertanto, con la sentenza in commento ha fatto puntuale applicazione dei principi espressi dalla più recente giurisprudenza comunitaria e interna, riconoscendo nel caso di specie l’operatività del “foro del consumatore” con conseguente incompetenza del giudice adito, in quanto il fideiussore, pur svolgendo attività imprenditoriale quale titolare di agenzia infortunistica, non era mai stato legale rappresentante o amministratore della società debitrice principale, ma solo socio di minoranza in un ristretto arco temporale, senza mai ingerirsi nelle scelte gestionali e decisionali della società.


[1] Nella giurisprudenza di merito, conformemente, ex plurimis, Trib. Trani, 10 giugno 2020, n. 896, in De jure, 2020; Trib. Torino, sez. I, 04 marzo 2020, in De jure, 2020; Trib. Monza, 03 marzo 2019, n. 2656, in De jure, 2020.

[2] Cass. civ., sez. VI, ord., 21 agosto 2012, n. 14594, in Giust. civ. mass. 2012, 7-8, 1044; Cass. civ., sez. VI, 10 giugno 2019, n.15579, in Giust. civ. mass., 2019. Peraltro, la Cassazione ha precisato che, in relazione alla necessità di impugnare con regolamento di competenza il provvedimento che statuisce sulla sola incompetenza, <<il provvedimento….che, oltre a dichiarare l'incompetenza del giudice adito per opposizione ad ingiunzione di pagamento, dichiari altresì la nullità del decreto ingiuntivo opposto, in quanto, come nella specie, emesso da giudice territorialmente incompetente, ha natura di decisione esclusivamente sulla competenza, essendo la dichiarazione di nullità un mero effetto di diritto di tale declaratoria>> (Così, Cass. civ., sez. II, 08 agosto 2019, n.21185, in Guida al dir., 2019, 45, 56; nonché Cass. civ., sez. VI, 18 giugno 2018, n. 16089, in Giust. civ. mass., 2018; Cass. civ., sez. II, 19 ottobre 2018, n. 26525, in Giust. civ. mass., 2018).

[3] Si veda Cass. civ., sez. un., 1 ottobre 2003, n. 14669, in Foro it., 2003, I, 3298, con nota di Palmieri; e in Corr. giur., 2003, 1432, con nota di Conti, Le Sezioni Unite risolvono il contrasto sul foro del consumatore.

[4] Ex plurimis, Cass. civ., 20 agosto 2004, n. 16336, in Contratti, 2006, 2, 17 ss., con nota di Guerinoni, Contratti e costi di gestione: il foro del consumatore; Cass. civ., 26 aprile 2010, n. 9922, in Giust. civ. mass., 2010, 4, 609.

[5] Cass. civ., sez. VI, 30 giugno 2020, n.12981, in Giust. civ. mass., 2020, ha precisato, però, che la nullità della relativa clausola derogatoria non è rilevante se l'iniziativa dell'azione giudiziale è presa dal consumatore, che si fa attore in giudizio e non si avvale del foro a lui riferibile nella detta qualità, cioè del foro della sua residenza o domicilio elettivo e, quindi, tale nullità non potrà essere rilevata dalla controparte, a cui vantaggio non opera, nè d'ufficio dal giudice, mentre, se il consumatore è convenuto di fronte ad un foro diverso da quello della sua residenza o del suo domicilio elettivo, il potere di eccepire la violazione della regola della competenza correlata a detto foro è esercitabile non solo da lui, se costituito, ma anche d'ufficio dal giudice nel caso in cui non lo sia.

[6] Ex plurimis, Cass. civ., sez. VI, 25 gennaio 2018, n.195, in Giust. civ. mass., 2018; Cass. civ., 26 settembre 2008, n. 24262, in Foro it. 2008, 12, I, 3528, con nota di Palmieri e Pardolesi; Cass. civ., sez. VI, 10 luglio 2013, n. 17083, in Giust. civ. mass, 2013; Cass. civ., sez. VI, 12 marzo 2014, n. 5703, in Giust. civ. mass., 2014; Cass civ., sez. VI, 12 gennaio 2015, n. 181, in Giust. civ. mass., 2015.

[7] Cass. civ., sez. VI, 25 gennaio 2018, n.195, in Giust. civ. mass., 2018.

[8] Con particolare riguardo alle fideiussioni c.d. omnibus, finalizzate a garantire, normalmente a favore di istituti di credito, un debitore principale per il pagamento di tutti i suoi debiti presenti e futuri, che questi abbia assunto o verrà ad assumere nei confronti della banca creditrice. La fattispecie si concretizza nella redazione di specifiche clausole contrattuali, contenute, peraltro, nei rapporti con gli istituti di credito, in condizioni generali di contratto su moduli e formulari predeterminati, in relazione alle quali l’art. 1938 c.c. (come riscritto dalla l. 17 febbraio 1992, n. 154), ha imposto l'indicazione di un limite massimo della somma garantita. In tema, tra gli altri, Giusti, La fideiussione e il mandato di credito, in Trattato Cicu-Messineo, XVIII, t. 3, Milano, 1998, 159 ss.; Valignani, Le fideiussioni bancarie, in Le garanzie personali, in Trattato Bessone, XI, tomo I, Torino, 2007, 127 ss.

[9] In tema, anche non in materia fideiussoria, Minneci, Sul tramonto della teoria del «professionista di rimbalzo», in Banca Borsa Titoli di Credito, fasc. 5, 2020, 688; De Cristofaro, Le discipline settoriali dei contratti dei consumatori, in Mercati Regolati, in Trattato contratti, diretto da Roppo, Milano, V, 2014, 45 ss.; Sirena e Farace, I contratti bancari del consumatore, in I contratti bancari, Trattato contratti, a cura di Rescigno e Gabrielli, Torino, 2016, 268 ss.; Macario, Garanzie personali, in Trattato Sacco, 10, Torino, 2009, 104 ss.; Stella, La struttura della fideiussione, in Opere e servizi, 2, in Trattato contratti, diretto da Roppo, Milano, IV, 2014, 786 ss.; Frezza, Le garanzie personali atipiche, in Trattato Buonocore, sez. II-tomo 3.X, Torino, 2006, 123 ss.; Cipriani e Cazzetta, Le clausole in deroga nella fideiussione, in Riv. dir. banc., 2018, 467 ss.

[10] CGUE, sez. V, 17 marzo 1998, C-45/96, in Foro it. 1998, IV, 129, nonché in Danno e resp., 1998, 330, con nota di Sesta, e in Disciplina commercio, 1998, 352, con nota di Granieri.

[11] Tra le altre, Cass. civ., sez. I, 11 gennaio 2001, n. 314, in Corr. giur., 2001, 891 ss., con nota di Conti, La fideiussione rispetto alle clausole vessatorie; nonché in Giust. civ., 2001, I, 2149 ss., con nota di Di Marzio, Intorno alla nozione di consumatore nei contratti; Cass. civ., sez. I, 13 maggio 2005, n. 10107, in Giust. civ. mass., 2005; Cass. civ., sez. III, 13 giugno 2006, n. 13643, in Giust. civ. 2007, 5, I, 1175; Cass. civ., sez. III, 29 novembre 2011, n. 25212, in Resp. civ. e prev., 2012, 2, 631; Cass. civ., sez. III, 29 novembre 2011, n. 25212, Dir. e Giust., 2011, con nota di Bortolotti; Cass. civ., sez. I, 9 agosto 2016, n. 16827, in Banca Borsa Titoli di Credito, , 2017, II, 270 ss. Contra, Trib. Palermo, 13 dicembre 2005, in Corr. mer., 2006, 317 ss., con nota di Conti, Il fideiussore non è sempre professionista “di rimbalzo”; Coll.ABF Roma, 26 luglio 2013, n. 4109.

[12] Cassazione civile sez. VI, 05/12/2016, n.24846, in Giust. civ. Mass., 2017.

[13] CGUE, 19 novembre 2015 (causa c - 74/15) e 14 settembre 2016 (causa c - 534/15), entrambe in Banca Borsa Titoli di Credito, 2017, 3, II, 269, con nota di Dolmetta.

[14] In Banca Borsa Titoli di Credito, 2020, 5, II, 685, con nota di Minneci, Sul tramonto della teoria del «professionista di rimbalzo». Prima, Cass. civ., sez. III, 13 dicembre 2018, n. 32225, in Giust. civ. mass., 2019, ha richiamato il nuovo orientamento della CGUE, ancorché nello specifico abbia escluso l'applicabilità della disciplina consumeristica in conseguenza dell’accertamento in punto di fatto dell’insussistenza di elementi tali da escludere un collegamento tra la fideiussione e lo svolgimento dell'attività professionale del debitore principale. Ancora, richiama i principi espressi dalla Corte di Giustizia e dalla pronuncia della Cassazione appena sopra citata, Cass. civ., sez. III, 15 ottobre 2019, n.25914, in Banca dati Dejure.

[15] Cass. civ., sez. VI, 26 marzo 2019, n. 8419, in Giust. civ. mass., 2019.

[16] Cass. civ., sez. VI, 24 gennaio 2020, n. 1666, in Giust. civ. mass., 2020; Cass. civ., sez. VI, 08 maggio 2020, n. 8662, in Dir. & Giust., 2020, con nota di Giagnotti; Cass. civ., sez. VI, 05 giugno 2020, n.10673, in Dir. & Giust., 2020. Nella giurisprudenza di merito, tra le altre, Trib. Milano, sez. VI, 20 febbraio 2020, n. 1628, in Banca dati Dejure, 2020.


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