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L'avviso di accertamento

dalle Lezioni... • 12 aprile 2021

Il procedimento di applicazione delle imposte fa parte della più generale attività dell’amministrazione finanziaria.

Si tratta di un‘attività vincolata, sottoposta al principio di legalità sostanziale, in quanto la legge regola i contenuti dei suoi provvedimenti, ai sensi dell’art. 23 della Costituzione, e trae ulteriori regole di comportamento dalla L. n. 241 del 190 (anche se non le si applicano le norme ivi previste in materia di partecipazione al procedimento e di accesso) e dallo Statuto dei diritti del contribuente, oltre che dalle specifiche disposizioni inerenti ai singoli tributi.

Le norme legislative sui procedimenti tributari devono peraltro essere interpretate e integrate in base a principi che si traggono dalla Costituzione, dalla CEDU e dati Trattati UE (tra cui la Carta dei diritti fondamentali dell’UE), tra i quali degni di nota sono il principio del contraddittorio, l’obbligo di motivazione, il principio di proporzionalità, il principio di buona fede e la tutela del legittimo affidamento.

L’attività dell’amministrazione non è soltanto di tipo autoritativo, sussistendo nell’ordinamento anche alcuni istituti di tipo “collaborativo” come l’interpello, la conciliazione e l’accertamento con adesione, ma inizia sempre di ufficio, dovendo considerarsi la dichiarazione tributaria non come un atto di avvio del procedimento ma come assolvimento di un obbligo imposto dalla legge.

L’atto di imposizione può essere anche un atto solitario e o si conclude con la notifica di un atto impositivo o senza l’emanazione di alcun provvedimento, non sussistendo nella prassi dell’amministrazione finanziaria la conclusione del procedimento con un provvedimento espresso, come previsto dall’art. 2 della L. n. 241 del 1990.

L’avviso di accertamento – atto di imposizione conclusivo del procedimento – è espressione di un potere vincolato, e può essere viziato o relativamente al presupposto di fatto o relativamente ai profili di legittimità, ma mai sotto il profilo dell’opportunità.

L’avviso consta di due parti, la motivazione e il dispositivo (anche detto parte precettiva) e deve recare, ai sensi del d.P.R. n. 600 del 1973 in materia di imposte sui redditi, l’indicazione dell’imponibile o degli imponibili accertati, delle aliquote applicate e delle imposte liquidate, al lordo e al netto delle detrazioni, delle ritenute di acconto e dei crediti di imposta.

Ciò che è essenziale e indefettibile è comunque la determinazione dell’imponibile, anche se esistono alcuni esempi di avviso senza imposta, in cui l’avviso vale solo ai fini della successiva determinazione dei redditi degli associati (ad esempio, con riferimento alle associazioni professionali).

Nell’IVA, l’avviso di accertamento può contenere una nuova determinazione non solo dell’imposta dovuta, ma anche dell’imposta detraibile o rimborsabile.

Nell’imposta di registro, la rettifica ha ad oggetto il valore venale dei beni o diritti sui quali deve essere applicato il tributo.

In ogni caso, di regola, gli avvisi di accertamento contengono anche l’irrogazione delle sanzioni amministrative collegate al tributo. 

Se l’avviso non è sottoscritto dal capo dell’ufficio o da altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato, è nullo; tale sottoscrizione è infatti considerata come essenziale garanzia per il contribuente.

La motivazione dell’avviso deve essere chiara – secondo lo Statuto dei diritti del contribuente - e concernere sia i presupposti di fatto che le ragioni giuridiche che lo hanno determinato, facendo distinto riferimento ai singoli redditi della varie categorie e specifica indicazione dei fatti e delle circostanze che giustificano il ricorso a metodi induttivi o sintetici e delle ragioni del mancato riconoscimento di deduzioni e detrazioni.

In campo IVA, è prevista la nullità dell’avviso in caso di mancata specifica indicazione delle omissioni e falsità o inesattezze rilevate, o di mancata indicazione degli elementi probatori di tali omissioni e inesattezze, o ancora la mancata indicazione dei fatti certi che danno fondamento alle deduzione presuntive.

Se il contribuente interviene nel procedimento prima dell’emanazione dell’avviso di accertamento, sorge un obbligo di motivazione ("rafforzato") che tenga conto anche delle allegazioni difensive del contribuente stesso.

L’avviso di accertamento assume denominazioni diverse a seconda del metodo con cui viene determinato l’imponibile, con differenze ulteriori tra imposta e imposta e tra accertamento del reddito complessivo e accertamento dei singoli redditi.

Il reddito delle persone fisiche può essere ricostruito analiticamente, quando sono note le fonti del reddito, oppure sinteticamente, cioè desumendolo dalle spese sostenute, previo contraddittorio.

In questo secondo caso, si mette a confronto il reddito dichiarato e quello accertabile in via sintetica, con un metodo che ha carattere presuntivo, e che dunque è ammissibile soltanto quando il reddito accertabile eccede di almeno un quinto quello dichiarato.

In pratica, si prende in considerazione tutto ciò che il contribuente e il suo nucleo familiare hanno speso nel periodo di imposta più la cosiddetta quota di risparmio, presumendo che vi sia reddito imponibile non dichiarato se la somma tra questi due valori sia superiore al reddito netto dichiarato; ci si può avvalere anche del redditometro, che costituisce un accertamento standardizzato, con presunzioni semplici – tratte da analisi di campioni significativi di contribuenti – che devono essere dimostrate di volta in volta dagli uffici del fisco, e che possono essere smentite da allegazioni e documentazioni contrarie prodotte dal contribuente.

Per quanto riguarda i redditi di impresa, occorre distinguere tra accertamento analitico-contabile (che si effettua determinando o rettificando singole componenti attive o passive del reddito), e l’accertamento analitico-induttivo, che è basato su presunzioni semplici, purché queste siano gravi, precise e concordanti, nel caso di attività non dichiarate o inesistenza di passività dichiarate, o ancora nel caso di gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi, i corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, ovvero dagli studi di settore.

Questi due tipi di accertamento (analitico-contabile e analitico-induttivo) presuppongono entrambi, peraltro, che la contabilità di impresa sia attendibile, nel suo complesso.

Ma quando tale attendibilità non sussista, sulla base di prove circostanziate circa le irregolarità contabili riscontrate nel caso specifico, l’ufficio può procedere ad accertamento induttivo extra-contabile, che consiste nell’avvalersi di dati e notizie comunque raccolti, nel prescindere in tutto o in parte dalle risultanze delle scritture contabili e nell’avvalersi anche di presunzioni prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza.

Questo potere è concesso all’amministrazione finanziaria, oltre che nel caso di accertata inattendibilità complessiva della contabilità, anche nei seguenti tre tassativi casi:

1. quando il reddito di impresa non è stato indicato nella dichiarazione;

2. quando nel verbale di ispezione risulta che il contribuente non ha tenuto o ha sottratto all’ispezione una o più scritture contabili prescritte ai fini fiscali;

3. quando il contribuente non ha dato seguito all’invito a trasmettere esibire atti o documenti e non ha risposto al prescritto questionario. 

Una volta emesso, l’avviso di accertamento deve essere notificato al suo destinatario, di modo da divenire efficace; le norme che regolano la regolarità della notificazione dell’avviso di accertamento solo le stesse del codice di procedura civile in tema di notificazione degli atti processuali, a cui si aggiungono le specifiche regole stabilite dall’art. 60 del d.P.R. n. 600 del 1973.

Per la giurisprudenza, peraltro, rileva anche la piena conoscenza dell’atto da parte del contribuente, piena conoscenza da cui decorre il termine per impugnare.

Non si applicano agli atti tributari le disposizioni in tema di notificazione a persona di residenza, dimora e domicilio sconosciuti, a militari in attività di servizio, mediante pubblico proclami, e in forme ordinate dal giudice; si applicano peraltro alle notifiche viziate le norme sulla sanatoria delle notifiche previste dall’art. 156 c.p.c..

In ogni caso, il ricorso contro l’avviso di accertamento sana i vizi di notifica, in quanto ciò significa che la notifica ha raggiunto il suo scopo, ma non si ha sanatoria se il ricorso è proposto dopo la scadenza del termine per l’esercizio del potere impositivo, e la notifica è inesistente, e non sanabile, se la relazione della notificazione non è sottoscritta.

La notificazione degli avvisi alle imprese individuali o costituite in forma societaria e ai professionisti iscritti in albi o elenchi istituiti con legge dello Stato può essere effettuata a mezzo PEC all’indirizzo del destinatario risultante dall’indice nazionale degli indirizzi di posta elettronica certificata.

Quanto ai termini entro i quali effettuare la notificazione degli avvisi di accertamento, per le imposte sui redditi e per l’IVA l’avviso deve essere notificato entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione, mentre nei casi di omessa presentazione della dichiarazione o di presentazione di dichiarazione nulla il termine scade il 31 dicembre del settimo anno successivo a quello in cui la dichiarazione avrebbe dovuto essere presentata; per l’imposta di registro vi è un termine di decadenza di cinque anni per l’accertamento dell’imposta sugli atti non registrati, decorrente da quando doveva essere richiesta la registrazione, e un termine di decadenza di tre anni per riliquidare l’imposta principale o suppletiva e di due anni per la rettifica del valore imponibile.

A causa dell’emergenza epidemiologica Covid-19 è stata prevista una sospensione dei termini di decadenza che scadono tra l’8 marzo e il 31 dicembre 2020, con slittamento all’anno successivo.

Gli effetti dell’avviso di accertamento sono di natura dichiarativa, se si accoglie la teoria secondo cui l’obbligazione tributaria sorge non appena si verifica il presupposto di fatto del tributo (in questo caso l’avviso sarebbe un provvedimento con effetti di mero accertamento dell’obbligazione tributaria); sono di natura costitutiva, se si accoglie l’impostazione secondo cui anche se oggetto dell’avviso è un’obbligazione che fin da subito doveva essere assolta o dichiarata dal contribuente, l’obbligazione effettiva nasce soltanto con l’avviso di accertamento, che, tra l’altro, è espressione di una potestà amministrativa, con effetto costitutivo del rapporto.

Secondo questa seconda tesi, l’avviso di accertamento svolge una funzione essenziale, perché l’amministrazione finanziaria, specialmente nelle ipotesi in cui il contribuente dissimuli i suoi reali redditi o non li esponga, deve necessariamente ricostruire la situazione economica contributiva effettiva e fare sorgere l’obbligazione tributaria, come prefigurata e voluta dalla legge.

Se l’atto di imposizione è concepito come dichiarativo, esso ha efficacia naturalmente retroattiva, se è invece concepito come costitutivo, deve avere effetti ex nunc.

La soluzione nel diritto positivo è quella di considerare l’avviso di accertamento come retroattivo, se si considera che il contribuente è tenuto a corrispondere gli interessi sulla maggiore imposta calcolata dagli uffici a partire da quando doveva essere effettuato il versamento dell’imposta da dichiarare e versare in precedenza.

La differenza tra teoria dichiarativa e teoria costitutiva dell’avviso di accertamento ha riflessi infine anche sulla natura della posizione soggettiva del contribuente, che viene ora configurata come diritto soggettivo (alla giusta imposizione o di proprietà) leso dall’atto amministrativo, la cui azione in giudizio tende ad ottenere una sentenza di tipo dichiarativo, ora come diritto potestativo volto ad ottenere dal giudice l’annullamento, totale e parziale dell’atto illegittimo.

In ogni caso non di tratta di interesse legittimo, a fronte di un potere vincolato e di una posizione di credito/debito costituzionalmente protetta.

Quello che è certo è che l’avviso di accertamento è un presupposto necessario per permettere all’amministrazione finanziaria di agire coattivamente nei confronti del contribuente; sotto questo profilo, l’avviso di accertamento e l’irrogazione delle relative sanzioni sono ordinariamente titoli esecutivi (ivi compresi, dal primo gennaio 2020, quelli relativi ai tributi degli enti locali), dovendo tale avviso contenere anche l’intimazione ad adempiere dal momento in cui è decorso il termine per la proposizione di eventuale ricorso.

L’avviso “esecutivo” non è dunque seguito dalla iscrizione a ruolo e dalla cartella di pagamento, ma è già esso titolo esecutivo e precetto, dal momento in cui è decorso il termine utile per la proposizione del ricorso (sessanta giorni, salvo la sospensione del periodo feriale e quella determinata dall’istanza di accertamento con adesione).

L’iscrizione a ruolo è oggi riservata, invece, soltanto ai tributi per i quali la riscossione non avviene mediante ritenuta alla fonte, o versamento diretto, o in base all’avviso di accertamento e all’atto sanzionatorio esecutivi.

L’avviso può essere impugnato in quanto illegittimo/nullo o in quanto illegittimo/infondato.

E’ nullo quando la legge prevede espressamente che la mancanza di un requisito nell’avviso (ad esempio, l’assenza della richiesta di chiarimenti prima di adottare un atto impositivo antielusivo o un atto impositivo non conforme alle risposte negli interpelli) rende nullo l’intero atto.

Si tratta di una nullità che deve comunque essere fatta valere entro i termini di legge con l’azione di annullamento dinanzi al Giudice tributario; fin quando l’atto non è annullato, dunque, lo stesso resta efficace, e consolida i suoi effetti definitivamente una volta decorso il termine per l’impugnazione.

E’ altresì invalidante – e porta ugualmente all’annullamento dell’atto – la violazione delle norme dirette a garantire che l’atto amministrativo sia conforme ai suoi presupposti di fatto e di diritto e che limitano i poteri dell’amministrazione finanziaria, a tutela di interessi privati costituzionalmente riconosciuti.

Tale principio (nullità dell’atto, anche se non sanzionata espressamente) è stato affermato, per esempio, nel caso di inosservanza del termine dilatorio prescritto dall’art. 12, comma 7 dello Statuto dei diritti del contribuente (emissione senza ragioni di urgenza dell’avviso prima dei sessanta giorni concessi al contribuente per presentare osservazioni e richieste) o nel caso di cartella di pagamento emessa a seguito del controllo formale della dichiarazione, senza contraddittorio anteriore all’iscrizione a ruolo.

Si tratta in entrambi i casi di violazione di norme che impongono il contraddittorio procedimentale, mentre normalmente, ai sensi dell’art. 21-octies della L. n. 241 del 1990, trattandosi di atti vincolati, non sono invalidanti le violazioni delle norme sul procedimento o sulla forma degli atti che non hanno influito sul contenuto dell’atto (ad esempio, è una semplice irregolarità l’inosservanza dell’art. 7, comma 2 dello Statuto dei diritti del contribuente in tema di indicazione degli organi ai quali si può inoltrare istanza di riesame o ricorso).

Non provoca altresì annullabilità dell’avviso di accertamento la violazione di norme poste a favore dell’amministrazione, e non a garanzia del contribuente, quali quelle relative alla collaborazione dei Comuni.

Sono invalidanti invece le violazioni di norme sui metodi di accertamento e sui presupposti specifici di talune forme di accertamento (ad esempio, la sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi per l'accertamento integrativo), così come rende annullabile l’avviso di accertamento la violazione del divieto di doppia imposizione, divieto espressamente enunciato per le imposte dirette, ma che è considerato principio generale dell’ordinamento tributario.

Tale violazione viene integrata non se vi è doppia imposizione in senso economico (il legislatore prevede che uno stesso fatto economico sia tassato con più imposte, salvi gli eventuali profili di illegittimità costituzionale della scelta), ma se vi è doppia imposizione in senso giuridico.

Ciò si verifica quando l’amministrazione finanziaria accerta due volte, a carico dello stesso soggetto, la stessa imposta, su di un medesimo presupposto, ma anche quando lo stesso presupposto viene imputato a soggetti diversi, magari tramite l’applicazione di imposte simili (ad esempio, stesso reddito prima assoggettato ad Ires come reddito di una società di capitali e poi assoggettato ad Irpef come reddito di una persona fisica).

In questi casi, il secondo atto d’imposizione sullo stesso presupposto è illegittimo per il solo fatto che realizza una duplicazione.

E’ nullo anche l’avviso di accertamento affetto dai vizi di cui all’art. 21-septies, comma 1 della L. n. 241 del 1990, e dunque per assenza di elementi essenziali (tipo motivazione, sottoscrizione, notificazione o intestazione a un soggetto esistente) e difetto assoluto di attribuzione (avviso su tributo inesistente o emesso da organo privo di potestà impositiva).

Secondo la giurisprudenza, anche in questi ultimi casi l’avviso è semplicemente annullabile (confluendo la nullità nella più generale invalidità, che sarebbe categoria unitaria, nel diritto tributario) mentre autorevole dottrina ritiene che la nullità stabilita dall’art. 21-septies dovrebbe rendere inefficace l’atto e sottrarlo alla necessaria impugnazione entro i termini.

Secondo questa tesi, sarebbe l’atto successivo a quello nullo a dovere essere impugnato per illegittimità derivata, conformemente a quanto di recente statuito dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato in materia di nullità e conseguenze della nullità del provvedimento amministrativo. Viene esclusa in ogni caso, nel diritto tributario, la possibilità di un’azione di accertamento della nullità di stampo civilistico.

L’invalidità/infondatezza deriva invece dall’erroneità delle valutazioni effettuate dall’amministrazione finanziaria nel ricostruire il reddito o l’imposta dovuta dal contribuente, o comunque dalla mancanza di prova dei fatti su cui si basa l’accertamento, o ancora dall’inutilizzabilità di tali prove in quanto acquisite illecitamente.

Una volta notificato l’avviso di accertamento, il contribuente, in alternativa alla proposizione di ricorso dinanzi alla Commissione tributaria territorialmente competente entro sessanta giorni, può presentare istanza di accertamento con adesione, se tale procedimento non è già stato attivato in precedenza, con effetti sospensivi del termine per impugnare, oppure può definire solo le sanzioni, pagando un terzo di quanto irrogato, o ancora può prestare acquiescenza, pagando le somme dovute e le sanzioni irrogate, ridotte di un terzo, prima che scada il termine per proporre ricorso.



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