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Il Consiglio di Presidenza della Giustizia amministrativa e le valutazioni sugli incarichi

a cura di Roberto Lombardi • giu 27, 2024

PREMESSA


Il Consiglio di Presidenza della Giustizia amministrativa, finalmente rinnovato nel corso del 2023 anche nella sua componente "laica" - la componente "togata" era stata eletta fin dal luglio 2022 * - ha immediatamente affrontato in modo più restrittivo o comunque più puntuale alcune questioni a cui la precedente Consiliatura aveva dato una risposta ritenuta da molti non adeguata o comunque insoddisfacente.

Sotto altro aspetto, tuttavia, l’orientamento “liberale” della maggioranza in materia di incarichi non compresi nei doveri di ufficio, solo in alcuni casi stigmatizzato dai componenti non togati, si è poco a poco spostato verso una valutazione in concreto della professionalità del beneficiario di tali incarichi, piuttosto che nel solco di una verifica astratta di compatibilità tra immagine del magistrato e del suo plesso e sovrabbondanza/importanza dei compiti non compresi nei doveri di ufficio allo stesso affidati. 

Sarà il tempo (e l’esito di alcuni ricorsi giurisdizionali) a dire se la strada intrapresa sia stata giusta, sbagliata o semplicemente contraddittoria. 

Si riportano ad ogni modo di seguito, con un occhio critico e dall’interno, le problematiche più interessanti emerse dal dibattito pubblico nel corso del primo anno della nuova gestione dell’Autogoverno dei Magistrati amministrativi.


CCT E DOCENZE: QUALI LIMITI?


La disciplina in materia di incarichi di presidente dei collegi consultivi tecnici, organo di risoluzione delle controversie nate nel corso dell'esecuzione dell'appalto, regolamentata dal CPGA con delibera n. 65 del 2020 *, ha subito una sostanziale modifica nei suoi aspetti più significativi, a seguito di ulteriore delibera adottata dal Consiglio nella seduta del 5 luglio 2023.

Si è passati da una incompatibilità automatica ex ante (nel caso di partecipazione, nell’anno precedente all'incarico, a un collegio che aveva deciso una controversia in cui era parte il soggetto privato o pubblico coinvolto nell'appalto) a un sistema di “disclosure” con riserva di gradimento.

In pratica, una volta che l’interessato ha ricevuto l'incarico dai due soggetti coinvolti nell’esecuzione dell’appalto, la segreteria dell’Ufficio di appartenenza del magistrato destinatario di tale incarico verifica se costui ha fatto parte di un collegio che ha deciso, nei due anni precedenti alla sua designazione, un contenzioso coinvolgente una delle parti che gli hanno conferito l’incarico stesso.

Se il riscontro è positivo, tale notizia viene comunicata ai due soggetti interessati, affinché gli stessi possano rideterminarsi negativamente, se lo desiderano, rispetto all'incarico già conferito.

Il ragionamento sottostante a tale scelta del Consiglio di Presidenza è che le parti che attribuiscono l'incarico, prima della designazione del magistrato, potrebbero non essere a conoscenza di eventuali cause di incompatibilità; tuttavia, l'incompatibilità normalmente valorizzata dall'Organo di autogoverno è quella riferibile a una potenziale lesione dell'immagine del magistrato e a un sostanziale pregiudizio al corretto svolgimento delle sue funzioni, con interesse dei privati che resta inevitabilmente sullo sfondo.

In compenso, è ancora in vigore la norma secondo cui "in ogni caso l’incarico non può essere autorizzato o conferito quando l'espletamento dello stesso, tenuto anche conto delle circostanze ambientali, sia suscettibile di determinare una situazione pregiudizievole per l'indipendenza e l'imparzialità del magistrato, o per il prestigio e l'immagine della magistratura amministrativa"; tale norma dovrebbe teoricamente porre il Consiglio al riparo da scelte chiaramente lesive dell'immagine di magistrato e magistratura, nel caso concreto; non è mai stata applicata, tuttavia, nella presente Consiliatura.

Sono stati inoltre introdotti tre limiti alla maggiore elasticità della nuova disciplina:

- la possibilità che il Capo dell'Ufficio possa sindacare il pregiudizio di funzionalità derivante dall'incarico (con un parere di “opportunità”);

- il limite numerico massimo di tre incarichi per volta;

- l'obbligo di comunicazione semestrale dei compensi ricevuti in relazione all'incarico stesso.

Da notare, a tale ultimo riguardo, che la parte fissa del compenso per la partecipazione a un CCT è soltanto eventuale, perché subordinata alla partecipazione ad almeno 4 riunioni.

Il calcolo del compenso è inoltre soggetto a una serie di riferimenti matematici che lo rendono molto complesso (oltre che, come detto, presuntivo), per cui in sede di prima applicazione delle norme interne è stata ritenuta sufficiente l'indicazione del parametro principale di valutazione, che resta il valore dell'appalto da eseguire.

La questione riveste comunque molta importanza in quanto connessa al calcolo dell’eventuale superamento del limite, tramite compensi percepiti a seguito di incarichi extraistituzionali, del 65% della retribuzione media della qualifica di appartenenza del magistrato, limite che, se nell'anno precedente al nuovo incarico viene superato, preclude l'autorizzazione a un nuovo incarico nell’anno successivo.

Al di fuori dei casi di nomina fiduciaria diretta (soggetti al procedimento autorizzativo sopra descritto), in caso di richiesta non nominativa proveniente dal Ministero delle Infrastrutture e Trasporti, dalle Regioni, dalle Province autonome di Trento e Bolzano o dalle città metropolitane, il Consiglio di Presidenza individua il magistrato amministrativo cui conferire l'incarico scegliendolo, nel rispetto del principio di rotazione e mediante sorteggio, fra coloro che hanno manifestato la disponibilità a seguito di periodico interpello.

Sono inclusi nell'elenco unicamente i magistrati amministrativi in ruolo al momento dell'interpello.

Le nuove norme in materia di CCT sono state in una successiva seduta estese anche “ai fini dell’autorizzazione o del conferimento degli incarichi di presidente della commissione di accordo bonario ex art. 240 decreto legislativo n. 163 del 2006”, pur non sussistendo formale analogia tra le due fattispecie – strutturalmente diverse –, ma un semplice “apparentamento” connesso alla fase di esecuzione dell’appalto.

Si è posto poi il problema della “specialità” della disciplina in materia di CCT rispetto alle norme generali contenute nella delibera in materia di incarichi del 2001.

Il Consiglio, con una decisione molto controversa – di cui si darà atto di seguito -, ha ritenuto, in un caso specifico, che il sistema previsto dalla delibera n. 65 del 2020 sfugga all’applicazione di ogni altro limite che non sia previsto nel testo della medesima delibera o nelle linee guida ministeriali, in relazione alla spiccata peculiarità dell’incarico da autorizzare (o conferire, ma quella del conferimento è ipotesi del tutto residuale).


Quanto alle docenze presso enti privati, il 19 luglio del 2023 (delibera n. 50), a soli due mesi dal suo insediamento, il Consiglio di Presidenza ha approvato un corpus di norme restrittive sull'autorizzazione ai magistrati amministrativi di incarichi di docenza per la preparazione a concorsi pubblici.

Rinviando alla nota apparsa su questo sito per la descrizione dettagliata delle nuove disposizioni *, rilievo assoluto, per la sua potenziale dirompenza nel panorama consolidato delle docenze “private” per la preparazione a concorsi pubblici, ha la disposizione che introduce, a regime, un limite massimo di frequentazione, al corso tenuto da un magistrato su incarico di una società privata, di 150 studenti.

Si tratta di una norma dal chiaro sapore antielusivo - volta in sostanza ad impedire radicalmente e a priori la personalizzazione in capo al magistrato amministrativo di una "scuola", se non addirittura la confusione tra la figura del docente e la figura dell'imprenditore -, a cui si accompagnano, con finalità in parte analoghe, le varie incompatibilità che tale tipo di docenze si portano dietro (con l'insegnamento universitario, con l'Ufficio studi, con l'Ufficio del massimario), e la revoca dell'autorizzazione nel caso in cui l’ente privato conferente, con il proprio sito internet, pagina facebook, instagram o altri social comunque denominati, o con messaggi audio o video di qualsiasi forma, o con trasmissione di email o di manifesti, volantini o altre modalità, utilizza l’immagine, la voce o il nome del magistrato per promuovere il corso.

Altro divieto – a cui conseguiva in origine la revoca dell’autorizzazione - era quello della vendita, cessione gratuita o pubblicizzazione con qualsiasi modalità, da parte della società conferente, di libri riferibili al magistrato-docente. Tale divieto è stato peraltro eliminato, con delibera successiva, dallo stesso Consiglio.

Sul rapporto tra magistrato ed ente privato conferente l’incarico si è però innestata un'ulteriore problematica in materia di obbligo o meno di comunicazione al Consiglio dei compensi percepiti a titolo di diritto di autore.

Le norme rilevanti in materia sono l'art. 18-bis e l'art. 22-quater, lett. c) della delibera generale sugli incarichi, implicante, quest'ultimo, l’obbligo di attestazione preventiva da parte dell’ente privato conferente l’incarico, resa ai sensi degli articoli 46 e 47 del D.P.R. n. 445 del 2000, "circa gli emolumenti descritti dall’articolo 18 bis, comunque denominati (inclusi compensi, diritti d’autore comunque erogati, utili, partecipazioni) previsti per la collaborazione richiesta ed erogati al magistrato, a qualunque titolo, nei tre anni precedenti a quella della richiesta”.

Va segnalato, ad ogni modo, che, con riferimento alla relazione semestrale che il magistrato docente deve redigere a consuntivo delle docenze svolte, la norma parla di dichiarazione dei compensi ricevuti tout court dall'ente privato di turno (art. 18, comma 1, lett. c) n. 5 della delibera del 2001, così come modificato dalla delibera n. 50 del 2023), senza la limitazione del riferimento dei diritti di autore al "materiale d'aula" prevista dall'art. 18-bis.

La ratio delle disposizioni sopra citate è da rinvenire nella necessità di appurare se il compenso per diritti di autore sia sovradimensionato rispetto al compenso per la docenza: se ciò dovesse accadere, potrebbe teoricamente configurarsi un’elusione delle disposizioni di cui all’art. 6, comma 1 della delibera generale in materia di incarichi (rispetto nell’anno precedente del limite del 65% dei compensi percepiti con riferimento alla propria retribuzione lorda, ai fini dell’autorizzazione per un nuovo incarico).

D’altra parte, se fosse data attuazione alla circolare approvata dal Consiglio di Presidenza nella seduta del 16 luglio 1998 (“Anagrafe patrimoniale del personale di magistratura”) – circolare adottata sulla base dell’art. 17, comma 22, della l. 15 maggio 1997 n. 127 -, il problema della comunicazione dei dati inerenti ai guadagni percepiti a titolo di diritto di autore sarebbe risolto in radice, in quanto ai sensi della citata disposizione tutti i magistrati amministrativi dovrebbero annualmente comunicare all’Organo di autogoverno un'attestazione concernente le variazioni della situazione patrimoniale intervenute nell'anno precedente e copia della dichiarazione dei redditi.

Tutta la nuova disciplina nasce in ogni caso dalla constatazione oggettiva della carenza di controlli effettivi da parte della I Commissione sull'esecuzione “conforme” alle norme degli incarichi autorizzati; significativa al riguardo è la disposizione introdotta dalla mini-riforma del 19 luglio 2023, che affianca all'attività di vigilanza svolta dalla competente Commissione anche l'ulteriore controllo del Segretario generale, il quale, nell’ambito di un generale potere di vigilanza sul rispetto della delibera "può chiedere in ogni tempo al magistrato o all’ente privato conferente di fornire elementi concernenti lo svolgimento dell’attività di insegnamento autorizzata e trasmette semestralmente una relazione al Consiglio di Presidenza sulla propria attività

D’altra parte, “la mancata o l’inadeguata risposta dell’ente privato conferente alla richiesta del Segretariato generale è elemento valutabile, in sede di esame delle istanze di autorizzazione, ai fini della sua affidabilità” (art. 22-sexies, comma 1, ultimo periodo).

La nuova norma ha avuto una significativa prima applicazione, nella seduta del 13 marzo 2024, in un caso di diniego dell’autorizzazione annuale per una “superdocenza privata”.


SUPERDOCENZE, INCARICHI AI NUOVI ASSUNTI E VALUTAZIONE DI CONTESTO


Il Consiglio di Presidenza, nel corso di questo primo anno della nuova Consiliatura, ha dovuto affrontare il caso della richiesta, da parte di un Consigliere di Stato, già autorizzato per una superdocenza in corso di esecuzione (docenza per la preparazione di concorsi pubblici presso un ente privato per un numero di giorni pari al massimo autorizzabile, ovvero 40), di essere autorizzato a svolgere anche l'incarico di Presidente di un collegio consultivo tecnico, afferente all'esecuzione di un appalto del valore di oltre un miliardo di euro “spalmato” su più di dieci anni di esecuzione.

Osterebbe all'autorizzazione, in teoria, la norma di cui all'art. 4, comma 3, lett. h-bis della delibera generale sugli incarichi, che prevede l'impossibilità per il magistrato che abbia in corso un incarico di docenza privata ai sensi dell’art. 18, comma 1, lett. c) o d) per più di 30 giorni di calendario di potere essere autorizzato allo svolgimento di ulteriori incarichi.

Il Consiglio, tuttavia, a maggioranza, con un'interpretazione che ha fatto leva sul principio di specialità - intesa, nel caso di specie, come autonomia e non riconducibilità della disciplina sui CCT alla disciplina generale sugli incarichi - ha autorizzato lo stesso il magistrato richiedente.

Secondo questa interpretazione, ogni limite “generale” non riferibile strettamente al testo della delibera n. 65 del 2020, e non richiamato in esso, dovrebbe essere superato, quando si autorizzano le presidenze di CCT.

L’interpretazione in oggetto offre però il fianco a tre diversi tipi di critiche.

Innanzitutto, l’applicazione del principio di specialità è normalmente correlato alla risoluzione dell’antinomia che si crea tra due disposizioni normative che regolano lo stesso fatto giuridico; nel caso di specie, non vi sono due diverse disposizioni, ma semplicemente l’assenza in uno dei due testi di un limite presente nel testo generale in materia di incarichi.

SI tratterebbe, in altri termini, di una specialità soltanto “testuale”, ovvero riferita all’autonomia formale dell’atto su cui sono inserite le norme.

In secondo luogo, le regole stabilite dalla delibera del 2001 sono in diretta attuazione del d.P.R. 6 dicembre 1993 n. 418, e dunque non dovrebbero poter essere derogate da disposizioni non aventi a loro volta valore regolamentare – e concernenti sempre incarichi non compresi nei compiti e nei doveri d’ufficio dei magistrati amministrativi -, senza un’esplicita e motivata volizione da parte del Consiglio di Presidenza.

Da ultimo, l’art. 4, comma 3, lett. h-bis delle citate “norme generali per il conferimento o l’autorizzazione di incarichi non compresi nei compiti e nei doveri d’ufficio dei magistrati amministrativi” - già richiamato - sarebbe da considerarsi a sua volta norma speciale, perché riferita a un particolare tipo di docenza, espressamente e dettagliatamente regolamentata dagli artt. 18 e seguenti della delibera generale del 2001, e il cui svolgimento precluderebbe ex se l’autorizzazione all’assunzione di qualsiasi altro tipo di incarico non compreso nei doveri di ufficio.


Sotto altro profilo, sempre un Presidente di Sezione del Consiglio di Stato, anno dopo anno autorizzato dal Consiglio di Presidenza a svolgere l’insegnamento post-universitario presso un ente privato per il massimo delle giornate possibili secondo l’attuale normativa in materia (quaranta), ha chiesto la presa d’atto della diffusione sul mercato, da parte della stessa società conferente l’incarico di insegnamento, di un podcast realizzato tramite registrazione di lezioni svolte in presenza di pubblico.

L’interessato ha qualificato tale podcast come opera dell’ingegno in formato digitale finalizzata alla formazione concorsuale, ma fruibile da chiunque ne abbia interesse tramite un’applicazione software dedicata o all’interno di sale in modalità cinema.

Il podcast, in sé considerato, non è altro che un brano audio o video digitalizzato diffuso attraverso la rete telematica; tuttavia, nel caso di specie, il prodotto in questione risulta contenere lezioni monotematiche facenti parti di un più ampio corso di diritto amministrativo per la preparazione al concorso in magistratura ordinaria.

Il punto critico della richiesta di presa d‘atto è stato rinvenuto, dal Consiglio di Presidenza, nel fatto che si sarebbe trattato, nella sostanza, di lezioni di livello post-universitario registrate (e dunque di una vera e propria docenza svolta, seppure in modalità asincrona, ai sensi degli artt. 18 e ss. della delibera generale sugli incarichi) e che tali lezioni sono gestite e commercializzate dalla stessa società privata che conferisce annualmente al Presidente di Sezione del Consiglio di Stato l’incarico di docenza per la preparazione al concorso in magistratura ordinaria.

Il podcast sottoposto alla presa d’atto era dunque da qualificare come un manuale scritto da fruire in modalità audio-video (opera dell’ingegno) o come una mera modalità alternativa di docenza?

Soccorre al riguardo la norma (art. 18, comma 9 della delibera del 2001) secondo cui “L’incarico di insegnamento è autorizzabile anche qualora l’ente pubblico o privato conferente abbia previsto l’uso di sistemi informatici che consentano il collegamento da remoto degli studenti. Il magistrato deve indicare nell’istanza di autorizzazione se sia prevista la registrazione della lezione, la quale può essere diffusa gratuitamente ai soli studenti già iscritti al corso e con modalità informatiche che ne impediscano la diffusione a terzi”.

La citata disposizione lambisce soltanto il problema sollevato dall’istanza di presa d’atto del magistrato richiedente, in quanto nel caso di specie la lezione è sì registrata ma apparentemente non contestualmente a un corso “ordinario” per tenere il quale è necessaria l’autorizzazione.

Ma il fatto che si tratti pur sempre di docenza ha fatto propendere il Consiglio per l’applicabilità all’istanza della delibera generale in materia di incarichi, e dell’impossibilità per l’Organo di Autogoverno di limitarsi a una mera presa d’atto dell’istanza stessa – come se ci si limitasse a “fotografare” la commercializzazione di un’opera dell’ingegno -, istanza che avrebbe potuto in tesi essere nuovamente proposta ai fini di un’eventuale autorizzazione.

Su tutti i ragionamenti svolti, ha probabilmente prevalso l’osservazione secondo cui nel caso di podcast distribuito dalla stessa società che conferisce un incarico di “superdocenza” (più di trenta giorni all’anno) vi è la spendita di un potere di organizzazione imprenditoriale che va considerato “interno” rispetto alla tradizionale attività di docenza soggetta ad autorizzazione.


E' stato poi affrontato il caso di un referendario (primo gradino nella scala delle qualifiche dei magistrati amministrativi) assunto da poco tempo e ancora nella fase del "tirocinio" - cui consegue l'obbligo di formazione e una significativa riduzione di carico per quattro mesi -, il quale ha chiesto al Consiglio di Presidenza l'autorizzazione al rinnovo dell'incarico già detenuto presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Da tale incarico sarebbe conseguito un compenso annuo di € 50.000,00, di poco inferiore al 65% della retribuzione da referendario.

In Consiglio di Presidenza si è opposta all'autorizzabilità dell'incarico una ricostruzione della fattispecie che fa leva su due argomenti sistematici:

- l’esistenza dello sgravio di cui usufruisce il neoreferendario, che è stato previsto proprio per dedicarsi, nella prima fase della nuova delicata attività giurisdizionale, a una formazione piena e consapevole;

- il contrasto evidente tra natura e compenso dell'incarico, e la sua dubbia autoqualificazione come incarico non continuativo.

Quanto al secondo profilo, è utile ricordare che la normativa in materia (art. 4, comma 1 del d.P.R. n. 418 del 1993) consente in linea di massima un solo incarico che comporti attività di carattere continuativo (che è normalmente quello che impegna più di due giorni a settimana) e nulla dice sugli incarichi “non continuativi”.

Il Consiglio di Presidenza ha autorizzato in ogni caso l’incarico facendo leva sull’assenza di specifiche disposizioni che vietino espressamente la possibilità di svolgere l’incarico stesso; nel corso della seduta pubblica, il Presidente del Consiglio di Stato ha suggerito, al riguardo, l’applicazione del criterio della “doppia novità”.

Secondo tale impostazione, l’incarico al neoreferendario sarebbe da negare soltanto qualora tale incarico costituisca a sua volta un novum rispetto all’attività precedentemente svolta, e si accompagni dunque in modo potenzialmente negativo all’ulteriore grande novità costituita dall’inizio del delicato svolgimento delle funzioni giurisdizionali.


Un significativo dibattito si è infine aperto in Consiglio a seguito della richiesta di autorizzazione da parte di un Presidente di Sezione di un importante Tribunale amministrativo regionale  per 20 ore di lezione per un corso di diritto pubblico da svolgere presso un ente privato. Tali lezioni avrebbero dovuto essere retribuite con un compenso di 20 euro all'ora.

La I Commissione è arrivata in Plenum "spaccata". Il dissenso rispetto all'autorizzabilità conseguiva a due considerazioni: l'una, afferente all'eccesso di incarichi già autorizzati in favore del Presidente in questione, e la sua ritenuta incompatibilità con la funzione giurisdizionale in concreto esercitata; l'altra, avente riguardo al compenso esiguo dichiarato, da considerarsi astrattamente non dignitoso dal punto di vista dell’accessorio economico (si ricordi al riguardo che l’art. 3 comma 2 della delibera generale sugli incarichi dispone che “non possono essere disposti il conferimento o l’autorizzazione nei casi in cui l’incarico da svolgere, per le modalità, la natura od il contenuto delle funzioni che la stessa comporta, non si dimostri confacente allo status del magistrato e, in ogni caso, al prestigio dell’ordine cui appartiene”).

In contrario avviso, è stato detto che autorizzare un incarico di insegnamento svolto a titolo quasi gratuito non può andare a svantaggio del magistrato richiedente, e si è evidenziato in concreto come l’interessato, nonostante la mole di incarichi già detenuta, svolgesse in maniera ineccepibile la propria funzione di Presidente di Sezione.

Sotto altro aspetto, il Presidente del Consiglio di Stato, nel corso del Plenum, ha posto l'attenzione sul fatto che, in ossequio all’articolo 18, comma 10, della delibera CPGA del 18 dicembre 2001, il soggetto privato che cura l'offerta formativa deve comunicare quanto il singolo partecipante al corso corrisponde per seguire le lezioni, al fine di consentire una valutazione globale sul rapporto che intercorre tra il compenso attribuito al magistrato e l’importo complessivamente percepito dall’ente conferente stesso, e permettere di accertare l'esistenza di un eventuale squilibrio tra quota (molto alta) e compenso (molto basso), il che renderebbe ingiustificato il fatto che il magistrato ponga la propria attività a disposizione di una società privata, per lesione del prestigio del magistrato stesso, oltre che dell’immagine della magistratura amministrativa nel suo complesso.

Il Plenum, infine, con soli sei voti favorevoli alla proposta di autorizzazione, ha espresso parere negativo, valorizzando in sostanza l'oggettiva numerosità e visibilità degli incarichi già svolti dal Presidente di Sezione (in particolare, consulente giuridico presso l’Ufficio Legislativo di un’importante Regione su mandato diretto del Presidente della Giunta, oltre a tre Presidenze di CCT e alla funzione di magistrato tributario), a fronte dello svolgimento presso il T.A.R. di appartenenza della funzione di Presidente di Sezione interna, con competenza, tra l’altro, sugli appalti di una Regione economicamente molto sviluppata.

E' stata in particolare ritenuta applicabile, nella concreta fattispecie esaminata, la norma di cui all’articolo 4, comma 1, della delibera CPGA del 18 dicembre 2001, norma secondo cui “Il conferimento o l’autorizzazione allo svolgimento di qualsiasi incarico è subordinato alla verifica in concreto della compatibilità dell’incarico rispetto all’assenza di pregiudizio per l’indipendenza e l’imparzialità del magistrato come pure per il prestigio e l’immagine della magistratura amministrativa”.

Tale disposizione conferisce al Consiglio un ulteriore margine di discrezionalità in ordine all’autorizzazione degli incarichi, quand’anche vi sia l’astratta l’autorizzabilità del singolo incarico, atomisticamente considerato, e permette, quale clausola di chiusura e salvaguardia, di respingere le richieste di autorizzazioni che, o per il cumulo con altri impegni extraistituzionali o per il contesto in cui dovrebbe essere svolto il relativo incarico, possano compromettere l’immagine della Giustizia Amministrativa o comunque il prestigio dell'interessato.

La stessa norma, peraltro, in altri casi, forse ancora più clamorosi, non è stata applicata nel corso dell’attuale Consiliatura; ne deriva probabilmente la necessità di prevedere una regola chiara, oggettiva, e valida per tutti i casi in cui appaia necessaria, per tutelare il buon nome dell'Istituzione, una limitazione del cumulo degli incarichi non continuativi.



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