I migranti della discordia

a cura di Roberto Lombardi • 13 novembre 2024

(Viaggio in uno scontro tra poteri tipicamente italico)


La moderna questione dei migranti evoca tempi antichi e storie che si ripetono. [1]

Tecnicamente, la parola migrazione può significare sia emigrazione che immigrazione, ma il suo significato si definisce meglio con riferimento a quei “processi di mobilità internazionale” dei gruppi umani che incidono strutturalmente sulle società dei Paesi di destinazione.

Negli ultimi due secoli, l’Europa è passata ad essere da terra di emigrazione a terra di immigrazione.

La chiusura delle frontiere agli inizi degli anni Settanta del secolo scorso, anziché realizzare un sostanziale blocco dell’immigrazione, ha prodotto un’alterazione qualitativa dei movimenti migratori, determinando da un lato l’aumento delle domande di ricongiungimento familiare degli immigrati già presenti sul territorio, delle richieste di asilo e degli ingressi clandestini e irregolari, dall’altro, l’implementazione di programmi di inserimento sociale degli immigrati nelle comunità nazionali.

L’integrazione, intesa come un percorso che coinvolge ogni istante della vita dell’immigrato, è ormai ritenuta una necessità, anche se l’approccio istituzionale varia considerevolmente a seconda di quali siano gli Stati di accoglienza, secondo i due fondamentali modelli assimilazionista e multiculturalista.

Tuttavia, il processo di integrazione registra una sensibile quota di insuccessi nei Paesi in cui si accompagna, accanto alla sostanziale preclusione agli immigrati della sfera politica delle società di accoglienza, un difficile accesso alla cittadinanza. Per altri versi, il dispiegamento massiccio delle azioni negative di contrasto dell’immigrazione, mirate non già a un razionale controllo quantitativo e qualitativo dei flussi, quanto al proposito di conseguire un azzeramento tendenziale della mobilità internazionale, costituisce un obiettivo anacronistico e probabilmente non realizzabile, in relazione al fatto che le migrazioni continueranno a rivestire nel tempo un ruolo centrale, coerentemente con tendenze di lungo periodo quali gli squilibri tra il tasso di sviluppo economico e l’andamento demografico nei Paesi c.d. poveri, da un lato, e l’invecchiamento delle popolazioni dei Paesi c.d. ricchi, dall’altro.

Di certo, oggi, a fronte di un flusso migratorio scarsamente regolamentato nelle sue “regole di ingaggio” di base, la visione “centralizzata” dell’Unione europea sul concreto esercizio dei diritti di asilo ha creato più di un problema ai singoli Paesi maggiormente esposti alle ondate dei nuovi arrivi, limitandone le capacità operative di “blocco”.

Quanto all’Italia, è ormai molto tempo che la questione dei migranti è stata inserita nell'agenda politica dei partiti e dei Governi di turno.

E ciò non tanto perché l'afflusso massiccio di cittadini extracomunitari abbia messo per davvero in sistematica crisi la sicurezza del Paese o tolto occasioni di lavoro agli italiani, quanto invece perché la caoticità del fenomeno e l'incapacità delle istituzioni di gestirlo efficacemente ha profondamente turbato la percezione della situazione di "protezione" individuale e collettiva che ciascuno di noi ha in ordine al suo territorio di nascita o di appartenenza.

L'effetto più rilevante che ha prodotto questo intenso fenomeno di "spaesamento" delle nostre individualità geografiche e lato sensu nazionalistiche è stato senz'altro il consenso di un elevato numero di elettori a iniziative politiche di forte impatto bloccante o comunque ridimensionante verso i flussi migratori, iniziative che si sono però a volte poste, per essere realmente efficaci e concretamente percepite dalla collettività, in netta tensione con l'ordinamento giuridico vigente, cosi come modellato dalla Carta costituzionale e dal diritto sovranazionale.

Corollario principale di questa strategia di contrasto è stato, inevitabilmente, il conflitto con chi regole e norme deve farle rispettare: i giudici.

In linea teorica non sbaglia chi ritiene che il principio di separazione dei poteri  e di primato della Politica - con la P maiuscola - debbano tendenzialmente impedire alla magistratura di orientare nel merito le scelte del legislatore, ma in concreto l'espansione giuridica e normativa del controllo giudiziario sui cd. diritti umani (ivi compreso il diritto di asilo) - favorita anche dal nostro inserimento “a pieno titolo" nell'Unione europea - prevale ad oggi su qualsivoglia scelta politico-amministrativa che prescinda dal rispetto di tali diritti, anche laddove tale scelta sia fatta per perseguire fini strategicamente corretti (sicurezza e controllo dei confini) e sicuramente graditi a una grande fetta di elettorato.

Prendiamo ad esempio di quanto appena detto due vicende di scottante attualità: il rimpatrio dall'Albania dei migranti "distaccati" dai nostri confini di ingresso e la vicenda del sequestro di persona contestato all'ex Ministro dell'Interno Salvini nel caso Open Arms.

La “questione albanese" è in realtà più semplice di quanto possa apparire.

Il governo italiano ha stipulato un protocollo con il governo albanese per trasferire su territorio estero fino a 3.000 migranti.

Condizione per rendere legale e aderente al protocollo stesso tale trasferimento, è l'adozione di una procedura accelerata per decidere sull'eventuale diritto di asilo del migrante richiedente; condizione per accedere a tale procedura è che il migrante provenga da un Paese sicuro, ai sensi della lett. b-bis, comma 2 dell’art. 28-bis del d.lgs. n. 25/2008.

Orbene, la definizione di “Paese sicuro” - che derivi da atti amministrativi o da disposizioni di legge - deve rispettare, a sua volta, secondo la direttiva 2013/32/UE del 26 giugno 2013, alcune essenziali condizioni, tra cui l’assenza di minacce alla vita ed alla libertà dello straniero per ragioni di razza, religione, nazionalità, opinioni politiche o appartenenza a un determinato gruppo sociale e la possibilità di dimostrare che non si ricorre mai alla persecuzione  quale definita all’art. 9 della direttiva 2011/95.

Secondo il Giudice del Tribunale di Roma che ha applicato tale normativa in sede di convalida del trattenimento di un cittadino egiziano – e la cui decisione tanto scalpore ha destato nell’opinione pubblica più vicina al Governo in carica -, una recente sentenza della Corte di Giustizia interpretativa della suddetta direttiva (le sentenze della CGUE definiscono pacificamente principi direttamente applicabili alle controversie nazionali) avrebbe chiarito che il concetto di Paese sicuro dovrebbe valere per l’intero Stato considerato e non potrebbe essere limitato né a determinate regioni interne allo Stato né a determinate categorie di persone.

Di conseguenza, non potendosi considerare del tutto e per tutti sicuro l'Egitto, nessuna procedura accelerata, nessun trattenimento in Albania, e rientro immediato in Italia degli stranieri richiedenti protezione internazionale.

Il Governo è subito corso ai ripari emanando un decreto legge (d.l. n. 158 del 2024 del 23 ottobre 2024) in cui ha iscritto di ufficio tra i Paesi sicuri lo stesso Egitto che i giudici avevano ritenuto, alla luce della giurisprudenza eurounitaria, non sicuro; contestualmente, è stato precisato, all’art. 2-bis, comma 2 del d.lgs. n. 25 del 2008 (che regola, come visto, la materia) che la designazione di un Paese di origine sicuro può essere fatta anche con l'eccezione di categorie di persone, ma non più, com’era prima, con l'eccezione di parti del territorio.

Partita conclusa? Neanche per sogno. L’appartenenza all’ordinamento UE ci impone di disapplicare normative anche primarie (come leggi e decreti leggi), qualora siano in contrasto con le regole eurounitarie direttamente applicabili, e così hanno fatto negli ultimi giorni altri Tribunali. [2]

Nel frattempo, il processo Open Arms si avvia al suo epilogo, con i Giudici che devono decidere se condannare o meno per sequestro di persona e rifiuto di atti di ufficio il Senatore Salvini: la Procura della Repubblica di Palermo ha chiesto sei anni di reclusione. [3]

Qui la questione giuridica si intreccia ancora di più con le priorità della politica ed è un tantino più complicata.

Nell'agosto del 2019, un'imbarcazione battente bandiera straniera e noleggiata da un’associazione non governativa soccorreva diversi migranti che viaggiavano su natanti in distress nelle acque internazionali di competenza SAR libiche e maltesi.

Nonostante la nave con a bordo i migranti fosse stata autorizzata, sulla base di un decreto cautelare del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, ad entrare in acque territoriali italiane, fino al 20 agosto non le fu consentito lo sbarco nel porto di Lampedusa.

All'imputato ex Ministro dell'Interno (e ora Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti) è stato contestato, pertanto, di avere privato della libertà, per alcuni giorni, 107 migranti di varie nazionalità (tra cui minori di età) giunti in prossimità delle coste di Lampedusa, trattenendoli, in violazione di convenzioni internazionali e di norme interne in materia di soccorso in mare e di tutela dei diritti umani, sulla nave che li aveva salvati da un naufragio, e omettendo, senza giustificato motivo, di esitare positivamente le reiterate richieste di indicare il POS (place of safety) inoltrate al suo Ufficio di Gabinetto dalla competente autorità marittima di coordinamento, nonostante ciò dovesse essere fatto senza ritardo per ragioni di ordine, sicurezza pubblica, igiene e sanità.

Uno dei problemi fondamentali da risolvere per i Giudici, in questo caso, una volta individuato un chiaro obbligo a carico delle Autorità italiane, è se l'indicazione di un POS (luogo di sbarco sicuro) sia da qualificarsi come un atto amministrativo o un atto politico libero nei fini.

Qualora si tratti di un atto amministrativo, ovvero di un atto esecutivo di una complessa procedura stabilita a monte, adottato in coerenza con la pari dignità costituzionale delle norme internazionali convenzionali che stabiliscono il principio secondo cui la garanzia di incolumità e di rispetto dei diritti umani dei soggetti soccorsi in mare costituisce un obbligo non derogabile dall’autorità politica, il Ministro non avrebbe dovuto impedire che ai soggetti soccorsi in mare fosse offerto un luogo sicuro in cui avere riparo e in cui avvalersi immediatamente delle facoltà che il diritto internazionale loro consente (come ad esempio, la richiesta e l’ottenimento del diritto di asilo).

Quid iuris?

Non resta che aspettare la decisione finale dei Giudici aditi, perché soltanto a costoro, in un ordinamento democratico, spetta interpretare il dato giuridico decisivo, posto che in Italia il principio di indipendenza da ogni altro potere dei singoli giudici e della Magistratura nel suo complesso è stato sancito espressamente dalla Costituzione agli artt. 101, 104 e 111.

Comunque la si voglia vedere, si tratta, in ogni caso, di due vicende che hanno posto e pongono in grave tensione due poteri dello Stato, e che alimentano ulteriormente un caos istituzionale che deriva da troppi anni di diffidenza e reciproco sospetto, dall'incapacità di qualcuno di restare negli argini del rispetto delle regole e dall'insofferenza di qualche altro verso quelle stesse regole.

Di certo, e al di là dei casi di mala giustizia - da punire senza se e senza ma, con il massimo rigore -, non può "tenere" a lungo un sistema in cui a pagare siano sempre gli ultimi, unici non beneficiari di un ombrello del potere troppo ampio, costruito appositamente per ridurre drasticamente le capacità operative della magistratura.

Così come appare fin troppo ovvio che la politica non dovrebbe farsi (anche) sulla pelle di alcuni poveri disgraziati che fuggono dai loro Paesi per una vita migliore, sfidando umiliazioni, torture, discriminazioni e infine la morte.

Ecco, forse questo non bisognerebbe dimenticarlo mai, quando si disegnano azioni di contrasto all'immigrazione, né bisogna essere talmente arroganti e stupidi da pensare che noi non potremmo mai essere come loro, nelle loro stesse condizioni: i recenti disastri climatici ci consigliano prudenza nel disegnare lo scenario del nostro futuro e dei nostri figli, in un contesto in cui basta un'alluvione per sconvolgere la quotidianità.

E se mai dovessimo un giorno raccogliere in uno zaino le poche cose che ci sono rimaste e andare lontano alla ricerca di un nuovo inizio, una cosa che senz'altro ci augureremmo è quella di trovarvi un Giudice indipendente e terzo dinanzi al quale esporre le nostre ragioni umanitarie.






[1] In alcuni significativi passaggi contenuti nei volumi della "Storia della civiltà europea" a cura di Umberto Eco sono spiegate molto accuratamente le dinamiche correlate al fenomeno dell'immigrazione, di cui si dà sintetico conto nel presente articolo. Lo stesso Eco faceva una sottile distinzione tra migrazione e immigrazione, affermando che soltanto le prima è paragonabile ai fenomeni naturali, in quanto avviene in misura statisticamente rilevante rispetto al proprio gruppo d’origine: violente o pacifiche che esse siano, le migrazioni avvengono e nessuno le può controllare.

[2] Si legga, tra le altre, l'interessante motivazione del Tribunale di Catania, Sezione Immigrazione, del 4 novembre 2024.

[3] Per una ricostruzione più accurata della vicenda giuridica e fattuale da cui è scaturito il processo si veda anche il seguente contributo apparso su questo sito: https://www.primogrado.com/il-caso-open-arms-quando-la-politica-si-fa-processo