I tributi si distinguono essenzialmente in imposte e tasse, a seconda che si tratti di entrate destinate a finanziare le spese indivisibili o di entrate destinate a finanziare spese divisibili.
Il presupposto dell’imposta è un fatto economico posto in essere dal soggetto passivo, senza alcuna relazione specifica con una determinata attività dell’ente pubblico.
Le imposte sono dovute a titolo di solidarietà, ex artt. 2 e 53 della Costituzione, e sono commisurate alla dimensione economica del presupposto.
Le principali imposte del nostro ordinamento sono:
- l’imposta sul reddito delle persone fisiche;
- l’imposta sul reddito delle società;
- l’imposta sul valore aggiunto;
- l’imposta di registro;
- l’imposta ipotecaria e catastale;
- l’imposta sulle assicurazioni;
- l’imposta sulle successioni e donazioni;
- l’imposta di bollo;
- l’imposta regionale sulle attività produttive;
- l’imposta unica comunale.
IRPEF
Le norme fondamentali di tale tributo sono contenute nel testo unico approvato con il d.P.R. n. 917 del 1986.
Presupposto dell’imposta è il possesso di redditi, in denaro o in natura, rientranti in una delle categorie indicate nell’art. 6 di tale testo unico (redditi fondiari, redditi di capitale, redditi di lavoro dipendente, redditi di lavoro autonomo, redditi di impresa, redditi diversi).
L’imposta si applica su tutti i redditi posseduti, per le persone fisiche residenti nel territorio dello Stato; sui soli redditi prodotti nello Stato, per le persone fisiche non residenti nel territorio dello Stato.
A tali fini, sono considerati residenti coloro che per la maggior parte del periodo d’imposta sono iscritti nelle anagrafi della popolazione residente, hanno il domicilio o la residenza nel territorio dello Stato, ai sensi dell’art. 43 del codice civile.
Per i “residenti” – così come estensivamente intesi dalla normativa tributaria – l’imposta si applica sul reddito complessivo del soggetto, al netto degli oneri deducibili indicati dall’art. 10 del testo unico, nonché della deduzione spettante per l’abitazione principale.
Sono esclusi dall’ammontare imponibile i redditi soggetti a tassazione separata (cioè redditi maturati in archi temporali piuttosto lunghi ma percepiti in un unico periodo d’imposta, tipo le indennità percepite per cessazione del rapporto di lavoro dipendente).
Non concorrono in ogni caso alla formazione della base imponibile, tra l’altro, i redditi esenti dall’imposta, soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta o ad imposta sostitutiva, gli assegni periodici destinati al mantenimento dei figli e gli assegni familiari.
Il reddito complessivo annuo è dato dalla somma dei redditi netti di ogni categoria, diminuita dalle perdite derivanti dall’esercizio di arti e professioni.
Tra le singole categorie di redditi, sono di interesse le seguenti precisazioni:
- per il reddito dei fabbricati, posto che sono considerate unità immobiliari urbane i fabbricati e le altre costruzioni stabili o le loro porzioni suscettibili di reddito autonomo, e che il reddito medio ordinario dei fabbricati è determinato secondo la rendita catastale risultante in catasto per le unità immobiliari, il reddito per le unità locate è costituito dal canone di locazione ridotto del 5%, salvo che il proprietario non opti per l’applicazione di un’imposta sostitutiva tramite cedolare secca, con aliquota normalmente al 21%, che è appunto sostitutiva, oltre che dell’Irpef, anche dell’imposta di registro e di bollo dovute sul contratto di locazione nonché sulla risoluzione o sulle proroghe dello stesso;
- i redditi di capitale sono proventi in denaro o in natura derivanti dall’impiego di denaro o di altri beni, non sono percepiti nell’esercizio di attività di imprese e sono generalmente tassati alla fonte, in base al principio d’imputazione per cassa (aliquota del 26%);
- i redditi di lavoro sono omnicomprensivi e tassati con il criterio di cassa e mediante ritenuta alla fonte operata dal sostituto d’imposta (datore di lavoro) o, per le amministrazioni statali, attraverso il meccanismo della ritenuta diretta in acconto (non vi è un sostituto d’imposta che trattiene per lo Stato, ma è lo Stato stesso che effettua direttamente il prelievo);
- assieme ai redditi di lavoro dipendente sono assimilati altri tipi di compensi non derivanti da vero e proprio lavoro subordinato (ad esempio, indennità parlamentari, somme corrisposte a titolo di studio, trattamento speciale di disoccupazione);
- i redditi di lavoro autonomo derivano dall’esercizio di arti o professioni – cioè attività di lavoro autonomo diversa da quella d’impresa, anche se esercitate in forma di associazione priva di personalità giuridica -, mentre i redditi di impresa sono quelli che derivano dall’esercizio professionale e abituale, anche se non esclusivo, di attività commerciale;
- i redditi diversi sono tutti quei redditi che non rientrano nelle altre categorie, in quanto privi di uno dei requisiti propri di tali categorie (ad esempio, esercizio non abituale di attività di lavoro autonomo, plusvalenze derivanti dalla cessione a titolo oneroso dei beni immobili acquistati da non più di cinque anni).
Per determinare il reddito complessivo netto ai fini IRPEF occorre calcolare il reddito complessivo lordo (somma dei singoli redditi percepiti, con esclusione di quelli soggetti a ritenuta alla fonte o ad imposta sostitutiva o a tassazione separata), sottrarre da tale reddito il valore gli oneri deducibili (ad esempio, assegni periodici corrisposti al coniuge e contributi assistenziali e previdenziali obbligatori per legge), dedurre interamente l’imposta che sarebbe dovuta a titolo di rendita catastale per l’unità immobiliare adibita ad abitazione principale e applicare a tale reddito l’imposta lorda, dalla quale va infine sottratta la somma spettante a titolo di detrazioni per oneri sostenuti (ad esempio, detrazioni per carichi di famiglia e detrazioni per spese mediche e funerarie, etc.).
IRES
E’ un imposta personale che colpisce con aliquota proporzionale (24%) la capacità contributiva totale, ossia il reddito delle persone giuridiche ed enti assimilati (società ed enti di ogni tipo) residenti in Italia.
Non sono soggetti a tale imposta gli organi e le amministrazioni dello Stato, i Comuni, le Unioni di Comuni, i consorzi tra enti locali, le comunità montane, le Province e le Regioni.
Si considerano residenti in Italia le società e gli enti che per la maggior parte del periodo d’imposta hanno la sede legale o amministrativa o l’oggetto principale della loro attività nel territorio dello Stato; gli altri soggetti non considerabili come residenti sono tassati per il reddito prodotto nel territorio nazionale.
La base imponibile è costituita dal reddito complessivo netto determinato con i criteri distintamente previsti per il particolare tipo di società, enti e imprese elencati dal TUIR.
Una disciplina fiscale a parte è prevista per le società di comodo o non operative, che sono considerate le società di capitale o le società di persone – fatta eccezione per le società semplici – nonché le società e gli enti di ogni tipo non residenti, con stabile organizzazione nel territorio dello Stato, i cui ricavi, aumentati delle rimanenze e dei proventi quali emergono dal conto economico, sono inferiori alla somma degli importi che risultano applicando le percentuali previste dall’art. 30 della legge n. 724 del 1994.
Le ONLUS (enti del terzo settore, quali organizzazioni di volontario, di promozione sociale, enti filantropici, cooperative sociali) sono soggetti che godono di esenzioni e di agevolazioni fiscali se perseguono, senza scopo di lucro, finalità civiche, solidaristiche o di utilità sociale, e le cui attività di interesse generale si considerano di natura non commerciale quando sono svolte a titolo gratuito o dietro versamento d corrispettivi che non sperano i costi effettivi, con ricavi che non superano di oltre il 5% i relativi costi per ciascun periodo d’imposta e per non oltre due periodi d’imposta consecutivi.
IVA
L’imposta sul valore aggiunto colpisce le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate nel territorio dello Stato nell’esercizio dell’impresa, di arti o professioni e le importazioni da chiunque effettuate.
L’IVA colpisce soltanto la parte di incremento di valore che il bene subisce nelle singole fasi di produzione e distribuzione, fino a incidere totalmente sul consumatore finale, che corrisponderà l’intera imposta.
Affinchè un’operazione sia rilevante ai fini dell’applicazione dell’IVA è necessario che l’effettuazione sia operata nel territorio dello Stato, e che tale operazione sia svolta nell’esercizio di imprese o di arti o professioni.
Non si considerano attività d’impresa, ai fini IVA, le cosiddette attività di mero godimento.
I soggetti passivi o debitori d’imposta sono coloro che effettuano le operazioni imponibili (chi effettua ad esempio cessioni di beni o prestazioni di servizi nell’esercizio di una impresa; questi in realtà sono soltanto percossi dal tributo mentre i contribuenti di fatto o incisi sono i consumatori finali che versano l’IVA ma non possono recuperala in alcun modo).
L’acquirente, comunque, ivi compreso il consumatore privato, è chiamato a rispondere solidalmente con il venditore dell’omesso versamento da parte di quest’ultimo dell’imposta relativa di una cessione effettuata a prezzi inferiori rispetto al valore normale.
L’obbligazione tributaria nasce ordinariamente nel momento della stipulazione dell’atto per le cessioni di beni immobili, nel momento della consegna o spedizione per le cessioni di beni mobili, nel momento del pagamento del corrispettivo per le prestazioni di servizi.
L’effettuazione dell’operazione configura il presupposto d’imposta, ma l’esigibilità si ha dal momento in cui nasce il diritto del fisco alla percezione del tributo.
Secondo il d.P.R. n. 633 del 1972 (testo unico in materia IVA) l’imposta diventa esigibile quando le operazioni sono state o si considerino effettuate.
Tuttavia, per i soggetti IVA con volume d’affari inferiore a 2 milioni di euro, è possibile esercitare un’opzione per rendere esigibile l’IVA in via differita, ovvero al momento del pagamento del corrispettivo (IVA per cassa).
Oltre alle operazioni imponibili, in materia di IVA, esistono le operazioni non imponibili, che sono soggette agli obblighi di fatturazione e registrazione, concorrono alla formazione del volume di affari ma non sono assoggettate al tributo e consentono di recuperare l’IVA pagata a monte (ad esempio, cessioni destinate all’esportazione); vi sono poi le operazioni esenti, in relazione a motivi di carattere sociale, politico o fiscale (ad esempio servizi di trasporto pubblici, prestazioni sanitarie e scolastiche, locazioni immobiliari), che sono soggette agli obblighi di fatturazione e registrazione, concorrono alla formazione del volume di affari ma non sono assoggettate al tributo e non consentono di recuperare l’IVA pagata a monte su acquisti e spese; vi sono infine le operazioni escluse, che non sono nel campo IVA (in quanto non considerate cessioni di beni o prestazioni di servizi, come le cessioni di danaro o di campioni gratuiti di modico valore).
Vi sono poi gli acquisiti intracomunitari, disciplinari allo stato dal principio della tassazione del Paese di destinazione.
La base imponibile è costituita dall’ammontare complessivo dei corrispettivi previsti contrattualmente, compresi gli oneri accessori, mentre le aliquote sono variabili a seconda del bene o della prestazione coinvolti dall’operazione (si va dall’aliquota ridotta del 4% all’aliquota ordinaria del 22%).
Il meccanismo applicativo dell’IVA prevede che chi cede il bene o servizio imponibile riscuote dal cliente sia il prezzo pattuito che l’IVA, emettendo all’atto dell’operazione un apposito documento fiscale (fattura per i grossisti, ricevuta fiscale o scontrino per i professionisti e i dettaglianti).
Alle scadenze previste (mensilmente o trimestralmente) il soggetto passivo deve detrarre dall’IVA ricevuta quella pagata e versare il saldo all’erario mediante delega ad una banca. A scadenza dell’anno solare lo stesso soggetto effettua una dichiarazione riepilogativa di tutte le somme incassante e corrisposte, calcolando il saldo finale d’imposta da versare o ricevere dall’erario.
I termini relativi alla liquidazione e contestuale versamento dell’imposta sono fissati al giorno 16 del mese successivo a quello a cui si riferisce la liquidazione se questa avviene mensilmente, e al giorno 16 del secondo mese successivo a quello a cui si riferisce la liquidazione, se questa avviene trimestralmente.
Nella dichiarazione, da redigersi in conformità al modello approvato ogni anno dall’Agenzia delle entrate, devono risultare dati ed elementi idonei all’individuazione del contribuente, a determinare l’ammontare delle operazioni e dell’imposta e a porre in essere i controlli; la dichiarazione annuale IVA deve essere presentata tra il primo febbraio e il 30 aprile dell’anno successivo, ed è oggi agevolata dalla dichiarazione IVA precompilata, resa possibile dalle informazioni acquisite attraverso le comunicazioni periodiche dei dati IVA, la fatturazione elettronica e la trasmissione telematica degli scontrini.
La differenza tra l’ammontare dell’imposta dovuta in base alla dichiarazione annuale e l’ammontare dei versamenti effettuati nel corso dell’anno precedente (cosiddetto conguaglio) deve essere versata in un’unica soluzione entro il 16 marzo di ciascun anno.
Se si genera un’eccedenza di imposta versata superiore a 2.582,28 euro il contribuente può chiedere il rimborso di tale eccedenza, altrimenti il relativo importo viene computato in detrazione nell’anno successivo o compensato con altre imposte dovute in base a dichiarazione unificata o a versamenti periodici.
I soggetti IRES possono non tenere i registri IVA purchè effettuino le registrazioni dei dati contabili nel registro cronologico, entro i termini previsti dalla disciplina IVA, e forniscano su richiesta dell’amministrazione finanziaria i dati contabili che sarebbe stato necessario annotare nei registri non tenuti; tutti gli altri soggetti passivi dell’IVA – fatta eccezione per i contribuenti minimi (ai quali si applica un regime forfettario, se hanno, in un anno, conseguito ricavi o percepiti compensi non superiori a 65.000,00 euro) – devono tenere il registro delle vendite con fatture o, in alternativa, il registro dei corrispettivi, e il registro degli acquisti.
IMPOSTA DI REGISTRO
L’imposta di registro è un’imposta reale indiretta sugli affari, che colpisce con aliquote a volte fisse (e in questo caso si atteggia come una vera e propria tassa) e a volte proporzionali al valore dell’atto registrato, la capacità contributiva che si deduce da atti di scambi della ricchezza, nonché da atti giuridici negoziali di vario genere, così come individuati nella tariffa allegata al d.P.R. n. 131 del 1986.
In linea generale, la registrazione può essere a termine fisso (entro venti giorni dalla formazione dell’atto), e ricomprende, oltre a tutti gli atti scritti, i contratti verbali di locazione e affitto di beni immobili; in caso d’uso (se l’atto deve essere registrato quando viene depositato, per essere poi acquisito presso le cancellerie giudiziarie o presso le pubbliche amministrazioni); volontaria (atti non soggetti a registrazione obbligatoria).
La base imponibile è il corrispettivo dichiarato nell’atto ovvero il valore dei beni o dei diritti alla data dell’atto, a seconda dell’oggetto del singolo atto stipulato.
I soggetti passivi dell’imposta sono coloro che pongono in essere o che si avvantaggiano dell’atto soggetto a registrazione, pur sussistendo una serie di obblighi – tra cui quello di registrazione - per altri soggetti individuati dalla legge, in qualità di responsabili solidali con l’obbligato principale, quali ad esempio, i notai, i cancellieri, i mediatori iscritti negli agenti immobiliari per le scritture private non autenticate di natura negoziale stipulate a seguito della loro attività per la conclusione degli affari.
Per le operazioni soggette ad IVA, le scritture private si registrano solo in caso d’uso e comunque in misura fissa., il che vuole dire che normalmente gli atti negoziali che fanno scattare l’imposta sul valore aggiunto non determinano alcun obbligo di registrazione ai fini dell’imposta di registro.
All’atto della registrazione obbligatoria, in ogni caso, l’ufficio procedente deve applicare l’imposta valutando quale sia l’intrinseca natura dell’atto e quali effetti intenda produrre, anche se la forma apparente dell’atto o il titolo dello stesso indichino una diversa natura, ai sensi dell’art. 20 del d.P.R. n. 131 del 1986.
Se l’Ufficio procedente ritiene che il valore venale dei beni o diritti sia superiore a quello dichiarato provvede alla rettifica nonché alla liquidazione della maggiore imposta con gli interessi e le sanzioni mediante notificazione di apposito avviso entro due anni dal pagamento dell’imposta principale (tale tipologia di imposta deve a sua volta essere tenuta distinta dall’imposta suppletiva, dovuta ad errore di calcolo dell’ufficio procedente, e dalla imposta complementare, integrativa della principale per acquisizione di ulteriori dati utili).
L’accertamento in rettifica è in ogni caso nullo se non adeguatamente motivato.
IMPOSTA SULLE SUCCESSIONI E SULLE DONAZIONI
L’imposta in questione si applica, oltre che ai trasferimenti mortis causa e alle liberalità tra vivi, anche alla costituzione di vincoli di destinazione.
Sono espressamente escluse dall’imposta le erogazioni liberali per spese di mantenimento, educazione, malattia, nozze e abbigliamento, oltre che le donazioni di beni mobili di modico valore, da valutare in rapporto alla disponibilità economica generale del donante e del donatario.
Se il defunto o il donante risiedeva all’estero al momento dell’apertura della successione o della donazione, l’imposta è dovuta limitatamente ai beni e diritti esistenti in Italia.
Per le successioni l’obbligazione tributaria sorge con la semplice apertura della successione, i soggetti passivi sono eredi e legatari e la base imponibile è costituita dal valore delle quote ereditarie e dei legati, dato dalla differenza tra il valore dei beni e dei diritti che compongono la singola quota o il singolo legato, e l’ammontare delle passività e degli altri oneri ammessi in deduzione in ragione della quota di spettanza di ognuno, con una franchigia di 1.000.000 di euro per il coniuge e i parenti in linea retta, e due aliquote che variano tra il 4 e l’8% a seconda del grado di parentela coinvolto.
Nel caso delle donazioni, l’obbligazione sorge con la stipula dell’atto, soggetto passivo è il beneficiario e base imponibile è il valore globale dei beni o diritti oggetto della donazioni, con le medesime franchigie stabilite per l’imposta sulle successioni a valore del coniuge e dei parenti in linea retta.
IMPOSTA DI BOLLO
L’imposizione tramite “imposta di bollo” è rappresentativa di un’imposta quando è riservata ai trasferimenti per atti tra vivi e una tassa quando si tratta di corrispettivo pagato per i servizi resi dallo Stato (secondo la tariffa allegata al d.P.R. n. 642 del 1972, che si divide tra atti, documenti e registri soggetti all’imposta fin dall’origine e medesimi atti soggetti all’imposta solo in caso d’uso).
L’imposta viene assolta normalmente mediante acquisto di valori bollati e dunque suo presupposto essenziale è l’esistenza della carta (si parla al riguardo anche di imposta cartolare); può essere fissa o proporzionale ed è sostituita dal contributo unificato per gli atti e i provvedimenti dei processi civili, amministrativi e tributari.
Può essere versata o in modo virtuale (pagamento su apposito conto) o mediante pagamento ad intermediario convenzionato con l’Agenzia delle entrate, che rilascia con modalità telematiche un contrassegno sostitutivo delle marche da bollo.
Una particolare imposta di bollo è quella sostitutiva dell’imposta ordinaria sulle comunicazioni relative ai depositi di titoli, che si applica sul valore di mercato risultante dalle comunicazione inviate dagli intermediari residenti relativamente ai prodotti e agli strumenti finanziari, ed ammonta dal 2014 al 2 per mille annuo.
Soggetti passivi sono solidalmente coloro che partecipano o hanno interesse all’atto, o comunque coloro che, in qualsiasi momento, accettano o fanno uso dell’atto.
Nei rapporti interni valgono le norme di natura civilistica.
IRAP
L’imposta regionale sulle attività produttive è un’imposta a carattere reale, il cui presupposto è l’esercizio abituale di un’attività autonomamente organizzata diretta alla produzione e allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi. Sono comunque soggette ad IRAP le società e gli enti, compresi gli organi e le amministrazioni dello Stato, indipendentemente dall’attività svolta, e anche in caso di svolgimento esclusivo di pubbliche funzioni.
Il requisito dell’autonoma organizzazione - essenziale per far scattare l’imposta, se non si tratta di società o enti – ricorre quando il contribuente sia il responsabile dell’organizzazione e impieghi beni strumentali eccedenti il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività, ovvero si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui.
Specifiche disposizioni sono state previste per il medico che abbia sottoscritto apposite convenzioni con le strutture ospedaliere per lo svolgimento della professione all'interno di tali strutture, dall’art. 2 del d.lgs. n. 446 del 1997.
La Corte Costituzionale ha affermato che il presupposto che giustifica il prelievo IRAP non sussiste nel caso di un’attività professionale svolta in assenza di elementi di organizzazione, in quanto l’’IRAP non è un’imposta sui redditi ma un’imposta che colpisce con carattere di realità un fatto economico, diverso dal reddito, comunque espressivo di capacità di contribuzione in capo a chi, in quanto organizzatore dell’attività, è autore delle scelte dalle quali deriva la ripartizione della ricchezza prodotta tra i diversi soggetti che, in varia misura, concorrono alla sua creazione. L’IRAP colpisce, dunque, non il reddito personale del contribuente, bensì il valore aggiunto prodotto dalle attività autonomamente organizzate. Mentre l’elemento organizzativo è connaturato alla nozione stessa d’impresa, altrettanto non può dirsi per quanto riguarda l’attività di lavoro autonomo, ancorché svolta con carattere di abitualità, nel senso che è possibile ipotizzare un’attività professionale svolta in assenza di organizzazione di capitale o lavoro altrui, e nel caso di un’attività professionale che fosse svolta in assenza di elementi di organizzazione risulterà mancante il presupposto stesso dell’imposta sulle attività produttive, per l’appunto rappresentato, secondo l’articolo 2, dall’esercizio abituale di un’attività autonomamente organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi, con la conseguente inapplicabilità dell’imposta stessa.
L’elemento dell’autonoma organizzazione per l’assoggettamento all’IRAP è ritenuto imprescindibile dalla giurisprudenza di legittimità, in quanto se la norma fosse accolta nel senso di ritenere applicabile l’imposta anche nel caso d’inesistenza del suddetto elemento oggettivo, risulterebbero violati i principi di eguaglianza e di capacità contributiva.
Il requisito dell’autonoma organizzazione non può essere inteso in senso meramente soggettivo, ma deve essere inteso necessariamente in senso oggettivo, non solo perché l’elemento dell’autonomia, se recepito in senso soggettivo, si risolve in una mera tautologia (il professionista è autonomamente organizzato perché è un soggetto capace di organizzazione autonoma), ma soprattutto perché è l’unica interpretazione ‘costituzionalmente orientata’.
E’ proprio la presenza di un “differenziale” di arricchimento prodotto dalla struttura organizzativa, rispetto a quanto riconducibile all’impiego di risorse individuali, a determinare l’assoggettabilità all’IRAP.
Sotto altro profilo, l’IRAP, a differenza dell’IVA, non può essere ritenuta un’imposta sulla cifra d’affari (così anche la Corte di Giustizia dell’Unione europea), in quanto non è necessariamente proporzionale al prezzo dei beni o dei servizi forniti, comprendendo per il suo calcolo elementi che non hanno un rapporto diretto con le forniture di beni o servizi in quanto tali, e non è strutturata in modo da essere posta a carico del consumatore finale nel modo tipico dell’IVA, in quanto è impossibile per costui stabilire in modo preciso quanto incida l’IRAP sul prezzo finale del bene o servizio acquistato.
L’IRAP è stata prevista per assicurare l’autonomia finanziaria delle Regioni e la sua base imponibile è infatti costituita dal valore della produzione netta derivante dall’attività esercitata nel territorio della Regione.
Tale valore è calcolato sulla base delle risultanze del bilancio, con criteri specifici per ciascuna categoria di soggetti passivi (ad esempio, per le società ed enti commerciali, il valore della produzione netta è dato dalla differenza tra il valore della produzione di cui alla lett. A del e i costi di produzione di cui alla lett. B del conto economico, con esclusione di alcuni voci, la più rilevante delle quali è normalmente costituita dalle spese per il personale di cui alla voce B.9, secondo il valore iscritto in bilancio).
Per tutte le categorie di contribuenti, in ogni caso, è possibile dedurre dalla base imponibile alcuni costi tipicamente connessi al personale, quali contributi per le assicurazioni obbligatorie contro gli infortuni sul lavoro.
L’imposta è determinata applicando al valore della produzione netta l’aliquota ordinaria del 3,9%, ma tale aliquota può essere variata in aumento o in diminuzione entro un determinato “range” dalle singole Regioni.
Per ogni periodo di imposta i soggetti passivi IRAP devono presentare apposita dichiarazione nella quale indicare i componenti del valore della produzione netta, anche se non ne consegue alcun debito d’imposta, direttamente alla Regione o alla Provincia autonomia di domicilio fiscale del soggetto passivo.
IMU
L’imposta municipale propria è diventata, dal 2014, una delle tre componenti dell’imposta unica comunale, insieme alla TASI e alla TARI.
Dal primo gennaio 2020 è stata statuita una nuova imposta patrimoniale che ha unificato IMU e TASI, e che trova regolamentazione nei commi da 739 a 783 della L. n. 160 del 2019.
L’IMU non si applica alle abitazioni principali, ad accezione di quelle di pregio, ed è deducibile integralmente, dal 2022 in poi, dall’imposta assolta sugli immobili strumentali di imprese e professionisti.
Peraltro, la Corte costituzionale ha recentemente censurato la norma che aveva stabilito che per dato intevallo temporale l’IMU fosse indeducibile dall’imponibile dell’IRES.
Infatti, secondo la Corte, la deducibilità in esame, rispondendo a finalità intrinseche al prelievo, non si pone sul piano delle agevolazioni fiscali propriamente dette, che sono dettate da finalità extrafiscali e rispetto alle quali vi è un’ampia discrezionalità (purché non trasmodi in palese irrazionalità e arbitrarietà) in capo al legislatore.
La deducibilità de qua attiene, invece, a quegli istituti tributari nei quali è «ravvisabile la prevalenza di un carattere strutturale, dal momento che la sottrazione all’imposizione (o la sua riduzione) è resa necessaria dall’applicazione coerente e sistematica del presupposto del tributo».
La deducibilità dell’IMU dall’imponibile dell’IRES assume natura strutturale in quanto il legislatore ha espressamente individuato il presupposto dell’IRES nel possesso di un «reddito complessivo netto» (art. 75, comma 1, TUIR); ciò a differenza di quanto ha invece stabilito per alcune categorie di reddito, come, ad esempio, i redditi di lavoro dipendente, che sono computati al lordo, senza deduzione (analitica) dei costi di produzione.
Costituisce inoltre principio imprescindibile della determinazione del reddito d’impresa quello di inerenza del costo da portare in deduzione.
Nella sua formulazione essenziale, il principio di inerenza dei costi deducibili si ricava dalla nozione di reddito d’impresa ed esprime una correlazione tra costi ed attività d’impresa in concreto esercitata, traducendosi in un giudizio di carattere qualitativo, che prescinde, in sé, da valutazioni di tipo utilitaristico o quantitativo: tale principio da un lato definisce e dall’altro delimita, escludendo i costi che si collocano in una sfera estranea all’esercizio dell’impresa, l’area dei costi che concorrono al reddito tassabile.
Da tale principio il legislatore non può arbitrariamente prescindere: questo infatti costituisce il presidio della verifica della ragionevolezza delle deroghe rispetto all’individuazione di quel reddito netto complessivo che il legislatore stesso ha assunto a presupposto dell’IRES.
L’ampia discrezionalità del legislatore tributario nella scelta degli indici rivelatori di capacità contributiva non si traduce in un potere discrezionale altrettanto esteso nell’individuazione dei singoli elementi che concorrono alla formazione della base imponibile, una volta identificato il presupposto d’imposta: quest’ultimo diviene, infatti, il limite e la misura delle successive scelte del legislatore.
È del resto principio consolidato nella giurisprudenza costituzionale che il controllo in ordine alla lesione dei principi di cui all’art. 53 Cost., come specificazione del fondamentale principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost., si riconduce a un giudizio sull’uso ragionevole, o meno, che il legislatore stesso abbia fatto dei suoi poteri discrezionali in materia tributaria, al fine di verificare la coerenza interna della struttura dell’imposta con il suo presupposto economico.
Quindi, con riferimento all’IRES, una volta che il legislatore nella sua discrezionalità abbia identificato il presupposto nel possesso del «reddito complessivo netto», scegliendo di privilegiare tra diverse opzioni quella della determinazione analitica del reddito, il legislatore stesso non può, senza rompere un vincolo di coerenza, rendere indeducibile un costo fiscale chiaramente e interamente inerente.
Il presupposto dell’IMU è dato dal possesso di immobili (fabbricati, aree fabbricabili o terreni agricoli siti nel terreno dello Stato) che non siano, come detto, abitazioni principali, per tali intendendosi l’immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore e il suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente.
I soggetti passivi dell’IMU sono proprietari di immobili o di altri diritto reale che implichi il godimento dell’immobile stesso, e la base imponibile è costituita, per i fabbricati iscritti in catasto, dalle rendite catastali, rivalutate del 5%, e moltiplicate per coefficienti prestabiliti e variabili a seconda del gruppo catastale di riferimento, mentre per le aree fabbricabili la base imponibile è rappresentata dal valore commerciale dell’immobile al primo gennaio dell’anno di imposizione.
L’aliquota di base dell’imposta è pari allo 0.86%, con possibilità di aumento entro un determinato valore o di azzeramento da parte dei singoli Comuni.
I soggetti passivi devono presentare la dichiarazione entro il 30 giugno dell’anno successivo a quello in cui è sorto il presupposto impositivo e l'imposta va rapportata, in fase di versamento (due rate, di cui la seconda entro il 16 dicembre), proporzionalmente alla quota e ai mesi di possesso dei beni immobili oggetto di tassazione.
L’IMU sostituisce l’IRPEF sui redditi di terreni e fabbricati soltanto quando questi non risultino locati, salvo che nell’ipotesi in cui tale bene si trovi nello stesso Comune in cui si trova l’abitazione principale, nel qual caso sarà assoggettato a IRPEF nella misura del 50%.
L’IMU non è infine deducibile dall’IRAP.