La decisione.
Il Tribunale di Vicenza ha accertato il diritto del ricorrente, Giudice onorario da quasi un ventennio, di percepire un trattamento economico corrispondente a quello previsto dall’art. 2 della L. n. 111 del 2007 per il ruolo di “magistrato ordinario” con funzioni giurisdizionali (vale a dire del magistrato nel periodo tra la fine del tirocinio e il riconoscimento della prima qualifica di professionalità), per tutto il periodo in cui ha svolto le funzioni di Giudice onorario, e ha condannato il Ministero della Giustizia a corrispondergli, oltre alla differenza tra tale trattamento economico e le somme effettivamente percepite, un ulteriore importo a titolo di risarcimento del danno per l’illegittima reiterazione dei rapporti a tempo determinato, determinando tale ulteriore importo in sette mensilità del trattamento economico indicato.
Il Tribunale ha innanzitutto premesso di non trovarsi dinanzi ad una domanda diretta alla costituzione di un rapporto di lavoro subordinato di pubblico impiego (ciò che esclude la giurisdizione del Giudice amministrativo), ma di dovere esaminare due diverse pretese connesse al medesimo “status” di Giudice onorario, una diretta al riconoscimento del diritto soggettivo al trattamento economico riconosciuto dall’ordinamento nazionale al lavoratore comparabile, quale conseguenza della diretta applicazione delle direttive 1997/81/CE e 1999/70/CE, e l’altra al risarcimento del danno conseguente all’illegittima reiterazione dei contratti di lavoro a tempo determinato, in violazione della direttiva 1999/70/CE.
"Lavoratore comparabile".
Con riferimento alla prima pretesa (riconoscimento del diritto soggettivo al trattamento economico riconosciuto dall’ordinamento nazionale al lavoratore comparabile) è stato innanzitutto necessario valutare se il Giudice onorario (operante come GOT presso il Tribunale da svariati anni) rientrasse nella nozione di “lavoratore” di cui alla clausola 2 dell’accordo quadro annesso alla direttiva 1997/81/CE e di cui alla clausola 2 dell’accordo quadro annesso alla direttiva 1999/70/CE.
Casomai il ricorrente fosse rientrato in tale nozione, infatti, sarebbe stato a lui riferibile il disposto della clausola 4 degli accordi quadro annessi alle citate direttive, recante il divieto di discriminazione dei lavoratori a tempo parziale e a tempo determinato rispetto ai lavoratori a tempo pieno e a tempo indeterminato comparabili, per il solo motivo di essere occupati a tempo parziale o determinato, e salvo che un trattamento differente sia giustificato da ragioni oggettive.
In mancanza di una definizione comunitaria della nozione di “lavoratore”, tale concetto deve essere desunto dall’interpretazione della giurisprudenza interna, la quale è costante nell’escludere che i magistrati onorari, tra i quali rientrano i GOT, possano essere qualificati come “lavoratori” ai sensi della normativa europea.
Secondo tale orientamento, il rapporto di lavoro riferibile ai magistrati onorari ha carattere volontario, con attribuzione di funzioni pubbliche, ma senza la presenza degli elementi che caratterizzano il pubblico impiego, in quanto gli stessi operano in assenza di qualsivoglia contratto o rapporto di lavoro e ricoprono un incarico volontario e non permanente, cioè non professionale, ma svolto a mero titolo di onore.
D’altra parte, non possono nemmeno essere qualificati come lavoratori autonomi o come lavoratori parasubordinati.
A sostegno di tale tesi, la giurisprudenza nazionale ha segnalato diversi aspetti che differenziano il rapporto di servizio riferibile ai magistrati onorari rispetto a quello che caratterizza i magistrati togati, tra cui le modalità di scelta dei magistrati onorari, effettuata sulla base di una decisione politico-discrezionale da parte del Consiglio Superiore della Magistratura e non a mezzo concorso pubblico per esami (ovvero tramite scelta “tecnica”), l’assenza di una specifica disciplina circa lo svolgimento del rapporto di lavoro, individuabile solamente nell’atto di conferimento dell’incarico e nella natura di tale incarico, il carattere indennitario e non retributivo del compenso dei magistrati onorari e la possibilità, viceversa preclusa ai magistrati togati, di svolgere altre attività, in particolare la professione forense, seppure con dei limiti e con la previsione di un dettagliato regime di incompatibilità.
Secondo il Tribunale di Vicenza, l’orientamento di cui si è appena dato atto non è conforme al diritto comunitario, e, in particolare, non è coerente con il principio del rispetto dell’effetto utile delle direttive e dei principi comunitari da parte degli ordinamenti interni, in ragione di un esame più approfondito della natura del rapporto di lavoro che caratterizza i magistrati onorari, e i GOT in particolare, “anche” mediante una comparazione con la natura del rapporto di lavoro riferibile ai magistrati ordinari, che viceversa rientrano sicuramente, secondo la giurisprudenza interna, nella nozione comunitaria di “lavoratori”.
Secondo il Tribunale, la figura del magistrato onorario, originariamente concepita come di mero supporto al magistrato togato, si è profondamente evoluta negli anni, per sopperire ad esigenze concrete connesse alla carenza di organico nei Tribunali, fino ad avvicinare sensibilmente lo statuto riferibile ai GOT a quello dei magistrati ordinari, quanto a contenuto e modalità dell’attività svolta, anche se non quanto a regime di tutele.
La trasformazione del volto del Giudice Onorario di Tribunale è stata sancita in via normativa per mezzo di provvedimenti di rango secondario (in particolare, circolari del Consiglio Superiore della Magistratura), profondamente integrativi – e a tratti derogatori – rispetto al dato legislativo costituito dal R.D. 12/41, e infine anche dal legislatore, che, con il d.lgs. n. 116 del 2017, ha operato una riforma del volto della magistratura onoraria.
Se dunque oggi la natura del rapporto di lavoro che caratterizza l’attività dei giudici onorari non diverge sostanzialmente da quella riferibile ai magistrati togati, anche i primi, secondo il Tribunale, non possono astrattamente essere esclusi dalla categoria dei “lavoratori”, pena la mancata garanzia dell’effetto utile del principio di parità di trattamento sancito dall’accordo quadro sopra richiamato, in violazione della giurisprudenza in materia della Corte di Giustizia.
Deporrebbe per tali conclusioni anche la sentenza della CGUE del 16.07.2020 (causa C 658/18), in cui viene testualmente affermato che il Giudice di pace, a determinate condizioni (svolgimento di prestazioni reali ed effettive, non puramente marginali né accessorie, per le quali percepisca indennità aventi carattere remunerativo) rientra nella nozione comunitaria di lavoratore, con diritto a condizioni di impiego (ivi compreso il diritto a ferie annuali retribuite) non meno favorevoli rispetto a quelle riservate al magistrato ordinario, a meno che la differenza di trattamento non sia giustificata dalle diverse qualifiche richieste e dalla natura delle mansioni.
Secondo la Corte di Giustizia, dunque, caratteristica essenziale del rapporto di lavoro è data dalla circostanza che una persona fornisca, per un certo periodo di tempo, a favore di un’altra e sotto la direzione di quest’ultima, prestazioni in cambio delle quali percepisca una retribuzione: deve dunque essere qualificata come “lavoratore” ogni persona che svolga attività reali ed effettive e per le quali percepisca indennità aventi carattere remunerativo, essendo privi di rilevanza, a tali fini, la qualificazione di tale attività come onoraria in base al diritto nazionale e la denominazione degli emolumenti, ed essendo al contrario rilevanti l’entità delle somme erogate, un regime di tassazione ordinario della retribuzione, le modalità di designazione e di revoca e l’organizzazione del lavoro.
Accertato dunque che il ricorrente, in qualità di GOT da quasi un ventennio presso un Tribunale ordinario, rientri nella nozione comunitaria di lavoratore, il Giudice vicentino ha proceduto a dare una risposta alle seguenti domande: i magistrati togati costituiscono categoria di "lavoratori comparabili"? In caso di risposta affermativa al primo quesito, esistono ragioni obiettive che giustifichino un trattamento differenziato, per quanto attiene alle condizioni di impiego, tra magistrati togati e GOT?
Secondo il Tribunale di Vicenza, i criteri presi in esame dalla Corte di Giustizia nella citata sentenza 16.07.2020 (causa C 658/18) sui Giudici di pace, in base ai quali valutare la suddetta comparabilità tra posizione di magistrati onorari e togati, sono soddisfatti anche con riferimento al GOT ricorrente, non sussistendo nel suo caso, peraltro, nemmeno l’elemento di diversità tra Giudici di pace e magistrati togati riscontrato dalla Corte di Giustizia, rappresentato dalla circostanza che le controversie riservate ai Giudici di pace non hanno gli aspetti di complessità che caratterizzano le controversie devolute ai magistrati ordinari.
In effetti, mentre i Giudici di pace trattano principalmente cause di minore importanza rispetto ai magistrati togati e possono svolgere soltanto le funzioni attribuite a giudici singoli, non potendo far parte di organi collegiali, i GOT possono prestare la loro attività non solo in supplenza dei giudici togati, bensì anche tramite assegnazione di ruoli in via stabile ed ordinaria, a prescindere dalla mancanza o impedimento del giudice togato, e possono essere destinati, in supplenza, anche a comporre collegi, sia civili che penali.
In definitiva, dunque, secondo il Giudice vicentino, il ricorrente deve essere considerato “lavoratore” ai sensi della clausola 2 dell’accordo quadro annesso alla direttiva 1997/81/CE e della clausola 2 dell’accordo quadro annesso alla direttiva 1999/70/CE, con conseguente applicazione al rapporto a lui riferibile del disposto della clausola 4 degli accordi quadro annessi alle citate direttive, recante il divieto di discriminazione dei lavoratori a tempo parziale e determinato rispetto ai lavoratori comparabili a tempo pieno e indeterminato, individuati nei magistrati togati.
Né ha ritenuto la sussistenza nel caso di specie di ragioni oggettive che giustificassero una diversità di trattamento tra lavoratori comparabili, dal momento che, per integrare tali ragioni, affianco all’esistenza di un concorso iniziale, specificamente concepito per i magistrati ordinari ai fini dell’accesso alla magistratura, cui non si fa ricorso per la nomina dei Giudici di pace e dei magistrati onorari, avrebbe dovuto accompagnarsi, per il Tribunale vicentino, il rilievo di diverse qualifiche richieste e diversa natura delle mansioni di cui le due categorie di lavoratori devono assumere la responsabilità, mentre i tratti peculiari che distinguono la magistratura ordinaria da quella onoraria, come di recente affermato la Corte Costituzionale con la sentenza n. 267 del 2020, non inciderebbero sull’identità funzionale dei singoli atti che il Giudice onorario compie nell’esercizio della funzione giurisdizionale, essendo comune, alla magistratura ordinaria e a quella onoraria, l’esigenza di garanzia di imparzialità, che “sussiste per l’attività giurisdizionale nel suo complesso, quale funzione essenziale dell’ordinamento giuridico, con pari intensità per il giudice professionale e per il giudice onorario (…)”
Il Tribunale ha dunque esercitato il potere di disapplicazione della normativa interna contrastante con la norma comunitaria, in ragione dell’efficacia diretta nell’ordinamento interno della clausola 4 sopra citata, essendo la stessa caratterizzata dai requisiti di sufficiente precisione e incondizionatezza così come ricostruiti dalla giurisprudenza della CGUE e riconosciuto da un orientamento consolidato della Corte di Cassazione, e ha condannato il Ministero della Giustizia alla corresponsione in favore del ricorrente di un trattamento economico riferibile alla classe stipendiale HH03, propria del “magistrato ordinario”, vale a dire del magistrato nel periodo tra la fine del tirocinio e il riconoscimento della prima qualifica di professionalità, tenuto conto che la progressione in carriera del magistrato “togato” è imperniata su un meccanismo di valutazione di professionalità, disciplinato in modo articolato, sulla base di parametri specifici, integrati e arricchiti dalla normazione secondaria del CSM, a cui la magistratura onoraria non è sottoposta.
Illegittima reiterazione dei contratti di lavoro a tempo determinato e risarcimento del danno.
Con riferimento alla seconda pretesa (risarcimento del danno conseguente all’illegittima reiterazione dei contratti di lavoro a tempo determinato, in violazione della direttiva 1999/70/CE), il Tribunale di Vicenza ha ritenuto illegittimo e abusivo il reiterato ricorso a rapporti a tempo determinato a lui riferibili.
Secondo il Giudice del lavoro, la persistenza di proroghe legislative da quasi tredici anni nei confronti dei giudici onorari di tribunale, in mancanza delle quali costoro avrebbero cessato il loro incarico, ai sensi del R.D. 12/41 (che prevede in realtà la durata triennale della carica, con possibilità di conferma non ulteriormente rinnovabile e comunque previo parere di idoneità del consiglio giudiziario), ha determinato lo svolgimento delle funzioni giurisdizionali per un lungo arco temporale, in assenza, in diversi periodi, di provvedimenti formali che integrassero la disciplina legislativa con le valutazioni di idoneità e con provvedimento formali di attuazione della disciplina legislativa.
Il reiterato ricorso a rapporti a tempo determinato è stato ritenuto, nel caso di specie, in contrasto con il disposto della clausola 5 dell’accordo quadro annesso alla direttiva 1999/70/CE, ove si prevede che “per prevenire gli abusi derivanti dall'utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, gli Stati membri, previa consultazione delle parti sociali a norma delle leggi, dei contratti collettivi e della prassi nazionali, e/o le parti sociali stesse, dovranno introdurre, in assenza di norme equivalenti per la prevenzione degli abusi e in un modo che tenga conto delle esigenze di settori e/o categorie specifici di lavoratori, una o più misure relative a: a) ragioni obiettive per la giustificazione del rinnovo dei suddetti contratti o rapporti; b) la durata massima totale dei contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi; c) il numero dei rinnovi dei suddetti contratti o rapporti (…)”.
Secondo la Corte di Giustizia (cfr. sent. Mascolo, punto 79), dal momento che il diritto dell’Unione non prevede sanzioni specifiche nell’ipotesi in cui vengano accertati abusi nel ricorso al contratto a termine, spetta alle autorità nazionali adottare misure proporzionate, energiche e dissuasive, in modo tale che, ove si verifichi un ricorso abusivo a una successione di contratti o di rapporti di lavoro a tempo determinato, venga applicata una misura che presenti garanzie effettive al fine di sanzionare debitamente tale abuso e cancellare le conseguenze della violazione del diritto dell’Unione
Tra le misure contemplate dalla clausola 5 dell’accordo quadro, che gli Stati membri possono adottare per prevenire gli abusi, vi è il ricorso a contratti di lavoro a tempo determinato basati su ragioni obiettive, ma la nozione di “ragioni obiettive” deve essere intesa con riferimento a circostanze precise e concrete che contraddistinguono una determinata attività e che possono risultare dalla particolare natura delle funzioni per l’espletamento delle quali sono stati conclusi i contratti in questione, dalle caratteristiche ad esse inerenti o, eventualmente, dal perseguimento di una legittima finalità di politica sociale di uno Stato membro, che non può essere identificata nelle mere esigenze di bilancio.
Nel caso esaminato dal Tribunale di Vicenza, non si è rinvenuta nella normativa interna avente ad oggetto la proroga degli incarichi dei magistrati onorari alcuna delle misure contemplate dalla citata clausola 5, volte ad evitare la reiterazione abusiva dei contratti a termine, né è parsa al Giudice del lavoro sussistente alcuna “ragione obiettiva” volta a giustificare il ricorso reiterato a rapporti di lavoro a tempo determinato con riferimento ai magistrati onorari, dal momento che la normativa nazionale ha consentito il rinnovo di rapporti di lavoro a tempo determinato ad essi riferibili per la precipua ragione di far fronte alle carenze di organico in attesa di una riforma della disciplina inerente la magistratura onoraria.
Peraltro, il ripetuto ricorso ad incarichi a tempo determinato è stato volto a soddisfare esigenze che, di fatto, hanno un carattere non già provvisorio, ma, al contrario, permanente e durevole.
Poiché la clausola 5 dell’accordo quadro annesso alla direttiva 1999/70/CE non ha efficacia diretta, dal momento che non presenta il carattere dell’incondizionatezza, e consente agli Stati membri un notevole margine di discrezionalità nella sua applicazione, il Tribunale vicentino ha concluso che la violazione della normativa europea comporta soltanto l’imposizione di una sanzione dotata di efficacia, non solo ristoratrice o ripristinatoria, ma anche dissuasiva, con conseguente diritto per il ricorrente al risarcimento del danno nei limiti di cui alla L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, comma 5 e quindi nella misura pari ad un'indennità onnicomprensiva tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilità del trattamento economico del magistrato ordinario di prima nomina.
Tale parametro di liquidazione del danno è stata individuato dal Giudice del lavoro per ragioni di analogia con la specifica disciplina sanzionatoria prevista dall’ordinamento interno nei casi di violazione delle norme in materia di rapporti di lavoro a tempo determinato.