(Le falle della giustizia sportiva e il cortocircuito mediatico)
Partiamo dall’inizio.
Jannick Sinner, giocatore di tennis italiano che non ha bisogno di molte presentazioni (è l’attuale n. 1 del mondo) risulta positivo a un controllo antidoping il 10 marzo 2024, durante il Master 1000 di Indian Wells. Il secondo controllo positivo è del 18 marzo, dopo la semifinale persa nello stesso torneo contro Carlos Alcaraz. In entrambi i casi vengono trovati livelli simili di metaboliti di clostebol, con una concentrazione nelle urine nel primo caso di 86 picogrammi per millilitro, e nel secondo di 76 picogrammi per millilitro: cioè una concentrazione inferiore a 1 miliardesimo di grammo per litro.
Per questo tipo di positività un giocatore che viene ritenuto colpevole è solito incorrere in quattro anni di squalifica (così, ad esempio, è accaduto al tennista Stefano Battaglino, anche lui vittima "a sua insaputa" di massaggi al clostebol). [1]
Il 4-5 aprile e il 17-20 aprile sono arrivate le due sospensioni provvisorie di Sinner, a cui Jannik però - avendone diritto - ha fatto appello urgente immediato, rivolgendosi a un c.d. Tribunale indipendente. In entrambi i casi Sinner ha ottenuto la revoca immediata delle due sospensioni e ha potuto continuare a giocare (in attesa di chiarire la sua posizione) per tutti i mesi primaverili ed estivi.
La decisione del Giudice sportivo viene depositata il 19 agosto 2024, poco prima degli Us Open (stravinti da Sinner), e assolve il numero 1 del mondo, spiegando che la concentrazione di clostebol trovata nelle sue urine è da definirsi "bassa". Per il collegio decidente, inoltre, Jannik non avrebbe avuto "alcuna colpa o negligenza" nell'assunzione del farmaco.
L'assoluzione piena ha consentito a Sinner di evitare squalifiche, fatti salvi la rinuncia a 400 punti in classifica (il punteggio di Indian Wells, torneo durante il quale è stato accertato il doping) e il pagamento di una multa pari a 300 mila euro. Inoltre, dopo il rumore mediatico della vicenda, Sinner ha licenziato sia il preparatore atletico che il fisioterapista del suo team coinvolti.
Successivamente, però, la WADA (Agenzia mondiale Antidoping) ha fatto ricorso al CAS (Tribunale arbitrale dello Sport di Losanna) chiedendo una squalifica da uno a due anni ed è notorio come è andata a finire. Sospensione “patteggiata“ per una durata di tre mesi.
Fin qui i fatti certi.
Veniamo alle domande senza risposta, adesso.
Chiediamoci innanzitutto questo: se vostro figlio fosse tornato a casa alle due di notte sbandando e puzzando di cannabis, avreste creduto ad una spiegazione del tipo: “l’ascensore è stato bloccato due ore e ci avevano appena fumato dentro marijuana”?
Nel caso dell’attuale numero uno del mondo del tennis, il nostro Jannik Sinner, l’Agenzia Internazionale per l’Integrità del Tennis (ITIA), per mezzo del suo c.d. Tribunale indipendente, gli ha creduto, per quanto la spiegazione sulle origini del suo doping “involontario” sembrasse un tantino inverosimile.
Concentrando al massimo lo sforzo ricostruttivo – come emerge dalle pagine della pronuncia di primo grado che ha assolto il giocatore [2] -, la sostanza proibita sarebbe entrata nel corpo di Sinner a seguito di una sessione di massaggi del suo fisioterapista, che a sua volta avrebbe contestualmente usato una pomata contenente clostebol per curare una sua personale ferita alla mano.
Il medicinale "incriminato" sarebbe stato consegnato al fisioterapista dal preparatore atletico del team di Sinner per uso medico individuale, comprato a suo tempo in una farmacia di Bologna e poi portato negli Stati Uniti.
Secondo la decisione del tribunale istituito da ITIA, come detto, al giocatore italiano non sarebbe stata imputabile nessuna colpa o negligenza in relazione alla commissione degli articoli 2.1. e/o 2.2. del TADP (Tennis Anti-doping programme), che inibiscono l’uso di sostanze considerate dopanti ai giocatori professionisti.
Il clostebol sarebbe una di queste, perché si tratta di uno steroide anabolizzante simile al testosterone, che ha il potere di aumentare le prestazioni fisiche. Favorisce infatti l'aumento della massa muscolare e può aiutare a ridurre i tempi necessari ai muscoli per recuperare pienamente dopo un'intensa sessione di allenamento.
Di più, permette di ossigenare i muscoli stessi con l’aumento della produzione di globuli rossi e il conseguente miglioramento nell’affrontare sforzi prolungati.
E’ tristemente passato alla storia per lo scandalo del “doping di Stato” degli atleti della Germania dell’Est.
Ora, questa è la sequenza. Sostanza dopante, tracce minime di questa sostanza nel campione di analisi, spiegazione sulla contaminazione fornita dal team di Sinner.
La giustificazione è stata ritenuta ragionevole e provata da un cosiddetto Tribunale indipendente e tanto basta, da un punto di vista della verità “processuale”.
Ma sembra un tantino esagerato – in un Paese abituato a mettere in discussione pronunce di ben più autorevoli e indipendenti giuristi – scagliarsi contro chi ha osato criticare prima l’assoluzione e poi il “patteggiamento” a tre soli mesi di sospensione.
Se infatti la Giustizia sportiva nell’ultimo periodo probabilmente attraversa la crisi di credibilità più profonda di sempre, il circo mediatico che ne commenta gli atti, che ne critica le gesta, che ne spiega le evoluzioni, è a sua volta crollato in un buco nero che TON 618, il più grosso mai conosciuto, è un pallino da biliardo al confronto.
Non fa un buon servizio allo stesso Sinner chi in Italia - ma non nel resto del mondo civilizzato -, da più di una settimana, cerca di far passare la sua spiacevole vicenda come un piccolo incidente di percorso. Una sventura del tutto accidentale, fortuita, che l’atleta di San Candido è stato costretto a subire onde non incappare in una giustizia sbilenca, raffazzonata, beffarda e crudele verso gli eroi.
Eppure non parliamo di qualche sparuto gruppo di cronisti di fede altoatesina, ma della quasi totalità della stampa nazionale, sportiva e non. Perbacco. L’Italia, il Paese che notoriamente è spaccato pure su come debba bersi un bicchiere d’acqua in questo caso è stato praticamente unanime nella sentenza di assoluzione “assoluta”.
Per coloro che non avessero abitato tra i confini italici negli ultimi decenni potrebbe sembrare tutto abbastanza ordinario, soprattutto se si analizza il caso Sinner con gli occhi di chi, come i nostri cugini d’oltralpe, adora affrontare le sfide giudiziarie, anche internazionali, con lo stile patriottico della grandeur nazionale, senza se e senza ma. Ma, ahinoi, siamo vissuti qui, e sappiamo benissimo che in nessun altro caso è stato cosi. Anzi.
Ci viene voglia di raccontare come in altri sport, in altre vicende molto meno definite processualmente e in altri contesti giudiziari sportivi la canea mediatica, sciarpa di calcio al collo, è stata ben più tambureggiante e famelica verso la “ghigliottina giustizialistica”, alla prima avventurosa avvisaglia di agenzia stampa. Ma non lo facciamo perché abbiamo rispetto delle sentenze. E della storia che ne hanno sancito. Ecco, già. Il rispetto delle sentenze. Non siamo più il Paese “delle sentenze della Giustizia sportiva che si rispettano sempre”? Motto tanto caro ai vertici istituzionali dello sport italiano. Evidentemente non più. Almeno col tennis.
D’altra parte, la WADA, ovvero l’Agenzia mondiale Antidoping istituita per volontà del Comitato Olimpico Internazionale e in parte da esso finanziata, non ha condiviso la ricostruzione giuridica del Tribunale di primo grado, in punto di responsabilità, e aveva inizialmente chiesto la sospensione dall'atleta da uno a due anni.
Secondo la WADA, vi sarebbe stata negligenza di Sinner – responsabile anche per il suo team – per avere permesso l’introduzione nel suo corpo della sostanza proibita, tramite la superficialità dei collaboratori da lui stesso scelti, o comunque per l’assenza di adeguati controlli.
E allora. O la ricostruzione della difesa di Sinner è stata costruita a tavolino e l’uso della sostanza dopante è stato quindi addirittura premeditato oppure il fisioterapista di Sinner – di certo un professionista non sprovveduto (e in effetti lavorava con il futuro numero uno del mondo del tennis) – avrebbe dimostrato nel caso di specie una pericolosa incompetenza o comunque superficialità, nel mettere a rischio la carriera del più forte giocatore italiano di tutti i tempi con massaggi al clostebol.
Con la premessa lunare di essersi servito di un farmaco per uso topico su se stesso (per curare una ferita) senza avere prima verificato di cosa si trattasse e proprio su quella parte del suo corpo (le mani) che più di ogni altra sarebbe venuta a contatto con l’atleta, sulla base del loro rapporto contrattuale.
E cosa c’entra poi il preparatore atletico del team? Perché è stato allontanato pure lui da Sinner? In fondo si sarebbe limitato semplicemente a fornire la medicina per uso privato ad altra persona, seppure facente parte dello stesso team sportivo.
Tanto non c’entrerebbe nulla, il preparatore atletico, che è ben presto tornato nel circuito tennistico e adesso lavora niente poco di meno che con Matteo Berrettini, tra lo stupore di professionisti del tennis come l’ex numero uno del mondo Djokovic.
Non vi sono inoltre notizie su eventuali squalifiche chieste e ottenute per il fisioterapista individuato processualmente come responsabile del “fattaccio”.
Come la si gira e rigira, la storia non torna. E sembra più che giustificato il mugugno che proviene da una parte importante del mondo del tennis sulla poca trasparenza di tutta la vicenda, ivi compreso l’accordo finale tra WADA e Sinner sulla sospensione per tre mesi, accordo che, seppure autorizzato da espresse previsioni regolamentari, lascia l’amaro in bocca sia ai supporters che ai detrattori di Sinner, per la banale considerazione che, se uno è colpevole, tre mesi sono una sanzione ridicola, e, se uno non è colpevole, sospenderlo anche un solo giorno è profondamente sbagliato.
L’Agenzia mondiale antidoping ha tuttavia spiegato le motivazioni per cui Jannik Sinner ha ricevuto una squalifica per doping molto più breve rispetto, ad esempio, alla sospensione di sei anni inflitta a una pattinatrice spagnola in un caso simile di doping.
Secondo i media spagnoli, alla pattinatrice Laura Barquero è stata ingiustamente inflitta una lunga squalifica dopo essere risultata positiva al clostebol nelle stesse minime quantità rilevate nel caso di Sinner, il quale però, al confronto, ha avuto soltanto tre mesi di stop.
Tuttavia, pare che, sebbene entrambi i casi riguardassero la stessa sostanza, i fatti specifici relativi al caso di Barquero erano "molto diversi" da quelli di Sinner.
"La differenza fondamentale tra i due casi è che la versione della signora Barquero su come la sostanza è entrata nel suo sistema non era convincente alla luce delle prove, tanto che le circostanze sono rimaste sconosciute per quanto riguarda la Wada; al contrario, nel caso Sinner, le prove hanno chiaramente confermato la spiegazione dell'atleta, come delineato nella decisione di primo grado" (così la WADA).
La pattinatrice era risultata positiva al Clostebol per la prima volta durante le Olimpiadi invernali del 2022, poi di nuovo nel gennaio 2023. Tra la Wada e l'atleta spagnola era stato, quindi, stipulato e accettato un "accordo di risoluzione del caso" con una sospensione di sei anni. Se la signora Barquero non fosse stata d'accordo con la sanzione proposta, dunque, nessuno l’avrebbe potuta obbligare a firmare l'accordo di risoluzione del caso e sarebbe stata libera di portare avanti il caso per l'udienza presso il Tribunale di Losanna (così si è difesa ancora la WADA).
Di certo, è del tutto fuori luogo insultare, come sta accadendo in Italia da parte di alcuni professionisti della difesa senza se e senza ma del proprio connazionale, chi nella vicenda sente puzza di bruciato, additandolo come “invidioso”, “frustrato” o “clown” [3]. Così come è abbastanza assurdo anche gridare all’ingiustizia della sospensione e poi dire che Sinner ha fatto bene ad accordarsi così si è tolto il pensiero, anche se questo è il tipico ragionamento del qualunquista italico (e ce ne sono tanti a tutti i livelli).
Restano sullo sfondo alcune riflessioni sul rapporto tra doping e sport e sulla trasparenza delle decisioni degli organi internazionali deputati a garantire che la competizione ai massimi livelli sia “pulita” oltre ogni ragionevole limite.
Non deve esistere neanche l’ombra del doping nello sport e il giocatore ai massimi livelli deve non solo circondarsi di collaboratori adeguati ma anche avvalersi di un risk manager, ovvero di un professionista non coinvolto nella gestione, assistenza e training dell’atleta, pagato per pretendere il rispetto alla lettera delle rigorose procedure da seguire al fine di evitare anche solo la contaminazione involontaria.
D’altra parte, si tratta di un rischio del mestiere. E la severità delle regole sul doping – tali da connotare quasi come oggettiva la responsabilità dell’atleta e da valorizzare anche il ritrovamento nel corpo di tracce assolutamente minime di sostanze vietate, come nel caso di Sinner - non può essere messa seriamente in discussione, da un lato perché tutti gli altri giocatori devono poter confidare sul fatto che i loro avversari non sono dopati, e dall’altro perché è impossibile controllare tutti i giorni tutti gli atleti professionisti, ivi compresi i campioni.
Senza arrivare alla drasticità di Michael Phelps – ex nuotatore con alle spalle un palmarès di 23 medaglie d’oro vinte alle Olimpiadi – secondo cui “se vieni trovato positivo, poi, non devi più gareggiare”, sarebbe stato interessante e giusto, anche per il protagonista, assistere a un vero processo sull’affare Sinner, e non a questo fluire di decisioni in parte discutibili e in parte opache.
E non sembra niente affatto sconclusionato, con buona pace dei nostri opinionisti “schieratissimi”, il manifesto che ha pubblicato in risposta all’accordo tra Sinner e la WADA la Professional Tennis Players Association, ovvero l’associazione autonoma di giocatori fondata da Novak Djokovic, manifesto di cui si riportano un paio di significativi stralci:
“(…) Il "sistema" non è un sistema, è un club. (…) Non sono solo le differenti decisioni per i differenti giocatori. È la mancanza di trasparenza. La mancanza di un processo. La mancanza di una coerenza. La mancanza di credibilità delle agenzie governative incaricate della regolamentazione del nostro sport e degli atleti. La mancanza di impegno da parte dell'Atp, Wta, Grande Slam, ITIA e Wada nel riformare e creare un giusto e trasparente sistema nel futuro”.
Sullo sfondo, ma neanche tanto, il sospetto di accordi su misura mascherati da decisioni case by case che producono trattamenti ingiusti e sentenze incoerenti. Una deriva che sposta pericolosamente anche nello sport l’ago della bilancia dal rigore della giustizia e del merito all’opacità della politica e del favoritismo nei confronti del più forte o potente di turno.
[1] Per una sintesi della vicenda occorsa a Battaglino si rinvia al seguente link: https://www.repubblica.it/sport/tennis/2024/09/19/news/stefano_battaglino_squalifica_clostebol_sinner-423508955/
Quanto alla sanzione normalmente comminata per casi simili a quello di Sinner, si rinvia all'interessante analisi di un esperto apparsa sulla pagina:
https://www.tuttosport.com/news/tennis/2024/08/21-131726288/_caso_sinner_puzza_di_bruciato_i_sospetti_dell_esperto_di_doping_e_la_wada_
[2] Cliccare
qui per scaricare la sentenza
[3] A mero titolo di esempio, si cita l'articolo apparso sul seguente link: