Tra le pieghe della legge di bilancio per l’anno 2021, si annida la previsione dell’istituzione di un apposito fondo, la cui operatività è rimessa ad un emanando decreto del Ministro della Giustizia[1], destinato a rifondere, in ogni caso nel limite massimo di € 10.500, le spese legali sostenute “nel processo penale […] dall’imputato assolto, con sentenza divenuta irrevocabile, perché il fatto non sussiste, perché non ha commesso il fatto o perché il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato” (art. 1, comma 1015, L. 30 dicembre 2020, n. 178, in vigore dal 1° gennaio 2021). La dotazione del fondo ammonta ad Euro 8 milioni annui a decorrere dall’anno 2021, somma che costituisce il limite complessivo di spesa per l'erogazione dei rimborsi.
Il rimborso non spetta nell’ipotesi in cui l’imputato sia stato assolto per uno o più capi di imputazione e condannato per altri reati; in ipotesi di estinzione del reato per amnistia o prescrizione o anche di sopravvenuta depenalizzazione dei fatti oggetto di imputazione (art. 1, comma 1016, L. 30 dicembre 2020, cit.).
La ratio che ha ispirato il provvedimento[2], nell’apprestare un ristoro a beneficio dell’imputato assolto a fronte di una persecuzione penale sfociata nell’assoluzione, anche se con la formula “dubitativa” di cui all’art. 530, comma II, c.p.p., sembra ispirarsi all’istituto della responsabilità per fatto lecito - nel caso, dell’amministrazione giudiziaria -, che, come noto, dà luogo a un’obbligazione di natura non risarcitoria ma meramente indennitaria, in accordo, del resto, alla clausola di cui all’art 1173 c.c., a mente del quale le obbligazioni derivano da contratto, da fatto illecito, o “da ogni altro atto o fatto idoneo a produrle in conformità dell'ordinamento giuridico”[3].
L’assoluzione dell’imputato, invero, pertiene alla fisiologia del processo, che, quale macchina istruttoria deputata a verificare la fondatezza dell’ipotesi d’accusa trasfusa nel capo di imputazione, origina da un rinvio a giudizio al quale è sottesa una regula iuris quanto mai elastica: come noto, la consolidata elaborazione giurisprudenziale, con riguardo alla regola di giudizio implicita all’art. 425, comma III, c.p.p., a mente del quale il giudice pronuncia sentenza di non luogo a procedere anche quando gli elementi acquisiti risultano insufficienti, contraddittori o comunque non idonei a sostenere l’accusa in giudizio, autorizza il giudice dell’udienza preliminare a pronunciare sentenza di non luogo a procedere all’esito di una verifica – svolta sotto il solo profilo processuale – che abbia riguardo all’insufficienza, alla contraddittorietà o all’inidoneità degli elementi probatori acquisiti a sostenere l’accusa in giudizio «esprimendo un giudizio prognostico circa l’inutilità del dibattimento, cui è del tutto estraneo un giudizio, sia pure allo stato degli atti, in merito alla colpevolezza dell'imputato»[4].
Ne consegue che, al cospetto di fonti di prova che si prestino ad una pluralità ed alternatività di soluzioni decisorie, anche se insufficienti e contraddittorie, «il giudice dell’udienza preliminare deve porsi nell’ottica dinamica dei possibili sviluppi processuali verificando se tale situazione possa essere superata attraverso le verifiche e gli approfondimenti propri della fase del dibattimento, sicché la sentenza di non luogo a procedere può far seguito solo ad un giudizio di prevedibile inutilità del passaggio dibattimentale, inidoneo a sciogliere i dubbi e le contraddizioni emersi nella fase investigativa»[5], anche alla luce dei contributi informativi eventualmente rivenienti dalle investigazioni difensive[6]. In tale cornice epistemologica, l’assoluzione dell’imputato, come detto, è eventualità immanente al sistema, che, non potendo ascriversi ad un esercizio temerario - o avventato - dell’azione penale da parte del pubblico ministero (quanto ai reati a citazione diretta) o del giudice dell’udienza preliminare, può dar luogo ad una responsabilità indennitaria, a carico dello Stato, a ristoro dell’imputato che sia stato assolto nel merito e che quindi, obiettivamente, abbia subito una persecuzione penale, retrospettivamente considerata, non giustificata. Tale prospettiva appare del resto confermata dal meccanismo di calcolo dell’indennità, per cui, entro il massimale dei 10.500 €, assumono rilievo “il numero di gradi di giudizio cui l’imputato assolto è stato sottoposto e la durata del giudizio”, in applicazione di coefficienti di calcolo che l’Autorità ministeriale è demandata a elaborare (art. 1, comma 1019, L. 30 dicembre 2020, cit.).
Due riflessioni critiche sembrano prospettabili con riguardo alla novità normativa: essa avrebbe dovuto coordinarsi - ed innestarsi - con il disegno di legge[7], attualmente all’esame del Parlamento, finalizzato, tra l’altro, alla modificazione della regula iuris sottesa al rinvio a giudizio, che, nella prospettiva della riforma, impegna il giudice dell’udienza preliminare ad un esercizio di merito proteso alla colpevolezza dell’imputato, meritevole di essere rinviato a giudizio quando l’ipotesi d’accusa si fondi su elementi probatori di tale consistenza da giustificare una ragionevole previsione di condanna all’esito del dibattimento; invero, se il riconoscimento di un indennizzo logicamente presuppone l’inflizione di un pregiudizio, sia pure iure datum, l’ordinamento dovrebbe aspirare a minimizzare le occasioni favorevoli al prodursi del pregiudizio e, quindi, regolare il rinvio a giudizio in accordo a criteri elaborativi di maggior rigore nella valutazione dell’ipotesi d’accusa.
D’altro canto, la previsione della rifusione delle spese legali potrebbe indurre a condotte opportunistiche da parte dell’imputato che, in vista dell’ottenimento di un rimborso delle spese legali, che non gli sarebbe riconosciuto laddove il procedimento fosse definito in sede di archiviazione a dispetto dell’attività eventualmente prestata in suo favore dal difensore, preferisca attendere il rinvio a giudizio e quindi dedurre argomenti difensivi in vista del giudizio dibattimentale in potenza decisivi ai fini dell’assoluzione, che, se fossero stati portati in sede di indagine o anche in udienza preliminare, avrebbero giustificato l’archiviazione della notitia criminis o la pronuncia di una sentenza di non luogo a procedere. Epilogo, quest’ultimo, che, non traducendosi in un’assoluzione nel merito - essendo peraltro ritrattabile nel ricorrere dei presupposti di revocabilità ex artt. 434 ss. c.p.p. -, non attribuisce al prosciolto alcun diritto alla rifusione delle spese legali.
Il rimborso di cui si discute è riconosciuto dietro presentazione di fattura del difensore, con espressa indicazione della causale e dell'avvenuto pagamento, corredata di parere di congruità del competente Consiglio dell'ordine degli avvocati, nonché di copia della sentenza di assoluzione con attestazione di cancelleria della sua irrevocabilità (art. 1, comma 1017, L. 30 dicembre 2020, n. 178, cit.); sul punto, appare opportuna una notazione, in vista dell’adozione del decreto attuativo del fondo di rimborso: poiché il legislatore disconosce il diritto al rimborso, in ipotesi di assoluzione per alcuni dei titoli di reato e di condanna per altri titoli oggetto dell’imputazione decreto, sarebbe opportuno che si acquisisse anche la copia del decreto dispositivo del giudizio - o del decreto di citazione a giudizio - in modo da verificare il ricorrere della cennata condizione di rimborsabilità ed evitare erogazioni indebite in ogni ipotesi in cui nel corso del giudizio taluni dei capi di imputazione siano stati separati e i rispettivi esiti processuali differenziati, gli uni nel senso della condanna, gli altri dell’assoluzione.
[1] Da adottarsi “di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge” (art. 1, comma 1019, L. 30 dicembre 2020, n. 178).
[2] Per un inquadramento “politico” dello strumento, cfr. l’intervista all’On. Enrico Costa, autore dell’iniziativa emendativa poi approdata all’approvazione parlamentare, in Giur. pen., 29 dicembre 2020.
[3] Cfr. del resto Cass. civ. 16 dicembre 2015 -dep. 2016 n. 25292,
in Mass. uff.
638108, quanto all’affermazione per cui la responsabilità per fatto lecito dannoso non ha carattere eccezionale in quanto l'espressione «ordinamento giuridico» che accompagna, nell'art. 1173 c.c., il riferimento alla terza specie di fonti delle obbligazioni, ossia quelle che derivano «da ogni altro atto o fatto idoneo a produrle in conformità dell'ordinamento giuridico», non si risolve in una mera indicazione riassuntiva di un elenco chiuso costituito da tutte le altre fonti nominate ma consente un'apertura all'analogia, ovvero alla possibilità che taluni accadimenti, ulteriori rispetto a quelli previsti dalla legge, siano ritenuti idonei alla produzione di obbligazioni alla luce dei principi e dei criteri desumibili dall'ordinamento considerato nella sua interezza, complessità ed evoluzione.
[4] Cass. pen. 26 febbraio 2016 n. 26756, in Mass. uff. 267189 – 01; id. 19 aprile 2018 n. 58322, non massimata; id. 14 settembre 2018 n. 49528, non massimata.
[5] Cass. pen. 24 gennaio 2014 n. 6765, in Mass. uff. 258806 – 01; id. 1° febbraio 2018 n.46967, non massimata; id. 9 febbraio 2018 n. 15288, non massimata.
[6] Per più ampi riferimenti, cfr., volendo, F. Alvino, Rifondazione delle “udienze preliminari” e implicazioni di sistema: riflessioni a prima lettura a margine del recente disegno di legge delega di riforma del processo penale, in Arch. pen., 14 maggio 2020
[7] Per una prima ricognizione dei contenuti del disegno di legge, cfr. Spangher, Riforma del processo penale e prescrizione, in Quot. giur., 19 e 25 febbraio 2020; G. Canzio, Ancora una riforma del processo penale, in Dir. pen. proc., 2020, 5; M. Daniele, L’abolizione dell’udienza preliminare per rilanciare il sistema accusatorio, in Sist. pen., 27 gennaio 2020, 1; F. Alvino, Rifondazione delle “udienze preliminari” e implicazioni di sistema, op. loc. cit.