Partiamo da una premessa “storica”. Secondo i dati ufficiali, al 7 gennaio 2021, la pandemia ha ucciso in Italia più di 77.000 persone. Siamo tra i Paesi al mondo con il più alto tasso di letalità, in rapporto alla popolazione, e il maggiore decremento del PIL. È ormai evidente che in casa nostra la strategia di contenimento ha sostanzialmente fallito, al di là delle singole responsabilità. Ci resta soltanto l'exit strategy - la vaccinazione di massa - per uscire da quest'incubo.
Eppure, fino al 30 dicembre 2020, un Governo che con la complicità del Parlamento ha regolamentato nel minimo dettaglio ogni comportamento possibile, sostituendo di fatto la regola del "ciò che non è vietato è permesso" con il principio emergenziale secondo cui "ciò che non è permesso è vietato", non aveva ancora messo a punto alcuna norma in materia di vaccinazione della popolazione contro il Covid-19.
Eravamo fermi al Piano Strategico Vaccinazione anti-Sars-Cov-2/Covid-19, aggiornato in data 12 dicembre 2020 dal Ministero della Salute, il cui valore giuridico è assimilabile, forse, a quello di una circolare interna (si parla di “sintesi delle linee di indirizzo”), e alla informativa del Ministro Speranza al Senato e alla Camera dei Deputati del 2 dicembre 2020, cui si sono “agganciate” risoluzioni parlamentari con valore di indirizzo generale per l’esecutivo.
Con l’approvazione della legge di bilancio per il 2021, finalmente il Parlamento affronta una materia così vitale per il nostro Paese.
Dal comma 457 in poi dell’art. 1 della L. n. 178 del 2020, entrata in vigore il primo gennaio 2021, sono descritte le regole fondamentali in materia di vaccinazione anti-Covid.
Vediamone una sintesi.
Innanzitutto, il Ministro della salute adotta con proprio decreto il piano strategico nazionale dei vaccini per la prevenzione delle infezioni da SARS-CoV-2, “finalizzato a garantire il massimo livello di copertura vaccinale sul territorio nazionale”.
In secondo luogo, il piano di cui sopra è attuato dalle Regioni e dalle Province autonome di Trento e di Bolzano “adottando le misure e le azioni previste, nei tempi stabiliti dal medesimo piano”, ma, in caso di mancata attuazione del piano o di ritardo, vi provvede in via sostitutiva e previa diffida, il Commissario straordinario per l'attuazione e il coordinamento delle misure occorrenti per il contenimento e il contrasto dell'emergenza epidemiologica Covid-19.
In terzo luogo, la prestazione di somministrazione dei vaccini contro il SARS-CoV-2 è effettuata presso le strutture individuate dal Commissario straordinario, sentite Regioni e Province autonome.
Vi sono infine alcune disposizioni di natura contingente sui medici specializzandi (chiamati a concorrere allo svolgimento dell'attività di profilassi vaccinale per la popolazione), sulla partecipazione al processo di assunzioni speciali delle agenzie di somministrazione iscritte all'albo delle agenzie per il lavoro istituito presso il competente Ministero, sulla predisposizione ad hoc di un elenco di personale medico-sanitario e sulla remunerazione delle eventuali prestazioni aggiuntive fornite dal personale medico.
Tuttavia, ad oggi, a leggere tutti questi documenti e disposizioni, un soggetto in buona forma fisica sui 50 anni, che non lavora in una struttura sanitaria o in una RSA, non è in grado di capire come e quando si vaccinerà, mentre sa benissimo che se vuole giocare a tennis e non ha una tessera agonistica deve sfidare i rigori di un inverno particolarmente freddo su un campo all'aperto.
Sulla pagina web del Commissario straordinario Arcuri sono consultabili due richieste di “offerta aperta” per l’affidamento della fornitura e consegna di siringhe e aghi, oltre che di sodio cloruro 0,9% in fiale (la prima per la somministrazione e la seconda per la diluizione del “vaccino covid-19”), e un avviso di procedura aperta di massima urgenza per un accordo quadro con cinque agenzie per il lavoro, che devono “procurare” a tempo determinato forza-lavoro consistente in soggetti abilitati all’esercizio della professione medica, infermieri e assistenti sanitari “per l’attuazione del piano di somministrazione dei vaccini anti sars-cov-2”.
Andando a leggere più da vicino questi “bandi”, si scopre che la norma in base alla quale il Commissario straordinario si è attivato per pianificare la vaccinazione di massa è sempre la stessa: l’art. 122 del decreto-legge n. 18, convertito, con modificazioni, nella L. n. 27 del 2020.
Secondo il principio fondamentale di tale norma, richiamata anche dalla legge di bilancio per il 2021, “il Commissario attua e sovrintende a ogni intervento utile a fronteggiare l'emergenza sanitaria, organizzando, acquisendo e sostenendo la produzione di ogni genere di bene strumentale utile a contenere e contrastare l'emergenza stessa, o comunque necessario in relazione alle misure adottate per contrastarla, nonché programmando e organizzando ogni attività connessa, individuando e indirizzando il reperimento delle risorse umane e strumentali necessarie, individuando i fabbisogni, e procedendo all'acquisizione e alla distribuzione di farmaci, delle apparecchiature e dei dispositivi medici e di protezione individuale”.
Non vi è dunque al momento alcuna regola scritta e cogente che disciplini con precisione l’iter vaccinale, ma una sorta di delega (quasi) in bianco al Commissario straordinario, estesa adesso anche alle Regioni e alle Province autonome, sulla base di un piano di indirizzo. Men che meno è stato previsto l’obbligo di vaccinarsi, o la raccomandazione formale a farlo, se si eccettua il generico richiamo, contenuto nel piano strategico aggiornato al 12 dicembre 2020, allo “sviluppo di raccomandazioni su gruppi target a cui offrire la vaccinazione”.
Occorre a questo punto capire, facendo un piccolo passo indietro, se lo Stato può obbligare le persone a vaccinarsi contro la malattia causata dall’infezione del virus SARS-CoV-2.
I trattamenti sanitari coattivi a tutela della salute pubblica, tra cui rientrano le vaccinazioni obbligatorie – trattamenti che secondo la nostra Costituzione non possono essere disposti se non dalla legge – sono legittimi soltanto se vi è necessità di salvaguardare contemporaneamente la salute individuale e collettiva.
Secondo la giurisprudenza costituzionale che si è consolidata in materia, infatti, il trattamento può essere imposto qualora sia volto contemporaneamente a preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato e a preservare lo stato di salute degli altri, di modo che la compressione del principio di autodeterminazione che inerisce al diritto di ciascuno alla salute, in quanto diritto fondamentale, risulti giustificata da un’ulteriore scopo, afferente alla salute come interesse della collettività.
Per converso, le esigenze di tutela della collettività non possono giustificare in nessun caso trattamenti che incidano negativamente sullo stato di salute di colui che vi è sottoposto, salvo per quelle sole conseguenze che, per la loro temporaneità e scarsa entità, appaiono relativamente normali e comunque tollerabili.
Nell'ipotesi di danno ulteriore, peraltro, deve essere prevista comunque la corresponsione di una equa indennità in favore del danneggiato, e ciò a prescindere dalla parallela tutela risarcitoria.
Posto che nel caso della diffusione del virus SARS-COV-2 ci troviamo di fronte ad un virus che in Italia ha messo in ginocchio le strutture sanitarie, prodotto un numero elevatissimo di decessi e determinato la compressione generalizzata dei diritti di libertà, paiono sussistere, nel caso di specie, tutti i presupposti per imporre la vaccinazione obbligatoria, a fronte di vaccini “sicuri” per la salute individuale (anche perché autorizzati dalle competenti autorità).
Si tratterebbe cioè, nel caso di specie, di una scelta “non irragionevole” da parte del Parlamento – il quale soltanto può prevedere, con legge, l’imposizione di un trattamento sanitario -, e quindi in teoria non sindacabile dalla Corte costituzionale.
Perché allora il Governo o il Parlamento non si decidono a promuovere una legge sull’obbligatorietà del vaccino destinato a prevenire la malattia da “coronavirus 2019”, in un momento storico in cui tale misura potrebbe risultare indispensabile per raggiungere l’immunità di gregge e garantire così un ritorno alla “normalità”?
Scartata l’ipotesi di una concezione ultraliberista, fondata sulla massima valorizzazione dell’autonomia individuale – concezione per la quale non sembra propendere l’attuale maggioranza parlamentare -, potrebbe assumere un ruolo rilevante, agli occhi dell’esecutivo, la questione dei futuri indennizzi da liquidare, se i vaccini ad oggi disponibili (concepiti con tecniche innovative rispetto al passato) dovessero risultare, alla lunga, produttivi di pesanti effetti collaterali.
Invero, l’attuale normativa in materia di indennizzi esclude, in caso di natura non obbligatoria della vaccinazione, il diritto all’indennizzo; questo spetta soltanto ai soggetti “obbligati” che lamentino, quale conseguenza della vaccinazione, lesioni o infermità di carattere irreversibile (art. 1, comma 1, della legge n. 210 del 1992).
Tuttavia, la Corte costituzionale si è costantemente espressa, negli ultimi decenni, a favore di un’estensione del diritto all’indennizzo anche in capo ai soggetti che si sono vaccinati sulla base di una “raccomandazione” pubblica.
E questo perché, nell’orizzonte epistemico della pratica medico-sanitaria, la distanza tra raccomandazione e obbligo è decisamente minore di quella che separa i due concetti nei rapporti giuridici. In ambito medico, raccomandare e prescrivere sono azioni percepite come egualmente doverose in vista di un determinato obiettivo.
In effetti, benché la tecnica della raccomandazione esprima maggiore attenzione all’autodeterminazione individuale e, quindi, al profilo soggettivo del diritto fondamentale alla salute, tutelato dal primo comma dell’art. 32 Cost., la stessa è pur sempre indirizzata allo scopo di ottenere la migliore salvaguardia della salute come interesse anche collettivo.
Ciò che rileva è che sia l’obbligo che la raccomandazione perseguono, nella profilassi delle malattie infettive, il comune scopo di garantire e tutelare la salute (anche) collettiva, attraverso il raggiungimento della massima copertura vaccinale. In questa prospettiva, non vi è differenza qualitativa tra obbligo e raccomandazione, e l’obbligatorietà del trattamento vaccinale è soltanto uno degli strumenti a disposizione delle autorità sanitarie pubbliche per il perseguimento della tutela della salute collettiva, al pari della raccomandazione.
Secondo la Corte costituzionale, “in presenza di una effettiva campagna a favore di un determinato trattamento vaccinale, è naturale che si sviluppi negli individui un affidamento nei confronti di quanto consigliato dalle autorità sanitarie: e ciò di per sé rende la scelta individuale di aderire alla raccomandazione obiettivamente votata alla salvaguardia anche dell’interesse collettivo, al di là delle particolari motivazioni che muovono i singoli”.
Si parla di “traslazione” in capo alla collettività, favorita dalle scelte individuali, degli effetti dannosi che da queste eventualmente conseguano, di modo che la ragione che fonda il diritto all’indennizzo del singolo non risiede nel fatto che questi si sia sottoposto a un trattamento obbligatorio, quanto sul necessario adempimento, che si impone alla collettività, di un dovere di solidarietà, nel momento in cui derivino conseguenze negative per l’integrità psico-fisica da un trattamento sanitario (obbligatorio o raccomandato che sia) effettuato nell’interesse della collettività stessa, oltre che in quello individuale.
In altri termini, le esigenze di solidarietà previste dalla Costituzione, unitamente alla tutela del diritto alla salute del singolo, richiedono che sia la collettività ad accollarsi l’onere del pregiudizio da questi subìto, mentre sarebbe ingiusto consentire che l’individuo danneggiato sopporti il costo del beneficio anche collettivo.
In conclusione, la previsione dell’indennizzo completa il “patto di solidarietà” tra individuo e collettività in tema di tutela della salute, rende più serio e affidabile ogni programma sanitario volto alla diffusione dei trattamenti vaccinali, al fine della più ampia copertura della popolazione, e prescinde da valutazioni negative sul grado di affidabilità medico-scientifica della somministrazione di vaccini.
Posto dunque che in materia di trattamenti sanitari obbligo e raccomandazione costituiscono a pari titolo i pilastri del “patto di solidarietà” tra Stato e cittadino, e che, almeno per le modalità e la risonanza pubblica con cui si sta svolgendo attualmente la vaccinazione anti Covid-19, non vi è dubbio che lo Stato consideri tale vaccinazione come altamente raccomandata, che senso ha non chiarire in un atto normativo la questione?
Mantenere in una zona grigia una strategia pubblica così vitale per il ritorno alla normalità, tanto più quando il valore di raccomandazione è fuori discussione, significa soltanto confondere ulteriormente i cittadini, e non rassicurarli sull’adempimento del “patto di solidarietà” da parte dello Stato, proprio nel momento in cui si richiede con insistenza a ciascuno di fare buon uso del suo libero arbitrio.