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Scissione societaria e abuso del diritto

Alma Chiettini • 13 novembre 2024

Cass. Civile, Sezione V, Sez. V, 29 ottobre 2024, n. 27870


L’abuso del diritto, o elusione, è figura che ricorre spesso nel diritto tributario. L’art. 10 bis della l. n. 212 del 2000, ai commi 1 e 2 prevede che, affinché un’operazione possa essere considerata abusiva, l’Amministrazione finanziaria deve identificare il congiunto verificarsi di tre presupposti costitutivi:

a) la realizzazione di un vantaggio fiscale “indebito”, costituito da benefici, anche non immediati, realizzati in contrasto con le finalità delle norme fiscali o con i principi dell’ordinamento tributario;

b) l’assenza di “sostanza economica” dell’operazione posta in essere consistente in fatti, atti e contratti, anche tra loro collegati, inidonei a produrre effetti significativi diversi dal vantaggio fiscale;

c) l’essenzialità del conseguimento di un “vantaggio fiscale”.

Con il successivo comma 3, il legislatore ha chiarito espressamente che non possono comunque considerarsi abusive quelle operazioni che, pur presentando i tre elementi sopra indicati, sono giustificate da valide ragioni extrafiscali non marginali (anche in ordine organizzativo o gestionale) che rispondono a finalità di miglioramento strutturale o funzionale dell’impresa o dell’attività professionale. Quanto alla ripartizione dell’onere probatorio:

- incombe sull’Amministrazione finanziaria la prova del disegno elusivo, nonché delle modalità di manipolazione e di alterazione degli schemi negoziali classici, considerati come irragionevoli in una normale logica di mercato e utilizzati solo per pervenire a quel risultato fiscale; 

- grava sul contribuente l’onere di allegare l’esistenza di ragioni economiche alternative, concorrenti, apprezzabili che giustifichino operazioni in quel modo strutturate, ragioni che possono consistere anche in esigenze di natura organizzativa e in un miglioramento strutturale e funzionale dell’azienda.

L’assenza di uno dei tre presupposti costitutivi dell’abuso determina un giudizio di assenza di abusività.

La Corte di cassazione afferma da tempo che:

- l’istituto trova il suo primo fondamento normativo nell’ordinamento unionale e nella giurisprudenza della Corte di Giustizia (Cassazione, sentenza n. 9135 del 2021); 

- per i tributi non armonizzati è enucleabile dai principi di capacità contributiva e di progressività dell’imposizione, codificati nell’art. 53 della Costituzione;

- si concretizza ogni qual volta si è in presenza di “una o più costruzioni di puro artificio che, pur se non contrastanti con alcuna specifica disposizione, sono realizzate al fine di eludere l’imposizione e sono prive di sostanza commerciale ed economica”;

- quando si è in presenza di risultati organizzativi ed economici raggiunti con operazioni e artifizi negoziali e con una “manipolazione funzionale degli strumenti giuridici utilizzati”, che non appaiono conformi a una normale logica di mercato, che non sono giustificabili in termini oggettivi e in base alla pratica comune degli affari (Cassazione, sentenza n. 27158 del 2021);

- il contribuente non può conseguire vantaggi fiscali mediante l’uso distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un’agevolazione o un risparmio d’imposta, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione diverse dalla mera aspettativa di quei benefici; 

- tale principio non contrasta con altro principio, quello della riserva di legge, perché non si traduce nell’imposizione di obblighi patrimoniali non derivanti dalla legge bensì nel disconoscimento degli effetti abusivi di negozi posti in essere al solo scopo di eludere l’applicazione di norme fiscali, con la conseguenza che questi ultimi sono inopponibili all’Amministrazione finanziaria (Cassazione, sentenza n. 14674 del 2024).

Ed è anche oramai pacifico che “la qualificazione giuridica del comportamento del contribuente in termini di elusione può essere operata anche d’ufficio nel corso del giudizio e prescinde dal rispetto degli oneri procedimentali a carico dell’Amministrazione, quali la richiesta di chiarimenti prima dell’emanazione dell’atto impositivo e la specifica motivazione dello stesso, poiché il negozio abusivo è sempre rilevabile d’ufficio dal giudice, anche in sede di legittimità" (Cassazione, sentenza n. 33793 del 2022).

L’istituto, nella sua applicazione al caso concreto, è spesso fonte di contenzioso, soprattutto nelle operazioni di fusione societarie nonché di liquidazione e recesso dei soci dalla partecipazione 

Con la sentenza qui segnalata la Corte di legittimità ha esaminato proprio una vicenda di scissione societaria che, in realtà, ha mascherato lo scioglimento della società e l’attribuzione ai due soci dell’immobile appartenente alla società scissa, contestualmente estinta.

Nell’occasione la Corte ha scritto un breve saggio sull’istituto della scissione quale operazione straordinaria di riorganizzazione aziendale in ambito societario: - perché nel 1991 sono stati introdotti gli artt. da 2504-septies a 2504-decies c.c. e poi gli agli artt. 2506 e ss. c.c. (in attuazione di direttive unionali); - le tipologie di scissione, totale (split up) o parziale (spin off); - la compatibilità con la messa in liquidazione della società, e anche con la sua sottoposizione a procedure concorsuali.

Ha quindi precisato “la piena legittimità di questa figura”, ma anche che il legislatore si è preoccupato di prevedere forme di tutela per i soci e per i terzi, in particolare per i creditori, “per le conseguenze sfavorevoli sulla garanzia patrimoniale del debitore che l’operazione in parola può talora comportare nel singolo caso concreto” (su questo tema vedasi Cass. civ., sez. III, 6.5.2021, n. 12047; Corte di Giustizia UE, 30.1.2020, in C-394/18).

E, quanto alla vicenda fattuale esaminata, ha evidenziato:

- che una s.r.l. fu costituita da due socie, due s.a.s., per acquistare un capannone immobiliare che fu subito concesso in comodato gratuito alle due socie, risultando in questo modo la s.r.l. “totalmente asservita - dal punto di vista organizzativo e gestionale - ai soci medesimi, pur risultando formalmente per i terzi un soggetto distinto ed autonomo”;

- che dopo due anni la s.r.l. fu posta in liquidazione.

È analizzando questo passaggio che la Corte ha affermato che “un comportamento fisiologico avrebbe dovuto registrare la predisposizione del bilancio di liquidazione e - quantomeno - il tentativo di alienazione dei beni residui allo scopo di pagare le passività sociali”. Invece, la s.r.l. “ha posto in essere una scissione non proporzionale di carattere estintivo, con l’attribuzione ai due soci della proprietà delle due frazioni immobiliari di cui gli stessi avevano in precedenza goduto, fruendo del regime fiscale di neutralità previsto dall’art. 173 del d.P.R. n. 917 del 1986" (ove è previsto che in caso di scissione per riorganizzazione aziendale finalizzata all'effettiva continuazione dell'attività imprenditoriale da parte di ciascuna società partecipante all'operazione, il passaggio del patrimonio della società scissa alle società beneficiarie, che non usufruiscano di un sistema di tassazione agevolato, non determina la fuoriuscita degli elementi trasferiti dal regime ordinario d'impresa).

Come conseguenza, la Corte ha osservato che, nel caso di specie, non è in discussione "che lo strumento giuridico della scissione sia pienamente lecito ed utilizzabile quale operazione straordinaria di riorganizzazione societaria”, bensì “l’uso di questo strumento da parte di una società che di fatto non ha svolto attività di impresa, limitandosi a concedere in godimento gratuito il proprio immobile ai soci e che, dopo essersi posta in liquidazione, mediante scissione ha attribuito ai soci medesimi il capannone precedentemente utilizzato senza corrispettivo, realizzando un consistente vantaggio fiscale”.

Con la precisazione che, data la complessità dell’operazione, lo scopo elusivo perseguito debba essere vagliato – dall’Amministrazione prima e dal Giudice poi – esaminando “non soltanto l’atto di scissione ma anche quelli precedenti e quelli successivi, al fine di verificare in modo non atomistico, bensì complessivamente considerato, se l’operazione avesse un fondamento economico o fosse rivolta essenzialmente a realizzare un vantaggio fiscale indebito”.


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