(Riflessioni a margine dell’ordinanza della Corte costituzionale dell’11 febbraio 2021, n. 18)
Il Tribunale di Bolzano, nell’ambito di un giudizio instaurato dal pubblico ministero, ai sensi dell’art. 95, d.p.r. 3 novembre 2000, n. 396 (recante “Regolamento per la revisione e la semplificazione dell’ordinamento dello stato civile”)[1], al fine di ottenere la rettificazione dell’atto di nascita di una bambina, cui i genitori, non uniti in matrimonio, avevano concordemente voluto attribuire il solo cognome materno, confermando tale volontà anche nel corso del procedimento dinanzi al giudice a quo, ha rimesso alla Corte Costituzionale questione di legittimità costituzionale relativamente all’art. 262, primo comma, c.c.[2], nella parte in cui non consente ai genitori, di comune accordo, di trasmettere al figlio, al momento della nascita, il solo cognome materno.
In particolare, la suddetta limitazione si porrebbe in contrasto, secondo il Tribunale di Bolzano, in primo luogo, con l’art. 2 Cost., sotto il profilo della tutela dell’identità personale; sarebbe, inoltre, violato l’art. 3 Cost., sotto il profilo dell’uguaglianza tra donna e uomo, come già rilevato dalla Corte nella sentenza n. 286 del 2016; ancora risulterebbe violato l’art. 117, comma 1, Cost., in relazione agli artt. 8 e 14 CEDU, che trovano corrispondenza negli artt. 7 e 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (CDFUE), proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000.
La questione di legittimità costituzionale sarebbe ammissibile e rilevante in quanto, da un lato, nonostante la citata pronuncia n. 286 del 2016, la facoltà delle parti di scegliere il solo cognome materno risulta preclusa, non essendo possibile un’interpretazione costituzionalmente orientata; dall’altro lato, l’accoglimento delle censure prospettate e, quindi, la correzione della norma in parte qua, consentirebbe l’accoglimento del ricorso del P.m. e, quindi, la rettifica del cognome della minore, con l’attribuzione del solo cognome materno, come richiesto da entrambi i genitori.
La Corte, nel ritenere ammissibile e rilevante la questione di costituzionalità, sottolinea che ciò che viene chiesto dal giudice a quo è una decisione “additiva” di una specifica ipotesi derogatoria, ritenuta costituzionalmente imposta, volta a riconoscere il paritario rilievo dei genitori nella trasmissione del cognome al figlio.
D’altronde, la Corte, ritenute le questioni sollevate dal giudice a quo, relative alla preclusione della facoltà di scelta del solo cognome materno, strettamente connesse alla più ampia questione dell’automatica attribuzione del cognome paterno, ha ritenuto[3] di sollevare d’ufficio davanti a sé la questione di legittimità costituzionale dell’art. 262, primo comma, c.c., nella parte in cui, in mancanza di diverso accordo dei genitori, impone l’acquisizione alla nascita del cognome paterno, anziché dei cognomi di entrambi i genitori, in riferimento agli artt. 2, 3 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione agli artt. 8 e 14 Cedu.
Ma facciamo un passo indietro.
Il cognome[4] è un elemento del “nome”[5], oggetto di uno specifico diritto sancito dall’art. 6, comma 1, c.c. e tutelato anche dalla Costituzione[6].
In quanto tale, il cognome partecipa di una funzione sostanzialmente ancipite attribuita al “nome”, conferendo al prenome una particolare doppia specificità: pubblicistica, in quanto segno distintivo dell’individuo rispetto agli altri appartenenti alla collettività; privatistica, in quanto fa parte del bagaglio identitario della persona, ciò che questa è per se stessa e nei rapporti con gli altri, elemento quindi, qualificativo della propria identità personale, diritto fondamentale dell’individuo, comprendente anche il diritto del figlio a conoscere le proprie origini e ad accedere alla propria storia parentale, quale «elemento significativo nel sistema costituzionale di tutela della persona»[7].
Nonostante la riforma del diritto di famiglia del 1975 e le pronunce della stessa Corte Costituzionale intervenute in materia, è rimasta la regola, anche in parte non scritta, dell’automatica attribuzione del cognome paterno al nuovo nato.
Nel caso di figlio nato da genitori coniugati, infatti, non è rinvenibile una puntuale e specifica previsione di legge, ma si ritiene, pacificamente, che la regola dell’automatica trasmissione del patronimico corrisponda ad una norma sottesa al sistema e ricavabile in via ermeneutica[8].
Le disposizioni che, nell’insieme, fanno emergere, quale regola generale, quella dell’attribuzione automatica del patronimico sono:
- gli artt. 33[9] e 34 [10], d.p.r. n. 396 del 2000[11]; quest’ultimo, in particolare, nel prevedere un divieto d'imposizione al figlio dello stesso prenome del padre, al fine di evitare omonimie, comporta o presuppone, implicitamente, che il cognome dello stesso padre venga trasmesso ai figli;
- l'art. 237 c.c.[12] stabiliva che ai fini dei fatti costituivi del possesso di stato dovesse concorrere che la persona abbia sempre portato il cognome del padre;
- l'art. 262 c.c., con riferimento ai – soli – figli nati fuori dal matrimonio, prevede che il figlio assuma il cognome del genitore che per primo lo ha riconosciuto; se il riconoscimento è stato effettuato contemporaneamente da entrambi i genitori il figlio assume il cognome del padre[13];
- l’art. 299 c.c., in materia di adozione, prevede che l’adottato assuma il cognome dell'adottante anteponendolo al proprio; d’altronde, se l'adozione è compiuta da coniugi, l'adottato assume il cognome del marito e, se l'adozione è compiuta da una donna coniugata, l'adottato, che non sia figlio del marito, assume il cognome della famiglia di lei.
L’ordinamento nazionale, sotto altro profilo, viene a doversi confrontare non solo con le disposizioni costituzionali e l’interpretazione evolutiva che attraverso di esse è possibile imprimere al sistema, ma anche con l’ordinamento internazionale e comunitario, la cui efficacia può trovare oggi sempre più penetrazione nel diritto interno attraverso norme costituzionali come l’art. 117 della Costituzione.
Al riguardo, l’art. 8, comma 1, CEDU prevede che <<ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza>>, mentre l’art. 14 sancisce il divieto di discriminazione, nel senso che il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella CEDU deve essere assicurato senza nessuna discriminazione, in particolare quelle fondate sul sesso, la razza, il colore, la lingua, la religione, le opinioni politiche o quelle di altro genere, l’origine nazionale o sociale, l’appartenenza a una minoranza nazionale, la ricchezza, la nascita od ogni altra condizione.
La c.d. Carta di Nizza, invece, all’art. 7 (recante “rispetto della vita privata e della vita familiare”) prevede che <<ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e delle proprie comunicazioni>>, all’art. 21 (recante “non discriminazione”) prevede che <<è vietata qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, sul sesso, la razza, il colore della pelle o l’origine etnica o sociale, le caratteristiche genetiche, la lingua, la religione o le convinzioni personali, le opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, l’appartenenza ad una minoranza nazionale, il patrimonio, la nascita, la disabilità, l’età o l’orientamento sessuale>>.
Ebbene, la Corte Costituzionale - guardando alle decisioni più recenti[14] - con la pronuncia n. 61 del 2006[15] è intervenuta sulla questione, sollevata dalla Corte di Cassazione[16], di legittimità costituzionale della disciplina del cognome, in relazione a una richiesta di attribuzione del matronimico al figlio nato in costanza del matrimonio, respinta dall’ufficiale dello stato civile: pur dichiarando inammissibile la questione proposta, in quanto implicante un intervento esorbitante le sue competenze, ha comunque censurato l’automatismo attributivo del cognome paterno, in quanto anacronistico[17].
D’altronde, il legislatore italiano, nonostante la riforma operata dal d.lgs. 28 dicembre 2013, n. 154[18] e le modifiche di alcune norme in materia di cognome[19], non ha preso posizione sulla questione in esame e non ha approntato una disciplina compiuta al riguardo.
La Corte Europea dei diritti dell’Uomo, nel caso dei coniugi "omissis" c. Italia[20], ha ritenuto che la rigidità del sistema italiano – che fa prevalere il cognome paterno e nega rilievo ad una diversa volontà concordemente espressa dai genitori – costituisca una violazione del diritto al rispetto della vita privata e familiare, determinando, altresì, una discriminazione ingiustificata tra i genitori, in contrasto con gli artt. 8 e 14 CEDU.
Si tratterebbe di una lacuna del sistema giuridico italiano, per superare la quale «dovrebbero essere adottate riforme nella legislazione e/o nelle prassi italiane».
La piena ed effettiva realizzazione del diritto all’identità personale, che nel nome trova il suo primo ed immediato riscontro, unitamente al riconoscimento del paritario rilievo di entrambe le figure genitoriali nel processo di costruzione di tale identità personale, imporrebbe l’affermazione del diritto del figlio ad essere identificato, sin dalla nascita, attraverso l’attribuzione del cognome di entrambi i genitori.
Viceversa, la previsione dell’inderogabile prevalenza del cognome paterno sacrificherebbe il diritto all’identità del minore, negandogli la possibilità di essere identificato, sin dalla nascita, anche con il cognome materno.
Dieci anni dopo la sentenza n. 61 del 2006, a fronte di un caso di rifiuto da parte dell'Ufficiale dello stato civile di acconsentire all'attribuzione al figlio anche del cognome materno, la Corte Costituzionale[21], ha dichiarato l'illegittimità costituzionale degli artt. 237, 262 e 299 c.c.; degli artt. 72, comma 1, r.d. 9 luglio 1939, n. 1238 (ordinamento dello stato civile), 33 e 34, d.p.r. 3 novembre 2000, n. 396 (Regolamento per la revisione e la semplificazione dell'ordinamento dello stato civile, a norma dell'articolo 2, comma 12, della l. 15 maggio 1997, n. 127), nella parte in cui non prevedono la possibilità per i genitori, di comune accordo, di attribuire alla prole “anche” il cognome materno al momento della nascita.
La regola dell’attribuzione del cognome paterno determina una violazione dell'art. 2 Cost., il quale riconosce la tutela del diritto all'identità personale, di cui il nome è la massima espressione; sotto altro profilo, con riferimento agli artt. 3 e 29 Cost., la trasmissione del solo patronimico determina, secondo la Corte, un'evidente violazione del diritto di uguaglianza tra uomo e donna, proprio in considerazione del mutamento della società e del superamento del sistema patriarcale familiare, tale regola non trovando neppure giustificazione nell'esigenza di tutelare l'unità familiare, in considerazione del fatto che tale unità verrebbe maggiormente tutelata riconoscendo una pari dignità morale e giuridica ai coniugi[22].
La Corte costituzionale, nel rimettere avanti a sé una questione ulteriore e di più ampia portata rispetto a quella proposta dal giudice rimettente, parte dal rilievo per cui, nonostante quanto indicato dalla sentenza n. 286 del 2016 citata, nonché dai precedenti arresti dei quali si è dato conto più sopra, il legislatore non ha accolto <<gli inviti ad una sollecita rimodulazione della disciplina – in grado di coniugare il trattamento paritario delle posizioni soggettive dei genitori con il diritto all’identità personale del figlio>>.
Sicché, a fronte della previsione dell’art. 262, comma 1, c.c. che ancora impone la trasmissione automatica del solo cognome paterno, il mero riconoscimento, come richiesto dal Tribunale di Bolzano, in capo ai genitori della facoltà di scegliere, di comune accordo, la trasmissione del solo cognome materno, non impedirebbe, secondo la Corte, che la suddetta regola venga ribadita in tutte le fattispecie in cui tale accordo manchi o, comunque, non sia stato legittimamente espresso; in questi casi, verosimilmente più frequenti, dovrebbe dunque essere riconfermata la prevalenza del cognome paterno, ancorché la relativa incompatibilità con il valore fondamentale dell’uguaglianza sia stata da tempo affermata dalla Corte con precedenti decisioni.
Secondo il Giudice delle leggi <<neppure il consenso, su cui fa leva la limitata possibilità di deroga alla generale disciplina del patronimico, potrebbe ritenersi espressione di un’effettiva parità tra le parti, posto che una di esse non ha bisogno dell’accordo per far prevalere il proprio cognome>>.
Quindi, posto che «il modo in cui occasionalmente sono poste le questioni incidentali di legittimità costituzionale non può impedire al giudice delle leggi l’esame pieno del sistema nel quale le norme denunciate sono inserite», secondo la Corte sussiste, tra la questione proposta dal giudice a quo e il più radicale problema sollevato dalla Corte stessa, un rapporto di presupposizione e di continenza, per cui la risoluzione della questione avente ad oggetto l’art. 262, primo comma, cod. civ., nella parte in cui impone l’acquisizione del solo cognome paterno, si configura come logicamente pregiudiziale e strumentale per definire le questioni sollevate dal giudice rimettente.
Non solo, ma la Corte ritiene che, ancorché siano legittimamente prospettabili soluzioni normative differenziate, l’esame di queste specifiche istanze di tutela costituzionale, attinenti a diritti fondamentali, non può essere pretermesso, poiché «l’esigenza di garantire la legalità costituzionale deve, comunque sia, prevalere su quella di lasciare spazio alla discrezionalità del legislatore per la compiuta regolazione della materia».
Quindi, secondo la Corte, la non manifesta infondatezza della questione pregiudiziale sarebbe rilevabile nel contrasto della vigente disciplina, impositiva di un solo cognome e ricognitiva di un solo ramo genitoriale, con la necessità, costituzionalmente imposta dagli artt. 2 e 3 Cost., di garantire l’effettiva parità dei genitori, la pienezza dell’identità personale del figlio e di salvaguardare l’unità della famiglia, il che porterebbe a dubitare della legittimità costituzionale della disciplina dell’automatica acquisizione del solo patronimico, che trova espressione nell’art. 262, primo comma, del codice civile.
Inoltre, come già rilevato nella sentenza n. 286 del 2016, secondo la Corte, «la previsione dell’inderogabile prevalenza del cognome paterno sacrifica il diritto all’identità del minore, negandogli la possibilità di essere identificato, sin dalla nascita, anche con il cognome materno».
Infine, la Corte ha sottolineato che il dubbio di legittimità costituzionale che investe l’art. 262, primo comma, c.c., attiene anche alla violazione dell’art. 117, comma 1, Cost., in relazione agli artt. 8 e 14 CEDU.
Pur nella consapevolezza che il provvedimento della Corte costituzionale si iscrive in un “trend” interpretativo ormai consolidato pressoché a tutti i livelli, interno e internazionale, si ritiene, tuttavia, possibile fare delle osservazioni parzialmente in controtendenza e “fuori dal coro”, specialmente con riguardo alla specifica iniziativa giudiziale in questa sede in esame.
Una prima osservazione, infatti, riguarda la sostanziale nota di biasimo, quasi sanzionatoria, con la quale la Corte ha inteso rimproverare il legislatore di non essere adeguatamente intervenuto sulla normativa in materia di cognome.
Al riguardo, sebbene una compiuta disciplina in materia sia opportuna, d’altronde, con specifico riguardo alla questione per cui la Corte ha ritenuto di dover procedere d’ufficio, una così impellente necessità di intervenire “scavalcando” il potere legislativo non pare, francamente, sussistere.
Ciò a differenza della puntuale – e più ristretta – questione sollevata dal Tribunale di Bolzano, la quale presenta, a parere di chi scrive, tutti i presupposti per essere accolta.
Il fatto che il legislatore finora non abbia risolto il problema sollevato dalla Corte è spiegabile non solo in considerazione della difficoltà di aderire ad una delle diverse opzioni di fondo (solo il cognome paterno, solo il cognome materno, tutte i due i cognomi), ma anche perché qualunque sia l’opzione di fondo cui aderire occorrerebbe, in ogni caso, approntare una articolata disciplina applicativa.
Al contrario, certamente ingiustificabile pare essere l’inerzia del legislatore con riguardo alla mancata introduzione di una norma che consenta ai genitori, in accordo tra loro, e al figlio, anche minore (qualora in grado di autodeterminarsi, eventualmente rappresentato da curatore speciale), di modificare in qualunque tempo il cognome del figlio, aggiungendo o sostituendo al patronimico il cognome della madre.
Già solo questa modifica consentirebbe di ridurre quella rigidità del sistema censurata sia dalla Corte Costituzionale, sia dalla Corte Edu.
Ciò premesso, sotto il profilo strettamente processuale, va sottolineato come la Corte abbia, scientemente, deciso di andare “ultra petita”: è forse possibile, infatti, mettere in dubbio che la questione sollevata d’ufficio dal Giudice delle leggi, per quanto si ponga in rapporto di continenza con la censura proposta dal Tribunale di Bolzano, costituisca un necessario “presupposto” per la decisione di quest’ultima.
Infatti, il problema sottoposto dal Tribunale di Bolzano, da un lato, concerne una questione diversa e comunque più circoscritta rispetto a quella relativa all’automatica trasmissione del patronimico; dall’altro lato, un’eventuale decisione da parte della Corte nel senso dalla stessa prospettato in relazione all'automatica trasmissione del doppio cognome, non consente di ritenere superata la censura sollevata dal Giudice a quo e soddisfatto l’interesse ad essa sotteso (ovvero consentire l’attribuzione del solo cognome materno in conseguenza dell’accordo dei genitori).
In tal senso, quindi, pare di poter dubitare che sia concretamente rilevante la questione sollevata d’ufficio dalla Corte, rispetto alla fattispecie di cui al giudizio di partenza.
A questa notazione di carattere “processuale”, può, poi, associarsi una valutazione di natura sostanziale, per vero non slegata dalla prima.
Infatti, a fronte di una, quantomeno apparente, possibile forzatura dei poteri officiosi esercitati dalla Corte, si può altresì dubitare che vi sia una così impellente necessità di un intervento in via giudiziale, inevitabilmente, solo parziale, sulla regola di attribuzione automatica del cognome.
Una volta salvaguardata la possibilità dei genitori (e del figlio ex post) di concordemente modificare il cognome, la regola censurata, ancorché avente ad oggetto il solo patronimico, può, a parere di chi scrive, essere tranquillamente salvaguardata valorizzandone la funzione di regola di “chiusura” del sistema, quale necessaria disposizione ultima da applicare in caso di diverso accordo, a tutela non tanto della funzione privatistica del cognome, ma di quella pubblicistica.
La scelta dell’attribuzione in via residuale e automatica del solo patronimico (così come del solo matronimico o di entrambi i cognomi), valutata in modo oggettivo, senza, cioè, considerare la radice storica della norma, è niente più che una delle possibili opzioni a disposizione per garantire all’individuo di avere un diretto senso di appartenenza con la famiglia di origine, senza che possa ritenersi esclusa la possibilità per lo stesso, “cammin facendo”[23], di adeguare il relativo cognome al suo sentire identitario, unendo al patronimico il cognome materno ovvero anche sostituendolo con quest’ultimo.
Non può, infatti, ritenersi un dato assoluto o anche solo presuntivo il fatto che il figlio percepisca come elemento identitario necessario il doppio cognome, così come lo stesso, già in età non adulta, potrebbe maturare un senso identitario confliggente e contrario alla identificazione con il matronimico (così come il patronimico).
Considerata la questione in questi oggettivi termini, sembra chiaro che le tre opzioni sopra ricordate possono assumere un rilievo equivalente, sempre nella misura in cui, ovviamente, sia garantito “il diverso accordo dei genitori” o la volontà modificativa del figlio.
Così posta, quindi, la questione di costituzionalità sollevata dalla Corte, non solo non appare necessaria e rilevante, ma di fatto presenta dubbi circa la sostanziale fondatezza.
Viene meno, poi, in quest’ottica, che prescinde da ed esclude ogni rilievo storico, l’aspetto relativo alla asserita lesione della parità tra i coniugi.
D’altronde, a parere dello scrivente, il cognome del figlio non appare proprio essere una fattispecie nella quale possa venire a configurarsi una tale questione.
Il diritto al cognome appartiene al figlio e solo in funzione di quest’ultimo e della salvaguardia dell’interesse alla sua identità personale deve essere risolta la problematica in oggetto.
In tal senso, non può ritenersi che i coniugi vantino “diritti” sul cognome del figlio, la cui attribuzione, parimenti all’individuazione del prenome, costituisce (o almeno dovrebbe costituire) un atto giuridico posto in essere nel solo interesse del concepito.
[1] Ai sensi del quale, <<1. chi intende promuovere la rettificazione di un atto dello stato civile o la ricostituzione di un atto distrutto o smarrito o la formazione di un atto omesso o la cancellazione di un atto indebitamente registrato, o intende opporsi a un rifiuto dell'ufficiale dello stato civile di ricevere in tutto o in parte una dichiarazione o di eseguire una trascrizione, una annotazione o altro adempimento, deve proporre ricorso al tribunale nel cui circondario si trova l'ufficio dello stato civile presso il quale è registrato l'atto di cui si tratta o presso il quale si chiede che sia eseguito l'adempimento. 2. Il procuratore della Repubblica può in ogni tempo promuovere il procedimento di cui al comma 1. 3. L'interessato può comunque richiedere il riconoscimento del diritto al mantenimento del cognome originariamente attribuitogli se questo costituisce ormai autonomo segno distintivo della sua identità personale>>.
[2] In forza del quale, «se il riconoscimento è stato effettuato contemporaneamente da entrambi i genitori il figlio assume il cognome del padre».
[3] Affermando di non poter <<esimersi, ai fini della definizione del presente giudizio, dal risolvere pregiudizialmente le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 262, primo comma, cod. civ., nella parte in cui, in mancanza di diverso accordo dei genitori, impone l’automatica acquisizione del cognome paterno, anziché dei cognomi di entrambi i genitori, per contrasto con gli artt. 2, 3 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione agli artt. 8 e 14 CEDU>>.
[4] Sul tema, senza pretesa di esaustività, R. Favale, Il cognome dei figli e il lungo sonno del legislatore, in Giur. it., 2017, 815; L. Tullio, The Child's Surname in the Light of Italian Constitutional Legality, in Italian Law Journal, 2017, 221 ss.; C. Cicero, Diritto di Famiglia e delle Persone (Il), fasc.1, 2018, 245. C. Favilli, Il cognome tra parità dei genitori ed identità dei figli, in N.g.c.c.., 2017, 818 ss.; Al Mureden, L'attribuzione del cognome tra parità dei genitori e identità personale del figlio, in Fam. dir., 2017, 213 ss.; M. Trimarchi, Il cognome dei figli: un'occasione perduta dalla riforma, in Fam. dir., 2013, 143; M. A. Iannicelli, Il cognome del figlio: brevi note de iure condendo, in Familia, 2017, 29 ss.; S. Niccolai, Il diritto delle figlie a trasmettere il cognome del padre, in Quad. cost., 2014, 453; M. La Torre, Il nome: contrassegno dell'identità̀ personale, in Giust. civ., 2013, 453 ss.; M. C. De Cicco, Cognome e princìpi costituzionali, in I rapporti civilistici nell'interpretazione della corte costituzionale, I, a cura di P. Perlingieri e M. Sesta, Napoli, 2007, 333 ss.
[5] Unitamente al c.d. prenome, ai sensi dell’art. 6, comma 2, c.c..
[6] L’art. 22 Cost. prevede che nessuno può essere privato di esso per motivi politici, unitamente alla cittadinanza e alla capacità giuridica.
[7] C. Cost., 22 novembre 2013, n.278, in Foro it. 2014, 1, I, 4, con nota di Casaburi. Il cognome è un autonomo segno distintivo dell’identità personale dell’individuo (C. Cost., 23 luglio 1996, n. 297, in Giur. it. 1997, I, 11), nonché «tratto essenziale della sua personalità» (C. Cost., 24 giugno 2002, n. 268, in Foro it. 2003, I, 2933; nello stesso senso, C. Cost., 11 maggio 2001, n. 120, in Giust. civ., 2001, I, 2317).
[8] Si tratta di un complesso eterogeno di disposizioni tra cui gli artt. 237, 262 e 299 c.c., l'art. 72, comma 1, r.d. 9 luglio 1939, n. 1238 e gli artt. 33 e 34, d.p.r. n. 396 del 2000. A sottolineare l’immanenza della regola nel sistema è stata la Corte Costituzionale: si veda C. Cost., 21 dicembre 2016, n. 286, in Corr. giur., 2017, 167 ss., con nota di V. Carbone, Per la Corte costituzionale i figli possono avere anche il cognome materno, se i genitori sono d'accordo; in Familia, 2017, 67 ss., con nota di V. Brizzolari, Il cognome materno in aggiunta a quello paterno: una realtà anche in Italia.
[9] Il quale originariamente stabiliva che <<1. Il figlio legittimato ha il cognome del padre, ma egli, se maggiore di età alla data della legittimazione, può scegliere, entro un anno dal giorno in cui ne viene a conoscenza, di mantenere il cognome portato precedentemente, se diverso, ovvero di aggiungere o di anteporre ad esso, a sua scelta, quello del genitore che lo ha legittimato. 2. Uguale facoltà di scelta è concessa al figlio maggiorenne che subisce il cambiamento o la modifica del proprio cognome a seguito della variazione di quello del genitore da cui il cognome deriva, nonché al figlio naturale di ignoti riconosciuto, dopo il raggiungimento della maggiore età, da uno dei genitori o contemporaneamente da entrambi. 3. Le dichiarazioni di cui ai commi 1 e 2 sono rese all'ufficiale dello stato civile del comune di nascita dal figlio personalmente o con comunicazione scritta. Esse vengono annotate nell'atto di nascita del figlio medesimo>>. A seguito dell’adozione del d.p.r. 30 gennaio 2015, n. 26 (recante Regolamento recante attuazione dell'articolo 5, comma 1, della legge 10 dicembre 2012, n. 219, in materia di filiazione) la norma in esame è stata modificata, con l’abrogazione del primo comma che precede e con la sostituzione dei suddetti commi secondo e terzo con le seguenti disposizioni: 2. Il figlio maggiorenne che subisce il cambiamento o la modifica del proprio cognome a seguito della variazione di quello del genitore da cui il cognome deriva, nonché il figlio nato fuori del matrimonio, riconosciuto, dopo il raggiungimento della maggiore età, da uno dei genitori o contemporaneamente da entrambi, hanno facoltà di scegliere, entro un anno dal giorno in cui ne vengono a conoscenza, di mantenere il cognome portato precedentemente, se diverso, ovvero di aggiungere o di anteporre ad esso, a loro scelta, quello del genitore. 3. Le dichiarazioni di cui al comma 2 sono rese all'ufficiale dello stato civile del comune di nascita dal figlio personalmente o con comunicazione scritta. Esse vengono annotate nell'atto di nascita del figlio medesimo>>.
[10] Ai sensi del quale <<1. È vietato imporre al bambino lo stesso nome del padre vivente, di un fratello o di una sorella viventi, un cognome come nome, nomi ridicoli o vergognosi. 2. I nomi stranieri che sono imposti ai bambini aventi la cittadinanza italiana devono essere espressi in lettere dell'alfabeto italiano, con la estensione alle lettere: J, K, X, Y, W e, dove possibile, anche con i segni diacritici propri dell'alfabeto della lingua di origine del nome. 3. Ai figli di cui non sono conosciuti i genitori non possono essere imposti nomi o cognomi che facciano intendere l'origine naturale, o cognomi di importanza storica o appartenenti a famiglie particolarmente conosciute nel luogo in cui l'atto di nascita è formato. 4. Se il dichiarante intende dare al bambino un nome in violazione del divieto stabilito nel comma 1 o in violazione delle indicazioni del comma 2, l'ufficiale dello stato civile lo avverte del divieto, e, se il dichiarante persiste nella sua determinazione, riceve la dichiarazione, forma l'atto di nascita e, informandone il dichiarante, ne dà immediatamente notizia al procuratore della Repubblica ai fini del promovimento del giudizio di rettificazione>>.
[11] Come già l'art. 72, r.d. n. 1238 del 1939, ai sensi del quale <<è vietato di imporre al bambino lo stesso nome del padre vivente, di un fratello o di una sorella viventi, un cognome come nome, nomi, e per i figli di cui non sono conosciuti i genitori anche cognomi, ridicoli o vergognosi o contrari all'ordine pubblico, al buon costume o al sentimento nazionale o religioso, o che sono indicazioni di località o in generale denominazioni geografiche e, se si tratta di bambino avente la cittadinanza italiana, anche nomi stranieri>>. La norma è stata abrogata dall’art. 110 del d.p.r. n. 396 del 2000.
[12] Prima della riforma della filiazione, con d.lgs. 28 dicembre 2013, n. 154. L’art. 237 c.c. vigente prevede che <<1. Il possesso di stato risulta da una serie di fatti che nel loro complesso valgano a dimostrare le relazioni di filiazione e di parentela fra una persona e la famiglia a cui essa pretende di appartenere. 2. In ogni caso devono concorrere i seguenti fatti: 3. che il genitore abbia trattato la persona come figlio ed abbia provveduto in questa qualità al mantenimento, all'educazione e al collocamento di essa. 4. che la persona sia stata costantemente considerata come tale nei rapporti sociali; 5. che sia stata riconosciuta in detta qualità dalla famiglia>>.
[13] La norma non prevedeva, in origine, la possibilità per il figlio, non riconosciuto alla nascita da nessuno dei due genitori e al quale era stato, quindi, attribuito il cognome dall’ufficiale dello stato civile, di mantenere questo cognome nonostante il successivo riconoscimento operato da uno o entrambi i genitori, soprattutto quando ciò avvenisse in età adulta. La Corte Costituzionale, con sentenza 23 luglio 1996, n. 297, in Fam. dir., 1996, 412, con nota di Carbone, è intervenuta dichiarando incostituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del presente articolo «nella parte in cui non prevede che il figlio naturale, nell'assumere il cognome del genitore che lo ha riconosciuto, possa ottenere dal giudice il riconoscimento del diritto a mantenere, anteponendolo o, a sua scelta, aggiungendolo a questo, il cognome precedentemente attribuitogli con atto formalmente legittimo, ove tale cognome sia divenuto autonomo segno distintivo della sua identità personale».
L'art. 27, comma 1, lett. d), d.lg. 28 dicembre 2013, n. 154, ha aggiunto un terzo comma alla disposizione che precede prevedendo che se la filiazione nei confronti del genitore è stata accertata o riconosciuta successivamente all'attribuzione del cognome da parte dell'ufficiale dello stato civile, si applica il primo e il secondo comma del presente articolo; il figlio può mantenere il cognome precedentemente attribuitogli, ove tale cognome sia divenuto autonomo segno della sua identità personale, aggiungendolo, anteponendolo o sostituendolo al cognome del genitore che per primo lo ha riconosciuto o al cognome dei genitori in caso di riconoscimento da parte di entrambi.
[14] Già con le ordinanze C. Cost., 19 maggio 1988, n. 586, in Giur. cost., 1988, I, 4, e 11 febbraio 1988, n. 176, in Foro it. 1988, I, 1811, infatti, la Corte aveva evidenziato la possibilità di introdurre sistemi diversi di determinazione del nome, egualmente idonei a salvaguardare l’unità della famiglia, senza comprimere l’eguaglianza e l’autonomia dei genitori.
[15] C. Cost., 6 febbraio 2006, n. 61, in N.g.c.c., 2007, I, 30 ss.; analogamente, C. Cost., 27 aprile 2007, n. 145, in Giur. it., 2008, 585.
[16] Cass., ord., 17 luglio 2004 n. 13298, in Fam. dir., 2004, 457, con nota di V. Carbone, Quale futuro per il cognome?; v. altresì, G. Grisi, L'aporia della norma che impone il patronimico, in Eur. dir. priv., 2010, 666 ss.
[17] In quanto <<retaggio di una concezione patriarcale della famiglia, la quale affonda le proprie radici nel diritto di famiglia romanistico, e di una tramontata potestà maritale, non più coerente con i principi dell'ordinamento e con il valore costituzionale dell'uguaglianza tra uomo e donna>>.
[18] Revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione, a norma dell’art. 2, l. 10 dicembre 2012, n. 219, con il quale si è proceduto ad una equiparazione della disciplina dello status di figlio legittimo, figlio naturale e figlio adottato, riconoscendo l’unicità dello status di figlio.
[19] Con l’abrogazione degli artt. 84, 85, 86, 87 e 88, d.p.r. n. 396 del 2000 e l’introduzione del nuovo testo dell’art. 89, ad opera del d.p.r. 13 marzo 2012, n. 54 (Regolamento per la revisione e la semplificazione dell’ordinamento dello stato civile, a norma dell’art. 2, comma 12, della L. 15 maggio 1997, n. 127).
[20] Corte Edu, 7 gennaio 2014, ric. 77/07, in N.g.c.c., 2014, I, 510, con nota di S. Winkler, Sull'attribuzione del cognome paterno nella recente sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo; in Dir. fam. pers., 2014, 537, con nota di M. Alcuri, L'attribuzione del cognome paterno al vaglio della Corte di Strasburgo.
Si vedano anche V. Carbone, La disciplina italiana del cognome dei figli nati dal matrimonio, in Fam. dir., 2014, 212 s.; V. Corzani, L'attribuzione del cognome materno di fronte alla Corte europea dei diritti dell'uomo, in Giur. it., 2014, 2670 s.; G. Dolso, La questione del cognome familiare tra Corte costituzionale e Corte europea, in Giur. cost., 2014, 738 s.; L. Mura, Il ritardo italiano nell'adattamento alla sentenza della Corte EDU n. 77/07 sulla trasmissione del cognome materno, in Ordine int. e dir. umani, 2015, 650 s.; S. Niccolai, Il diritto delle figlie a trasmettere il cognome del padre: il caso Cusan e Fazzo c. Italia, in Quad. cost., 2014, n. 2, 453 s.; C. Pitea, Trasmissione del cognome e parità di genere: sulla sentenza “Cusan e Fazzo c. Italia” e sulle prospettive della sua esecuzione nell'ordinamento italiano, in Dir. umani e dir. int., 2014, 225 s.; S. Stefanelli, Illegittimità dell'obbligo del cognome paterno e prospettive di riforma, in Fam. dir., 2014, 221 s.
[21] C. Cost. 21 dicembre 2016 n. 286, cit.. La questione di legittimità costituzionale degli artt. 237,262 e 299 c.c., nonché dell'art. 72, r.d. n. 1238 del 1939 e degli artt. 33 e 34, d.p.r. n. 396 del 2000, nella parte in cui prevede «l’automatica attribuzione del cognome paterno al figlio legittimo, in presenza di una diversa contraria volontà dei genitori», era stata sollevata dalla Corte d'appello di Genova, con ordinanza emessa il 28 novembre 2013, in relazione agli artt. 2, 3, 29, comma 2, e 117 Cost., con riferimento all'art. 16, comma 1, lett. g), della Convenzione sulla eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti della donna, adottata a New York il 18 dicembre 1979, poi ratificata e resa esecutiva con la l. n. 132 del 14 marzo 1985.
[22]Si vedano, in tema, P. Schlesinger, L'unità della famiglia, in Studi in onore di Santoro Passarelli, IV, Napoli, 1972, 439 ss.; O.A. Cozzi, I d.d.l. sul cognome del coniuge e dei figli tra eguaglianza e unità familiaree, in N.g.c.c., 2010, 455; M. Dossetti, La disciplina del nome nella famiglia legittima ed il suo rapporto con il principio di eguaglianza tra i coniugi: la giurisprudenza italiana, in Diritto al nome e all'identità̀ personale nell'ordinamento europeo, a cura di C. Honorati, ,Milano, 2010, 34.
[23] O per i suoi genitori anche fin dall’inizio.